Cei: il card. Zuppi traccia il tempo della Chiesa
“Ho voluto aprire questa nostra riunione con alcune riflessioni, perché credo che dallo scambio di opinioni, sentimenti ed esperienze può maturare una visione più aperta alla speranza della nostra realtà. Non ho da insegnare, ma credo che il comune discorso debba partire da un punto, sicuramente per superarlo. Lo scambio è un anello della struttura di comunione della CEI, che andrà rivisitato nel decisivo Cammino sinodale, per un suo migliore funzionamento che consideri anche lo snodo decisivo delle Conferenze regionali e delle Commissioni episcopali. Di fronte al popolo italiano, alle istituzioni locali o nazionali, alle componenti della vita culturale, sociale e politica, la Chiesa si presenta qual è, senza alterigia, ma consapevole di avere una missione unica”.
E con una citazione conclusiva di don Andrea Santoro il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha aperto ieri il Consiglio Permanente della CEI, attraverso un discorso, in cui ha sottolineato il metodo sinodale che da sempre ha caratterizzato la Chiesa italiana da dopo il Concilio Vaticano II, con l’invito a guardare oltre le crisi, partendo dalla presenza di Samuele a Betlemme:
“Forse perché, qualche pagina prima, la figura di Samuele era associata alla guerra. La gente di Betlemme, quindi, adesso pensa che la sua presenza, in un modo o in un altro, sia un preludio di sciagura. Noi sappiamo che le cose non stanno affatto così. Il mandato di Dio al profeta è di designare Davide. Ma la percezione della gente è diversa”.
Quindi ha delineato il ‘compito’ dei cattolici di costruire percorsi di pace: “La pace è quello di cui l’umanità ha più bisogno oggi. Più volte abbiamo parlato di questo tempo di guerra. Ma dobbiamo farlo, perché è la realtà di oggi e proietta la sua ombra sinistra su tutti…
La costruzione della pace è certamente un dovere dei ‘grandi’ della Terra, ma chiama in causa ciascuno di noi. Ognuno deve essere operatore di pace, artigiano di pace. Dobbiamo trasformare la sofferenza causata dalla guerra nella nostra sofferenza”.
La pace deve trasformarsi in preghiera: “L’ansia della pace è un grido che diventa preghiera. Non dobbiamo stancarci di invocare il dono della pace, di educarci alla pace, a partire dalle nostre case, dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità. Le nostre Chiese devono abolire il linguaggio della discordia e della divisione, devono avere parole di pace, chiamando i fedeli a nutrire pensieri e sentimenti di pace.
In quest’ottica, l’iniziativa dell’accoglienza dei bambini ucraini, che si sta realizzando grazie alla Caritas italiana, può offrire una parola di pace concreta: può essere un’esperienza davvero evangelica perché rende possibile a tutti la solidarietà, genera legami di fraternità e si prende cura degli ultimi, di chi è piccolo e soffre per la guerra senza nemmeno sapere il perché”.
E’ stato un invito a non abbandonare il papa in questo compito: “La sua profezia è un valore unico per l’umanità. E, ancora di più, non possiamo e non vogliamo lasciarlo solo noi, Vescovi italiani, che abbiamo con lui un rapporto non solo di prossimità geografica, ma di speciale vicinanza storica e spirituale. Il Papa e la Chiesa di Roma hanno sempre segnato in profondità il cristianesimo italiano”.
E la visita ad limina è un momento particolare per sperimentare la sinodalità: “Il nostro venire a Roma è, pertanto, un’opportunità per portare ad limina Petri la ricchezza, la bellezza, ma anche le fatiche dei nostri vissuti ecclesiali e del nostro camminare insieme. Allo stesso tempo, incontriamo il Vescovo di Roma per condividere con lui le sfide odierne per l’annuncio del Vangelo, accogliendo come consegna la sua parola per tutte le nostre Chiese. E tutto questo in uno stile di grande franchezza, requisito essenziale per una Chiesa che voglia essere tutta sinodale”.
In questo senso occorre leggere la Dichiarazione del dicastero della Dottrina della Fede, ‘Fiducia supplicans’: “Un documento che si pone nell’orizzonte della misericordia, dello sguardo amorevole della Chiesa su tutti i figli di Dio, senza tuttavia derogare dagli insegnamenti del Magistero…
E’ il valore pastorale della verità cristiana, che è sempre finalizzata alla salvezza. Dio vuole che tutti siano salvi: è quindi compito della Chiesa interessarsi di tutti e di ciascuno. Non possiamo dimenticare che tutti i battezzati godono della piena dignità dei ‘figli di Dio’ e, come tali, sono nostri fratelli e nostre sorelle”.
Dopo una panoramica della situazione internazionale il presidente della Cei ha chiesto ai cattolici di diventare speranza: “Samuele è stato per il popolo d’Israele una figura fondamentale, perché ha segnato la transizione da un regime politico ad un altro. Il Signore ha fatto di lui uno strumento di novità non solo religiosa, ma anche sociale e civile. La fede ci chiede di interessarci della vita delle persone. Se guardiamo alla nostra gente, la pace di cui ho parlato sinora diventa sinonimo di speranza”.
La Chiesa è chiamata ad essere speranza: “Oggi la Chiesa è chiamata a essere sé stessa con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante: chiamata dal Signore, dalla sete di senso e di fede di tanti, dal disorientamento di molti, dal bisogno dei poveri, dalla solitudine orgogliosa e disperata di parecchi, dalle inquietudini. Non è solo il tempo della secolarizzazione, ma è anche il tempo della Chiesa!
E’ il tempo della Chiesa, della sua forza di relazione, di gratuità. Non del declino, ma della vocazione a essere Chiesa di Dio! La Chiesa, con i suoi limiti, è un grande dono per noi e per l’umanità degli italiani. Lo vediamo: è una realtà che chiama alla speranza. Il Giubileo coinvolgerà i nostri popoli nel cammino di pellegrini della speranza”.
Ed ha ribadito l’apertura della Chiesa al dialogo, che non significa rinunciare all’essenza della Chiesa: “Siamo aperti al dialogo, ma non ci lasceremo dire da altri quale sia il contenuto dell’azione caritativa o della missione, che non sono mai di parte, perché l’unica parte della Chiesa è Cristo e la difesa della persona, della vita, dall’inizio alla fine. Certe letture vogliono dividere Vescovi e cristiani, mentre invece sento tanto viva la comunione tra Vescovi e popolo e questo vale più dei like dei social”.
Nessuno nella Chiesa si può considerare eletto: “Le crisi presentano una Chiesa infragilita. Non ci spaventino fragilità e piccolezza! Non sono solo indici problematici, ma anche la quotidiana realtà in cui la Chiesa da sempre vive. Il profeta Samuele, ascoltando il Signore, va alla ricerca di chi è destinato alla missione regale nella famiglia di Iesse: incontra ben sette suoi figli. Nessuno è il prescelto…
Davide, fragile, diventa l’uomo della parola e della benignità, il cantore e l’uomo della preghiera. Così lo vede Crisostomo. La debolezza di Davide è un approccio, diverso da quello comune, forte e arrogante, tipico di Saul”.
Quindi ha rimesso al centro dell’azione ecclesiale la questione sociale: “La questione sociale è sempre anche una questione morale e, oserei dire, spirituale. Nella nostra società si assiste a una divaricazione sempre più ampia tra chi è povero e chi è benestante, le disuguaglianze sono aumentate e c’è come una cronicizzazione della povertà. Lo si nota dall’accesso ai beni fondamentali come il cibo, i servizi sanitari e le medicine, l’istruzione soprattutto quella superiore. Il malessere dei poveri, che crea sacche di pericolosa depressione, deriva anche dalla consapevolezza che non c’è più un ascensore sociale che consenta di sognare un miglioramento”.
Occorre garantire a tutto uguali opportunità: “In generale, esiste nel nostro Paese un problema di riconoscimento della dignità delle persone e del loro lavoro, mal retribuito a causa di contratti precari e di lavoratori sfruttati. Se vogliamo essere profeti di speranza nella nostra terra dobbiamo assumere il peso delle sofferenze degli ultimi, aiutando, nel vicendevole rispetto dei ruoli ma anche nella necessaria collaborazione, anche chi governa a riconoscere le priorità nelle decisioni che riguardano il bene di tutti”.
Dalla storia biblica di Samuele è emerso l’ultimo spunto dell’arcivescovo di Bologna, quello educativo: “Della vicenda di Samuele riprendo ancora un’ultima immagine. Quella di lui ancora giovinetto, che vive presso il santuario di Silo dove riceve un’istruzione religiosa e sicuramente anche umana dal sacerdote Eli…
Non credo che sottolineeremo mai abbastanza l’importanza di una formazione integrale della persona, sin dalla più tenera età, che tenga conto della storia della nostra cultura segnata dal fattore religioso e apra la mente e il cuore al trascendent… L’attenzione verso le nuove generazioni è un tema cruciale per il futuro della Chiesa e della società. I giovani sono il presente delle nostre comunità”.
(Foto: Cei)