Un governo ancora da decifrare

Papa e giudici
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.04.2024 – Andrea Gagliarducci] – Monsignor Alberto Perlasca, indagato divenuto testimone dell’accusa nel recente maxi-processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, è nuovamente Promotore di giustizia aggiunto (cioè pubblico ministero) del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica [QUI]. La Santa Sede deve ancora confermare la notizia, apparsa inizialmente come indiscrezione sul sito di gossip italiano Dagospia. I giornalisti, però, hanno confermato la notizia e la Santa Sede non ha detto nulla per smentirla.

Se controlli l’Annuario Pontificio – il Who’s who? Della Santa Sede – nell’indice compare il nome di Perlasca. Di lui non c’è però alcun riferimento in nessuna pagina o posizione. Considerato che l’Annuario Pontificio è stato chiuso il 31 dicembre 2023, è evidente che la decisione di reintegrarlo è arrivata più tardi, cioè nel 2024.

Per non dirla troppo: a chi importa?

Ebbene, Perlasca fu prima indagato e poi divenne supertestimone nel processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, che vide coinvolto, tra gli altri, il Cardinale Angelo Becciu. Non era sotto processo, né era stato condannato, ma era stato sospeso; era addirittura tornato nella sua diocesi d’origine prima di vivere nuovamente in Vaticano, nella Domus Sanctae Marthae, dove vive anche Papa Francesco.

La testimonianza di Perlasca fu la chiave delle accuse nel processo. Questo è importante, perché si è scoperto che la testimonianza di Perlasca era in qualche modo guidata dalla sua amica, Genoveffa Ciferri, consulente italiano per la sicurezza (e francescano laico) che è amica di Perlasca da molti anni. Ciferri, a sua volta, ha ricevuto consigli da un “alto magistrato”, che poi si è rivelata essere Francesca Immacolata Chaouqui (figura di VatiLeaks 2).

Durante il processo, Perlasca rese delle testimonianze contraddittorie. Tanto che alcune delle sue dichiarazioni furono addirittura considerate spergiuro. Nel corso delle indagini è stato interrogato con modalità considerate da molti poco ortodosse. Non è chiaro come le sue dichiarazioni avrebbero potuto essere considerate credibili.

Nell’accusa, il procuratore dello Stato della Città del Vaticano, Alessandro Diddi – il Promotore di giustizia nella nomenclatura vaticana – ha descritto attentamente il ruolo di Perlasca nell’operazione e ha minimizzato l’impatto della testimonianza di Perlasca sul caso del suo ufficio contro gli imputati. Così facendo, Diddi ha in qualche modo salvato l’Ufficio del Promotore di Giustizia da un certo imbarazzo, visto che ha dovuto ammettere di aver ricevuto diversi messaggi anche dalla stessa Genoveffa Ciferri durante il processo.

Il processo di primo grado si è concluso lo scorso 16 dicembre, con diverse sentenze ancora da decifrare [QUI e QUI]. Per fare ciò, dobbiamo vedere le motivazioni complete della sentenza, che – si spera – faranno luce su come i giudici abbiano messo insieme alcuni strani opposti. Bisognerà vedere anche le dichiarazioni di appello di tutti i soggetti coinvolti, compreso lo stesso Promotore di giustizia, che non è contento delle sentenze così come sono. In realtà nessuno è felice tranne forse la Segreteria di Stato.

Anche se le sentenze non sono ancora definitive, alcuni attori del processo, come Fabrizio Tirabassi, sono già usciti dall’Annuario Pontificio (come se la sentenza fosse già passato in giudicato). Non è il caso di Monsignor Perlasca, che non è indagato e non è condannato.

Resta quindi da decifrare la reintegrazione di Perlasca, avvenuta in via riservata e senza comunicazioni ufficiali.

Potrebbe significare, ad esempio, che Papa Francesco abbia deciso di accettare il punto di vista della procura dello Stato della Città del Vaticano sulla faccenda e quindi di riportare le cose allo status quo, con Perlasca più o meno nella posizione che aveva prima che tutta questa faccenda iniziasse e addirittura prima di essere nominato amministratore della Segreteria di Stato. Può anche significare che il Papa non vuole coinvolgere nel processo chi non è formalmente indagato. Può anche significare che il Papa vuole mostrare un volto misericordioso.

Come sempre questo non lo si può sapere perché, come al solito, non ci sono comunicazioni ufficiali, ma solo indiscrezioni e conferme informali delle indiscrezioni. Non sarebbe la prima volta che la Santa Sede reintegra alcuni monsignori dal passato complicato. Sarebbe però la prima volta che, in un processo che coinvolge la Santa Sede, avviene la reintegrazione di un monsignore che ha cambiato posizione e ha attaccato il suo precedente Ufficio, in presenza di accuse contro lo stesso monsignore che necessitano ancora di ampio accertamento.

Tali accuse, va sottolineato, non erano accuse penali ma accuse procedurali interne. In particolare, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, aveva evidenziato nella sua memoria al processo un accurato “metodo Perlasca”, una sorta di pressione o moral suasion esercitata sui superiori affinché accettassero le operazioni finanziarie proposte, mettendoli a rischio di trovarsi di fronte al fatto compiuto.

Durante il processo, si scoprì che Perlasca firmava contratti senza l’autorizzazione del suo superiore e gestiva addirittura la trattativa del trasferimento della gestione del famoso palazzo londinese da un broker a un altro senza l’avvocato della Santa Sede.

Alla luce di tutto ciò, aumentano i dubbi sull’operato del Papa e sul processo. Il Papa, tra l’altro, ha cambiato le regole del processo mentre era in corso, ha deciso i compensi per i Promotori di giustizia e il Tribunale pochi giorni prima della sentenza, ed è intervenuto negli affari del palazzo londinese anche se ha detto di non ne sapevo nulla. Tutte queste contraddizioni rendono le decisioni di Papa Francesco difficili da decifrare.

Il processo è solo un esempio particolarmente eclatante di una situazione generale molto contorta.

Dalla riapertura del caso degli abusi che hanno coinvolto il seminario minore del Vaticano alla riapertura del caso del prete abusivo Mario Inzoli, dal cambio di rotta sul caso Cile alla difesa di Monsignor Zanchetta, rimasto a Roma come assessore dell’APSA mentre fu accusato in Argentina e fu rimandato in patria solo quando le accuse contro di lui non poterono più essere fermate, solo per citarne alcune.

Ciò porta a una domanda più ampia sull’intero approccio di Papa Francesco al governo ecclesiastico. Se tutto ruota attorno agli umori e alle idee del Papa, allora come possono le scelte del Papa essere considerate equilibrate, imparziali e fatte per il bene della Chiesa e non in nome dell’opinione personale del Papa?

Il caso di Monsignor Perlasca non fa altro che riaprire questi interrogativi, purtroppo, con la consapevolezza che non ci sarà risposta.

C’è da scommettere che qualcuno prima o poi vorrà leggerlo come gesto di misericordia. Anche l’invito rivolto al Cardinal Becciu a partecipare a Concistori e Messe mentre era indagato e sotto processo è stato letto come un gesto di misericordia, nonostante fosse un cardinale costretto a dimettersi su richiesta del Papa e privato dei suoi privilegi.

Anche l’eventuale decisione di nominare Nunzio Apostolico l’Arcivescovo Georg Gänswein, storico segretario particolare di Papa Benedetto XVI, è stata definita un gesto di misericordia. Indiscrezioni, tra l’altro, che sono emerse dopo che il Papa aveva descritto in termini tutt’altro che gentili l’Arcivescovo Gänswein e le sue decisioni, nelle anticipazioni di un libro-intervista a Papa Francesco.

Ma è vera misericordia quando le persone coinvolte e in disgrazia non vengono comunque riabilitate? È vera misericordia quando il Papa, dopo essere stato molto duro e aver pubblicamente distrutto la credibilità di una persona, lo riporta in una posizione periferica?

Anche queste sono domande scottanti.

In definitiva, il maxiprocesso finanziario condotto in Vaticano era in linea con lo stile di governo personale di Francesco. Il governo va portato avanti nonostante tutto e tutti, e le scelte personali vanno sempre difese. Questo è ciò che fa il Papa.

Si dice che Papa Francesco sia peronista. C’è stato un vasto dibattito sulla questione. Alcuni – incluso Papa Francesco – dicono “peronista” e pensano a un’ideologia. Il peronismo, però, è piuttosto un modus gubernandi. Lo vediamo all’opera [QUI e QUI].

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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