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Solennità di tutti i Santi: Festa della Chiesa: una, santa, cattolica, apostolica
La solennità di ‘Tutti i Santi’, che si celebra il 1° novembre, ci invita ad innalzare gli occhi al cielo e a meditare la vita divina che ci attende. Con il Battesimo ci siamo innestati a Cristo, ‘siamo divenuti figli di Dio, ma ciò che ci attende non ci è stato ancora rivelato’ (1 Gv., 3,2). Veri figli amati da Dio, riceviamo anche la grazia e gli aiuti per sopportare tutte le prove della vita. Come veri figli di Dio, raggiungere la santità è lo scopo primario della vita sulla terra; d’altronde non si può dimenticare che con il battesimo siamo divenuti tralci dell’unica feconda ‘vite’ che è Cristo Gesù: ‘Io sono la vite, voi siete i tralci’ insegna Gesù; membra del corpo mistico che è Cristo Gesù.
La solennità di oggi è pertanto la festa della Chiesa, di tutti i cristiani sia che sono gi passati attraverso la grande tribolazione, sia quelli che ci troviamo ancora in questo cammino terreno ma diretti tutti verso l’unica meta che è la vita eterna. Così oggi, solennità di tutti i Santi, siamo chiamati a contemplare la città del cielo, che è nostra vera patria eterna. Per raggiungere questa meta Dio ha conferito a ciascuno di noi talenti, carismi e vari doni celesti, doni mirabili della sua misericordia divina.
Ciascuno di noi è chiamato a mettere a fuoco i doni ricevuti e con la forza dello Spirito santo, che abbiamo ricevuto nel Battesimo, a vivere la nostra vita terrena nella gioia cristiana. La vita infatti è un cammino verso la meta, la patria eterna. Ciascuno di noi è chiamato a svolgere con santità, slancio, umiltà e fortezza il proprio ministero: papa, vescovi, sacerdoti, coniugi, lavoratori ricchi e poveri. Realizzare la santità svolgendo nella gioia il proprio ruolo.
Da qui il discorso sulla montagna di Gesù, che abbiamo ascoltato nella lettura del vangelo; il discorso che è il documento ufficiale con il quale Gesù ha proclamato le ‘beatitudini’, invito chiaro e mirabile a vivere responsabilmente ciascuno la propria vocazione. Gesù non è venuto ad insegnare come si possa stare bene sulla terra ma come si può e si deve conquistare la felicità vera che ci permette di vivere e camminare per raggiungere la vita eterna.
Nell’annuncio Gesù inizia con il dire ‘beati’; è l’annuncio principale: avere la felicità, la gioia, che non è una conquista umana ma la scoperta e la consapevolezza di essere figli di Dio, perciò vero dono di Dio. Senza gioia la fede è opprimente; in paradiso non c’è posto per i tristi, i musoni, gli arrabbiati: non c’è vera santità senza la gioia.
La vocazione dell’uomo è essere felici; questa felicità si conquista attuando il progetto divino dell’amore: amare Dio creatore e padre, amare i fratelli nel nome di Dio. Ecco in sintesi cosa necessita per avere la vera gioia. Da qui le beatitudini; beati i poveri di spirito, beati coloro che non hanno l’anima legata alla cose terrene, alle ricchezze ma a Dio con l’amore; hanno il cuore libero da ogni impaccio terreno e gli occhi e il cuore rivolti solo alla meta. la vita eterna.
Beati i miti: non sono i timorosi, i pusillanimi ma quelli che si aprono a Dio senza invidia per i fratelli e sperano solo nel Signore Gesù. Beato (sono felici) quelli che hanno fame e sete della giustizia: giustizia è rispetto verso Dio e verso i fratelli: dare a ciascuno il suo. Come vedi: la beatitudini sono un messaggio controcorrente; laddove il modo dice e predica ai quattro venti: beati i ricchi, i potenti, quelli che godono fama e successo, quanti si divertono; le beatitudini del Vangelo hanno un tenore diametralmente opposto.
Le beatitudini sono la profezia dell’umanità nuova, redenta da Cristo Gesù: costituiscono la vera regola d’oro dei Figli di Dio. Oggi rendiamo onore a tutti i Santi di tutti i tempi; domani rivolgiamo preghiere e suffragi per i nostri cari defunti. Nella festa di tutti i Santi un posto mirabile è riservato a Maria, la Madre del Verbo incarnato; Maria è al vertice della comunione dei santi, la vera Regina degli angeli e dei santi.
La Beata Vergine, guida sicura alla santità, noi la imploriamo perchè ci prenda per mano, ci copra con il suo manto materno nel nostro pellegrinaggio terreno verso il cielo. Non dimentichiamo: se la santità è la comune meta di ciascuno di noi, le Beatitudini enunciate da Gesù indicano la strada che ci viene offerta per raggiungerla.
Papa Francesco: raccontare storie di speranza
Nell’udienza odierna ai partecipanti alla plenaria del Dicastero per la Comunicazione papa Francesco ha tracciato ‘l’identikit del buon comunicatore’ richiamando i principi di verità, giustizia e pace, secondo l’esortazione di san Paolo agli Efesini letta nella liturgia odierna:
“In effetti, la vostra è una vocazione, è una missione! Con il vostro lavoro e la vostra creatività, con l’uso intelligente dei mezzi che la tecnologia mette a disposizione, ma soprattutto con il vostro cuore: si comunica con il cuore. Siete chiamati a un compito grande ed entusiasmante: quello di costruire ponti, quando tanti innalzano muri, i muri delle ideologie; quello di favorire la comunione, quando tanti fomentano divisione; quello di lasciarsi coinvolgere dai drammi del nostro tempo, quando tanti preferiscono l’indifferenza. Questa cultura dell’indifferenza, questa cultura del ‘lavarsi le mani’: ‘non tocca a me, che si arrangino’. Questo fa tanto male!”
Così il papa ha risposto alle domande su cui tale Plenaria si sta confrontando con l’auspicio che il Sinodo appena concluso diventi stile comunicativo della Chiesa: “Il Sinodo sulla sinodalità che abbiamo appena concluso diventa ora un cammino ordinario che deve farsi strada (un cammino che viene dal tempo in cui san Paolo VI ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi); diventa lo stile col quale nella Chiesa viviamo la comunione, uno stile sinodale. In ogni espressione della nostra vita comunitaria, siamo chiamati a riverberare quell’amore divino che in Cristo ci ha attratto e ci attrae”.
La Chiesa ha come fondamento Gesù: “Ed è questo che caratterizza l’appartenenza ecclesiale: se ragionassimo e agissimo secondo categorie politiche, o aziendalistiche, non saremmo Chiesa. Questo non va! Se applicassimo criteri mondani o se riducessimo le nostre strutture a burocrazia, non saremmo Chiesa. Essere Chiesa significa vivere nella coscienza che il Signore ci ama per primo, ci chiama per primo, ci perdona per primo. E noi siamo testimoni di questa misericordia infinita, che è stata gratuitamente riversata su di noi cambiando la nostra vita”.
Infatti il cammino sinodale coinvolge tutti alla comunione ecclesiale: “Proprio in quanto comunicatori, infatti, siete chiamati a tessere la comunione ecclesiale con la verità attorno ai fianchi, la giustizia come corazza, i piedi calzati e pronti a propagare il Vangelo della pace”.
Questo è il ‘sogno’ di papa Francesco: “Sogno una comunicazione che riesca a connettere persone e culture. Sogno una comunicazione capace di raccontare e valorizzare storie e testimonianze che accadono in ogni angolo del mondo, mettendole in circolo e offrendole a tutti. Per questo sono contento di sapere che (nonostante le difficoltà economiche e l’esigenza di ridurre le spese, ne parlerò dopo di questo) vi siete ingegnati per aumentare l’offerta delle oltre cinquanta lingue con cui comunicano i media vaticani, aggiungendo le lingue lingala, mongola e kannada”.
Quella proposta dal papa è una comunicazione capace di raccontare la realtà: “Sogno una comunicazione fatta da cuore a cuore, lasciandoci coinvolgere da ciò che è umano, lasciandoci ferire dai drammi che vivono tanti nostri fratelli e sorelle. Per questo vi invito a uscire di più, a osare di più, a rischiare di più non per diffondere le vostre idee, ma per raccontare con onestà e passione la realtà.
Sogno una comunicazione che sappia andare oltre gli slogan e tenere accesi i riflettori sui poveri, sugli ultimi, sui migranti, sulle vittime della guerra. Una comunicazione che favorisca l’inclusione, il dialogo, la ricerca della pace. Quanta urgenza c’è di dare spazio agli operatori di pace! Non stancatevi di raccontare le loro testimonianze, in ogni parte del mondo”.
Insomma una comunicazione educante: “Sogno una comunicazione che educhi a rinunciare un po’ a sé per fare spazio all’altro; una comunicazione appassionata, curiosa, competente, che sappia immergersi nella realtà per poterla raccontare. Ci fa bene ascoltare storie dal sapore evangelico, che oggi come duemila anni fa ci parlano di Dio così come Gesù, suo Figlio, lo ha rivelato al mondo”.
E per attuare questo stile comunicativo è importante il coinvolgimento: “Fratelli e sorelle, non abbiate paura di coinvolgervi, di cambiare, di imparare linguaggi nuovi, di percorrere nuove strade, di abitare l’ambiente digitale. Fatelo sempre senza lasciarvi assorbire dagli strumenti che usate, senza far diventare ‘messaggio’ lo strumento, senza banalizzare, senza ‘surrogare’ nell’incontro in rete le relazioni umane vere, concrete, da persona a persona. Il Vangelo è storia di incontri, di gesti, di sguardi, di dialoghi per strada e a tavola. Sogno una comunicazione che sappia testimoniare oggi la bellezza degli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con l’adultera, con il cieco Bartimeo”.
Richiamando la recente enciclica, ‘Dilexit nos’, papa Francesco ha chiesto aiuto nel far conoscere il ‘Cuore di Gesù’: “Aiutatemi, per favore, a far conoscere al mondo il Cuore di Gesù, attraverso la compassione per questa terra ferita. Aiutatemi, con la comunicazione, a far sì che il mondo, ‘che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore’. Aiutatemi con una comunicazione che è strumento per la comunione”.
E’ stato un invito a guardare alla speranza ed il Giubileo è un’occasione: “Nonostante il mondo sia squassato da terribili violenze, noi cristiani sappiamo guardare alle tante fiammelle di speranza, alle tante piccole e grandi storie di bene. Siamo certi che il male non vincerà, perché è Dio che guida la storia e salva le nostre vite…
Il Giubileo, che inizieremo fra qualche settimana, è una grande occasione per testimoniare al mondo la nostra fede e la nostra speranza. Vi ringrazio fin d’ora per tutto ciò che farete, per l’impegno del Dicastero nell’aiutare sia i pellegrini che verranno a Roma, sia chi non potrà viaggiare, ma grazie ai media vaticani potrà seguire le celebrazioni giubilari sentendosi unito a noi”.
In precedenza il papa aveva ricevuto in udienza i partecipanti al Congresso nazionale del Movimento di Impegno Educativo dell’Azione Cattolica (MIEAC), esortandoli a portare l’educazione cristiana nei ‘terreni inesplorati, segnati da mutamenti’: “Il servizio educativo che definisce il vostro Movimento porta con sé, oggi forse più ancora che nel passato, la sfida di operare sul piano umano e cristiano. Educare, come voi ben sapete e testimoniate, significa anzitutto riscoprire e valorizzare la centralità della persona in un contesto relazionale dove la dignità della vita umana trovi compimento e adeguati spazi per crescere”.
E’ stato un invito ad essere educatori ‘dal cuore grande’: “Educatori dal cuore grande per il bene dei ragazzi, dei giovani e degli adulti che vivono accanto a voi. Siete chiamati ad allargare il cuore (non si può avere un cuore ristretto: allargare il cuore), a non aver paura di proporre ideali alti, senza scoraggiarvi di fronte alle difficoltà. Le difficoltà ci sono e tante.
E per non perdere il filo in questi ‘labirinti della complessità’ è importante non restare da soli, ma costruire e rinsaldare i rapporti proficui con i diversi soggetti del processo educativo: le famiglie, gli insegnanti, gli animatori sociali, i dirigenti e preparatori sportivi, i catechisti, i sacerdoti, le religiose e i religiosi, senza trascurare la collaborazione con le pubbliche istituzioni. E coinvolgere i ragazzi, perché i ragazzi entrano: non devono essere passivi nel processo educativo, devono essere attivi!”
Infine anche a loro ha rivolto l’invito a ‘seminare’ la speranza con uno sguardo al Giubileo: “Guardando poi al prossimo Giubileo, tempo per seminare speranza, perché di speranza abbiamo un bisogno vitale tutti noi, vorrei lasciarvi un’ultima consegna: abbiate un’attenzione speciale per i bambini, gli adolescenti, i giovani. A loro dobbiamo guardare con fiducia, con empatia, vorrei dire con lo sguardo e con il cuore di Gesù. Sono il presente e il futuro del mondo e della Chiesa…
Attraverso i processi educativi esprimiamo il nostro amore per l’altro, per chi è vicino o ci è affidato; e, al contempo, è essenziale che l’educazione sia fondata, nel suo metodo e nelle sue finalità, sull’amore. Senza amore non si può educare. Educare sempre con amore!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: la Cresima è partecipazione alla vita della Chiesa
“Il mio pensiero va ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli. Siamo ormai vicini alla solennità di Tutti i Santi: vi invito a vivere questa ricorrenza dell’anno liturgico, nella quale la Chiesa ci vuole ricordare un aspetto della sua realtà: la gloria celeste dei fratelli che ci hanno preceduto nel cammino della vita e che ora, nella visione del Padre, vogliono essere in comunione con noi per aiutarci a raggiungere la meta che ci attende”: al termine dell’udienza generale di oggi papa Francesco ha invitato a vivere la festa di tutti i Santi in comunione con la Chiesa.
Inoltre ha chiesto di pregare in modo incessante per la pace: “E preghiamo per la pace. La guerra cresce! Pensiamo ai Paesi che soffrono tanto: la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, Nord Kivu e tanti Paesi che sono in guerra. Preghiamo per la pace! La pace è un dono dello Spirito Santo e la guerra sempre (sempre, sempre, sempre) è una sconfitta. Nella guerra nessuno vince; tutti perdono. Preghiamo per la pace, fratelli e sorelle. Ieri ho visto che sono state mitragliate 150 persone innocenti: cosa c’entrano nella guerra i bambini? Le famiglie? Sono le prime vittime. Preghiamo per la pace”.
Mentre nel prosieguo della catechesi sullo Spirito Santo papa Francesco ha sviluppato il tema della cresima, conseguenza diretta dell’azione dello Spirito Santo: “L’azione santificatrice dello Spirito Santo giunge a noi anzitutto attraverso due canali: la Parola di Dio e i Sacramenti. E tra tutti i Sacramenti, ce n’è uno che è, per antonomasia, il Sacramento dello Spirito Santo, ed è su di esso che vorrei soffermarmi oggi. Si tratta del Sacramento della Cresima o della Confermazione”.
La cresima è un ‘effetto’ della Pentecoste: “Nel Nuovo Testamento, oltre il battesimo con l’acqua, si trova menzionato un altro rito, quello della imposizione delle mani, che ha lo scopo di comunicare visibilmente e in modo carismatico lo Spirito Santo, con effetti analoghi a quelli prodotti sugli Apostoli a Pentecoste. Gli Atti degli Apostoli riferiscono un episodio significativo a questo riguardo. Avendo saputo che in Samaria alcuni avevano accolto la parola di Dio, da Gerusalemme inviarono Pietro e Giovanni”.
Con la cresima ‘Dio stesso ci conferma’, sottolinea san Paolo ai Corinzi: “Il tema dello Spirito Santo come ‘sigillo regale’ con cui Cristo contrassegna le sue pecorelle è alla base della dottrina del ‘carattere indelebile’ conferito da questo rito”.
Comunque il papa ha invitato a leggere i paragrafi dedicati dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “Con il passare del tempo, il rito dell’unzione si configurò come Sacramento a sé stante, assumendo forme e contenuti diversi nelle varie epoche e nei diversi riti della Chiesa…Il problema è come fare perché il Sacramento della Cresima non si riduca, in pratica, a una ‘estrema unzione’, cioè al sacramento della ‘dipartita’ dalla Chiesa”.
Quindi il papa ha invitato i fedeli che la cresima è un invito ad una partecipazione nella Chiesa: “Si dice che è il ‘sacramento dell’addio’, perché una volta che i giovani la fanno se ne vanno, e torneranno poi per il matrimonio. Così dice la gente. Ma dobbiamo far sì che sia il sacramento dell’inizio di una partecipazione attiva alla vita della Chiesa.
E’ un traguardo che ci può sembrare impossibile vista la situazione in atto un po’ in tutta la Chiesa, ma non per questo dobbiamo smettere di perseguirlo. Non sarà così per tutti i cresimandi, ragazzi o adulti, ma è importante che lo sia almeno per alcuni che poi saranno gli animatori della comunità”.
Ed ha sottolineato che questo sacramento riguarda tutti: “Può servire, a questo scopo, farsi aiutare, nella preparazione al Sacramento, da fedeli laici che hanno avuto un incontro personale con Cristo e hanno fatto una vera esperienza dello Spirito. Alcune persone dicono di averla vissuta come uno sbocciare in loro del Sacramento della Cresima ricevuto da ragazzi…
San Paolo esortava il discepolo Timoteo a ‘ravvivare il dono di Dio, ricevuto mediante l’imposizione delle mani’, ed il verbo usato suggerisce l’immagine di chi soffia sul fuoco per ravvivarne la fiamma. Ecco un bel traguardo per l’anno giubilare! Rimuovere la cenere dell’abitudine e del disimpegno, diventare, come i tedofori alle Olimpiadi, portatori della fiamma dello Spirito. Che lo Spirito ci aiuti a muovere qualche passo in questa direzione!”
(Foto: Santa Sede)
Presentato il rapporto sugli abusi sui minori: risposta rigorosa a tale piaga
Dopo un lungo lavoro la Commissione per la Tutela dei Minori (organismo istituito dal papa nel 2014 per proporre le iniziative più opportune per prevenire gli abusi nella Chiesa) ha pubblicato il primo Rapporto Annuale su Politiche e Procedure in materia di Tutela, composto da 50 pagine divise in quattro sezioni, con numerosi dati raccolti nei cinque continenti e in diversi istituti e congregazioni religiose, e anche nella stessa Curia romana che è invitata ad una maggiore trasparenza nelle procedure e nei processi. Il documento è stato redatto da un gruppo di lavoro presieduto da Maud de Boer-Buquicchio, membro della Commissione e già relatore speciale delle Nazioni Unite sullo sfruttamento sessuale dei bambini.
Il Report promuove l’impegno della Chiesa a dare una risposta ‘rigorosa’ alla piaga dell’abuso, basata sui diritti umani e incentrata sulle vittime, in linea con le recenti riforme del Libro VI del Codice di Diritto Canonico che stigmatizza il reato di abuso come violazione della dignità della persona. Il testo documenta rischi e progressi negli sforzi della Chiesa per proteggere i bambini. Raccoglie anche risorse e best practices da condividere nella Chiesa universale, ed è strumento per la Commissione per poter riferire su base sistematica risultanze e raccomandazioni da condividere con il Papa, con le vittime, con le Chiese locali e il Popolo di Dio.
Il rapporto dettaglia le situazioni delle Conferenze Episcopali che sono passate dalla Commissione in questi mesi (Messico, Papua Nuova Guinea, Belgio e Camerun), e anzi ricorda il ruolo che le visite ad limina hanno in questo processo, perché la presenza a Roma dei vescovi locali permette alla commissione di essere a conoscenza dalle 15 alle 20 Chiese locali.
Il rapporto mostra anche la differenza delle Chiese locali sulla base della provenienza geografica, perché in alcuni casi il fenomeno dell’abuso è riconosciuto da tempo, in altri casi invece è giunto in superficie solo di recente, e in altre ancora manca ancora una pubblicizzazione dei casi di abuso.
Presentando il report il card. Seán Patrick O’Malley, arcivescovo metropolita di Boston, ha raccontato il cammino percorso dalla Chiesa: “Il primo periodo l’ho vissuto ininterrottamente per quasi 40 anni come vescovo. Grazie alla vicinanza personale con le vittime, le loro famiglie, i loro cari e le loro comunità, ho ascoltato potenti testimonianze del tradimento che si prova quando si subisce un abuso da parte di una persona in cui si è riposta fiducia, e delle implicazioni che tale abuso comporta per tutta la vita.
Sono enormemente grato alle vittime per la loro apertura, che mi ha permesso di viaggiare con loro. Infatti, è solo ascoltandole in prima persona che possiamo conoscere la verità sulla loro dignità umana ripetutamente violata. Le loro storie rivelano un periodo privo di affidabilità, in cui i leader della Chiesa hanno tragicamente deluso coloro che siamo chiamati a pascere. E’ stato un periodo anche privo di professionalità, in cui i leader della Chiesa hanno preso decisioni senza attenersi alle politiche, alle procedure o agli standard di base per la tutela delle vittime. E’ un periodo buio in cui la sfiducia ha ostacolato la capacità della Chiesa di essere testimone di Cristo”.
Eppoi un altro periodo in cui si è iniziato a denunciare: “C’è poi un secondo periodo, che stiamo cominciando a vedere prendere forma in molte parti del mondo, in cui la responsabilità, la cura e la preoccupazione per le vittime cominciano a fare luce sull’oscurità. E’ un periodo in cui esistono solidi sistemi di denuncia che ci permettono di ascoltare e rispondere alle vittime, con un approccio informato sui traumi.
E’ un periodo in cui i protocolli di gestione del rischio e la supervisione informata promuovono ambienti sicuri. E’ un periodo in cui la Chiesa fornisce servizi professionali di accompagnamento delle vittime, come impegno per il viaggio verso la guarigione. E’ un periodo in cui tutti coloro che svolgono un ministero e lavorano nella Chiesa ricevono la formazione e l’addestramento necessari per promuovere una cultura della tutela. E’ un periodo in cui la Chiesa abbraccia pienamente il suo ministero di salvaguardia”.
Questo processo è avvenuto attraverso tre passaggi: “Il primo è la revisione delle politiche e la promozione della voce delle vittime, in cui valutiamo e suggeriamo miglioramenti alle politiche e alle procedure di tutela adottate dalle varie entità della Chiesa presenti in tutto il mondo, in quasi tutti i Paesi. Il secondo è il rafforzamento delle risorse umane formate, attraverso l’iniziativa ‘Memorare’ della Commissione, per promuovere l’effettiva attuazione di queste politiche e procedure.
La terza è la rappresentazione trasparente e misurabile dei nostri sforzi, attraverso il Rapporto annuale, per documentare i progressi, le carenze e le raccomandazioni. Queste tre attività interconnesse sono articolate in modo continuo e questo ciclo iterativo costituisce il modello della Commissione per promuovere il cambiamento”.
Inoltre la prof.ssa Maud de Boer-Buquicchio, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, ha definito il rapporto onesto ed oggettivo: “Ci rendiamo conto che il Rapporto è lungi dall’essere perfetto, ma ha una metodologia solida che si svilupperà nel tempo, per diventare sempre più completa e robusta.
Naturalmente, questo include innanzitutto l’apprendimento diretto da parte delle vittime e dei sopravvissuti. Negli anni a venire, svilupperemo anche il nostro raggio d’azione per includere in modo più completo i religiosi e i fedeli laici. Infine, sappiamo che, in collaborazione con molti altri, dobbiamo migliorare significativamente la verifica dei nostri dati, attraverso riferimenti incrociati con fonti esterne”.
Inoltre tale Rapporto è uno strumento di ‘Giustizia e Conversione’: “In primo luogo, registra le transizioni critiche che si verificano progressivamente in diverse parti della Chiesa nel mondo. Questa transizione è caratterizzata dallo sviluppo iniziale, dall’attuazione e dall’inculturazione di politiche, linee guida e procedure di tutela. In secondo luogo, attraverso la condivisione di buone pratiche, accompagna la continua conversione pastorale necessaria per consolidare integralmente il nuovo periodo, caratterizzato dall’avanzamento della verità, della giustizia, delle riparazioni e delle riforme istituzionali”.
Inoltre il rapporto sottolinea l’impegno della Chiesa: “Questo Rapporto promuove anche l’impegno della Chiesa a dare una risposta rigorosa alla piaga dell’abuso, basata sui diritti umani e incentrata sulle vittime, in linea con le recenti riforme del Libro VI del Codice di Diritto Canonico che inquadra il reato di abuso come una violazione della dignità della persona umana. Come mi è stato spesso detto, ‘i bambini non sono mini esseri umani con mini diritti umani’. La riforma del Libro VI e questa Relazione annuale contribuiscono a garantire questa verità, che consiste innanzitutto nel rompere il silenzio e nell’incontrare le vittime là dove si trovano”.
Ed infine ha illustrato la copertina del rapporto: “Originario di gran parte del continente africano, l’albero di ‘baobab’ è spesso conosciuto come ‘albero della vita’ ed è un importante simbolo di resilienza e comunità. Crediamo che questo possa servire come segno concreto del nostro sostegno ad ogni vittima, a chi denuncia abusi o qualsiasi altra persona, in un’atmosfera di fiducia e sicurezza. Con il cambiamento di mentalità che accompagna il nostro percorso di Giustizia e Conversione, la Chiesa può offrire l’ambiente protettivo che questo albero simboleggia”.
(Foto: Osservatore Romano)
Papa Francesco delinea una Chiesa missionaria
“Questa domanda, davanti a una persona cieca, sembra una provocazione e invece è una prova. Gesù sta chiedendo a Bartimeo chi cerca davvero, e per quale motivo. Chi è per te il ‘Figlio di Davide’? E così il Signore inizia ad aprire gli occhi del cieco. Consideriamo tre aspetti di questo incontro, che diventa dialogo: il grido, la fede, il cammino. Anzitutto il grido di Bartimeo, che non è solo una richiesta di aiuto. E’ un’affermazione di se stesso. Il cieco sta dicendo: ‘Io esisto, guardatemi. Io non ci vedo, Gesù. Tu mi vedi?’ Sì, Gesù vede l’uomo mendicante, e lo ascolta, con gli orecchi del corpo e con quelli del cuore. Pensiamo a noi, quando per la strada incrociamo qualche mendicante: quante volte guardiamo da un’altra parte, quante volte lo ignoriamo, come se lui non esistesse”.
Così papa Francesco prima della recita dell’Angelus odierno ha sottolineato i passi verso la conversione, che dopo il ‘grido’ di aiuto, si apre alla fede, perché qualcuno presta attenzione: “Bartimeo vede perché crede; Cristo è la luce dei suoi occhi. Il Signore osserva come Bartimeo guarda a Lui. Come guardo io un mendicante? Lo ignoro? Lo guardo come Gesù? Sono capace di capire le sue domande, il suo grido di aiuto? Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi il mendicante? Gli tocchi la mano per sentire la sua carne?”
Da qui nasce un cammino: “Infine, il cammino: Bartimeo, risanato, ‘seguiva Gesù lungo la strada’. Ma ognuno di noi è Bartimeo, cieco dentro, che segue Gesù una volta che si è avvicinato a Lui. Quando tu ti avvicini a un povero e ti fai sentire vicino, è Gesù che si avvicina a te nella persona di quel povero. Per favore, non facciamo confusione: l’elemosina non è beneficenza. Quello che riceve più grazia dall’elemosina è colui che la dà, perché si fa guardare dagli occhi del Signore”.
E nell’omelia della messa conclusiva del Sinodo papa Francesco ha sottolineato il grido mendicante di Bartimeo: “La sua posizione è tipica di una persona ormai chiusa nel proprio dolore, seduta sul ciglio della strada come se non ci fosse nient’altro da fare se non ricevere qualcosa dai tanti pellegrini di passaggio nella città di Gerico in occasione della Pasqua. Ma, come sappiamo, per vivere davvero non si può restare seduti: vivere è sempre mettersi in movimento, mettersi in cammino, sognare, progettare, aprirsi al futuro. Il cieco Bartimeo, allora, rappresenta anche quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza”.
E’ stato un invito alla Chiesa ad alzarsi: “Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere.
E se restiamo seduti nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo. Per favore, chiediamo al Signore che ci dia lo Spirito Santo per non restare seduti nella nostra cecità, cecità che si può chiamare mondanità, che si può chiamare comodità, che si può chiamare cuore chiuso. Non restare seduti nelle nostre cecità”.
Infatti appena Gesù si china su Bartimeo egli si alza: “Dopo aver gridato verso di Lui, infatti, Gesù si è fermato e lo ha fatto chiamare. Bartimeo, da seduto che era, è balzato in piedi e, subito dopo, ha recuperato la vista. Ora, egli può vedere il Signore, può riconoscere l’opera di Dio nella propria vita e può finalmente incamminarsi dietro di Lui. Così, anche noi, fratelli e sorelle: quando siamo seduti e accomodati, quando anche come Chiesa non troviamo le forze, il coraggio e l’audacia, la parresia necessaria per rialzarci e riprendere il cammino, per favore, ricordiamoci di ritornare sempre al Signore, ritornare al Vangelo. Ritornare al Signore, ritornare al Vangelo”.
E’ questa la consegna di papa Francesco alla Chiesa: “Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Il Signore lo si segue lungo la strada, non lo si segue chiusi nelle nostre comodità, non lo si segue nei labirinti delle nostre idee: lo si segue lungo la strada…
Fratelli, sorelle: non una Chiesa seduta, una Chiesa in piedi. Non una Chiesa muta, una Chiesa che raccoglie il grido dell’umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo”.
Ed ha concluso l’omelia ricordando il restauro della reliquia dell’antica Cattedra di san Pietro: “Contemplandola con stupore di fede, ricordiamoci che questa è la cattedra dell’amore, è la cattedra dell’unità, è la cattedra della misericordia, secondo quel comando che Gesù diede all’Apostolo Pietro non di dominare sugli altri, ma di servirli nella carità. E ammirando il maestoso baldacchino berniniano più splendente che mai, riscopriamo che esso inquadra il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo. Questa è la Chiesa sinodale: una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva verso di Lui”.
(Foto: Santa Sede)
Presentata l’enciclica di Papa Francesco: il cuore di Gesù salva
“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’ (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’ (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’ (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”: lo ha scritto nell’enciclica ‘Dilexit nos sull’amore umano e di divino del cuore di Gesù’ di papa Francesco, presentata oggi, dal teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da suor Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo.
Nell’introdurre l’enciclica mons. Forte ha ricordato l’origine dell’enciclica: “La Lettera Enciclica… nasce dall’esperienza spirituale di papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci”.
L’enciclica papale mette in evidenza l’amore di Dio per l’umanità: “E’ la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù”.
Ecco l’importanza del cuore: “Perciò è importante ritornare al cuore: è il cuore che unisce i frammenti della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade. Tutto ciò che viviamo è ‘unificato nel cuore’: le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne ‘piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile’ è segno di un mondo senza cuore”.
Ed ha spiegato il ruolo della Chiesa: “E’ qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa… In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra ‘nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola’, aiutandoci ad amare meglio e di più”.
In sintesi papa Francesco ha raccontato l’amore di Dio: “Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti”.
Sulla stessa sintonia l’intervento di sorella Antonella Fraccaro: “Papa Francesco ci ricorda che ‘io sono il mio cuore’; dunque, è decisivo che ‘tutte le azioni’ della mia vita ‘siano poste sotto il dominio politico del cuore’, cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare…
Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura”.
Ed infine un accenno al Giubileo: “Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con ‘la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri’. In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che ‘libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità’.
Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza (pellegrini di speranza), ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, ‘la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’.Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità”.
(Foto: Vatican News)
Dall’Azione Cattolica Italiana un invito ad essere ‘pellegrini di speranza’
“I punti di riferimento essenziali per l’Azione Cattolica si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”.
Con queste parole il presidente nazionale dell’A.C.I, prof. Giuseppe Notarstefano, ha chiuso a Sacrofano i lavori del Convegno nazionale dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle Delegazioni regionali di Azione cattolica, invitando i presidenti diocesani a guardare a questo inizio di triennio associativo come ‘Pellegrini di Speranza’:
“Il che vuol dire essere donne e uomini che sanno accogliere con speranza questo tempo attraversato da guerre, contrapposizioni violente e insopportabili disuguaglianze economiche e sociali. Impegnandosi a dare spazio a una credibile e generativa ‘cultura dell’abbraccio’, che si rigenera nella fraternità e nella condivisione. E pone in atto gesti e segni di autentica e credibile vita comunitaria.
Persone dunque capaci di animare in profondità la vita. Suscitando e accompagnando i fratelli e le sorelle con uno stile evangelico, di testimonianza e di impegno, che si mette in gioco in modo ordinario e quotidiano, nei diversi ambienti e condizioni di vita”.
Quella presente a Sacrofano è anche un’Ac che ricorda a sé stessa ciò che è, attraverso le voci dei presidenti diocesani e i delegati regionali: un’associazione di persone che sanno misurarsi con le grandi questioni del tempo sì, ma che sanno fare tesoro anche delle piccole relazioni tessute dal basso. Insomma, un’associazione che costudisce la democrazia ad ogni livello della sua struttura organizzativa, come ha sottolineato il presidente nazionale:
“L’Azione cattolica, il suo essere, il suo cammino, è paradigma perfetto del Cammino sinodale. Il cammino di una Chiesa che si interroga sul suo stare nel mondo… Le ‘traiettorie sinodali’ di cui si discute in questi giorni, sono le traiettorie di impegno dell’Ac da sempre, dalla sua nascita. Non lo diciamo per vanto, ma per dire ancora una volta che noi siamo nella Chiesa e per la Chiesa. Consapevoli che la strada intrapresa dal Sinodo è solo all’inizio. L’inizio di una scala in salita. Che noi intendiamo percorre tutta con fiducia e speranza”.
E all’apertura dei lavori l’assistente generale Ac, mons. Claudio Giuliodori, aveva richiamato nell’omelia le parole di Francesco, pronunciate nello scorso aprile con la citazione di san Giovanni della Croce a non inorgoglirsi: “Anche gli apostoli hanno pensato che il regno di cui parlava il Signore aprisse le porte a ruoli di comando e di potere per cui cercavano di accaparrarsi quelli migliori e di maggiore prestigio, alla destra e alla sinistra del Re. Ma la regalità a cui il Signore fa riferimento è radicalmente diversa da quella che gli apostoli potevano immaginare. L’insegnamento di Gesù e i suoi gesti non lasciano margini per interpretazioni diverse o addomesticate”.
Ed è stato molto evidente il collegamento del tema triennale con il messaggio della Giornata missionaria: “Uniti a lui, tutto diventa possibile, anche affrontare i momenti più di difficili e le prove più grandi… Confidando nel Signore e nella sua grazia potremo certamente rispondere in modo efficace al suo invito che abbiamo scelto come prospettiva sfidante per il triennio: ‘Voi stessi date loro da magiare’.
Non l’avevamo previsto, ma è una concomitanza provvidenziale che oggi si celebri la Giornata Missionaria Mondiale, il cui tema è: ‘Andate e invitate al banchetto tutti’. Evidente e significativo il collegamento tra il tema del triennio, oggetto di questo Convegno, e quello della Giornata. I due temi si illuminano e si chiariscono reciprocamente. Concludo pertanto con l’invito a leggere il Messaggio come parte integrante delle riflessioni di questi giorni”.
Per questo mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e presidente della Commissione Cei per il laicato, ha richiamato agli associati la necessità di vivere da laici: “La vocazione genera e propone, chiama ad un legame vivo, alla comunione che si genera e cresce per la vocazione, per la continua e sempre nuova apertura alla presenza dell’altro… La consapevolezza di essere dei chiamati ci libererà da ogni paura, e ci suggerirà al momento, in ogni occasione ed in ogni situazione del tempo degli uomini ‘ciò che bisogna dire’ e cosa o come poter fare per annunziare il Cristo, per condividere con i fratelli la carità, la grazia della vocazione.
Perciò, non abbiamo timore. Viviamo intensamente la consapevolezza di essere chiamati dal Signore a conoscere e vivere la sua misericordia e, come spezziamo e condividiamo il pane della vita, così il nostro vero apostolato sia il testimoniare e donare al mondo, ad ogni uomo e donna di questo tempo, la fiducia nella presenza del Dio che chiama a vivere con Lui”.
(Foto: Azione Cattolica Italiana)
Monsignor Christian Carlassare: ‘La pace si raggiunge con il dialogo’
Più di 10.000.000 bambini in Sudan si sono trovati in una zona di guerra attiva e a meno di cinque chilometri di distanza da spari, bombardamenti e altre violenze mortali, dall’inizio del conflitto più di un anno fa, il 15 aprile 2023, un numero più alto di quello dei minori che vivono attualmente in Italia.
Il Paese, dopo un anno e mezzo, è di fatto diviso in tre parti:: l’una in mano all’esercito regolare, che si professa custode della transizione che controlla faticosamente gran parte del corso del Nilo, la costa del Mar Rosso con il porto di Port Sudan (ormai capitale di fatto) e parte degli stati del Sud-Est; una seconda, alcuni stati del Sud-Ovest e gran parte del Darfur, è sotto il controllo delle RSF.
Infine, una terza vasta area dispersa nel paese è in mano a varie forze ribelli legate a neonati interessi, antichi raggruppamenti ed eterodosse fedeltà locali, venate di identificazioni etniche spesso estese oltre-confine. Le maggiori città sono contese, anche la capitale Khartoum: un anno fa una delle maggiori megalopoli d’Africa con quasi 7.000.000 di abitanti, oggi devastata e spopolata.
I combattimenti hanno condotto ad una delle peggiori crisi umanitarie in corso sul pianeta, la più grave per quanto riguarda gli sfollati: oltre 9.000.000 di nuovi sfollati di cui più di 2.000.000 quelli fuggiti in altri paesi; almeno 13.000 i morti accertati, di certo sottostimati; almeno 11.000 casi colera sono segnalati, l’80%degli ospedali del Sudan è fuori uso e metà della popolazione necessita d’una forma di aiuto ma gli aiuti sono scarsi e in molte aree difficilmente accessibili a causa dell’insicurezza. Il tessuto sociale del Paese è stato fatto a pezzi dalla guerra, la popolazione civile è vittima di violenze dilaganti, bambini uccisi, violentati e reclutati dalle milizie come arma di guerra.
A mons. Christian Carlassare, vescovo di Rumbek, in Sud Sudan, abbiamo chiesto di spiegarci i motivi per cui il conflitto in Sudan aumenta: “Il conflitto sudanese ha radici profonde perché nasce da problemi già presenti nella guerra in Darfur cominciata più di 20 anni fa e mai risolti. Ora la questione del Darfur si è allargata a tutto il Paese. In aggiunta possiamo dire che il conflitto sudanese non è semplicemente una guerra tra due generali, poiché l’esercito SAF e la milizia RSF sono inestricabilmente inseriti nella vita economica del paese attraverso legami con gruppi di élite sudanesi che controllano vari settori dell’economia a proprio vantaggio.
Quindi è un conflitto molto complesso che alla base ha elementi economici, problematiche regionali esacerbate da questioni etniche, senza dimenticare interessi internazionali ed elementi religiosi come l’aspirazione della fazione islamista estromessa dal governo nel 2019 di tornare al potere”.
Perché la guerra in Sudan è una guerra ‘fantasma’?
“Probabilmente perché non gli viene data la dovuta importanza dalla comunità internazionale (soprattutto America e Paesi europei) per cui l’attenzione mediatica e l’aiuto umanitario sono rivolti soprattutto a Gaza ed Ucraina. Ma in realtà la crisi umanitaria sudanese è altrettanto grave sia per le uccisioni e crimini commessi, sia per il numero di persone che sono sfollate nella più totale assenza di sicurezza e servizi e la conseguente fame.
Il Sudan è abbandonato a sé stesso da chi non vede in esso interessi economici e strategici. Russia, Emirati Arabi, Arabia Saudita e in parte l’Egitto invece sono più coinvolti, ma non è scontato che stiano lavorando per la pace. Se ci fossero meno armi e meno soldi per comprarle, forse quelli che oggi combattono per il controllo di alcune aree e risorse si siederebbero a un tavolo per la pace”.
Quali ripercussioni ha questo conflitto in Sud Sudan?
“Il Sud Sudan osserva quello che sta accadendo in Sudan con grande preoccupazione perché il legame tra i due Paesi rimane, pur con l’indipendenza del Sud. Molti Sud Sudanesi avevano trovato rifugio in Sudan durante il conflitto 2013-2019. Comunque il Sudan continuava ad offrire buone opportunità di studio e cure mediche, oltre che vantaggi negli investimenti e nel commercio. Ora non più. Molti Sud Sudanesi sono rientrati, dopo aver perso tutto, e senza trovare molto. L’estrazione del petrolio è rallentata ed il trasporto lungo l’oleodotto fino a Port Sudan è diventato più incerto come anche questa entrata che rappresenta 85% del PIL del paese.
In aggiunta, il Sud Sudan non è veramente in pace nonostante l’accordo R-ARCSS. Anche se non si registrano scontri tra i principali gruppi armati, in molte parti del Paese si registrano violenze legate a conflitti locali.
Vengono descritti come scontri locali o comunitari perché interessano piccoli gruppi di diversa etnia, e sono spesso legati all’accesso ad alcune risorse del territorio. Ma le cause non sono accidentali, di fatto sono collegate alle dinamiche politiche nazionali. Mentre il Sud Sudan ha teoricamente un governo transitorio di unità nazionale, in pratica c’è una lotta tra le diverse fazioni del governo e dell’opposizione per il potere e c’è poca cooperazione fra loro.
Tutte le fazioni lavorano per i propri interessi piuttosto che per il bene della nazione e dei cittadini. Sembra mancare la volontà politica di attuare le disposizioni della R-ARCSS. E, purtroppo, le elezioni (che dovrebbero essere a dicembre prossimo) fanno parte di questa lotta per il potere.
Il principale partito di governo vorrebbe le elezioni. L’opposizione le vorrebbe posticipate. In generale preoccupa l’impreparazione generale. Le elezioni non sono un singolo evento, richiedono un processo che dura nel tempo. Comportano molti elementi: la demarcazione delle circoscrizioni elettorali che richiederebbero un censimento, la registrazione degli elettori, la registrazione dei partiti politici e dei candidati, l’istituzione di un sistema elettorale indipendente, la commissione elettorale, la formazione dei funzionari elettorali, una pianificazione della logistica cioè come raggiungere tutti distretti in un territorio così vasto e povero di infrastrutture e comunicazioni, come garantire la sicurezza e l’ordine nello svolgimento delle votazioni, l’educazione civica degli elettori.
Praticamente nulla di tutto questo è ancora avvenuto. È anche difficile prevedere come sarà possibile votare in alcune regioni dove non c’è sicurezza, o dove la popolazione è pressoché tutta sfollata a causa anche degli allagamenti.
Per di più, non si tratta di semplici elezioni di routine come quelle che si svolgono regolarmente in altri paesi. Queste elezioni fanno effettivamente parte dell’R-ARCSS, che è un accordo di pace firmato dalle parti coinvolte nella guerra civile del 2013. In effetti, l’elezione costituisce l’ultima tappa dell’accordo dopo che tutte le altre sono state raggiunte.
Queste includono la ratificazione di una costituzione che per ora rimane transitoria, la riforma dell’esercito e della difesa, la riforma della giustizia, il dialogo nazionale e la riconciliazione. La maggior parte di queste riforme non sono state fatte. E’ quindi difficile capire come si possano avere delle elezioni legittime quando mancano le condizioni previe.
Al momento sono in atto delle trattative moderate dal presidente Ruto del Kenya con la partecipazione della Comunità di Sant’Egidio per cercare di uscire da questa situazione di stallo. Si continua a sostenere la necessità di andare alla radice dei problemi che sono legati alla costituzionalità stessa del paese, al rispetto della legge, al buon governo che sappia superare corruzione e nepotismo.
Bisogna saper guardare oltre l’accordo di pace e le elezioni stesse. E’ necessario promuovere un serio dialogo nazionale indipendente dalle forze al governo ed élite militari, dove la comunità civile, i gruppi ecclesiali, gli anziani, le donne e i giovani possano parlare ed essere finalmente ascoltati”.
La conferenza episcopale di Sudan e Sud Sudan invita al dialogo: è una via percorribile?
“E’ l’unica via. Senza un dialogo nazionale indipendente e a tutto campo non si supereranno mai i pre-giudizi che cui sono tra diversi gruppi etnici. Le narrative negative che contrappongono piuttosto di unire rimarranno intatte. Le ferite per le violenze subite rimarranno aperte ed infette senza possibilità di guarigione. Senza dialogo inclusivo alcuni gruppi di potere continueranno a manipolare le comunità locali.
Quindi non basta un dialogo formale compiuto da un gruppo limitato di persone in rappresentanze delle altre. E’ necessario nel paese un atteggiamento di ascolto ed educazione alla conoscenza reciproca per individuare un bene che sia comune e che appartenga a tutta la popolazione. Il governo deve essere progressivamente capace di offrire pari opportunità e sviluppo a tutte le comunità del paese, dando attenzione ai gruppi più svantaggiati e vulnerabili”.
Dopo la conclusione delle Olimpiadi parigine, in cui la squadra di pallacanestro ha partecipato per la prima volta, il basket in Sud Sudan può essere un momento di riscatto e di riappacificazione?
“L’esperienza delle Olimpiadi è stata certamente una esperienza molto importante per la squadra di basket del Sud Sudan. Le imprese della squadra è stato motivo di orgoglio nazionale e tanta gente ha seguito con interesse e grande speranza. Il messaggio di questa esperienza è che l’unione fa la forza, e lavorare sodo porta sempre buoni frutti. Spero sia un messaggio che venga raccolto dal paese perché sia in grado di costruire relazioni sociali improntate sul rispetto, la gentilezza e la coesione”.
Nello scorso luglio è anche vescovo della diocesi di Bentiu con 621.000 battezzati su una popolazione di 1.132.000 persone: per quale motivo papa Francesco ha eretto la diocesi di Bentiu?
“E’ un processo che è iniziato qualche tempo fa in seguito alla grande crescita di fede e impegno ecclesiale della popolazione locale. Gli agenti pastorali laici hanno più volte chiesto alla Chiesa più attenzione considerando la vastità della diocesi di Malakal e il numero esiguo di ministri ordinati. Al mio arrivo in Sud Sudan nel 2005 questo territorio aveva solo due parrocchie, una retta da un prete diocesano e l’altra retta da una comunità di missionari comboniani. I catechisti erano più di 600 e presenti nel territorio a guida di altrettante cappelle. Oggi lo stesso territorio ha sette parrocchie, sette preti diocesani, due diaconi, e due comunità religiose, i missionari comboniani e i frati minori cappuccini.
Il motivo per il quale papa Francesco ha eretto questa diocesi risponde al bisogno di essere una Chiesa che si fa prossima, che esce dal tempio e si fa compagna di strada di coloro che hanno perso tutto, ma non la propria umanità. Al momento si calcola che nella regione, circa il 90% della popolazione è sfollata a causa prima del conflitto ed ultimamente dell’alluvione che ancora colpisce il territorio. Tra Bentiu e Rubkona, due città collegate da un ponte, vivono circa 200.000 persone dentro una trentina di chilometri di terrapieno dove da 4 anni il livello dell’inondazione del Nilo supera quello del terreno.
Nel ‘campo sfollati’ di Rubkona circa 130.000 persone vivono stipati in una situazione del tutto anomala poiché dipendono dall’assistenza dell’ONU e delle agenzie umanitarie. Forse la diocesi, dando forza alle comunità cristiane locali, può essere richiamo di un bisogno di normalità, di pace e di sviluppo umano integrale di cui la gente ha tanto bisogno”.
(Foto: Aci Stampa)
Sinodo e Azione Cattolica italiana, ne parla il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano
A metà settembre alla ‘Casa San Girolamo’ di Spello si sono svolte le ‘Conversazioni di Spello’ con il prof. Luigi Alici, docente emerito di ‘Filosofia morale’ e già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Lorenzo Zardi, vicepresidente nazionale per il settore Giovani di Azione Cattolica, la prof.ssa Pina De Simone, ordinaria di ‘Filosofia della religione’ e direttrice di ‘Dialoghi’, con gli intermezzi musicali del violinista Stefano Rimoldi, sul tema ‘Per una cultura del noi. Alle radici del fare cultura e del senso di comunità’, introdotti dal presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, prof. Giuseppe Notarstefano.
Durante l’incontro il prof. Alici ha invitato ad aprire gli ‘orizzonti relazionali’: “Il laico cristiano riconosce e testimonia che in ogni relazione filtra una luce infinita: c’è una mistica anche della vita attiva, che cerca l’unità nelle giunture, la comunione nelle differenze, la prossimità nella distanza; che incontra Dio anche nel cuore dell’uomo e dell’umanità, alla radice degli spazi vissuti e oltre le distanze temporali. Riconoscere e aprire infinitamente questi orizzonti relazionali disegna lo spazio di incontro e dialogo tra credenti e non credenti”.
Al termine dell’incontro con il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica, abbiamo riflettuto sulla necessità della cultura del ‘noi’: “Viviamo in un tempo in cui prevale un senso di individualismo, spesso portato fino all’eccesso, dovuto da tanti fattori, non ultimo da una cultura economicista, che ha pervaso la vita sociale con l’enfatizzazione dei valori dell’utilità e della competizione e mettendo in ombra i valori della cooperazione e dell’amicizia sociale.
Quindi quello della ricostruzione e del legame comunitario è un tema importante; però il ‘noi’ non può essere una chiusura nel gruppo, ma deve essere qualcosa di inclusivo ed aperto. In questo cammino aiuta l’esperienza ecclesiale, che ci fa vivere la comunità non come qualcosa di esclusivo e di chiusura, ma che cresce attraverso il dialogo con l’altro e nell’esperienza dell’accoglienza dell’altro. Questo è un’esperienza che si può vedere nella Chiesa sinodale e nel magistero di papa Francesco. Come associazione crediamo che occorre dare anche una mediazione culturale a quest’esperienza”.
Quindi quanta ‘sinodalità’ si sta sviluppando nella Chiesa?
“E’ un cammino. Credo che il Sinodo abbia introdotto stili e pratiche che, dal basso, stanno animando una conversione pastorale: penso allo stile della conversione spirituale, che è un modo di ripensare il nostro incontrarci a partire da un ascolto sincero dell’altro. Dobbiamo imparare a costruire insieme le decisioni: questa è la sfida che abbiamo davanti; guardiamo con grande fiducia al cammino dei vescovi, ma guardiamo anche con grande fiducia al cammino delle Chiese italiane, perché le assemblee dei vescovi, che si terranno nel prossimo novembre ed a maggio del prossimo anno possano essere un’esperienza, dove tutti concorrono a scegliere insieme quelle questioni cruciali che riguardano la vita della Chiesa. E’ una sfida che deve essere affrontata con grande speranza, senza dimenticare il monito di papa Francesco, che afferma che questa deve essere soprattutto un’esperienza spirituale: insieme sotto la guida dello Spirito Santo”.
Secondo papa Francesco il processo sinodale è una delle ‘più preziose’ eredità del Concilio Vaticano II: c’è continuità tra queste due esperienze?
“Abbiamo da un lato una partecipazione al Sinodo dei vescovi che ha una prospettiva universale, una dinamica di coinvolgimento che prevede un ascolto dal basso e che mette a tema la Sinodalità come postura essenziale del cammino della Chiesa. Dall’altro tutto ciò si intreccia con il cammino voluto dallo stesso papa Francesco quando, al convegno di Firenze, ha chiesto a tutti di mettersi a servizio nella Chiesa italiana secondo quella conversione pastorale che aveva descritto in quel potentissimo strumento che è l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco, debitore dell’esortazione apostolica ‘Evangelii nuntiandi’ di papa san Paolo VI e che qualcuno ha definito una specie di ‘software di installazione’ del Concilio Vaticano II.
I punti di contatto tra la stagione del Sinodo e quella del Concilio sono molteplici: anzitutto direi la pastoralità voluta da papa san Giovanni XXIII, che aveva in mente un Concilio che non fosse soltanto dogmatico bensì un gesto di amore verso il Signore e verso l’uomo. L’altro aspetto è quello dell’universalità: un progetto ampio, che ci offre il senso di una Chiesa come un popolo che cammina nella storia e che ha una grande diffusione in tutte le parti del pianeta, con intensità e realtà diverse, e una comune dimensione universale”.
Ed in questo ‘tempo’ quali saranno le linee guida dell’Azione Cattolica Italiana?
“L’Azione Cattolica Italiana ha messo a tema per questo triennio la speranza, che è soprattutto giubilare. Quindi vorremmo sviluppare alcune linee di lavoro che riguardano un’associazione, che deve essere capace di aiutare le persone a rimettere al centro della propria vita l’esperienza cristiana attraverso uno stile sinodale. Questo stile si traduce anche nella vita sociale attraverso la costruzione di reti per perseguire impegni per il bene comune.
Abbiamo il desiderio di accompagnare le persone nelle sfide quotidiane, lavorando nel dialogo intergenerazionale e di prenderci cura degli ambienti di vita, quale l’università od il mondo del lavoro e delle professioni, che sono spazi in cui l’associazione è presente con i propri movimenti, che vogliamo rilanciare attraverso proposte per la formazione culturale e spirituale”.
(Tratto da Aci Stampa)
La Facoltà Teologica del Triveneto offre approfondimenti sui temi della vita
Cinque corsi del piano di studi del ciclo di licenza nell’anno accademico 2024/2025 della Facoltà Teologica del Triveneto approfondiscono alcuni temi di stretta attualità: l’educazione affettiva e la prevenzione della violenza di genere; il fine vita e implicazioni bioetiche; la sessualità e l’identità di genere; l’abuso spirituale; la meditazione spirituale.
Il corso ‘Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere’, tenuto dalle professoresse Marzia Ceschia e Michela Simonetto, offre un quadro generale sulle principali teorie dello sviluppo psico-affettivo, con alcuni percorsi di lettura sull’educazione di genere e sulle dinamiche che innescano la violenza. Mentre il corso ‘Incontro con il limite. Il ‘fine vita e le sue implicazioni bioetiche’ con il prof. Leopoldo Sandonà propone un approfondimento di carattere etico-spirituale sull’accompagnamento nei confronti delle persone assistite.
In un altro corso, ‘Giovani: sessualità e identità di genere’, il prof. Giovanni Del Missier offre un approccio al tema del gender per valorizzare il pensiero della differenza sessuale e individuare le questioni che tale teoria presenta alla chiesa e alla società contemporanea, con particolare attenzione alla realtà giovanile. Il quarto corso di approfondimento, ‘L’abuso spirituale’, condotto dal prof. Giorgio Ronzoni, analizza il tema dell’abuso spirituale e/o di coscienza.
Il quinto corso, condotto dal prof. Antonio Bertazzo, esplora ‘La pratica della meditazione. La tradizione cristiana e nuovi orientamenti’, in quanto la meditazione spirituale è una pratica che si sta diffondendo in differenti ambiti, dalle scuole ai luoghi di lavoro, nel tempo dello svago e delle attività ludiche, come una ricerca soprattutto di benessere psichico e fisico.
Per capire meglio le finalità che una facoltà teologica dedica a questi temi, abbiamo chiesto alla prof.ssa Assunta Steccanella, direttrice del secondo ciclo di studi teologici della Facoltà Teologica del Triveneto, di spiegare i motivi per cui una facoltà teologica dedica gli approfondimenti a temi quali violenza, sessualità e fine vita: “Ci sono due ragioni fondamentali per questa scelta, la prima di carattere strutturale, la seconda squisitamente teologica. La ragione strutturale: i corsi di cui qui parliamo fanno parte del piano di studi del ciclo di specializzazione (licenza) in teologia pastorale.
La teologia pastorale è una disciplina che non si limita ad ‘applicare’ le norme dottrinali all’agire della Chiesa: essa si struttura piuttosto intorno al dialogo nativo tra teoria e prassi o, per dirlo con le parole di Christoph Theobald, vive di un duplice ascolto, di Dio e dell’umano. In questa prospettiva sviluppiamo la nostra ricerca in relazione continua con le provocazioni del reale, per valutare i modi nei quali, come Chiesa, possiamo svolgere al meglio il nostro compito di servizio all’evangelizzazione e al bene comune nella realtà in cui siamo immersi oggi.
La ragione teologica: l’inculturazione del Vangelo è compito inesauribile di noi-Chiesa. Il termine indica l’incarnazione e la riespressione del Vangelo nelle varie culture. Il principio di incarnazione appartiene integralmente alla logica della salvezza: noi cristiani non possiamo esimerci dall’assumerlo come paradigma di quanto pensiamo e di quanto proponiamo come via all’evangelizzazione nel contesto storico in cui ci è dato di vivere”.
Tali temi pongono un confronto con le scienze: quale dialogo è disponibile ad aprire la Chiesa?
“Non si tratta di una disponibilità da offrire o meno, ma di una norma per tutta la riflessione teologica. Al n. 4 della Costituzione apostolica ‘Veritatis Gaudium’ sono illustrati ‘i criteri di fondo per un rinnovamento e un rilancio del contributo degli studi ecclesiastici a una Chiesa in uscita missionaria’ e si richiama al dialogo tra tutti i saperi e a una teologia che si sviluppi in prospettiva inter- e trans-disciplinare. Si tratta di un approccio epistemologico tipico della teologia pratica o pastorale che don Mario Midali, già professore emerito di teologia pastorale all’Università Pontificia Salesiana. descriveva già alcuni decenni fa come ‘disciplina-cerniera’, chiamata a porre in dialogo teologia, scienze umane, sacra scrittura, per individuare coordinate adeguate all’agire pastorale”.
Quale è la proposta della Chiesa su questi temi sensibili?
“La proposta della Chiesa non consiste prima di tutto in una serie di indicazioni concrete, ma nello sforzo continuo per promuovere la realizzazione dell’umano nella pienezza della sua vocazione. La ricerca muove quindi da uno sguardo antropologico fondato sulla Rivelazione e in dialogo con le scienze umane, per individuare alcune coordinate fondamentali in grado di orientare l’agire”.
Con quale linguaggio la Chiesa può affrontare l’emergenza educativa?
“Il problema del linguaggio è oggi centrale, ma non lo si affronta semplicemente adottando nuove tecniche comunicative: la risposta abita in un cambio di atteggiamento. Diceva il sociologo David Le Breton che ‘se l’altro non è apprezzato, la sua lingua è un rumore’. Uno sguardo positivo sul mondo e sull’umano, ascolto e accoglienza, sono gli elementi fondamentali che consentono ogni comunicazione”.
Quali indicazioni può offrire la meditazione cristiana?
“Riscoprire questa pratica antica aiuta prima di tutto noi-Chiesa a uscire dalla frenesia del fare, dall’ansia di ‘concludere’ qualcosa. Apre lo sguardo sulla nostra interiorità e ci dispone in ascolto di Colui che è il Bello, il Vero, il Buono. In relazione profonda con Lui, tutto diventa poi più sensato, e possibile”.
A chi sono rivolti tali approfondimenti?
“Oltre agli studenti ordinari, i corsi sono aperti agli uditori, operatori pastorali in genere, preti, diaconi, ministri e ministre istituiti e di fatto, insegnanti di religione, qualsiasi persona magari impegnata nel sociale, nella sanità… non ci sono preclusioni. Per chi sceglie la modalità di frequenza in formazione permanente c’è anche la possibilità di seguire i corsi online”.
(Tratto da Aci Stampa)