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Papa Leone XIV invita a vivere il Vangelo ‘sine glossa’

“Poter accogliere insieme Francescani e Trinitari mi ha ricordato un dipinto che si trova nell’abside della Basilica di san Giovanni in Laterano, che raffigura un’udienza di cui questa potrebbe essere una bella rievocazione. Infatti, l’immagine mostra papa Innocenzo III che riceve san Francesco e san Juan de Mata insieme, per onorare il loro grande apporto alla riforma della vita religiosa”: con queste parole papa ha ricevuto in udienza i partecipanti ai capitoli generali di Francescani Conventuali e Trinitari.
Rileggendo tale quadro papa Leone XIV ha evidenziato gli ‘atteggiamenti’ dei due santi: “E’ interessante notare che San Francesco è raffigurato in ginocchio con un enorme libro aperto, quasi come se stesse per dire al Pontefice: ‘Santità, le chiedo solo di vivere la regola del Santo Vangelo sine glossa’. San Juan de Mata, invece, è in piedi e tiene in mano la Regola che ha redatto insieme al Pontefice”.
Una sottolineatura che esprime il loro servizio alla Chiesa: “Se san Francesco mostra la sua docilità alla Chiesa, presentando il suo progetto non come proprio ma come dono divino, san Juan de Mata mostra il testo approvato, dopo lo studio e il discernimento, come il culmine di un lavoro assolutamente necessario per realizzare il proposito che Dio ha ispirato. I due atteggiamenti, lungi dall’essere in contrasto tra loro, si sarebbero illuminati a vicenda e sarebbero stati una linea guida per il servizio che la Santa Sede ha svolto da allora a favore di tutti i carismi”.
Due posizioni che convergono sulla stessa linea: “Dio ha ispirato a questi due santi non solo un cammino spirituale di servizio, ma anche il desiderio di confrontarsi con il Successore di Pietro sul dono ricevuto dallo Spirito per metterlo a disposizione della Chiesa. San Francesco espone al Papa la necessità di seguire Gesù senza riserve, senza altri fini, senza ambiguità o artifici. San Juan de Mata ha espresso questa verità con parole che si riveleranno poi fondamentali e che san Francesco farà sue”.
La linea è quella del servizio verso la Chiesa: “Un bell’esempio sarà quello di vivere ‘senza nulla di proprio’, senza nulla di ‘nascosto nella camera della tasca o del cuore’, come ha sottolineato papa Francesco… Un altro di questi termini esprime la necessità che tale dedizione si trasformi in servizio, che il superiore sia percepito come un ministro, cioè colui che si fa più piccolo, per essere il servo di tutti. E’ interessante notare come il versetto di san Matteo abbia influenzato il vocabolario di tutta la vita religiosa, perché chiamare priore, maestro, magister o ministro modella l’intera concezione dell’autorità come servizio”.
Rivolgendosi, in particolare alla congregazione dei Trinitari, in spagnolo il papa ha sottolineato di non dimenticare chi è perseguitato a causa della fede: “Mi unisco a questa preghiera e chiedo anche alla Trinità che questo sia uno dei frutti della vostra assemblea, affinché non cessiate di ricordare nella vostra preghiera e nel vostro impegno quotidiano quanti sono perseguitati a causa della loro fede. Questa parte, la terza riferita ai perseguitati, secondo l’insegnamento di sant’Agostino, è la parte di Dio e quella che segna la vocazione del liberatore del suo Popolo. Inoltre, questa tensione verso i membri più sofferenti della Chiesa attirerà l’attenzione delle vocazioni, dei fedeli e delle persone di buona volontà su questa realtà e vi terrà disponibili per i servizi di frontiera che svolgete nella Penisola Arabica, in Medio Oriente, in Africa e nel subcontinente indiano”.
Concludendo con un brano tratto dalle Fonti francescane papa Leone XIV h invitato i componenti dei due ordini a lodare Dio: “Non è il nostro interesse personale che ci deve muovere, ma quello di Cristo; è il suo Spirito che dobbiamo anzitutto ascoltare, per ‘scrivere il futuro nel presente’, come dice il motto del vostro Capitolo. Ascoltarlo nella voce del fratello, nel discernimento della comunità, nell’attenzione ai segni dei tempi, negli appelli del Magistero.
Cari figli di San Francesco d’Assisi, nell’ottavo centenario della composizione del Cantico delle creature o di frate sole, vi esorto ad essere, ciascuno personalmente e in ognuna delle vostre fraternità, vivente richiamo al primato della lode di Dio nella vita cristiana. E non voglio dimenticare che voi Conventuali celebrate l’anniversario della vostra rinnovata presenza in Estremo Oriente”.
In precedenza papa Leone XIV aveva incontrato gli alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica appena tornati dall’anno missionario all’estero, una novità formativa introdotta da papa Francesco, con l’invito ad essere fedeli al Cristo ed alla Chiesa: “Per questo esorto anche voi ad esercitare il dono del vostro sacerdozio con umiltà e mitezza, capacità di ascolto e prossimità, come fedeli ed instancabili discepoli di Cristo Buon Pastore. Quali che siano i compiti che vi verranno affidati, in qualunque parte del mondo vi troverete, il Papa deve poter contare su sacerdoti che, nella preghiera come nel lavoro, non si risparmino nel portare la Sua vicinanza ai popoli e alle Chiese con la loro testimonianza”.
Infine ha inviato un messaggio ai partecipanti alla Seconda Conferenza Annuale su ‘Intelligenza Artificiale, Etica e Governance d’Impresa’ che si conclude oggi a Roma, evidenziando il contributo che la Chiesa può offrire: “Da parte sua, la Chiesa desidera contribuire a un dibattito sereno e informato su queste urgenti questioni, sottolineando soprattutto la necessità di misurare le implicazioni dell’IA alla luce dello ‘sviluppo integrale della persona e della società’. Ciò implica che si tenga conto del benessere della persona umana, non solo dal punto di vista materiale, ma anche intellettuale e spirituale.
Ciò significa salvaguardare l’inviolabile dignità di ogni persona umana e rispettare la ricchezza culturale e spirituale dei popoli del mondo. In definitiva, i benefici o i rischi dell’intelligenza artificiale devono essere valutati esattamente alla luce di questo standard etico più elevato”.
Infine ha mostrato preoccupazione per le cause a cui sono sottoposti le giovani generazioni: “Sono certo che siamo tutti preoccupati per i bambini e i giovani e per le possibili conseguenze dell’uso dell’intelligenza artificiale sullo sviluppo intellettuale e neurologico. Dobbiamo aiutare i nostri giovani, non ostacolarli, nel loro cammino verso la maturità e la vera responsabilità. Sono la nostra speranza per il futuro e il benessere della società dipende dalla loro capacità di sviluppare i doni e le capacità che Dio ha dato loro e di rispondere alle sfide del nostro tempo e ai bisogni degli altri con spirito libero e generoso”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV invita ad abitare la casa di Dio

“Il cuore della Chiesa è straziato per le grida che si levano dai luoghi di guerra, in particolare dall’Ucraina, dall’Iran, da Israele, da Gaza. Non dobbiamo abituarci alla guerra! Anzi, bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati. In realtà, poiché nella guerra odierna ‘si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti a una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati’. Pertanto, in nome della dignità umana e del diritto internazionale, ripeto ai responsabili ciò che soleva dire papa Francesco: la guerra è sempre una sconfitta! E con Pio XII: Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”: con richiami alla Costituzione conciliare ‘Gaudium et Spes’ ed all’appello di papa Pio XII, papa Leone XIV ha concluso l’udienza generale ha chiesto di fermare le guerre ‘in nome del diritto internazionale’.
Mentre nella catechesi dell’udienza generale papa Leone XIV ha continuato il tema giubilare della speranza con una meditazione sulla guarigione del paralitico: ‘Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: Vuoi guarire?’: “In modo particolare oggi vorrei invitarvi a pensare alle situazioni in cui ci sentiamo ‘bloccati’ e chiusi in vicolo cieco. A volte ci sembra infatti che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare. Questa situazione viene descritta nei Vangeli con l’immagine della paralisi. Per questo motivo vorrei fermarmi oggi sulla guarigione di un paralitico, narrata nel quinto capitolo del Vangelo di san Giovanni”.
Ed ha tratteggiato brevemente la scena in cui si svolge l’azione di Gesù: “Gesù va a Gerusalemme per una festa dei Giudei. Non si reca subito al Tempio; si ferma invece presso una porta, dove probabilmente venivano lavate le pecore che poi venivano offerte nei sacrifici. Vicino a questa porta, sostavano anche tanti malati, che, a differenza delle pecore, erano esclusi dal Tempio perché considerati impuri!
Ed allora è Gesù stesso che li raggiunge nel loro dolore. Queste persone speravano in un prodigio che potesse cambiare la loro sorte; infatti, accanto alla porta si trovava una piscina, le cui acque erano considerate taumaturgiche, capaci cioè di guarire: in alcuni momenti l’acqua si agitava e, secondo la credenza del tempo, chi si immergeva per primo veniva guarito”.
Insomma era una ‘guerra’ tra poveri: “Si veniva a creare così una sorta di ‘guerra tra poveri’: possiamo immaginare la scena triste di questi malati che si trascinavano faticosamente per entrare nella piscina. Quella piscina si chiamava Betzatà, che significa ‘casa della misericordia’: potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza”.
Gesù quindi chiede di vincere la delusione: “Gesù si rivolge specificamente a un uomo che è paralizzato da ben trentotto anni. Ormai è rassegnato, perché non riesce mai a immergersi nella piscina, quando l’acqua si agita. In effetti, quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e rischiamo di cadere nell’accidia”.
E lo fa attraverso una domanda personale e non superflua: “E’ invece una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. E’ talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo”.
A tale domanda la risposta dell’uomo appare confusa, come aveva sottolineato sant’Agostino:
“Quest’uomo infatti risponde in modo più articolato alla domanda di Gesù, rivelando la sua visione della vita. Dice anzitutto che non ha nessuno che lo immerga nella piscina: la colpa quindi non è sua, ma degli altri che non si prendono cura di lui. Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Ma è proprio vero che non aveva nessuno che lo aiutasse?..
Il paralitico aggiunge poi che quando prova a immergersi nella piscina c’è sempre qualcuno che arriva prima di lui. Quest’uomo sta esprimendo una visione fatalistica della vita. Pensiamo che le cose ci capitano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso. Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita”.
Ed ecco la conclusione di Gesù che invita all’azione: “Gesù invece lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella. Quel lettuccio non va lasciato o buttato via: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacere come un morto. Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!”
Per questo papa Leone XIV ha lanciato l’invito ad abitare la ‘casa’ di Dio: “Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo al Signore il dono di capire dove la nostra vita si è bloccata. Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita. Chiediamo di tornare ad abitare nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia!”
(Foto: Santa Sede)
Sant’Antonio da Padova: un santo che indica la via della speranza

Passata la solennità del Santo di venerdì 13 giugno, prosegue il cartellone del Giugno Antoniano 2025, che accompagnerà il pubblico fino al 28 giugno: oggi alle ore 16.00, la Sala Studio Teologico al Santo ospita il seminario di studio ‘Antonio: cammino e cammini’ con concerto finale. Si tratta di un itinerario tra antropologia e spiritualità che vedrà alternarsi padre Luciano Bertazzo del Centro Studi Antoniani, Alberto Friso di Antonio800 e Chiara Rabbiosi, docente del corso di laurea in turismo dell’Università di Padova. Nell’occasione sarà presentato il volume ‘Antonio da Lisbona di Padova. I Cammini’, curato da Pompeo Volpe, in dialogo con Jorge Leitao, già pellegrino dalla Sicilia a Padova.
Al termine della parte seminariale, ci si sposterà nei chiostri per il concerto di canti dei pellegrini tramandati nei manoscritti medievali, con il Coro di Canto medievale diretto dal M° Massimo Bisson e il Coro Gaudeamus diretto dal M° Ignacio Vazzoler, entrambi del Concentus Musicus Patavinus dell’Università di Padova, con tenore e baritono solisti ed Ensemble strumentale. I canti dei pellegrini, tramandati nei manoscritti medievali come il Codex Calixtinus e il Llibre Vermell de Montserrat, offrono un prezioso squarcio sulla dimensione sonora del pellegrinaggio. Dall’antica Europa al Sud America del XX secolo, il legame tra musica e devozione si rinnova nella Misa Criolla di Ariel Ramírez, straordinaria opera che fonde la tradizione della liturgia cattolica con i ritmi e le sonorità popolari dell’America Latina. L’evento, a cura del Centro Studi Antoniani, Museo Antoniano e Antonio800, ha ottenuto il patrocinio del dipartimento DISSGEA dell’Università di Padova.
Sempre mercoledì 18 giugno alle ore 20.45 (in replica il mercoledì 25 giugno, alla stessa ora), la Veneranda Arca di Sant’Antonio promuove ‘Il Santo – Antonio, difensore degli ultimi’, che si terrà nei Chiostri della Basilica di Sant’Antonio. Si tratta di visite animate con Alessandra Brocadello e Carlo Bertinelli di Teatrortaet Associazione Culturale. Partendo dalla narrazione del Beato Luca Belludi, che ha accompagnato l’ultima parte della vita di frate Antonio, si percorre l’itinerario biografico antoniano: dalle città portoghesi dove è nato e ha vissuto, alla scelta francescana, fino alla città di Padova dove ha predicato ed è morto, subito acclamato come ‘Santo’. Posti disponibili 40. Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria: prenotazioni@teatrortaet.it – t. 348 3615812.
‘Una passeggiata con il conte Nicolò Claricini’, di giovedì 19 giugno, è invece un’originale percorso di visita guidata a piedi dalle residenze De Claricini lungo via Cesarotti, fino alla Basilica del Santo sulle orme di Giotto. La partenza alle ore 18.30 è da Palazzo De Claricini, per una eccezionale visita dello storico edificio con il presidente della Fondazione De Claricini Dornpacher Oldino Cernoia ed Emanuela Accornero, curatrice di pubblicazioni sulla famiglia che ripercorrono la figura del conte Nicolò Claricini, già Presidente della Veneranda Arca e appassionato studioso di Giotto, sino ai luoghi giotteschi della Basilica, questi ultimi illustrati dalla docente universitaria Giovanna Valenzano del Collegio di presidenza della Veneranda Arca del Santo. La visita, organizzata da Veneranda Arca di Sant’Antonio con Fondazione De Claricini Dornpacher, è a ingresso libero sino a esaurimento posti disponibili (massimo 40 persone). Gradita la prenotazione a arcadisantantonio@gmail.com.
Sabato 21 giugno alle ore 18.30, l’Oratorio di San Giorgio, inserito nel circuito della Padova Urbs Picta patrimonio Unesco, ospita il concerto di canto gregoriano ‘Cantare per sant’Antonio: l’Officium Rhythmicum di Giuliano da Spira’ della Schola cantorum Psallite sapienter, diretta dal M° Matteo Cesarotto. Composto nel XIII secolo, quando ormai il canto gregoriano vero e proprio aveva concluso la sua stagione più fervida, questo Ufficio Ritmico, composto dal raffinato musicista fra Giuliano da Spira, celebra la figura di Sant’Antonio di Padova canonizzato a soli undici mesi dalla sua morte, segno della profonda venerazione di cui già godeva nel suo tempo. La struttura poetica e musicale dell’Officium Rhythmicum con melodie ornate e regolari, ne favoriva la memorizzazione e la diffusione da parte dei devoti, trasformandolo in un vero e proprio canto di devozione, espressione pura e sublime della preghiera cantata nella tradizione cristiana occidentale. Il concerto a cura del Museo Antoniano è a ingresso libero fino esaurimento posti.
Il cartellone completo con tutti gli eventi culturali e le celebrazioni religiose è su www.santantonio.org.
Mentre nella festa di Pentecoste il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, card. Marcello Semeraro ha ripreso la descrizione della Chiesa del card. Schuster: “Possiamo paragonare questo momento a quanto accade nelle nostre famiglie quando, una bimba o un bimbo nati da poco, pronunciano le loro prime parole: le accogliamo con gioia e lo comunichiamo a nostra volta ai parenti e agli amici. So che a questa Santa Messa partecipano pure genitori colpiti dalla perdita di un figlio, o di una figlia e dunque questo che ho richiamato può suscitare rimpianto. Faccia sorgere, però, nel vostro animo, carissimi, anche ricordi belli e ricchi di speranza perché oggi quei figli e figlie non solo parlano, ma cantano le lodi del Signore con gli Angeli nel cielo”.
Ed ha offerto due annotazione sul dono della comprensione delle lingue: “La prima ci giunge dalle spiegazioni, pressoché unanimi, che i Padri della Chiesa hanno dato riguardo a questa comprensione di lingue diverse. Li ben sintetizza san Beda, un monaco benedettino del VII secolo, il quale scrive che quanto accadde a Gerusalemme è il capovolgimento di quanto era avvenuto a Babele: qui ci fu la confusione delle lingue degli uomini, a Gerusalemme, invece, l’opera dello Spirito Santo le riconciliò per l’edificazione della Chiesa, cui il Signore ha affidato la missione di annunciare il Vangelo a tutti i popoli”.
Poi citando san Gregorio di Nazianzo, che ha paragonato l’opera dello Spirito Santo a quella di un maestro di coro che riunisce le voci più diverse in un unico canto di lode, il prefetto ha riportato episodi di vita di sant’Antonio: “Chi vedeva e ascoltava Antonio capiva che egli era sostenuto dall’amore, dalla carità. E’ l’amore che permette di superare le distanze. Lo diceva già la sapienza antica: omnia vincit amor. Come non saperlo noi cristiani? Non cantiamo, forse, che ‘l’amore di Cristo ci ha riuniti per diventare una sola cosa’?
Ma c’è pure un’altra cosa che sant’Antonio raccomandava dopo avere spiegato il miracolo pentecostale delle lingue. Diceva che ‘le diverse lingue sono le varie testimonianze che possiamo dare a Cristo, come l’umiltà, la povertà, la pazienza e l’obbedienza: e parliamo queste lingue quando mostriamo agli altri queste virtù, praticate in noi stessi. Il parlare è vivo quando parlano le opere. Vi scongiuro: cessino le parole e parlino le opere’. Raccogliamo, allora, pure questo suo incoraggiamento alla coerenza della vita e invochiamolo con le parole di un antico inno, che ci giunge da un manoscritto polacco del XVI-XVI secolo”.
Mentre nel messaggio in occasione della festa il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, e fra Antonio Ramina, rettore della Pontificia Basilica di sant’Antonio, hanno scritto che la speranza illumina la vita: “Possiamo sperare perché le nostre esistenze sono lo spazio in cui Dio riversa la pienezza del suo amore. Immeritato, gratuito, fedele; che ci permette di rialzarci sempre. Sant’Antonio potrebbe essere considerato il santo della ‘perenne ripartenza’. Se c’è un tratto che lo qualifica da vicino è proprio questo: la sua parola, per quanto esigente e decisa, è sempre stata parola di incoraggiamento, che non ha mai negato a nessuno la possibilità di ricevere il perdono e di ricominciare a sperare: ‘Il peccatore deve allietarsi nella speranza del perdono’ (Sant’Antonio di Padova)…
Sono, questi, soltanto alcuni esempi delle tante dinamiche disumanizzanti di cui siamo purtroppo testimoni. Prenderne coscienza implica, da parte nostra, la responsabilità di non assecondarle, anche se ci costa fatica; anche se ci sembrano inarrestabili. Nessuno ci tolga la possibilità di fare scelte diverse rispetto a quelle dominanti: ogni attenzione al povero, ogni gesto di perdono, ogni frammento di tempo impiegato a coltivare un’amicizia, ogni energia dedicata alla gratuità dell’arte, ogni premura riservata al creato, ogni violenza denunciata con coraggio: sono tutte attitudini «improduttive» sotto il profilo dell’utile e del tornaconto; ma gettano le basi per rapporti umani felici e concorrono a edificare per il domani orizzonti di convivenza possibili. Anche in questo ci è d’ispirazione la vita di Sant’Antonio, che non ha esitato a esporsi di persona mettendosi contro tiranni e corrotti, mostrando l’efficacia della testimonianza personale nata dalla fede”.
(Foto: Sant’Antonio da Padova)
Santissima Trinità. Dio è comunione di Persone: Padre, Figlio, Spirito Santo!

Dio è uno solo! E’ uno, ma trino nella persone, perchè è comunione di persone. Conosciamo la natura di Dio attraverso Cristo Gesù, che ce l’ha rivelato ed è chiaramente espressa nella Bibbia. La Bibbia non è un trattato di filosofia nè si prefigge di dimostrare la natura intima di Dio, è il libro della rivelazione, opera di Cristo Gesù. Abbiamo celebrato il Natale, la Pasqua, la Pentecoste e forse ci siamo formati una immagine di Dio alla maniera umana: il padre più anziano, il Figlio più giovane, lo Spirito Santo magari al centro dei due: niente di più errato: in Dio non c’è più o meno giovane , nè prima e poi; Dio è fuori dello spazio e del tempo; la comunione tra le tre divine persone esiste da sempre: da quando Dio è Dio.
La Bibbia evidenzia che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza; se conosciamo bene l’uomo possiamo farci una idea più chiara di Dio. L’uomo, in quanto tale, è un essere che pensa ed ama, limitato nello spazio e nel tempo. Dio è amore, scrive san Giovanni, e la sua attività di Ente puro, spirituale, è quella di pensare ed amare; il Pensiero eterno di Dio è il Verbo o Sapienza divina unica ed infinita che esiste da sempre, è perfetta come il Padre (la mente che l’ha generata).
Il Verbo o Sapienza eterna o Figlio è immagine perfetta del Padre; dall’uno e all’altro procede la terza Persona o lo Spirito Santo, l’Amore eterno di Dio. La natura intima di Dio la cogliamo con la rivelazione fatta da Gesù ai suoi discepoli. L’uomo finito e limitato mai avrebbe potuto comprendere Dio infinito ed eterno. Siamo ad immagine di Dio ma la differenza tra noi e Dio non è quantitativa ma qualitativa; da qui le parole di Gesù: ‘Per ora non siete capace di intendere, ma quando verrà in voi lo Spirito Santo vi aiuterà ad uscire dai vostri schemi di pensiero ed azione e vi aprirà all’azione di Dio con la fede’.
Gesù parla sempre della Trinità: si rivolge al Padre, promette l’invio dello Spirito Santo; dice espressamente: dove sono io, c’è il Padre; non si ferma mai a creare teorie filosofiche o teorie astratte: le tre divine Persone coesistono in comunione perfetta determinando la vita divina, vita di amore, dirà perciò agli apostoli: andate, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Il mistero della Trinità è la rivelazione più grande fatta da Gesù alla sua Chiesa e ci ha fatto conoscere che Dio è amore, è comunione, è dono. L’uomo, creato da Dio, porta in sé lo schema della Trinità.
Ciò che costituisce l’umanità infatti è la capacità di conoscere ed amare: facoltà spirituali che non riscopriamo in nessun altro essere creato da Dio: facoltà che in noi sono limitate e, come tali, spesso imperfette; in Dio sono illimitate e perfette e determinano le altre due Persone: il Verbo eterno o Figlio o Sapienza divina e l’Amore eterno di Dio o Spirito Santo. Nella pienezza dei tempi per ristabilire l’ordine distrutto con il peccato, il Verbo (o Sapienza eterna) assume anche la natura umana per salvare l’uomo. Terminata la sua opera di salvezza, Gesù invia nella sua Chiesa lo Spirito Santo.
Da qui il motivo per cui il segno della croce (nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) diventa il nostro emblema, la nostra bandiera: con il segno della croce abbiamo iniziato la Messa, i nostri riti, la nostra giornata, con la benedizione di Dio concludiamo i momenti più significativi della vita. Diceva sant’Ireneo: ‘la gloria di Dio è l’uomo vivente’. A questo uomo è stato affidato il creato perché egli viva, faccia buon uso di tutte le creature e custodisca l’alleanza nuova costituita da Gesù con tutti gli uomini.
Questa è una alleanza di pace, contraria ad ogni guerra dalla quale scaturisce solo odio e violenza. La presenza di Dio infinito ed eterno in noi è garanzia di pace, gioia e vita eterna. La Vergine Maria nella sua umiltà si è fatta ancella dell’amore divino: ha accolto la volontà del Padre; ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. Ci aiuti Maria, specchio della Trinità, a crescere nella fede del mistero trinitario.
Papa Leone XIV ai rappresentanti pontifici: difendete gli ‘ultimi’

“Prima di condividere le parole preparate, vorrei solo dire a Sua Eminenza e a tutti voi che quello che il cardinale ha riferito l’ho detto non per suggerimento di qualcuno, ma perché lo credo profondamente: il vostro ruolo, il vostro ministero è insostituibile. Tante cose non potrebbero darsi nella Chiesa se non fosse per il sacrificio, il lavoro e tutto quello che fate, così da permettere che una dimensione tanto importante della grande missione della Chiesa vada avanti, e precisamente in quel caso di cui parlavo, cioè della selezione di candidati per l’episcopato”: oggi con queste parole papa Leone XIV ha ricevuto i rappresentanti pontifici in Vaticano per il giubileo della Santa Sede, ricordando la missione di essere ‘lo sguardo di Pietro’.
Infatti dopo la celebrazione eucaristica papa Leone XIV ha ricevuto coloro che rappresentano la Chiesa nel mondo: “Voi siete, già con le vostre persone, un’immagine della Chiesa cattolica, perché non esiste in nessun Paese del mondo un Corpo diplomatico così universale come il nostro! Però, nello stesso tempo, credo si possa dire altrettanto che nessun Paese del mondo ha un Corpo diplomatico così unito come voi siete uniti: perché la vostra, la nostra comunione non è solo funzionale, né solo ideale, ma siamo uniti in Cristo e siamo uniti nella Chiesa”.
Ed ha riflettuto sul valore della diplomazia della Santa Sede: “E’ interessante riflettere su questo fatto: che la diplomazia della Santa Sede costituisce nel suo stesso personale un modello (non certo perfetto, ma molto significativo) del messaggio che propone, quello cioè della fraternità umana e della pace tra tutti i popoli”.
Quindi, ripetendo le parole dette qualche giorno fa alla segreteria vaticana, il papa ha sottolineato la sua gratitudine al Corpo Diplomatico: “Sì, e questo vale in modo particolare proprio per voi. Perché, quando mi viene presentata una situazione che riguarda (ad esempio) la Chiesa in un determinato Paese, posso contare sulla documentazione, sulle riflessioni, sulle sintesi preparate da voi e dai vostri collaboratori. La rete delle Rappresentanze Pontificie è sempre attiva e operativa. Questo è per me motivo di grande apprezzamento e gratitudine”.
Attraverso questa ‘rete’ il papa è reso partecipe delle vita che si svolge negli Stati: “Lo dico pensando certamente alla dedizione e all’organizzazione, ma ancora di più alle motivazioni che vi guidano, allo stile pastorale che dovrebbe caratterizzarci, allo spirito di fede che ci anima. Grazie a queste qualità, potrò anch’io sperimentare ciò che scriveva san Paolo VI, cioè che mediante i suoi Rappresentanti, che risiedono presso le varie Nazioni, il Papa si rende partecipe della vita stessa dei suoi figli e, quasi inserendosi in essa, viene a conoscere, in modo più spedito e sicuro, le loro necessità e insieme le aspirazioni”.
Riprendendo le letture odierne il papa si è soffermato sulla guarigione dello storpio, raccontato negli Atti degli Apostoli: “All’inizio degli Atti degli Apostoli, il racconto della guarigione dello storpio descrive bene il ministero di Pietro. Siamo all’alba dell’esperienza cristiana e la prima comunità, radunata attorno agli Apostoli, sa di poter contare su un’unica realtà: Gesù, risorto e vivo. Un uomo storpio siede a chiedere l’elemosina alla porta del Tempio”.
A questo oggi è chiamata la Chiesa: “Sembra l’immagine di un’umanità che ha perso la speranza ed è rassegnata. Ancora oggi la Chiesa incontra spesso uomini e donne che non hanno più gioie, che la società ha messo ai margini, o che la vita ha costretto in un certo senso ad elemosinare l’esistenza. Così riferisce questa pagina degli Atti: Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: ‘Guarda verso di noi’. Ed egli si volse verso di loro aspettandosi di ricevere qualche cosa”.
Quindi la missione della Chiesa consiste in uno sguardo: “Fa pensare la richiesta che Pietro fa a quest’uomo: ‘Guarda verso di noi!’ Guardarsi negli occhi significa costruire una relazione. Il ministero di Pietro è creare relazioni, ponti; e un Rappresentante del Papa è anzitutto a servizio di questo invito, di questo guardare negli occhi. Siate sempre lo sguardo di Pietro! Siate uomini capaci di costruire relazioni lì dove si fa più fatica. Ma nel fare questo conservate la stessa umiltà e lo stesso realismo di Pietro, che sa benissimo di non avere la soluzione a tutto”.
Questa è una testimonianza di carità: “Dare Cristo significa dare amore, dare testimonianza di quella carità che è pronta a tutto. Conto su di voi affinché nei Paesi dove vivete tutti sappiano che la Chiesa è sempre pronta a tutto per amore, che è sempre dalla parte degli ultimi, dei poveri, e che sempre difenderà il sacrosanto diritto a credere in Dio, a credere che questa vita non è in balia dei poteri di questo mondo, ma è attraversata da un senso misterioso. Solo l’amore è degno di fede, di fronte al dolore degli innocenti, dei crocifissi di oggi, che molti di voi conoscono personalmente perché servite popoli vittime di guerre, di violenze, di ingiustizie, o anche di quel falso benessere che illude e delude”.
E’ stato un invito a sentirsi uniti al papa: “Cari fratelli, vi consoli sempre il fatto che il vostro servizio è sub umbra Petri, come troverete inciso sull’anello che riceverete quale mio dono. Sentitevi sempre legati a Pietro, custoditi da Pietro, inviati da Pietro. Solo nell’obbedienza e nella comunione effettiva con il Papa il vostro ministero potrà essere efficace per l’edificazione della Chiesa, in comunione con i Vescovi locali”.
La benedizione apre alla santità: “Abbiate sempre uno sguardo benedicente, perché il ministero di Pietro è benedire, cioè saper vedere sempre il bene, anche quello nascosto, quello che è in minoranza. Sentitevi missionari, inviati dal Papa per essere strumenti di comunione, di unità, al servizio della dignità della persona umana, promuovendo ovunque relazioni sincere e costruttive con le autorità con le quali sarete chiamati a cooperare. La vostra competenza sia sempre illuminata dalla ferma decisione per la santità. Ci sono di esempio i santi che sono stati nel servizio diplomatico della Santa Sede, come san Giovanni XXIII e san Paolo VI”.
Nel saluto iniziale il segretario di Stato della Santa Sede, card. Pietro Parolin, ha ringraziato papa Leone XIV per aver voluto confermare l’incontro con i nunzi, già fissato da papa Francesco, e di averne dato una scadenza triennale.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV: la fecondità della Chiesa dipende dalla Croce

“Cari fratelli e sorelle, oggi abbiamo la gioia e la grazia di celebrare il giubileo della Santa Sede nella memoria liturgica di Maria Madre della Chiesa. Questa felice coincidenza è fonte di luce e di ispirazione interiore nello Spirito Santo, che ieri, Pentecoste, si è riversato in abbondanza sul popolo di Dio. E in questo clima spirituale noi oggi godiamo una giornata speciale, prima con la meditazione che abbiamo ascoltato e ora, qui, alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia. La Parola di Dio in questa celebrazione ci fa comprendere il mistero della Chiesa, e in essa della Santa Sede, alla luce delle due icone bibliche scritte dallo Spirito nella pagina degli Atti degli Apostoli ed in quella del Vangelo di Giovanni”.
Nella memoria liturgica di Maria Madre della Chiesa si celebra oggi il Giubileo della Santa Sede, che culmina con la celebrazione della messa presieduta nella basilica vaticana da papa Leone XIV, che nell’omelia ha ricordato la maternità di Maria che nasce sotto la Croce, la fecondità della Chiesa, la santità di chi la compone: “La maternità di Maria attraverso il mistero della Croce ha fatto un salto impensabile: la madre di Gesù è diventata la nuova Eva, perché il Figlio l’ha associata alla sua morte redentrice, fonte di vita nuova ed eterna per ogni uomo che viene a questo mondo. Il tema della fecondità è ben presente in questa liturgia”.
E dalla maternità nasce la fecondità della Chiesa, come aveva sottolineato il teologo von Balthasar: “La fecondità della Chiesa è la stessa fecondità di Maria; e si realizza nell’esistenza dei suoi membri nella misura in cui essi rivivono, ‘in piccolo’, ciò che ha vissuto la Madre, cioè amano secondo l’amore di Gesù. Tutta la fecondità della Chiesa e della Santa Sede dipende dalla Croce di Cristo. Altrimenti è apparenza, se non peggio”.
Tale fecondità è ‘legata’ alla santità: “Nella Colletta abbiamo chiesto anche che la Chiesa ‘esulti per la santità dei suoi figli’. In effetti, questa fecondità di Maria e della Chiesa è inseparabilmente legata alla sua santità, cioè alla sua conformazione a Cristo. La Santa Sede è santa come lo è la Chiesa, nel suo nucleo originario, nella fibra di cui è intessuta. Così la Sede Apostolica custodisce la santità delle sue radici mentre ne è custodita.
Ma non è meno vero che essa vive anche nella santità di ciascuno dei suoi membri. Perciò il modo migliore di servire la Santa Sede è cercare di essere santi, ciascuno di noi secondo il suo stato di vita e il compito che gli è stato affidato”.
Nessuno è escluso dalla santità, secondo il compito affidato: “Ad esempio, un prete che personalmente sta portando una croce pesante a motivo del suo ministero, e tuttavia ogni giorno va in ufficio e cerca di fare al meglio il suo lavoro con amore e con fede, questo prete partecipa e contribuisce alla fecondità della Chiesa. E così un padre o una madre di famiglia, che a casa vive una situazione difficile, un figlio che dà pensieri, o un genitore malato, e porta avanti il suo lavoro con impegno, quell’uomo e quella donna sono fecondi della fecondità di Maria e della Chiesa”.
Poi il papa si è soffermato sulla ‘maternità’ di Maria verso la Chiesa nascente, secondo la descrizione degli Atti degli Apostoli: “Ci mostra la maternità di Maria verso la Chiesa nascente, una maternità “archetipica”, che rimane attuale in ogni tempo e luogo. E soprattutto essa è sempre frutto del Mistero pasquale, del dono del Signore crocifisso e risorto.
Lo Spirito Santo, che scende con potenza sulla prima comunità, è lo stesso che Gesù ha consegnato col suo ultimo respiro. Questa icona biblica è inseparabile dalla prima: la fecondità della Chiesa è sempre legata alla Grazia sgorgata dal Cuore trafitto di Gesù insieme al sangue e all’acqua, simbolo dei Sacramenti”.
E’ stata Maria, a ‘servizio’ della comunità, a sostenere Pietro nel suo ministero di guidare la Chiesa: “Maria, nel Cenacolo, grazie alla missione materna ricevuta ai piedi della croce, è al servizio della comunità nascente: è la memoria vivente di Gesù, e in quanto tale è, per così dire, il polo d’attrazione che armonizza le differenze e fa sì che la preghiera dei discepoli sia con-corde.
Gli Apostoli, anche in questo testo, sono elencati per nome, e come sempre il primo è Pietro. Ma lui stesso, anzi, lui per primo è sostenuto da Maria nel suo ministero. Analogamente la Madre Chiesa sostiene il ministero dei successori di Pietro con il carisma mariano. La Santa Sede vive in maniera del tutto peculiare la compresenza dei due poli, quello mariano e quello petrino. Ed è quello mariano che assicura la fecondità e la santità di quello petrino, con la sua maternità, dono di Cristo e dello Spirito”.
Prima della celebrazione eucaristica suor Maria Gloria Riva, appartenente all’ordine delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, nella meditazione ha affermato che il passato è un ‘trampolino di lancio’: “L’equilibrio fra passato e futuro è la grande radice della Speranza. Il passato può rappresentare un grande trampolino di lancio per vivere nella giusta tensione il presente. Il passato ci viene incontro con le sue interrogazioni, non per farci soccombere ma per rilanciarci nel Presente, guardando al futuro con grande speranza”.
La meditazione di suor Riva è un invito a ‘correre’ nella parte ‘giusta’: “Noi sappiamo dove dobbiamo correre: la corsa di Giovanni e Pietro verso il sepolcro vuoto di Cristo è l’unica corsa che la Chiesa e il mondo possono percorrere senza timore: è la corsa di chi sa che la speranza risiede nella vera vita, quella eterna. L’eternità ci sta di fronte. Se lavoriamo per orizzonti brevi e mediocri, lavoriamo invano. Occorre lavorare per l’orizzonte grande della vita che non muore. Sperare è affermare la verità che rispetta la vita, dal suo concepimento alla sua fine; che rispetta la dignità di ogni persona”.
Questo è il significato del Giubileo: “Quello di aiutarci a pensare alle cose ultime. Se fede e carità ci sono necessarie per vivere la relazione con Dio e con gli uomini, la speranza ci è necessaria per comprendere il cammino della storia. Dobbiamo armarci di umiltà per scorgere, con gli occhi dello stupore i passi piccoli ma sicuri della speranza”.
Quindi l’eucarestia è il “viatico per questa speranza eterna che annoda meravigliosamente passato, presente e futuro. Sappiamo inoltre che nell’Eucaristia l’unità di tutti gli uomini è significata e prodotta. Tuttavia conoscere questo non basta, occorre crederlo e affermarlo con tutta la propria esistenza di uomini e donne di pace e di unità”.
E ciò può avvenire attraverso la Croce: “La croce ancora ci può salvare, nel 2025 esiste ancora la grande salvezza della croce: una croce accolta e offerta. Abbiamo vissuto anni difficili tra scandali e polemiche, ma in questo grande segno possiamo ancora vincere. La grande bellezza perdente che ci salverà. La speranza sorge laddove le lacrime del dolore e del pentimento fecondano l’animo nell’umiltà e nella novità di vita”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV: lo Spirito Santo rinnova il mondo e la Chiesa

“E’ spuntato a noi gradito il giorno nel quale… il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo. E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo”: nella solennità di Pentecoste e del giubileo dei movimenti papa Leone XIV ha spiegato che il Paraclito apre le frontiere ‘dentro di noi’, servendosi di una frase di sant’Agostino.
Il papa si è soffermato a meditare sulle ‘frontiere’ interne: “E’ il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. E’ triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di ‘fare rete’, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari”.
Proprio lo Spirito Santo permette di avere una nuova visione di vita: “E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince, secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate, che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale”.
Lo Spirito Santo permette una relazione che escluda la violenza: “Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi.
Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche, con molto dolore, a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio”.
Proprio il dono dello Spirito Santo è capace di far superare le frontiere: “In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti”.
Tale ‘abbattimento’ è dovuto al linguaggio: “Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità”.
Ecco la forza dello Spirito Santo nell’abbattere le ‘frontiere’: “Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché ‘ci insegna ogni cosa’ e ci ‘ricorda le parole di Gesù’; e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici”.
L’omelia è conclusa ricordando che lo Spirito Santo rinnova la Chiesa ed il mondo: “Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli. Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV invita alla conversione nello Spirito Santo

“Lo Spirito creatore, che nel canto abbiamo invocato (Veni creator Spiritus), è lo Spirito disceso su Gesù, il protagonista silenzioso della sua missione: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me’. Domandando che visiti le nostre menti, moltiplichi i linguaggi, accenda i sensi, infonda l’amore, rafforzi i corpi, doni la pace ci siamo aperti al Regno di Dio. E’ questa la conversione secondo il Vangelo: volgerci al Regno ormai vicino”: presiedendo in piazza san Pietro la veglia di Pentecoste, nel Giubileo dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità, papa Leone XIV ha ricordato l’unità dei primi discepoli illuminati dallo Spirito.
Con la Pentecoste tutto è trasformato: “In Gesù vediamo e da Gesù ascoltiamo che tutto si trasforma, perché Dio regna, perché Dio è vicino. In questa vigilia di Pentecoste siamo profondamente coinvolti dalla prossimità di Dio, dal suo Spirito che unisce le nostre storie a quella di Gesù. Siamo coinvolti, cioè, nelle cose nuove che Dio fa, perché la sua volontà di vita si realizzi e prevalga sulle volontà di morte”.
E si ‘scopre’ la missione di Gesù: “Sentiamo qui il profumo del Crisma con cui è stata segnata anche la nostra fronte. Il Battesimo e la Confermazione, cari fratelli e sorelle, ci hanno uniti alla missione trasformatrice di Gesù, al Regno di Dio. Come l’amore ci rende familiare il profumo di una persona cara, così riconosciamo stasera l’uno nell’altro il profumo di Cristo. E’ un mistero che ci stupisce e ci fa pensare”.
Davanti a 100.000 persone che hanno rinnovato la professione di fede, il papa ha chiesto l’unità nella Chiesa: “A Pentecoste Maria, gli Apostoli, le discepole e i discepoli che erano con loro furono investiti da uno Spirito di unità, che radicava per sempre nell’unico Signore Gesù Cristo le loro diversità. Non molte missioni, ma un’unica missione. Non introversi e litigiosi, ma estroversi e luminosi. Questa piazza san Pietro, che è come un abbraccio aperto e accogliente, esprime magnificamente la comunione della Chiesa, sperimentata da ognuno di voi nelle diverse esperienze associative e comunitarie, molte delle quali rappresentano frutti del Concilio Vaticano II”.
Per questo il pensiero è ritornato a quel giorno dell’elezione papale con un richiamo al valore sinodale: “La sera della mia elezione, guardando con commozione il popolo di Dio qui raccolto, ho ricordato la parola ‘sinodalità’, che esprime felicemente il modo in cui lo Spirito modella la Chiesa. In questa parola risuona il syn (il con) che costituisce il segreto della vita di Dio. Dio non è solitudine. Dio è ‘con’ in sé stesso (Padre, Figlio e Spirito Santo) ed è Dio con noi. Allo stesso tempo, sinodalità ci ricorda la strada (odós) perché dove c’è lo Spirito c’è movimento, c’è cammino. Siamo un popolo in cammino”.
E’ lo Spirito Santo che permette alla Chiesa di essere accanto all’umanità, richiamando l’enciclica ‘Laudato sì’: “Questa coscienza non ci allontana ma ci immerge nell’umanità, come il lievito nella pasta, che la fa tutta fermentare. L’anno di grazia del Signore, di cui è espressione il Giubileo, ha in sé questo fermento. In un mondo lacerato e senza pace lo Spirito Santo ci educa infatti a camminare insieme. La terra riposerà, la giustizia si affermerà, i poveri gioiranno, la pace tornerà se non ci muoveremo più come predatori, ma come pellegrini. Non più ognuno per sé, ma armonizzando i nostri passi ai passi altrui. Non consumando il mondo con voracità, ma coltivandolo e custodendolo, come ci insegna l’enciclica Laudato sì”.
E’ questa la ragione per cui Dio ha creato il mondo: “Carissimi, Dio ha creato il mondo perché noi fossimo insieme. ‘Sinodalità’ è il nome ecclesiale di questa consapevolezza. E’ la via che domanda a ciascuno di riconoscere il proprio debito e il proprio tesoro, sentendosi parte di un intero, fuori dal quale tutto appassisce, anche il più originale dei carismi. Vedete: tutta la creazione esiste solo nella modalità dell’essere insieme, talvolta pericoloso, ma pur sempre un essere insieme”.
Infatti è possibile cambiare il mondo se si cambia il cuore: “E ciò che noi chiamiamo “storia” prende forma solo nella modalità del riunirsi, del vivere insieme, spesso pieno di dissidi, ma pur sempre un vivere insieme. Il contrario è mortale, ma purtroppo è sotto i nostri occhi, ogni giorno. Siano allora le vostre aggregazioni e comunità delle palestre di fraternità e di partecipazione, non solo in quanto luoghi di incontro, ma in quanto luoghi di spiritualità. Lo Spirito di Gesù cambia il mondo, perché cambia i cuori”.
In questo modo si ‘creano’ gioia e speranza: “Ispira infatti quella dimensione contemplativa della vita che sconfessa l’autoaffermazione, la mormorazione, lo spirito di contesa, il dominio delle coscienze e delle risorse. Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. L’autentica spiritualità impegna perciò allo sviluppo umano integrale, attualizzando fra noi la parola di Gesù. Dove questo avviene, c’è gioia. Gioia e speranza”.
L’evangelizzazione può avvenire attraverso le beatitudini: “L’evangelizzazione, cari fratelli e sorelle, non è una conquista umana del mondo, ma l’infinita grazia che si diffonde da vite cambiate dal Regno di Dio. E’ la via delle Beatitudini, una strada che percorriamo insieme, tesi fra il ‘già’ ed il ‘non ancora’, affamati e assetati di giustizia, poveri di spirito, misericordiosi, miti, puri di cuore, operatori di pace. Per seguire Gesù su questa via da Lui scelta non occorrono sostenitori potenti, compromessi mondani, strategie emozionali”.
Infine ha ricordato che essa è opera di Dio, chiedendo di rimanere fedeli alle chiese in essi si trovano: “L’evangelizzazione è opera di Dio e, se talvolta passa attraverso le nostre persone, è per i legami che rende possibili. Siate dunque legati profondamente a ciascuna delle Chiese particolari e delle comunità parrocchiali dove alimentate e spendete i vostri carismi. Attorno ai vostri vescovi e in sinergia con tutte le altre membra del Corpo di Cristo agiremo, allora, in armoniosa sintonia. Le sfide che l’umanità ha di fronte saranno meno spaventose, il futuro sarà meno buio, il discernimento meno difficile. Se insieme obbediremo allo Spirito Santo!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV ai movimenti: l’apostolato è incoraggiato dal Concilio Vaticano II

Mattina intensa di lavoro per papa Leone XIV che ha ricevuto i partecipanti ai capitoli generali della Società delle Missioni Africane, del Terz’Ordine di san Francesco e dei formatori dei Servi del Paraclito, indicando l’impegno della conversione, l’entusiasmo della missione ed il calore della misericordia come le ‘dimensioni luminose’ della Chiesa: “Preghiamo dunque prima di tutto il Signore per i vostri Istituti e per tutte le persone consacrate, perché ‘avendo di mira unicamente e sopra ogni cosa Dio, uniscano la contemplazione, con cui aderiscono a Dio con la mente e col cuore, e l’ardore apostolico, con cui si sforzano di collaborare all’opera della redenzione’. Voi qui rappresentate tre realtà carismatiche nate in momenti diversi della storia della Chiesa, in risposta ad esigenze contingenti di varia natura, ma unite e complementari nella bellezza armonica del Corpo mistico di Cristo”.
Ed ha passato in rassegna la ‘vita’ dei tre Ordini: “La fondazione più antica, tra quelle qui presenti, è quella del Terzo Ordine Regolare di San Francesco, i cui inizi risalgono allo stesso Santo di Assisi, salva poi l’elevazione a Ordine avvenuta in seguito ad opera di Papa Niccolò V. I temi che affrontate nel 113° Capitolo Generale (vita comune, formazione e vocazioni) riguardano un po’ tutta la grande Famiglia di Dio. E’ però importante che, come dice il titolo che avete dato ai vostri lavori, voi li affrontiate alla luce del vostro carisma ‘penitenziale’. Questo infatti ci ricorda che, secondo le parole stesse di San Francesco, solo attraverso un costante cammino di conversione possiamo offrire ai fratelli ‘le fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo’, come scriveva nella Prima lettera ai fedeli”.
Poi agli aderenti alla Società delle Missioni Africane ha sottolineato la bellezza della missione: “Di datazione più recente è la Società delle Missioni Africane, fondata l’8 dicembre 1856 dal Venerabile Vescovo Melchior de Marion Brésillac, segno di quella missionarietà che è al cuore stesso della vita della Chiesa. La storia del vostro Istituto, cari fratelli, ben testimonia questa verità: la fedeltà alla missione, infatti, facendovi superare nel tempo mille difficoltà interne ed esterne alle vostre comunità, vi ha permesso di crescere, traendo anzi dalle avversità occasione e ispirazione per partire verso nuovi orizzonti apostolici in Africa e poi in altre parti del mondo”.
Ed ha ricordato l’esortazione del loro fondatore: “E’ bellissima, in proposito, l’esortazione lasciatavi dal Fondatore a mantenervi fedeli, nell’annuncio, alla semplicità della predicazione apostolica e, al tempo stesso, sempre pronti ad abbracciare la ‘follia della Croce’: semplici e tranquilli, anche di fronte alle incomprensioni e alle derisioni del mondo. Liberi da qualsiasi condizionamento perché ‘ripieni’ di Cristo, e capaci di portare i fratelli all’incontro con Lui perché animati da un’unica aspirazione: annunciare a tutto il mondo il suo Vangelo. Che grande segno per tutta la Chiesa e per tutto il mondo!”
Infine agli aderenti dell’associazione ‘Servi del Paraclito’ ha sottolineato il compito affidato dal fondatore per la ‘cura’ dei sacerdoti in difficoltà: “Anche la vostra presenza ci ricorda una cosa importante: e cioè che tutti noi, pur chiamati ad essere per i fratelli e le sorelle ministri di Cristo, medico delle anime, siamo prima di tutto a nostra volta malati bisognosi di guarigione”.
Infine ecco le dimensioni a cui le associazioni sono chiamate: “Carissimi, grazie per la vostra visita, che oggi in questa sala ci mostra la Chiesa in tre dimensioni luminose della sua bellezza: l’impegno della conversione, l’entusiasmo della missione e il calore della misericordia. Grazie per il tanto lavoro che fate, in tutto il mondo. Vi benedico e prego per voi, in questa novena della Pentecoste, perché possiate essere sempre più strumenti docili dello Spirito Santo secondo i progetti di Dio”.
Mentre ai moderatori, responsabili internazionali e delegati delle aggregazioni ecclesiali il papa ha sottolineato che queste realtà ‘hanno un ruolo fondamentale per l’evangelizzazione’, esortandoli a ‘collaborare’ con il papa: “Perciò desidero anzitutto ringraziarvi per il servizio di guida e di animazione che svolgete. Sostenere e incoraggiare i fratelli nel cammino cristiano comporta responsabilità, impegno, spesso anche difficoltà e incomprensioni, ma è un compito indispensabile e di grande valore. La Chiesa vi è grata per tutto il bene che fate”.
Ha quindi ricordato la loro importanza per la Chiesa: “Le realtà aggregative a cui appartenete sono molto diverse tra loro, per natura e per storia, e tutte sono importanti per la Chiesa. Alcune sono nate per condividere uno scopo apostolico, caritativo, di culto, o per sostenere la testimonianza cristiana in ambienti sociali specifici. Altre, invece, hanno preso origine da una ispirazione carismatica, un carisma iniziale che ha dato vita a un movimento, a una nuova forma di spiritualità e di evangelizzazione”.
Tale ‘apostolato’ è stato sollecitato dal Concilio Vaticano II: “L’apostolato associato dei fedeli è stato vivamente incoraggiato dal Concilio Vaticano II, in particolare con il Decreto sull’apostolato dei laici, dove, tra l’altro, si afferma che esso ‘è di grande importanza anche perché sia nelle comunità ecclesiali, sia nei vari ambienti, spesso richiede di essere esercitato con azione comune. Infatti le associazioni erette per un’attività apostolica in comune sono di sostegno ai propri membri e li formano all’apostolato, ordinano e guidano la loro azione apostolica, così che possono sperarsi frutti molto più abbondanti che non se i singoli operassero separatamente’…
Dunque, tutto nella Chiesa si comprende in riferimento alla grazia: l’istituzione esiste perché sia sempre offerta la grazia, i carismi sono suscitati perché questa grazia sia accolta e porti frutto. Senza i carismi, c’è il rischio che la grazia di Cristo, offerta in abbondanza, non trovi il terreno buono per riceverla! Ecco perché Dio suscita i carismi, perché questi risveglino nei cuori il desiderio dell’incontro con Cristo, la sete della vita divina che Lui ci offre, in una parola, la grazia!”
E’ stato un invito ad essere ‘lievito’ nell’unità, come scriveva san Paolino di Nola a sant’Agostino: “Tutti voi fate continuamente l’esperienza della comunione spirituale che vi lega. È la comunione che lo Spirito Santo crea nella Chiesa. E’ un’unità che ha il suo fondamento in Cristo: Lui ci attrae, ci attrae a sé e così ci unisce anche fra noi…
Questa unità, che voi vivete nei gruppi e nelle comunità, estendetela ovunque: nella comunione con i Pastori della Chiesa, nella vicinanza con le altre realtà ecclesiali, facendovi prossimi alle persone che incontrate, in modo che i vostri carismi rimangano sempre a servizio dell’unità della Chiesa e siano essi stessi ‘lievito di unità, di comunione e di fraternità’ nel mondo così lacerato dalla discordia e dalla violenza”.
Eppoi ha sottolineato l’importanza della missione: “La missione ha segnato la mia esperienza pastorale e ha plasmato la mia vita spirituale. Anche voi avete sperimentato questo cammino. Dall’incontro con il Signore, dalla nuova vita che ha invaso il vostro cuore, è nato il desiderio di farlo conoscere ad altri. Ed avete coinvolto tante persone, dedicato molto tempo, entusiasmo, energie per far conoscere il Vangelo nei posti più lontani, negli ambienti più difficili, sopportando difficoltà e fallimenti. Tenete sempre vivo tra voi questo slancio missionario: i movimenti anche oggi hanno un ruolo fondamentale per l’evangelizzazione”.
Ed ha invitato ad essere evangelizzatori: “Tra voi ci sono persone generose, ben formate, con esperienza “sul campo”. Si tratta di un patrimonio da far fruttificare, rimanendo in ascolto della realtà odierna con le sue nuove sfide. Mettete i vostri talenti a servizio della missione, sia nei luoghi di prima evangelizzazione sia nelle parrocchie e nelle strutture ecclesiali locali, per raggiungere tanti che sono lontani e, a volte senza saperlo, attendono la Parola di vita”.
Quindi il carisma deve attrarre a Cristo: “Tenete sempre al centro il Signore Gesù! Questo è l’essenziale, e i carismi stessi servono a questo. Il carisma è funzionale all’incontro con Cristo, alla crescita e alla maturazione umana e spirituale delle persone, all’edificazione della Chiesa. In questo senso, tutti siamo chiamati a imitare Cristo, che spogliò sé stesso per arricchire noi. Così, chiunque persegue con altri una finalità apostolica o chiunque è portatore di un carisma è chiamato ad arricchire gli altri, spogliandosi di sé. E questo è fonte di libertà e di grande gioia”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV alle famiglie: siate unite

“Sono contento di accogliere tanti bambini, che ravvivano la nostra speranza! Saluto tutte le famiglie, piccole chiese domestiche, in cui il Vangelo è accolto e trasmesso. La famiglia, diceva san Giovanni Paolo II, ha origine dall’amore con cui il Creatore abbraccia il mondo creato. Che la fede, la speranza e la carità crescano sempre nelle nostre famiglie. Un saluto speciale ai nonni e agli anziani. Voi siete modello genuino di fede e ispirazione per le giovani generazioni. Grazie di essere venuti!”: dopo la recita del Regina Coeli papa Leone XIV, chiudendo la messa per il Giubileo delle famiglie, ha ringraziato le ‘piccole chiese domestiche in cui il Vangelo è accolto e trasmesso’.
Invocando la pace ha ricordato la beatificazione delle suore polacche, chiedendo di pregare per la pace: “Oggi in Italia e in diversi Paesi si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore. E’ una festa molto bella, che ci fa guardare alla meta del nostro viaggio terreno. In questo orizzonte ricordo che ieri a Braniewo, in Polonia, sono state beatificate Cristofora Klomfass e quattordici consorelle della Congregazione di Santa Caterina Vergine e Martire, uccise nel 1945 dai soldati dell’Armata Rossa in territori dell’odierna Polonia.
Nonostante il clima di odio e di terrore contro la fede cattolica, continuarono a servire gli ammalati e gli orfani. All’intercessione delle nuove Beate martiri affidiamo tutte le religiose che nel mondo si spendono generosamente per il Regno di Dio… La Vergine Maria benedica le famiglie e le sostenga nelle loro difficoltà: penso specialmente a quelle che soffrono a causa della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e in altre parti del mondo. La Madre di Dio ci aiuti a camminare insieme sulla via della pace”.
Mentre nella celebrazione eucaristica del Giubileo delle famiglie, dei bambini, dei nonni e degli anziani il papa ha incentrato l’omelia sulla necessità dell’unità: “Cristo domanda infatti che tutti siamo ‘una sola cosa’. Si tratta del bene più grande che possa essere desiderato, perché questa unione universale realizza tra le creature l’eterna comunione d’amore in cui si identifica Dio stesso, come Padre che dà la vita, Figlio che la riceve e Spirito che la condivide”.
Infatti attraverso l’unità si può giungere alla salvezza: “Il Signore non vuole che noi, per unirci, ci sommiamo in una massa indistinta, come un blocco anonimo, ma desidera che siamo uno: ‘Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola’. L’unità, per la quale Gesù prega, è così una comunione fondata sull’amore stesso con cui Dio ama, dal quale vengono al mondo la vita e la salvezza. E come tale è prima di tutto un dono, che Gesù viene a portare”.
Ed il Vangelo è un richiamo per la famiglia: “Appena nati abbiamo avuto bisogno degli altri per vivere, da soli non ce l’avremmo fatta: è qualcun altro che ci ha salvato, prendendosi cura di noi, del nostro corpo come del nostro spirito. Tutti noi viviamo, dunque, grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole”.
Quindi è un richiamo alla vita: “E’ vero, a volte questa umanità viene tradita. Ad esempio, ogni volta che s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere. Tuttavia, anche davanti al male, che contrappone e uccide, Gesù continua a pregare il Padre per noi, e la sua preghiera agisce come un balsamo sulle nostre ferite, diventando per tutti annuncio di perdono e di riconciliazione. Tale preghiera del Signore dà senso pieno ai momenti luminosi del nostro volerci bene, come genitori, nonni, figli e figlie”.
Ha indicato alcune famiglie sante da seguire: “Negli ultimi decenni abbiamo ricevuto un segno che dà gioia e al tempo stesso fa riflettere: mi riferisco al fatto che sono stati proclamati Beati e Santi dei coniugi, e non separatamente, ma insieme, in quanto coppie di sposi. Penso a Louis e Zélie Martin, i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino; come pure i Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, la cui vita familiare si è svolta a Roma nel secolo scorso. E non dimentichiamo la famiglia polacca Ulma: genitori e bambini uniti nell’amore e nel martirio. Dicevo che si tratta di un segno che fa pensare”.
Da qui l’incoraggiamento alle famiglie: “Perciò vi incoraggio ad essere, per i vostri figli, esempi di coerenza, comportandovi come volete che loro si comportino, educandoli alla libertà mediante l’obbedienza, cercando sempre in essi il bene e i mezzi per accrescerlo. E voi, figli, siate grati ai vostri genitori: dire ‘grazie’, per il dono della vita e per tutto ciò che con esso ci viene donato ogni giorno, è il primo modo di onorare il padre e la madre. Infine a voi, cari nonni e anziani, raccomando di vegliare su coloro che amate, con saggezza e compassione, con l’umiltà e la pazienza che gli anni insegnano”.
Infine ha chiesto di trasmettere ai figli la fede: “In famiglia, la fede si trasmette insieme alla vita, di generazione in generazione: viene condivisa come il cibo della tavola e gli affetti del cuore. Ciò la rende un luogo privilegiato in cui incontrare Gesù, che ci vuole bene e vuole il nostro bene, sempre.
E vorrei aggiungere un’ultima cosa. La preghiera del Figlio di Dio, che ci infonde speranza lungo il cammino, ci ricorda anche che un giorno saremo tutti uno unum: una cosa sola nell’unico Salvatore, abbracciati dall’amore eterno di Dio”.
Nel pomeriggio il papa ha salutato i ciclisti che a Roma hanno concluso il Giro d’Italia: “E’ un piacere potervi salutare in questa ultima tappa del Giro d’Italia. Spero che per tutti voi sia veramente una giornata bellissima. Sappiate che siete modelli per i giovani di tutto il mondo. Tanto, veramente, si ama il Giro d’Italia e non soltanto in Italia.
Il ciclismo è tanto importante, come lo sport in generale. Vi ringrazio per tutto quello che fate, e siate modelli davvero! E spero che, come avete imparato a curare il corpo, anche lo spirito sia sempre benedetto e che siate sempre attenti a tutto l’essere umano: corpo, mente, cuore e spirito. Che Dio vi benedica!”
(Foto: Santa Sede)