Sul Sinodo. Metacritica di un processo (1)

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Negli scorsi mesi ho letto con molto interesse articoli sul sinodo e anche alcuni documenti che sono stati elaborati alla fine dei sinodi diocesani e nazionali. In questa riflessione vorrei tentare di spendere qualche parola andando al di là di tanta retorica che purtroppo si fa sull’argomento, cercando di far emergere un punto di vista oggettivo, neutro.

  1. Sinodo è una parola abusata

Tutti parlano di sinodo o di sinodalità senza tuttavia intendere cosa esso/essa sia. Il termine indica un cammino e quando si cammina si ascolta chi ti è accanto, si cammina insieme. Il camminare, poi, implica che si parta da un punto (il punto di partenza) e si arrivi ad un altro punto (punto di arrivo). Per arrivare da qualche parte occorre, come è naturale che sia, fare un percorso che talvolta può essere lineare, talvolta impervio, faticoso, ma comunque di un percorso di tratta.

Sinodo/sinodalità indica tutto questo: implica una chiesa – tutta e non solo una sua parte! – in movimento, un percorso da intraprendere senza per forza sapere già tutto perché l’ascolto, messo in atto nel cammino, trasforma sia chi ascolta sia chi parla, prevede uno sforzo perché il camminare insieme comporta l’avere uno stesso passo, per quanto possibile.

Già solo questo prima sottolineatura pone una domanda: la chiesa, tutta la chiesa si è messa in movimento o è rimasta lì dove era? A me sembra – e non solo a me! – che si è tanto parlato di sinodo, ma non è stato svolto un sinodo. Siamo lì dove eravamo prima che Papa Francesco ci chiamasse a metterci in cammino.

2) Il sinodo è un’idea bergogliana?

Da quando si è iniziato a parlare di sinodo, sembra che l’idea sia di esclusiva origine bergogliana. Nessuno prima ne ha parlato, leggendo giornali, libri, articoli di riviste e blog. Eppure a me pare dai libri che ho in biblioteca che qualcuno, ancora prima del 2013, ne parlava. Tra questi Ratzinger che in un libro (‘Democrazia nella Chiesa’) ne fa cenno.

Certo a Francesco va dato il merito di aver trasformato questo tema da un po’ (tanto) marginale a centrale. Ma ancora prima del celebre discorso del 2015 sui cinquanta anni dall’istituzione del Sinodo dei vescovi, la Commissione Teologica Internazionale aveva redatto un corposo testo che, di fatto, nel chiacchiericcio mediatico odierno è stato messo nel dimenticatoio.

Una lettura attenta, forse, da parte dei vescovi e dei fedeli di quel documento avrebbe fatto comprendere cosa il Papa ci chiedeva e ci chiede. Infine se avessimo posto più attenzione a ciò che nella prassi della Chiesa c’è già, ci saremmo accorti che nei monasteri che praticano la regola di San Benedetto il capitolo con e sotto l’autorità dell’abate prende decisioni per tutta la comunità.

3) Il tema: comunione, partecipazione, missione

Bisogna essere onesti: molti sinodi non hanno centrato il tema. Si chiedeva di riflettere su come rendere la Chiesa più partecipativa, su come la Chiesa possa sentirsi più in comunione, su come la Chiesa possa sentirsi in missione. Questo era il punto di partenza che per diverse ragioni non è stato per nulla centrato.

Tuttavia ad essere onesti un sinodo – perlomeno in Europa – è andato anche sopra questo tema ed è stato quello tedesco. Il sinodo tedesco è stato un sinodo – peraltro convocato ancora prima che il Papa desse il via al processo sinodale – travagliato, lungo, sofferto, che ha avuto battute d’arresto e, per questo, un vero sinodo.

Esso, però, forse preso da entusiasmo da un lato e sensi di colpa per lo schock degli abusi sessuali dall’altro, è andato sopra il tema, andando a discutere di un tema che, stando alle attuali norme canoniche, non può essere di sua competenza anche perché non ha l’autorità per mettere in discussione un pronunciamento magisteriale.

Il tema, importante, è quello della concessione del ministero sacerdotale alle donne. Purtroppo un sinodo se può dire la sua, non può pretendere di porsi sopra al magistero pontificio (‘Ordinatio sacerdotalis’ di Giovanni Paolo II), smentendolo o negandolo.

Personalmente sono, però, convinto che è meglio un sinodo che va ‘sopra le righe’ rispetto ad un sinodo che va sotto, come quello italiano. Dal documento finale del sinodo italiano, peraltro, emergono poche idee e molto confuse, come se la Chiesa in Italia non avesse colto l’opportunità di pensare al suo futuro.

(segue)

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