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XXVI Domenica Tempo Ordinario: Dio ama tutti! Vivere è amare, diffondere il bene!

Gesù invita a stimare il bene da qualunque parte esso provenga. Il vangelo è contro ogni meschinità di spirito, apre il cuore al generoso soccorso, la mente al rispetto degli altri. Gli Apostoli,  ancora ingenui, dicono a Gesù: abbiamo visto un tale non dei nostri che  scacciava  i demoni nel nome tuo e glielo abbiamo proibito; gli Apostoli forse si aspettavano una lode da Gesù ma questi deplora la loro iniziativa dicendo: ‘non c’è nessuno  che faccia un miracolo nel nome mio e subito parla male di me’ ed afferma: ‘chi non è contro di noi è per noi’.

L’uomo spesso è esclusivista e manicheo; Dio invece è il padre di tutti e anche noi in ogni uomo siamo chiamati a riconoscere il volto stesso di Gesù senza richiedere certificato di Battesimo; la tentazione porta spesso a dividere e suddividere gli altri in caste chiuse; la Chiesa in nome di Dio nulla rigetta di quello che trova di valido, di bello, di vero negli altri. Dio vuole tutti salvi e in ognuno c’è sempre un anelito alla verità, alla ricerca di Dio.

Lo Spirito santo soffia sempre  dove e quando vuole: non esistono privilegiati ed esclusi, anzi Gesù si presenta come il buon Pastore che cerca la pecorella smarrita.  Nella storia della Chiesa i Padri (filosofi e teologi) rivalutarono anche la filosofia antica e quanto proveniva dal paganesimo, sicuri che la verità è unica e quanti cercano la verità e si sforzano di perseguirla sono solo da ammirare.  La mente umana è sempre limitata e circoscritta, non riesce a cogliere la verità  nella sua interezza perchè la Verità è Dio; da qui la necessità della rivelazione operata da Gesù perchè solo la verità ci rende liberi. 

Il seme della parola di Dio si deve diffondere e quanti sono nella verità non devono essere gelosi quando lo Spirito Santo coinvolge  anche gli altri: nè gelosi nè dare scandalo. Il cristiano deve essere l’uomo del dialogo, sempre pronto ad ascoltare gli altri e riconoscere il bene che c’è in ciascuno. Non esistono buoni e cattivi, Dio ha creato l’uomo con la sua capacità di conoscere e amare. Compito del discepolo di Gesù è apprezzare l’uomo, creato ad immagine di Dio, e i talenti e i carismi che lo stesso Dio  ha conferito  ad ognuno di essi.

Non estinguere mai l’azione dello Spirito santo che opera negli altri fratelli; collaborare anzi con l’esempio, la predicazione, l’annuncio della verità di Dio. Da qui la parole di Gesù: guai a chi darà scandalo a quanti non sono consolidati nella verità di Dio.  Il termine ‘scandalo’ nel linguaggio biblico ha due significati fondamentali: inciampo e ostacolo: lo scandalo porta sempre fuori strada  e conduce solo al peccato e alla geenna eterna (inferno); scandalo è anche ostacolo o muro che impedisce di andare avanti, di crescere nella fede e nell’amore e, come conseguenza, chiude la porta del Regno dei cieli.

Da qui le parole drastiche di Gesù riguardo a chi dà scandalo: ‘E’ meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e  sia gettato nel mare’. Guai, dirà Gesù,  al mondo  per gli scandali. Se ti è cara un’amicizia che mette in pericolo la tua fede, troncala! Il cristianesimo non è una religione per i pavidi, per i deboli, per i poveri di spirito ma è la religione dei forti: vincere un avversario è una cosa che alletta; vincere se stesso  è da eroe: sei chiamato ad essere un vero eroe per il Regno dei cieli.

Finché rimani un indeciso, non sarai mai un vero cristiano, vero discepolo di Cristo Gesù che è salito a Gerusalemme ed è morto in croce per salvare l’uomo. Vivere nella luce di Cristo, realizzare il messaggio di amore offerto da Cristo Gesù non significa rinunciare a vivere ma liberarsi dalle ombre; non è rinnegare la propria intelligenza, la volontà, l’azione, l’abilità ma accumulare ed accrescere le vere ricchezze che ci accompagnano nell’eternità.

L’umiltà del servizio rimane la via valida indicata da Cristo Gesù per essere nel mondo lievito buono che fa fermentare l’umanità e la fraternità. Forse è il momento di porci una domanda: che cosa concretamente Gesù vuole che io tagli nella mia vita perchè contrasta con il Vangelo? La Santissima Vergine Immacolata, madre nostra cara, ci  aiuti ad essere sempre accoglienti verso gli altri e vigilanti su noi stessi.

A Milano mons. Delpini rivolge un invito alla partecipazione della vita cristiana e sociale

Sabato 7 settembre nel duomo di Milano mons. Mario Delpini ha celebrato la messa pontificale, che ha aperto l’anno pastorale della diocesi ambrosiana in occasione della festa della Natività di Maria, patrona della cattedrale con un’omelia in cui ha richiamato alcuni temi della proposta pastorale elaborata nello scorso giugno (‘Basta. L’amore che salva e il male insopportabile’), raccontando una città da abitare:

“Sì, vorremmo una città dove sia bello abitare, una città giovane, una città accogliente, una città con tanti bambini contenti e tante famiglie serene. Ma constatiamo che la città invecchia, le famiglie sono stanche per la frenesia quotidiana e per le tensioni esasperanti che le attraversano.

Sì, ci impegniamo per vivere con coerenza e per annunciare con gioia il vangelo di Gesù, la speranza che offre; sì, ci piacerebbe costruire comunità unite, liete, ricche di futuro. Ma se ci mettiamo a calcolare i risultati, constatiamo il nostro fallimento”.

L’arcivescovo ha riportato allora le raccomandazioni di san Paolo ai cristiani dell’epoca, validi ancora oggi: “Ecco non sono necessari molti esempi per constatare il realismo di quello che Paolo scrive: nella logica della ‘legge’ gli adempimenti sono impossibili, la legge è impotente. Che cosa si può pensare della storia dell’umanità? La storia umana è una storia di fallimenti e di sconfitte del bene.

Eppure lo sguardo credente legge la storia umana come storia della salvezza. Che cosa di buono può venire da questa serie di generazioni di uomini impastati di santità e di peccato? A che serve, quale messaggio può offrire il lungo elenco di nomi di personaggi famosi e sconosciuti, ammirevoli e spregevoli? Ecco, questa storia del male scoraggiante e del bene precario e fragile è la storia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo”.

Però nell’impotenza dell’umanità si realizza l’opera di Dio: “Dunque dentro il destino di impotenza e di sconfitta c’è una rivelazione dell’opera di Dio che salva. Paolo invita condividere la sua fede: Dio ha reso possibile quello che era impossibile alla Legge e ai buoni propositi, mandando il proprio Figlio in una condizione di fragilità, come quella di tutti, perché si apra la via della salvezza, per coloro che camminano non secondo la carne, ma secondo lo Spirito”.

Tale opera di Dio si compie nel Suo Figlio: “L’opera di Dio si compie in Gesù e noi professiamo che proprio in lui incontriamo la verità di Dio e la rivelazione del suo amore, proprio in Gesù, figlio di Davide, figlio di Abramo.Noi desideriamo fissare lo sguardo su Gesù per imparare tutto quello che c’è da sapere e tutto quello che si può dire di Dio. Perciò cerchiamo di correggere l’inclinazione diffusa a immaginare un Dio, senza dipendere dalla rivelazione di Gesù”.

Per questo nell’omelia mons. Delpini ha ‘denunciato’ l’abbandono della frequenza alle celebrazioni eucaristiche. “Il ricordo del concilio di Nicea, che il nostro padre Ambrogio ha predicato con tanto vigore e costanza, può essere per noi un rimprovero: si ha infatti l’impressione che il linguaggio diffuso e anche la pratica ordinaria orientano a dimenticare la mediazione di Gesù, a fare a meno di lui.

Un sintomo preoccupante è la consuetudine di abbandonare la celebrazione del segno che Gesù ha indicato perché si celebri il memoriale della sua opera di salvezza, cioè l’eucaristia. La Messa sembra ridotta a una cerimonia che può piacere o annoiare. Molti dichiarano che non hanno bisogno di partecipare alla celebrazione della Pasqua di Gesù per essere brava gente e per fare tanto bene”.

Questa mancanza può portare i cristiani al disimpegno ‘civile’: “ Forse per questo i buoni propositi sono troppo inconcludenti, forse per questo l’impegno risulta frustrante, forse per questo il cristianesimo si presenta con una sorta di tristezza per l’elenco delle cose che si dovrebbero fare, ignorando la gioia di essere in comunione con Gesù, con la pienezza della sua gioia”.

Inoltre, durante la celebrazione eucaristica si è svolto anche il Rito di ammissione di tre seminaristi della Diocesi al percorso verso il diaconato e l’ordinazione sacerdotale e di otto laici che iniziano il cammino per diventare diaconi, in quanto la vita è una vocazione al servizio:

“L’opera di Dio si compie in Gesù e Gesù entra nella storia umana come la voce amica che chiama alla sequela. La salvezza che Dio opera in Gesù non è in primo luogo un evento cosmico, ma una comunione, una relazione personale, la vocazione…

Il servizio ministeriale non è una scelta di cui ciascuno è il protagonista, con la presunzione di rendersi utile, con la convinzione di avere qualche cosa da dare al Signore e alla Chiesa. E’ piuttosto la risposta alla chiamata della Chiesa, di questa concreta comunità cristiana che sceglie, dopo attento discernimento, persone disponibili a far parte del clero diocesano per continuare la missione della Chiesa”.

Al termine della celebrazione, poi, l’arcivescovo, dopo avere ricordato alcuni appuntamenti che segnano l’inizio del nuovo anno pastorale, si è soffermato sulle ‘tante sofferenze’ che si vivono “anche nella nostra Diocesi: drammi familiari, violenza nelle case, violenza nelle strade, incidenti sui posti di lavoro, carceri che sono troppo spesso luoghi di tragedie e di difficoltà che sembrano intollerabili… Il Signore ci aiuti ad essere seminatori di pace, tessitori di relazioni che aiutino a superare queste forme di violenza. La presenza dei cristiani, l’opera della Chiesa sia un segno della benedizione di Dio”.

(Foto: arcidiocesi di Milano)

La diocesi di Bolzano e Bressanone festeggia 60 anni di vita

Il 6 agosto 1964 a Castel Gandolfo papa Paolo VI firmava tre bolle pontificie, riguardanti le diocesi di Trento e di Bolzano: la bolla ‘Quo aptius’ stabiliva che i territori dell’arcidiocesi di Trento situati nella Provincia di Bolzano fossero uniti alla diocesi di Bressanone, che da allora porta il nome di Bolzano-Bressanone; la bolla ‘Tridentinae Ecclesiae’ fissava Trento sede metropolitana e Bolzano-Bressanone diocesi suffraganea; infine la bolla ‘Sedis Apostolicae’ trasformava l’amministratura apostolica Innsbruck-Feldkirch in diocesi di Innsbruck.

Infatti dal 1964 i confini della diocesi di Bolzano-Bressanone e dell’arcidiocesi di Trento coincidono con i confini delle due Province e Innsbruck e la diocesi è diventata una diocesi autonoma, come ricorda in una lettera mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano e Bressanone:

“Sono passati 60 anni: un motivo per ricordare e riflettere. Ben tre volte la nostra diocesi ha cambiato nome nel corso della sua lunga storia: Sabiona, Bressanone, Bolzano-Bressanone. Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa”.

Nel messaggio mons. Muser invita a non perdere le radici della fede, pur essendo sempre in cammino: “Credere in Dio non inizia mai nello spazio vuoto e non parte mai da zero. Siamo dentro una storia, una storia di benedizione con tutti i suoi fallimenti, le sue crisi e le sue notti, ma anche con la promessa di vita e di salvezza. La fede comprende radici comuni, una comunità viva nel presente e la trasmissione di questa fede alle generazioni future. Penso in particolare ai bambini e ai giovani, che hanno bisogno della fede, dell’esempio e dei racconti di fede degli adulti”.

Quindi la fede è necessaria per offrire un ragionamento il più possibilmente obiettivo: “Questa fede ci protegge dal trionfalismo e dai punti ciechi e acritici, ma anche da giudizi ingiusti e ostentati sulla storia. Questa fede ci dà il coraggio di non giustificare, sorvolare o minimizzare tutto ciò che è accaduto nella storia, ma anche di essere abbastanza umili da non contrapporre con orgoglio e presunzione il presente al passato”.

Ed ha rivolto un ringraziamento ai predecessori: “Con gratitudine ricordo i miei predecessori che hanno contribuito a plasmare il cammino della nostra diocesi di Bolzano-Bressanone: il vescovo Josef Gargitter, il vescovo Wilhelm Egger e il vescovo Karl Golser. Li nomino in rappresentanza di tutti i sacerdoti, di religiose e religiosi, di insegnanti di religione, di donne e uomini, madri e padri, bambini, giovani e anziani che in questi 60 anni hanno dato un volto al Vangelo e al cammino della nostra Chiesa locale. Sono stati tanti e a loro dobbiamo molto!”

Quindi ha ricordato che la Chiesa è immersa nella vita sociale: “Nel corso della sua storia, la Chiesa non è mai stata un’entità statica e fissa. Come la luna, ha fasi crescenti e calanti. La posizione della Chiesa nella società odierna sta conoscendo grandi sconvolgimenti. Anche la società, con la sua dimensione sociale e politica, sta vivendo grandi sfide e tensioni. Le preoccupazioni per la salvaguardia del creato e le domande pressanti sollevate dai focolai di crisi e di guerra nel mondo rendono le persone preoccupate e spesso persino scoraggiate. Alle domande aperte sul piano sociale e antropologico vengono date risposte sempre più divergenti. Forme di ecclesialità finora familiari si stanno sgretolando”.

In questi 60 anni anche la Chiesa ha cambiato ‘aspetto’ ed i credenti diminuiscono: “La domanda di Dio, del Dio biblico, del Dio di Gesù Cristo è diventata nella nostra società una priorità secondaria o di terz’ordine. Abbiamo ancora bisogno di lui, lo cerchiamo ancora, lo amiamo ancora?  Non pochi ritengono che la Chiesa sia sostituibile e non necessaria. Anche le sue due grandi fonti di forza, la Parola di Dio e i sacramenti, hanno perso attrattività e consenso. Le nostre celebrazioni eucaristiche e tutte le altre forme di culto sono molto meno partecipate e apprezzate rispetto a 60 anni fa”.

Però tale situazione potrebbe tramutarsi in speranza: “Come Chiesa siamo diventati più piccoli, meno importanti e meno influenti. Speriamo che questo cambiamento sia caratterizzato dalle parole che il grande Giovanni Battista, precursore di Gesù, poteva dire di se stesso: ‘Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca’. Allora non dobbiamo avere paura. Allora sperimenteremo di nuovo il sollievo e la speranza: si tratta di Lui, non di noi”.

E questo è stato il suo ringraziamento: “Vorrei ringraziare tutti coloro che nella situazione attuale danno un volto alla nostra Chiesa locale. Sono ancora molti! La nostra Chiesa vive della loro fede, della loro speranza, del loro impegno, della loro fedeltà e della loro preghiera. Per questo non ho paura del futuro, nonostante tutto e attraverso tutto. Abbiamo Lui nella nostra barca e Lui, il Crocifisso e Risorto, di certo non la abbandona!”

Ed infine un augurio di vita santa: “La lunga storia della nostra diocesi di Sabiona, Bressanone e Bolzano-Bressanone non ha donato solo grandi momenti, santi e martiri, tra cui vorrei citare Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser a nome di tutti loro. Ci sono anche ore e periodi bui, colpe e fallimenti. Anche questo fa parte della nostra memoria, della nostra identità. Se vogliamo plasmare il futuro, dobbiamo imparare dalla storia e affrontarla senza pregiudizi…

Auguro uno sguardo fedele alla storia della nostra diocesi e uno sguardo fedele dietro questa storia. Allora potrà essere chiaro quanto il nostro Dio si metta in relazione con l’umanità, quanto voglia e abbia bisogno di noi, di quale grandezza siano capaci le persone credenti e quanto Dio possa scrivere dritto anche sulle righe storte degli uomini.

Auguro che alla nostra Chiesa locale, all’arcidiocesi di Trento e alla diocesi di Innsbruck, alle quali siamo legati da una lunga storia, non manchino mai persone pronte a scrivere e a continuare a scrivere il piano di salvezza di Dio per l’umanità”.

(Foto: diocesi di Bolzano – Bressanone)

XX Domenica Tempo Ordinario: tutti invitati al grande banchetto della vita!

Il tema della Liturgia è chiaro sin dalla prima lettura: ‘La Sapienza ha imbandito la tavola: venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che  ho preparato’. Il tema del banchetto è presente attraverso i suoi elementi costitutivi: il pane e il vino; mangiare e bere. Il sacramento dell’Eucaristia si rifà sempre alla cena pasquale degli ebrei durante la quale Gesù istituì l’Eucaristia utilizzando i mezzi a disposizioni: pane e vino ed ordinò ai suoi Apostoli. ‘Fate questo in memoria di me’. Nella Messa celebrata sono riunite due mense: quella della Parola e quella del Pene e Vino.

La lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica. Cristo Gesù si dà a noi in due modi; ascoltando la sua Parola ‘non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’: le folle che andavano dietro a Gesù per ascoltarlo dimenticavano persino di andare a casa per mangiare. Nell’ultima cena poi Gesù istituisce l’Eucaristia: segno visibile di nutrimento  per l’anima: prendete e mangiate, questo è il mio corpo. 

A questo banchetto siamo invitati tutti, senza alcuna discriminazione, è un banchetto in cui regna  solo l’amore, la fratellanza, l’accoglienza: è l’immagine del regno di Dio creato per la salvezza di tutti. La Messa è il convito della salvezza a cui tutti  siamo invitati.  Partecipare a questo banchetto non è opzionale ma indispensabile per la salvezza eterna. Chi si astiene dal partecipare volontariamente e senza motivo agisce in disaccordo con  la parola e la volontà di Cristo. 

Dalla parola di Dio e dall’Eucaristia il credete riceve nutrimento e vita. L’Eucaristia, come vedi, è un mistero che noi accettiamo con gratitudine e gioia come un miracolo d’amore, come dono incomparabile e prezioso.  Un dono concreto e fisico da fare ripugnanza a quanti ascoltano e non hanno fede e, perciò, replicano. ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’ Chi ha fede in Dio, accetta il suo messaggio di amore: ‘Io  sono il pane vivo disceso dal cielo’, mangiando il quale si ha la vita eterna; è il nutrimento dell’anima che vuole vivere  secondo Dio.

Gesù spiega inoltre che questo pane è la sua carne offerta in sacrificio di redenzione; è il frutto dell’amore di Dio verso l’uomo  per il quale Gesù muore in croce offrendo la sua vita in riscatto per tutti. Un dono visibile: il suo corpo sacrificato; il corpo di Gesù, che riceviamo nella Eucaristia, è l’espressone chiara della sua personalità, della sua relazione con gli altri. Cristo infatti si è manifestato agli uomini nella carne e il popolo ha riconosciuto Gesù nel suo corpo e da questo si sono sentiti accolti, ascoltati, perdonati.

Gesù con il suo corpo rivela la sua divinità e la sua umanità. ‘Sono il pane vivo disceso dal cielo: il mio corpo è vero cibo, il mio sangue vera bevanda’.  Questa parola è dura, dissero alcuni e se ne andarono; Gesù, rivolto ai suoi discepoli, disse: se volete, potete andare via anche voi, ma l’apostolo Pietro rispose: ‘Signore, tu hai parole di vita eterna’.

Tutto ciò che si dice della personalità di Gesù nel Vangelo è presente nell’Eucaristia: è  lo stesso Gesù che attraverso l’Eucaristia nutre quanti credono in Lui. Per chi non crede nessuna prova è sufficiente; per chi crede l’Eucaristia è la vita di Cristo in noi e riceverla significa condurre uno stile di vita contrassegnata dalla sua presenza. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno.

Da non dimenticare che Gesù nell’ultima cena, prima di celebrare l’Eucaristia, lava i piedi agli Apostoli; bisogna essere puliti, prima di ricevere questo pane, sia nel corpo che nell’anima. Per questo la Liturgia inizia sempre chiedendo perdono a Dio  dei peccati.

XIX Domenica Tempo Ordinario: Io sono il pane vivo disceso dal cielo

Il brano del Vangelo focalizza tre temi, al centro c’è l’azione salvifica di Cristo Gesù; nessuno si può salvare se non per mezzo di Cristo; la nostra fede in Lui è un dono speciale  di Dio all’uomo che Egli ha creato a sua immagine e somiglianza. Dio non dimentica mai l’uomo e si rivolge a lui donando Gesù, vero uomo e vero Dio. Accettare Cristo, dono di Dio, significa avere la vita eterna: ‘a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio’.

Mosè aveva impetrato la manna dal cielo con la preghiera; Elia nel deserto fu sfamato da Dio con la focaccia inviata con un angelo; Gesù non è venuto per portarci un dono dal cielo ma Egli stesso è il vero dono del Padre: dono riservato a quanti, innestati a Cristo Gesù con il battesimo, vivono la grazia di Dio  con fede e amore. Avere fede in Lui, accoglierlo è l’unica cosa necessaria; è l’unica via da percorrere. Nel viaggio della vita Gesù ci offre se stesso, dono del Padre; vero pane del viaggio per arrivare alla grande meta.

‘Io sono i pane vivo disceso dal cielo’ è la grande rivelazione che Gesù offre alla sua Chiesa; Gesù ci invita a bandire dalla vita tutto ciò che viola la carità (odio, egoismo, sopraffazione) e ci indica la via da seguire: essere disponibili ed aiutare il prossimo per riscattarsi da tutte le ingiustizie sofferte. Ci sentiamo deboli? Alimentiamo allora la nostra anima con Gesù che è ‘il pane vivo disceso dal cielo’. 

Gli ebrei avevano mangiato i cinque pani moltiplicati , erano rimasti affascinati e volevano farlo re; Gesù li smonta e li spinge  in altra direzione: procuratevi il cibo che dura per la vita eterna; poi continua: ‘Io sono il pane della vita’ dono di Dio all’uomo. Gesù vuole che tale verità venga da tutti conosciuta perché a tutti sia offerta la salvezza. La salvezza infatti è la risultante di due componenti: una divina, l’altra umana; Gesù è il dono del  Padre, ma è altresì necessario l’assenso dell’uomo, l’accoglimento libero e responsabile di questo dono mirabile.

Credere in Cristo non è un fatto teorico, una adesione concettuale, ma significa accettare Cristo con fede e amore. L’adesione a Gesù non si ferma ad una fede astratta o all’amore teorico ma giunge ala comunione perfetta con il sacramento dell’Eucaristia. Questa è il cibo per l’uomo in pellegrinaggio verso la casa del Padre, cibo prefigurato dalla manna del deserto .

‘Io sono il pane della vita’: queste parole di Gesù risvegliano in noi stupore e gioia per il dono dell’Eucaristia; nel Vangelo la gente rimane scandalizzata, si strappa le vesti dicendo:  questo Gesù noi lo conosciamo, è il figlio di Maria, del fabbro Giuseppe, come può dire: sono ill pane disceso dal cielo?  Ed io e tu, amico che ascolti, ci scandalizziamo? Gesù è sempre quell’uomo dinanzi al quale ‘i ciechi vedono, i muti parlano, i morti risuscitano’, Egli è veramente il Figlio di Dio che ci ha salvati; colui che ha aperto per noi le porte del regno dei cieli: nell’Eucaristia ci è dato il pegno della gloria futura.

Nel sacrificio eucaristico, nella celebrazione della Messa si perpetua in forma incruenta il sacrificio di Gesù in croce per la salvezza di tutti gli uomini. Il grande sant’Agostino, filosofo e teologo, evidenzia anche l’aspetto sociale dell’Eucaristia: come diversi chicchi di grano formano l’unico pane, come diversi acini di uva danno vita all’unico vino che, consacrati sono l’Eucaristia, così è necessario uscire dalla propria individualità per riscoprirsi fratelli e sorelle alimentati dallo stesso pane celeste. Gesù è veramente il pane della vita; la Madonna, la Vergine Maria nel cui seno il Verbo si fece carne, ci aiuti a crescere e a nutrire sempre la nostra anima di questo pane vivo disceso del cielo.

Ecclesiam suam: a 60 anni dall’enciclica di Paolo VI quali sono i frutti?

“Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa, perché sia nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza; appare quindi evidente la ragione per cui ad essa abbiano dato prove di particolare amore, e ad essa abbiano dedicato particolari cure tutti coloro che hanno avuto a cuore sia la gloria di Dio sia la salvezza eterna degli uomini: tra i quali, com’era giusto, rifulsero i Vicari in terra dello stesso Cristo, un numero immenso di Vescovi e di sacerdoti, ed una mirabile schiera di santi cristiani.

A tutti, pertanto, sembrerà quasi naturale che Noi, indirizzando al mondo questa Nostra prima Enciclica dopo che, per inscrutabile disegno di Dio, siamo stati chiamati al Soglio Pontificio, rivolgiamo il nostro pensiero amoroso e reverente alla santa Chiesa. Per tali motivi, Ci proporremo, in questa Enciclica, di sempre più chiarire a tutti quanto, da una parte, sia importante per la salvezza dell’umana società, e dall’altra quanto stia a cuore alla Chiesa che ambedue s’incontrino, si conoscano, si amino”.

Così inizia l’enciclica ‘Ecclesiam Suam’, promulgata da papa san Paolo VI il 6 agosto 1964, che può essere definita un ‘testo programmatico’, rilanciando alcune tematiche fondamentali durante il rinnovamento del Concilio Vaticano II. Infatti papa Paolo VI con tale enciclica ha continuato nel solco ‘dell’aggiornamento’ di papa san Giovanni XXIII, annunciato nel discorso di apertura della prima sessione conciliare, ‘Gaudet Mater Ecclesia’, in cui aveva rimarcato il ‘compito’ della Chiesa, che ‘in questo tempo presente… preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore’.

A distanza di 60 anni questo documento rimane ancora un punto di riferimento per la riforma nella Chiesa, come si evince dal colloquio con il francescano p. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia all’Istituto Teologico di Assisi ed alla Pontificia Università ‘Antonianum’ di Roma, nonché assistente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense di Roma, a cui chiediamo di raccontarci il motivo, per cui papa san Paolo VI scrisse tale enciclica:

“Il Papa ha meditato a lungo il testo della sua prima Enciclica, la cui traccia fondamentale aveva già anticipato nel Discorso di apertura della seconda sessione del Concilio Vaticano II ‘Salvete fratres’,il 29 settembre 1963. Il documento è stato considerato da molti come un ‘programma’ del suo pontificato, che rivela la profondità del suo animo. Il contesto in cui nacque è quello degli anni Sessanta, ritenuti un’epoca di grandi trasformazione e di sviluppo economico, in cui avvenne una vera ‘rivoluzione copernicana’ e la Chiesa fu necessariamente chiamata a mettersi in relazione con tutti. L’enciclica ‘Ecclesiam suam’ si proponeva di chiarire a ‘tutti’ quanto la Chiesa sia essenziale per la salvezza dell’umana società ed, al contempo, quanto stia a cuore alla comunità ecclesiale l’incontro con l’umanità”.

Per la Chiesa quali sono le vie attraverso le quali può compiere il mandato affidato da Gesù? “La Chiesa è chiamata a riscoprire la coscienza di ciò che il Signore desidera e, di conseguenza, compiere una missione che la trascende, diffondendo l’annuncio del Vangelo, vivendo il mandato missionario del Risorto (cfr. Mt 28,16-20). In questo percorso, innanzitutto, secondo papa Paolo VI era urgente la ‘rinnovata scoperta del suo vitale rapporto con Cristo’, che è il ‘principio’ e la ‘via’. L’ecclesiologia di papa Montini è chiaramente cristocentrica e la Chiesa vive e opera per continuare e diffonderela missione stessa del Maestro”.

Perché papa san Paolo VI ha sottolineato per la Chiesa lo ‘zelo’ per la pace?

“All’interno della sezione dedicata al dialogo, in particolare verso gli ‘uomini di buona volontà’, papa Paolo VI ha affrontato il tema della ‘pace’ come opportunità di incontro tra i popoli ed ha invitato la Chiesa ad avere cura e attenzione per giungere maggiormente a una autentica pace tra gli uomini come via di rinnovamento e riconciliazione. In seguito, il primo gennaio 1968, ha istituito la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace quale occasione di conversione e di preghiera per l’intera umanità”.

Quale è la missione che la Chiesa è chiamata a compiere?

“L’azione missionaria di Cristo ‘continua’ per mezzo della Chiesa e nella Chiesa, in quanto prolunga nel tempo presente la stessa azione salvifica universale del Cristo. Egli sostiene che la Chiesa esiste in quanto ‘testimonianza’ del Vangelo e perciò compie tutti i suoi gesti (annuncio, sacramenti, carità) lasciandosi plasmare dalla forza viva della Parola di Dio con cui si costituisce quale comunità di speranza e fraternità, vivendo la sua dimensione evangelizzatrice come esperienza costitutiva. Non è possibile la missionarietà della Chiesa senza un profondo e continuo “rinnovamento ecclesiale”.

Quale importanza occupa il dialogo ‘missionario’ nell’Enciclica?

“Con il pontificato di papa Paolo VI, il dialogo è diventato un asse portante del compito missionario della Chiesa e nell’enciclica ‘Ecclesiam suam’egli ha chiarito quanto siano necessarie un’autentica autocoscienza ecclesiale ed una conseguente riforma. Papa Paolo VI ha diviso i destinatari del dialogo missionario secondo la logica dei ‘cerchi concentrici’: a) tutti gli uomini di buona volontà; b) tutti gli uomini che adorano il Dio unico e sommo; c) tutti i cristiani delle altre confessioni. In sintesi si può ritenere che papa Montini ha adottato l’evangelizzazione come stile dell’identità della Chiesa e il dialogo come stile della missione”.

A 60 anni di distanza quali sono i frutti di tale Enciclica?

“L’Enciclica ‘Ecclesiam suam’voleva approfondire la ‘coscienza’ della Chiesa, nell’ottica dell’aggiornamentoper intessere delle relazioni autentiche e significative con il mondo contemporaneo. Il testo, dopo 60 anni, riconsegna all’uomo contemporaneo ed all’attuale contesto sinodale l’immagine di una Chiesa alla continua scoperta di se stessa, legata a Cristo ed in continua riforma per aprirsi al dialogo con l’alterità.

Si può affermare, in sintesi, che la centralità di Cristo e l’annuncio del Vangelo possono essere considerate le uniche vie da seguire per un autentico cammino di conversione e rimangono, tuttora, due aspetti essenziali ed insuperati del Magistero montiniano. La testimonianza dell’enciclica ‘Ecclesiam suam’offre una visione ecclesiologica equilibrata che pone al centro l’essere e l’agire della Chiesa, cioè la sua identità e missione specifica”.

(Tratto da Aci Stampa)

XV Domenica Tempo Ordinario: la Chiesa cristiana è Chiesa missionaria!

Dopo l’accoglienza ostile di Nazareth, Gesù riprende il suo ministero itinerante invitando i Discepoli a collaborare. Il brano del vangelo ci fa rivivere la prima esperienza di apostolato: Gesù invia i suoi discepoli a due a due, secondo l’uso ebraico. Sino ad ora i discepoli sono stati sempre con Gesù, ascoltatori assidui; ora devono lanciarsi da soli sul cammino del vangelo. E’ la prima esperienza della Chiesa missionaria: il Vangelo narra il momento in cui Gesù invia i dodici in missione: è una sorta di tirocinio di quella missione che poi saranno  chiamati a svolgere dopo la sua risurrezione.

Il brano si sofferma sullo stile che dovrà contraddistinguere il vero missionario, che possiamo sintetizzarlo in due punti: a) il centro di riferimento è sempre Cristo Gesù, il Salvatore; b) la missione degli apostoli ha poi un volto: la povertà dei mezzi: gli apostoli di Gesù non sono uomini qualificati  per cultura, nè funzionari affermati o imprenditori ma gente semplici che conosce solo il lavoro per vivere; l’apostolo è chiamato a diffondere il messaggio di Cristo con la parole e la testimonianza di vita, sarà Dio ad operare la conversione.

Questa è la missione propria della Chiesa alla quale Gesù affida il compito di andare in tutto il mondo per predicare il Vangelo: non preoccupatevi di quello che dovete mangiare o bere o come vestirvi. Ogni discepolo di Cristo deve essere un missionario, un apostolo; è chiamato a diffondere la Parola di Cristo che è Via, Verità e Vita; a chi ha fede è assicurata la vita eterna.

L’azione missionaria non è un tentativo di imporre agli altri le proprie convinzioni o scelte di vita ma di annunciare il messaggio di Cristo che invita alla conversione, ci rivela la verità di Dio, l’amore misericordioso del Padre, l’opera di salvezza operata da Cristo Gesù, unico mediatore che ha dato la sua vita in riscatto per tutti.

Il Vangelo deve essere offerto e non imposto: Esso è potenza divina per la salvezza (Rom. 1, 6); non si può pertanto presentare con i criteri della pubblicità; esso è un messaggio di liberazione e deve raggiungere la profondità dello spirito. Bisogna predicare non per piacere agli uomini ma solo a Dio, che scruta i cuori degli uomini. Chi opera la conversione è sempre e solo Dio. Compito del cristiano è seminare, spargere il buon seme della parola di Dio e testimoniarlo con la propria vita.

Da questo seme si sviluppano poi  le comunità cristiane che vengono aggregate alla Chiesa di Cristo. Il sacramento del Battesimo è la porta che inserisce l’uomo nella Chiesa ed ogni battezzato riceve nutrimento dalla parola di Dio e dal Pane dell’Eucaristia. Scopo e fine dell’attività missionaria rimane sempre quello di promuovere la dignità della persona umana elevata da Gesù con il Battesimo a ‘Figlio di Dio’ e ad invocare Dio: ‘Padre nostro che sei nei cieli’, Gesù inviando i suoi discepoli a due a due fa loro sperimentare la missione di evangelizzatori, carisma che si esercita grazie all’azione dello Spirito santo.

Questa azione missionaria poggia su due pilastri: la preghiera e il sacrificio perché il missionario deve essere uomo di fede e chiamato a vivere e a diffondere l’amore verso Dio e i fratelli. Da qui i martiri della fede: sacerdoti e laici coraggiosamente morti sul campo per diffondere con coraggio e amore il messaggio cristiano. Questa stessa missione è affidata  anche alla famiglia cristiana, vera chiesa domestica,  sempre soggetto ed oggetto di evangelizzazione.

Tutti siamo chiamati in sintesi a mettere a fuoco i talenti e i carismi ricevuti dalla Spirito santo. Questo, amici carissimi, è il Regno di Dio sulla terra che ci avvia verso il Regno di Dio nel cielo. Maria Santissima, la prima missionaria del Regno dei cieli, madre di Gesù e nostra, ci aiuti a diffondere con gioia e ovunque il messaggio di amore di Cristo Gesù.

Percorso a tappe sul libro ‘L’arte di rovinare i matrimoni’. Parte 2: servire

Ho scritto un romanzo sulle tentazioni nel matrimonio (“L’arte di rovinare i matrimoni. La missione di un giovane apprendista diavolo”, Mimep Docete, 2023) con l’idea di aiutare le coppie a comprendere la loro missione nel mondo: amarsi tra loro come Cristo ama e mettere le proprie energie a servizio del prossimo.

La prima vocazione di ogni donna e di ogni uomo è amare. Non è avere, possedere, accumulare, fare viaggi, divertirsi, accumulare, essere apprezzati. La cosa che più ci rende felici (e chi lo ha sperimentato lo sa!) è donarsi, portare frutto, cambiare in meglio la vita altrui.

Dare la vita non significa gettarla via, svenderla, ma mettere a disposizione tempo ed energie in qualcosa che edifichi l’altro e al contempo se stessi. Chi sa quanto vale ogni singola persona, ogni singola storia, ogni giornata che si ha a disposizione, sa che solo l’amore appaga davvero, riempie, resuscita.

Spesso siamo tentati di credere che, quando ci si innamora, ci si fidanza, ci si sposa sia sufficiente rivolgersi alla coppia per appagare il proprio desiderio di amore (Della serie, “Due cuori, una capanna”).

Quante relazioni chiuse in sé stesse, quante coppie incapaci di aprirsi, insieme, agi altri. Relazioni tossiche, che creano dipendenza, ma che del vero dono di sé non hanno nulla. E quante, invece, trovano la pienezza mettendo insieme risorse e capacità per trasformare in meglio un pezzetto di mondo loro affidato.

Il matrimonio cristiano è un ministero e l’amore che gli sposi sperimentano è fecondo (o è fecondo o è tossico: non esistono mezze misure!), nel senso che genera vita all’interno del matrimonio, con i figli (se arrivano o vengono adottati) ma anche all’esterno, nella comunità dove la famiglia vive.  

Se una famiglia si apre, sperimenta l’accoglienza, la fraternità, la solidarietà è molto più robusta. Se un coniuge è propenso, come persona, a donare la sua vita nel mondo è molto più probabile che sia capace di donare la vita all’interno del matrimonio.

Luca e Chiara, protagonisti del libro “L’arte di rovinare i matrimoni. La missione di un giovane apprendista diavolo” (Mimep Docete, 2023) si sono conosciuti facendo volontariato insieme e hanno vissuto un’esperienza di servizio arricchente per loro e per altri in Africa.

Questi due sposi non si sono innamorati solo di “come l’altro era con loro”, ma ancor prima di “come l’altro agiva nel mondo”. Questo amore, concreto, solido, riconosciuto nella persona di Cristo è stato il pilastro, l’anello di congiunzione, il principio e la meta anche della loro vita a due.

Come vedremo, non è sufficiente mettere alla base di un rapporto l’apertura verso il mondo, nel loro caso la missione evangelica, perché anche le coppie salde e radicate possono essere tentate e cadere, quando sopraggiunge la fatica e la crisi.

Però, alla base dell’amore sponsale, in una coppia cristiana, non può mancare la tensione al servizio. È Gesù che lo dice, risultando non particolarmente politicamente corretto: “Chi vuol essere il più grande, sia servo di tutti”.

Luca e Chiara, proprio nel momento della prova, della fatica, della tentazione più grande scopriranno che le relazioni seminate e coltivate nel tempo sono il mezzo con cui Dio ci dona la sua salvezza quando siamo noi a cadere.

Nel momento in cui rischiano di perdere sé stessi, sono gli altri, coloro a cui hanno donato tanto, ad aiutarli a ritrovarsi, come singole persone e come coppia. Ama e troverai amore. Questo è il messaggio del libro, ma continueremo a parlarne nei prossimi articoli…

Papa Francesco: lo Spirito Santo guida il popolo di Dio

“Il mio pensiero va alla martoriata Ucraina. L’altro giorno ho ricevuto bambini e bambine che hanno sofferto bruciature, hanno perso le gambe nella guerra: la guerra sempre è una crudeltà. Questi bambini e bambine devono incominciare a camminare, a muoversi con braccia artificiali … hanno perso il sorriso. E’ molto brutto, molto triste quando un bambino perde il sorriso. Preghiamo per i bambini ucraini. E non dimentichiamo Palestina, Israele che soffrono tanto: che finisca la guerra. E non dimentichiamo il Myanmar, e tanti Paesi che sono in guerra. I bambini soffrono, i bambini nella guerra soffrono. Preghiamo il Signore perché sia vicino a tutti e ci dia la grazia della pace”:

al termine dell’udienza generale in piazza san Pietro papa Francesco è tornato ad invocare la pace mel mondo, specialmente in Ucraina ed in Terra Santa, senza dimenticare il Myanmar e gli altri Stati in guerra, mentre in precedenza aveva ricordato san Paolo VI nella sua memoria liturgica con l’invito a leggere l’esortazione apostolica ‘Evangelii Nuntiandi’:

“Oggi celebriamo la memoria liturgica di San Paolo VI, pastore ardente di amore per Cristo, per la Chiesa e per l’umanità. Tale ricorrenza aiuti tutti a riscoprire la gioia di essere cristiani, suscitando un rinnovato impegno nella costruzione della civiltà dell’amore. E mi raccomando, per favore, se avete un po’ di tempo, leggete la lettera di Paolo VI ‘Evangelii Nuntiandi’ che è ancora attuale”.

Inoltre, salutando i fedeli polacchi, ha definito il card. Wyszyński ‘primate del millennio’: “Un pensiero speciale rivolgo ai pellegrini riuniti a Roma nel ricordo orante del beato card. Stefan Wyszyński. Il Primate del Millennio sia per la Chiesa in Polonia e nel mondo un modello di fedeltà a Cristo e alla Madonna. Impariamo da lui la generosità nel rispondere alle povertà del nostro tempo, comprese quelle causate dalla guerra in tanti Paesi, specialmente in Ucraina”.

In precedenza, durante l’udienza generale, papa Francesco aveva dato inizio ad un nuovo ciclo di catechesi dedicato al tema: ‘Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza’, iniziando dall’Antico Testamento, che non è ‘archeologia biblica’: “Faremo questo cammino attraversando le tre grandi tappe della storia della salvezza: l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento e il tempo della Chiesa. Sempre tenendo lo sguardo fisso su Gesù, che è la nostra speranza.

In queste prime catechesi sullo Spirito nell’Antico Testamento non faremo ‘archeologia biblica’. Scopriremo invece che quanto è donato come promessa nell’Antico Testamento si è realizzato pienamente in Cristo. Sarà come seguire il cammino del sole dall’alba verso il meriggio”.

Quindi ha iniziato la catechesi spiegando i primi due versetti della Bibbia, che racconta dell’armonia del creato grazie allo Spirito Santo: “Lo Spirito di Dio ci appare come la potenza misteriosa che fa passare il mondo dal suo iniziale stato informe, deserto e tenebroso, al suo stato ordinato e armonioso. Perché lo Spirito fa l’armonia, l’armonia nella vita, l’armonia nel mondo.

In altre parole, è Colui che fa passare dal caos al cosmo, cioè dalla confusione a qualcosa di bello e di ordinato. E’ questo, infatti, il significato della parola greca kosmos, come pure della parola latina mundus, cioè qualcosa di bello, di ordinato, pulito, armonico, perché lo Spirito è l’armonia”.

Mentre nell’Antico Testamento l’azione dello Spirito Santo è solo ‘accennato’, nel Nuovo Testamento la sua azione è molto chiara: “Questa linea di sviluppo diventa chiarissima nel Nuovo Testamento, che descrive l’intervento dello Spirito Santo nella nuova creazione, servendosi proprio delle immagini che si leggono a proposito dell’origine del mondo: la colomba che nel battesimo di Gesù aleggia sulle acque del Giordano; Gesù che, nel Cenacolo, soffia sui discepoli e dice: ‘Ricevete lo Spirito Santo’, come all’inizio Dio aveva alitato il suo soffio su Adamo”.

Ed anche san Paolo parla del rapporto tra lo Spirito Santo ed il creato: “Parla di un universo che ‘geme e soffre come nelle doglie del parto’. Soffre a causa dell’uomo che lo ha sottoposto alla ‘schiavitù della corruzione’. E’ una realtà che ci riguarda da vicino e drammaticamente. L’Apostolo vede la causa della sofferenza del creato nella corruzione e nel peccato dell’umanità che lo ha trascinato nella sua alienazione da Dio. Questo resta vero oggi come allora. Vediamo lo scempio che del creato ha fatto e continua a fare l’umanità, soprattutto quella parte di essa che ha maggiori capacità di sfruttamento delle sue risorse”.

Infine, citando il ‘Cantico delle Creature’ di san Francesco il papa ha sottolineato che lo Spirito Santo opera per trasformare ‘il caos in cosmo’ nelle persone: “Intorno a noi possiamo dire che c’è un caos esterno, un caos sociale, un caos politico: pensiamo alle guerre, pensiamo a tanti bambini e bambine che non hanno da mangiare, a tante ingiustizie sociali, questo è il caos esterno.

Ma c’è anche un caos interno: interno ad ognuno di noi. Non si può sanare il primo, se non si comincia a risanare il secondo! Fratelli e sorelle, facciamo un bel lavoro per fare della nostra confusione interiore una chiarezza dello Spirito Santo: è la potenza di Dio che fa questo, e noi apriamo il cuore perché Lui possa farlo… Chiediamo allo Spirito Santo che venga a noi e ci faccia persone nuove, con la novità dello Spirito”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: la preghiera trasforma i fatti

“Oggi la nostra umanità e la Terra, la nostra casa comune, sono davvero ferite! Tante guerre, tante persone che hanno perso tutto, costrette a fuggire. Tanti bambini colpiti dalla violenza”: lo ha detto stamane papa Francesco, ricevendo una delegazione di Monaci Buddisti del ‘Wat Phra Chetuphon’, provenienti dalla Thailandia nel ricordo del Settimo Colloquio buddista-cristiano tenutosi in Thailandia lo scorso novembre, che ha riunito più di 150 partecipanti provenienti da varie parti dell’Asia, per riflettere sul tema ‘Karuna e Agape in dialogo per guarire un’umanità ferita e la Terra’.

Nel discorso il papa si è soffermato sull’esigenza di educazione alla pace: “Durante il Colloquio, avete sottolineato tre punti fondamentali che vorrei ricordare: in primo luogo, avete detto che ‘nessuno si salva da solo; possiamo essere salvati solo insieme, poiché siamo interconnessi e interdipendenti’. Alla luce di questa verità, vi esorto a collaborare con tutti: società civile, membri di altre religioni, governi, organizzazioni internazionali, comunità accademiche e scientifiche e tutte le altre parti interessate a promuovere un’amicizia che sostenga la pace e la fraternità e costruisca un mondo più inclusivo”.

Tale educazione può avvenire anche attraverso la preghiera: “In secondo luogo, avete sottolineato l’importanza di educare ogni persona, specialmente i giovani e i bambini, a rapporti di cura e attenzione verso gli altri e l’ambiente. Infine, avete affermato che ‘crediamo che la preghiera e la meditazione possano capovolgere le cose, purificando i nostri cuori e le nostre menti; generando amorevolezza, misericordia e perdono dove ci sono odio e vendetta, creando uno spirito di rispetto e cura per gli altri e per la terra’. Sono molto contento del fatto che domani pregherete per la pace nella Basilica di Santa Maria in Trastevere”.

Inoltre ha recapitato un messaggio all’Inviato speciale alla Celebrazione del V Congresso Eucaristico Nazionale in Portogallo, card. José Tolentino de Mendonça, con una riflessione sull’Eucarestia: “Colui che è donato al genere umano presso la sacra mensa della cena non viene oscurato, perché sotto diverse apparenze, solo nei segni e non nelle cose, si nasconde il supremo stesso ed, a chi sotto nel sacramento è rimasta la meravigliosa memoria della passione del Signore, facciamo sentire in noi il frutto della redenzione”.

(Foto: Santa Sede)

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