Bussole per la fede

Le Chiese pregano per la pace nel mondo

“Fratelli e sorelle, riprendiamo questo cammino ecclesiale con uno sguardo rivolto al mondo, perché la comunità cristiana è sempre a servizio dell’umanità, per annunciare a tutti la gioia del Vangelo. Ce n’è bisogno, soprattutto in quest’ora drammatica della nostra storia, mentre i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e Nazioni. Per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione. E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo. Camminiamo insieme. Mettiamoci in ascolto del Signore. E lasciamoci condurre dalla brezza dello Spirito”.

Così papa Francesco ha concluso l’omelia della celebrazione eucaristica nella festività degli Angeli custodi, che ha aperto il Sinodo dei vescovi, con cui oggi pomeriggio si reca nella basilica di Santa Maria Maggiore per pregare per la pace nel mondo, chiedendo a tutti i padri sinodali di partecipare, a cui si è unita la presidenza della CEI con l’invito a tutte le diocesi italiane ad unirsi alla preghiera del Rosario di domenica 6 ottobre ed a vivere la giornata di preghiera e di digiuno del 7 ottobre:

“Ogni giorno aumentano i pezzi di questa guerra mondiale che si abbatte su diversi popoli e numerosi luoghi, spesso dimenticati. Non dobbiamo stancarci di chiedere che tacciano le armi, di pregare perché l’odio faccia spazio all’amore, la discordia all’unione. E’ tempo di fermare la follia della guerra: ognuno è chiamato a fare la propria parte, ognuno sia artigiano di pace”.

Per tale momento l’Ufficio Liturgico Nazionale della Cei ha preparato il sussidio per l’animazione liturgica e per la recita del Rosario:. “Sentiamo il peso degli orrori della guerra e delle campagne di odio che lacerano la convivenza umana in tante regioni del mondo. Con piena fiducia  e filiale abbandono volgiamo lo sguardo verso Maria, la Madre del Principe della Pace, perché accolga il nostro anelito di pace!” Con tali intenzioni la Chiesa pregherà per la pace nel mondo:

“Si spengano i fuochi di guerra che sconvolgono popoli e nazioni e si rinnovi in tutti la consapevolezza di una fraternità universale… per tutti i popoli oppressi dalla guerra: non perdano la speranza di un futuro di pace e con l’aiuto della diplomazia internazionale vedano sorgere nuove vie di dialogo… per i governanti: non cedano alla tentazione della violenza e della sopraffazione, ma perseguano scelte per custodire la pace e far crescere il bene comune”.

A Milano domani alle ore 13.00 è previsto un incontro di preghiera n incontro di preghiera dei dipendenti della diocesi ambrosiana e di Caritas Ambrosiana in arcivescovado, come ha sottolineato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana: “Ad un anno dagli atti terroristici che hanno dato inizio alla nuova, crudele guerra in Medio Oriente, Caritas Ambrosiana e l’intera rete Caritas sentono il dovere non solo di ribadire vicinanza spirituale e umana a tutte le popolazioni che sono vittime di tanta insensata violenza, ma anche di confermare e moltiplicare l’impegno ad aiutare feriti, sfollati, vulnerabili.

Ed a sostenere, con l’ostinazione della fede e della speranza, ogni esperienza di dialogo, di convivenza, di riconciliazione, anche la più piccola e apparentemente fragile, che fiorisce sui terreni accidentati dei conflitti contemporanei”.

La guerra in Medio Oriente, riaccesasi un anno fa in Israele e a Gaza, estesasi alla Cisgiordania, ora dilagata in Libano (con ramificazioni in Siria, Iran, Yemen e, si teme, Iran), mescola le ragioni ed i torti delle leadership politiche e militari dell’area, uccidendo la popolazione con decine di migliaia di morti innocenti e danni umanitari e infrastrutturali di proporzioni immani.

Inoltre in occasione del Capodanno ebraico, celebra tossi lo scorso 3 ottobre mons. Mario Delpini ha inviato al rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib, un messaggio di augurio: “La situazione che stiamo vivendo domanda una partecipazione ancora più intensa. Il 7 ottobre, pochi giorni dopo la solenne ricorrenza, cadrà infatti il primo anniversario degli attentati terroristici che hanno sconvolto e segnato la vita di tante famiglie israeliane, innescando un conflitto che ancora non si spegne, e che anzi sembra ingrandirsi sempre più”.

Nel messaggio l’arcivescovo aveva sottolineato il precipitare della situazione mondiale: “Il clima che si respira a livello mondiale sembra avere cancellato parole come pace, fraternità, fiducia, vita insieme. Anche la parola ‘Dio’ fatica ad essere ascoltata. Con animo profondamente turbato, ci sentiamo immersi dentro un pellegrinaggio verso gli abissi del male, dell’odio, dell’ingiustizia.

Avvertiamo di doverci appoggiare con forza alla nostra fede per non essere vinti dalla paura e dallo sdegno e per trovare, nonostante tutto, una via di speranza… Assicuro il deciso sostegno della Chiesa Ambrosiana perché siano contrastati gli episodi di odio e le insorgenze di pregiudizi e accuse che pensavamo ormai consegnati alla storia”.

Anche il vescovo di Arezzo – Cortona – Sansepolcro, mons. Andrea Migliavacca ha indetto una giornata di preghiera e digiuno, in contemporanea alla Chiesa che è in Gerusalemme: “E’ importante e necessaria la preghiera di fronte all’insensatezza e violenza della guerra venga celebrata con l’intenzione ‘per la pace e la giustizia’, affinché si fermino le ostilità in tutto il mondo, con un pensiero per l’Ucraina ed in particolare per tutto il Medio Oriente. Ogni parrocchia inoltre, è libera di promuovere ulteriori momenti di preghiera e riflessione, come per esempio il Rosario per la pace, secondo le proprie possibilità.

Tutti i fedeli sono invitati dunque a partecipare all’iniziativa del 7 ottobre nella propria parrocchia, un’occasione per pregare anche per il viaggio che i vescovi toscani, insieme anche ad alcuni giovani, faranno (a Dio piacendo) in Terra Santa dal 14 al 17 ottobre come segno di vicinanza ai cristiani che vivono nella terra di Gesù e come appello per la pace”.

(Foto: Cei)

Mons. Raspanti: san Francesco segno di Cristo

Nel giorno del Transito di san Francesco, ha avuto ufficialmente inizio ‘La Sicilia ad Assisi’, le iniziative legate ai festeggiamenti in onore del Santo assisate che hanno invitato in Umbria oltre 5.000 pellegrini dalla Sicilia, ai quali si aggiungono molti che hanno raggiunto Assisi in autonomia o, comunque, senza una organizzazione legata alle diocesi.

Ad Assisi, già dalla mattinata del 3 ottobre, il Custode della Porziuncola, fr. Massimo Travascio, ha accolto gli ospiti nel Refettorietto del Convento di Santa Maria degli Angeli, che ha  rivolto un messaggio di benvenuto a tutti i convenuti nella sala e alle autorità presenti; la concelebrazione eucaristica è stata officiata da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, rievocando le parole di Thomas Merton:

“Siamo in questa basilica, pellegrini di quell’immagine di Cristo povera e umile che è Francesco, perché vogliamo seguirne le orme, che con sicurezza ci rendono veri discepoli del divino Maestro. Venuti dalla Sicilia, siamo una porzione di Italiani che cerca in questo Frate del Medioevo un sicuro orientamento per il proprio cammino lungo una strada che appare piena di insidie.

L’olio che portiamo in dono raffigura noi stessi perché esprime il nostro desiderio di rimanere vicini a lui nelle sue spoglie mortali, qui custodite, per attingere alla sua ispirazione spirituale, conservata dai Frati, e non smarrire la giusta direzione”.

Riprendendo la lettera di san Paolo ai Galati mons. Raspanti ha affermato che san Francesco ha ricevuto il ‘segno’ di Cristo: “Questo segno fu concesso anche a Francesco ottocento anni fa, nel settembre 1224, quando ‘nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno’, secondo la descrizione di Dante nella Commedia.

Così fu noto a tutti quanto egli fosse intimamente unito al Signore, il quale lo rendeva partecipe della propria dona zione amorosa per l’umanità e sigillava la missione di Francesco di ricostruire la sua Sposa, la Chiesa”.

Per questo san Francesco è patrono d’Italia: “I Padri della Repubblica, di tradizioni culturali e fedi diverse, i governanti e il popolo italiano hanno ben colto il nocciolo di questo messaggio, accogliendo Francesco quale patrono d’Italia dichiarato tale da papa Pio XII. Noi italiani tutti desideriamo così attingere alla sorgente della pace e della concordia per berne direttamente e diffonderla.

Siamo consapevoli di non essere qui dinanzi a valori, per quanto alti e preziosi, come la concordia e la fraternità, ma siamo dinanzi alle spoglie di un uomo con un vissuto che lo rende eccellente testimone e profeta che indica la sicura via della pace”.

E’ stato un invito al rinnovamento interiore: “Forse potremmo rischiare di dire che non riusciamo nell’odierna convivenza sociale ad accogliere il migrante, a frenare la violenza, a curare i deboli e i poveri, a respingere il malaffare proprio perché non riusciamo a raggiungere la sorgente dei valori, cioè il perdono e la riconciliazione, l’umiltà e la mitezza.

Se il risanamento non accade nel profondo delle radici, non vedremo mai i frutti dell’albero. Cristo crocifisso e Francesco, piccolo e stigmatizzato, hanno raggiunto il fondo risanando e inaugurando la nuova creazione”.

Mentre nei Primi Vespri del Transito di san Francesco mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e vicepresidente della Conferenza Episcopale Siciliana, aveva sottolineato la ‘spoliazione’ del Santo: “Nelle prime due spoliazioni Francesco sveste il suo corpo delle vesti, rimanendo nudo, ma nell’ultima (con il sopraggiungere di ‘sorella morte’) si spoglia anche di ‘fratello corpo’ nudo… Per essere restituiti alla terra e all’abbraccio paterno e fraterno originario. La morte segna la totale consegna del suo corpo a Dio e ai fratelli”.

Tale Transito è un ammonimento a vivere ‘bene’ la morte, che conduce alla Vita: “La memoria del transito di Francesco, ci ridesta al nostro essere creature mortali, figli e fratelli/sorelle: creature, non Creatore, mortali non eterni; figli amati, non schiavi; fratelli/sorelle, non nemici catapultati nel mondo campo di battaglia. Fratelli e sorelle dell’unico Padre che ci affida la Terra come ‘Casa comune’ fraterna fragrante d’amore e di pace, come ‘Giardino fecondo’ con al centro l’albero sempreverde della Vita… Fatti di terra, per ritornare in nuda terra, per essere plasmati dalle mani di Dio cittadini della nuova Creazione, della Casa comune trasfigurata. Anche noi, come Francesco, con Francesco”.

Quindi tale Transito è un momento particolare per la conversione di molti: “Su quanti oggi hanno dimenticato di essere creature mortali e seminano nella Casa comune guerre, divisione, odio, parole aggressive, distruzione e morte violenta, soprattutto dei piccoli e degli inermi, la memoria del luminoso Transito di Francesco, Fratello universale, verace testimone di Cristo e di un cammino di piena e autentica umanità, sia audace segno profetico di conversione di mentalità e di cambiamento di rotta per il bene dell’umanità, per il bene della Casa-Terra”.

In occasione della festa del Transito è stato consegnato il riconoscimento di ‘Frate Jacopa, Rosa d’argento 2024’ a suor Alfonsina Fileti: questo premio non è solo un segno di stima per il servizio svolto da suor Alfonsina a favore delle famiglie in difficoltà, dei minori a rischio e delle donne vittime di violenza domestica, ma è anche un richiamo al ruolo importante che la Chiesa e le comunità locali svolgono nel sostenere i più vulnerabili.

(Foto: Conferenza Episcopale Siciliana)

Giornata del Migrante: Dio si fa migrante

“L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di riscoprire la propria natura itinerante, di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo ‘migrante’ verso il Regno dei cieli (‘Lumen gentium’, 49). Viene spontaneo il riferimento alla narrazione biblica dell’Esodo, che presenta il popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa: un lungo viaggio dalla schiavitù alla libertà che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore. Allo stesso modo, è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna”.

Attingendo dalla parte iniziale del messaggio (‘Dio cammina con il suo popolo’) di papa Francesco per la 110^ Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 29 settembre, abbiamo domandato al missionario scalabriniano e presidente dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS), prof. Gioacchino Campese, docente  di ‘Teologia della mobilità umana’ alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, di narrarci il motivo per cui Dio cammina con il suo popolo:

“ Il messaggio della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno è fondamentale, perché affermando che ‘Dio cammina con il suo popolo’ ci parla della natura stessa di Dio. Dio cammina con l’umanità migrante, Dio si fa migrante, perché Dio è amore, bontà e compassione infinite e quindi accompagnare il suo popolo non è altro che l’espressione della sua stessa natura. Il messaggio di papa Francesco cita diversi passaggi biblici che spiegano che Dio non abbandona mai l’umanità e, in particolare, non fa mai mancare la sua protezione e grazia alle persone più vulnerabili, al punto da identificarsi con queste persone come il brano di Matteo (‘Giudizio universale’: 25, 31-46) illustra chiaramente. La sua presenza con e nel suo popolo migrante è semplicemente una costante della rivelazione biblica”.

Per quale motivo i migranti possono un ‘segno dei tempi’?

“I migranti e i rifugiati sono sempre stati un segno dei tempi. In altre parole, i migranti e i rifugiati non sono solo un segno dei ‘nostri’ tempi, ma un segno di ‘tutti’ i tempi, un segno di una delle costanti antropologiche dell’umanità, cioè le migrazioni, la mobilità umana. Qui è bene citare san Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905) il quale alla fine del XIX secolo affermava che ‘L’emigrazione…è legge di natura. Il mondo fisico come il mondo umano soggiacciono a questa forza arcana che agita e mescola, senza distruggere, gli elementi della vita…’. I migranti sono un segno dei tempi perché ci ricordano l’essenza migrante del cosmo e dell’essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio. I migranti sono un segno dei tempi perché rappresentano l’abbondante e preziosa diversità con la quale Dio vuole arricchire l’esistenza e l’esperienza di ogni persona”. 

In quale modo i migranti aprono all’incontro con Dio?

“Incontrare i migranti e i rifugiati vuol dire incontrare persone che rappresentano con la loro esistenza una delle dimensioni principali della natura umana e, di conseguenza, ci rimandano al Dio creatore, al Dio migrante; al Dio che ha creato il cosmo e l’umanità nella sua incredibilmente ricca diversità; al Dio che bussa alla nostra porta nei migranti e rifugiati per chiedere accoglienza, comprensione, compagnia, comunità; al Dio che ci ricorda che siamo e dobbiamo vivere come un’unica famiglia umana”.

Fino a quale punto il Giudizio finale narrato nel Vangelo di Matteo è punto importante per i cristiani?

“Il racconto del giudizio universale in Matteo 25 non è solo importante, ma fondamentale per tutti i cristiani. E’ uno dei brani evangelici che meglio descrive chi è il Dio di Gesù Cristo il quale, come osserva giustamente papa Francesco nel suo messaggio, continua ad incarnarsi nelle persone più vulnerabili, tra i quali ci sono anche i migranti e i rifugiati; allo stesso tempo questo passaggio esprime palesemente una delle sfide essenziali per la vita dei cristiani: riconoscere nelle persone vulnerabili (i migranti, i carcerati, gli affamati, gli ammalati…) la sua presenza e rispondere agendo di conseguenza a seconda delle loro necessità. E’ in questo incontro che sfida le nostre paure, pregiudizi, egoismi, e pigrizie, che avviene la salvezza, come Matteo 25 afferma senza mezzi termini”.

In quale modo la Chiesa può fare sinodo con il migrante?

“Un sinodo senza i migranti non può chiamarsi sinodo, perché se sinodo vuol dire camminare insieme come chiesa, l’assenza dei migranti ridurrebbe questo evento ad una semplice assemblea tra persone che credono di avere un certificato di appartenenza esclusiva alla chiesa. Purtroppo, spesso i migranti e i rifugiati cattolici e cristiani si sentono esclusi dalla chiesa perché parlano una lingua differente, perché hanno usi e costumi culturali differenti, perché pregano e celebrano in modo differente.

Non bisogna dimenticare un elemento essenziale in questo discorso, elemento che spesso viene dimenticato: la chiesa deve e può fare sinodo con i migranti e i rifugiati prima di tutto perché essi sono la chiesa e la provocano continuamente ad essere veramente cattolica, cioè una chiesa formata da tutti i popoli della terra; e anche quando non sono cristiani essi richiamano la chiesa ad essere fedele alla sua vocazione fondamentale: essere il ‘segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’, secondo la Costituzione dogmatica sulla Chiesa ‘Lumen gentium’ n. 1.. E’ la sfida della fraternità universale nella quale la chiesa deve essere sempre in prima linea”.

Quali sono gli ambiti di intervento di ASCS?

“La filosofia di intervento dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS) si manifesta nell’atteggiamento e la pratica di ‘essere con’ i migranti, i rifugiati, e le comunità locali in Italia e nel mondo. L’ASCS si ispira al carisma di san Giovanni Battista Scalabrini, uno dei pionieri della pastorale con i migranti nella chiesa cattolica, e ai quattro verbi che papa Francesco ha proposto a tutta la chiesa come i pilastri di una pastorale integrale con i migranti e i rifugiati: accogliere, proteggere, promuove e integrare. Sulla scia di queste ispirazioni le tre aree di intervento principali dell’ASCS sono: accoglienza integrale, animazione interculturale e cooperazione allo sviluppo. Per ulteriori informazioni sulla visione, missione e attività dell’ASCS si può consultare il sito www.ascs.it”.

(Foto: ASCS)

Il card. Semeraro ha ricordato i martiri del Congo

Si celebrano quest’anno i 60 anni dall’uccisione di centinaia di religiosi e di migliaia di persone, dopo l’indipendenza della Repubblica democratica del Congo, provocati dalle tensioni politiche e sociali, da lotte di potere e conflitti tribali alimentati dall’Occidente, dall’Unione Sovietica e dalla Cina. E sabato 21 settembre a Parma il card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ha celebrato la messa di ringraziamento ricordando quell’avvenimento:

“Ero un giovane seminarista, quell’anno, e nel Seminario giungevano, lasciandoci addolorati, le notizie dei missionari che morivano nel Congo violentemente uccisi nel corso dei tragici eventi di quel Paese. Ho poi riletto, in vista di questo nostro incontro a più titoli ‘eucaristico’, le cronache quasi quotidiane de ‘L’Osservatore Romano’ di quei giorni e ho trovato scritto: ‘I nomi di questi caduti per Cristo rimarranno nella Chiesa e negli annali delle famiglie religiose e torneranno sulle labbra, nella preghiera e nei discorsi non per inveire ma per rianimare la carità’.

In quegli stessi giorni il papa Paolo VI consegnava al Primo Ministro congolese un messaggio dove sottolineava che quei missionari, religiosi e religiose, che avevano testimoniato con il sangue la loro fedeltà al Vangelo e il loro amore per la patria congolese, vi erano giunti solo per mettere le loro migliori energie al servizio della nuova nazione e certamente non desideravano altro che la sua prosperità e il suo sviluppo pacifico”.

Ed ha ricordato due elementi della liturgia: “Il primo è l’ufficiale riconoscimento della Chiesa del loro martirio, come disse papa Francesco dopo la preghiera dell’Angelus nello stesso giorno, ‘è stato il coronamento di una vita spesa per il Signore e per i fratelli’. L’altro scopo è onorare questi Beati riconoscendo attivo e presente in loro il mistero evangelico del granello di senape…

Nella beatificazione dei martiri Luigi Carrara e Giovanni Didonè, religiosi sacerdoti, e Vittorio Faccin, religioso professo, la famiglia saveriana troverà certamente impulso e motivi di fervore apostolico. A questi tre questi Beati, che hanno vissuto la loro vocazione missionaria con gioia ed entusiasmo apostolici, è associato il beato Alber Jovet, uno dei primi sacerdoti della regione congolese, anch’egli animato da profondo spirito missionario”.

Nel ricordare il viaggio apostolico del papa in Asia ed Oceania, il prefetto del dicastero delle cause dei santi ha parlato della gioia del Vangelo: “Cosa sia la gioia del Vangelo possiamo coglierlo nel racconto del vangelo che è stato proclamato e trovarlo particolarmente nel gesto di Gesù che, dopo avere chiamato Matteo alla sua sequela, lo vede prontamente alzarsi e seguirlo.

Narrando lo stesso episodio, gli altri due evangelisti, Marco e Luca, ci riferiscono che Matteo invitò Gesù a casa sua e con lui invitò pure i suoi amici, magari nella fiducia che anche loro sperimentassero la sua medesima chiamata. Si dà, dunque, inizio a un banchetto cui Gesù prende parte con gioia evidente ed espansiva, al punto da destare le critiche dei farisei: ‘mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori’. Com’è bella, com’è esemplare questa gioia di Gesù: è la gioia del Vangelo!”

La pagina evangelica è un invito per i missionari saveriani nel ricordo di mons. Biguzzi: “Voi, missionari saveriani, avete il dovere di evidenziare nella Chiesa certamente lo zelo, ma pure la gioia del vangelo. Mentre vi guardo, carissimi, sento il cuore riscaldarsi per la memoria di un vostro confratello, il vescovo Giorgio Biguzzi che, all’epoca del mio ministero episcopale nella Chiesa di Albano, ho più volte incontrato e per due volte ho visitato nella diocesi di Makeni, in Sierra Leone. E’ morto da poco ed io lo ricordo come un vescovo gioioso, che della gioia del vangelo è stato davvero un singolare testimone”.

(Foto: Savveriani)

Il card. Zuppi ai vescovi: guardare con la speranza di Abramo

Ieri il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha aperto i lavori del Consiglio Permanente della Cei che terminano mercoledì 25 settembre, affrontando molte tematiche, che hanno spaziato dal Giubileo al Sinodo dei Vescovi, dalla riforma della Cei all’emergenza educativa dei giovani, con un sentimento di vicinanza alle popolazioni della Romagna e delle Marche, colpite dall’alluvione di qualche giorno fa:

“Il nostro pensiero va a quanti sono stati colpiti dall’alluvione e dalle esondazioni in Emilia Romagna e nelle Marche. Ci stringiamo alle comunità locali che, a distanza di poco tempo, si trovano a vivere un altro dramma. Nelle parole dei nostri Fratelli Vescovi abbiamo ascoltato il grido di sofferenza delle persone ferite da questa nuova emergenza”.

Il presidente dei vescovi ha pregato ed ha ringraziato chi è impegnato in questa emergenza: “Preghiamo per quanti sono in angoscia, perché possano continuare a guardare con fiducia al domani, anche quando tutto sembra, ancora una volta, perduto. Insieme al ringraziamento alle Forze dell’Ordine, ai Vigili del Fuoco, alla Protezione Civile e ai volontari impegnati nei soccorsi alla popolazione, chiediamo alle Istituzioni di intervenire, con tempestività ed efficacia, a sostegno delle famiglie e del territorio che ha mostrato, di nuovo, tutta la sua fragilità: le accuse vicendevoli e i proclami lascino il posto a misure adeguate, scelte lungimiranti e azioni concrete”.

Il discorso introduttivo è stato uno sguardo al futuro: “E’ il valore di questi nostri appuntamenti, esercizio di responsabilità che personalmente sento come luogo decisivo di confronto fraterno, pensoso, collegiale. A molti, davanti al futuro, viene da abbassare lo sguardo, perché si presentano situazioni difficili, anzi inestricabili, tra cui tutte le guerre, come in Ucraina e in Terra Santa, delle quali portiamo nel cuore il dramma e il gemito della nuova creazione che solo la pace può permettere.

I nostri contemporanei scrutano inquieti il futuro e, senza speranza, si rifugiano facilmente nell’individualismo, non credono possibile un futuro migliore. Così abbassano lo sguardo per evitare di vedere. E’ un fenomeno di concentrazione su di sé e di estraniazione dai legami sociali”.

Un futuro che non può far a meno del presente, come Abramo: “Siamo chiamati al futuro. Non lo cerchiamo perché abbiamo accumulato garanzie sufficienti per il cammino o per la sicurezza che sarà senza problemi e fatiche. E’ sempre valido il monito di non prendere due tuniche, sapendo che non ci mancherà quanto ci servirà! Abramo si mette in cammino perché accoglie il Signore solo con un’indicazione e una promessa”.

Il futuro che Dio propone non è facile: “Il cammino dell’Amico di Dio non è rettilineo. C’è sofferenza, racchiusa nella drammatica domanda che sgorga dal cuore di Abramo di fronte alla promessa di Dio (‘la tua ricompensa sarà molto grande’). Abramo guarda la sua realtà e non può non esclamare: ‘Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco’.

E’ la domanda di molti (penso anche ai nostri sacerdoti e a quanti hanno a cuore le nostre comunità) di fronte ai frutti del loro servizio e alle difficoltà quotidiane: ‘Un mio domestico sarà mio erede’. Cioè la fatica a generare figli, che vuol dire futuro. La risposta di Dio ad Abramo angosciato, pur partito fiducioso e dopo aver tanto camminato, è la proposta di una visione… E’ il dono di una visione del futuro di un popolo numeroso come le stelle del cielo”.

Questa visione è propria dei martiri: “I martiri sono anche nostri contemporanei. Non hanno seguito l’idolatria dell’individualismo, del proprio io, del salvare sé stessi, delle ideologie totalitarie, pagane. L’8 agosto sono stato a Lucca per ricordare gli ottant’anni dell’uccisione di 28 sacerdoti e monaci per mano dei nazifascisti: colpiti in mezzo al popolo e per il popolo…

Così i martiri missionari per popoli lontani, che non conoscevano. Sono davvero semi di vita, testimonianza di speranza nel futuro. Mostrano che la Chiesa è comunità, famiglia di Dio, per cui vivere e dare la vita. Queste sono le vere radici delle nostre Chiese e ci indicano un atteggiamento forte, generoso, mite, per affrontare con fiducia le avversità.

Nella prolusione non è mancato un riferimento all’imminente viaggio papale in Lussemburgo ed in Belgio; “I viaggi del Papa ci spingono a mantenere uno sguardo ecclesiale anche al di là dei confini nazionali. In questi giorni si è parlato d’innovazione e d’investimenti per una economia europea moderna e sostenibile, con riferimenti anche al lavoro e alla demografia, lasciando intravvedere un nuovo ‘piano Marshall’, più ambizioso di quello del secondo Dopoguerra, rappresentando l’UE come destinata altrimenti a una lenta agonia. Nel frattempo, si sono definiti squadra e programma della nuova Commissione europea che, fra l’altro, prevede alcune nuove deleghe alla difesa, al Mediterraneo e alla questione abitativa. L’auspicio è che l’Europa resti fedele alla sua vocazione al dialogo e alla pace”.

E’ stato un invito a dare vita alla ‘Camaldoli per l’Europa: “Mentre si affrontano i problemi contingenti, mi piacerebbe che si aprisse una discussione più ampia: una ‘Camaldoli per l’Europa’ per parlare di democrazia ed Europa. Potrebbe essere anche l’occasione per riflettere sul contributo che oggi può provenire dai cattolici in primis, come anche dai cristiani di tutte le Confessioni, dai credenti delle diverse Comunità religiose oggi presenti in Europa, dagli umanisti che hanno a cuore la cultura del nostro Continente, per uno sviluppo di una coscienza comune, che allarghi i confini dei cuori e delle menti e non ceda al nichilismo della persona, con tutte le conseguenze che questo comporta, e a sovranismi egoistici. Un’Europa nel segno della ‘Fratelli tutti’, coesa e solidale al suo interno e aperta al mondo”.

Ecco una particolare attenzione all’emergenza educativa: “Come Chiesa ci sentiamo pienamente coinvolti e non smetteremo di mantenere alta l’attenzione, perché sono in gioco le persone, la loro realizzazione, la possibilità di vivere l’esistenza in pienezza… Sono necessari luoghi, fisici e non virtuali, in cui tornare a fare esperienza di gratuità e libertà personale e comunitaria. Penso, in modo particolare, al prezioso servizio degli Oratori, del dopo-scuola e di tante altre attività formative, che conservano intatta la loro attualità e chiedono un rilancio di progettualità e creatività”.

E’ stato un invito alle Istituzioni per un lavoro comunitario: “Dobbiamo lavorare, tutti insieme, per sradicare i semi dell’individualismo che soffoca la dimensione umana e disconosce la presenza degli altri. Non ci sono ricette facili, né risposte preconfezionate a buon mercato, ma non per questo dobbiamo cedere al pessimismo o al disfattismo che paralizza ogni tentativo di azione. L’orizzonte è quello della speranza, che non è un palliativo, una pacca sulle spalle, ma è consapevolezza che Dio illumina il cammino da compiere, perché Egli ama di amore eterno ed è sempre presente nella storia di ogni vivente. Non è ingenuità, è concretezza”.

Ed uno sguardo educativo è anche quello che guarda i poveri: “Nei percorsi educativi delle nostre comunità ed istituzioni il tratto distintivo deve essere la familiarità e il servizio ai poveri. Senza fare catechesi a nessuno, sono loro infatti a introdurre alle profondità della fede e dell’incontro con Gesù. Le nostre opere, iniziative, istituzioni, le nostre imprese in favore degli emarginati sono importanti. Ma tutte dovrebbero verificarsi nel confronto evangelico con la realtà del povero, dando valore al contatto personale con la sua persona. I poveri sono i fratelli più piccoli di Gesù, ma anche i nostri fratelli, i fratelli dei cristiani, segno eloquente della presenza del Signore”.

Don Giovanni Merlini sarà il primo Beato del Giubileo!

Il 23 maggio 2024 la Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato a tutto il mondo: “Il Sommo Pontefice Francesco, accogliendo e confermando i voti del Dicastero delle Cause dei Santi, ha dichiarato: consta il miracolo, compiuto da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Merlini” (cf. Decreto super Miro, DCS, 23 maggio 2024).

“Tale notizia è per ognuno di noi – affermano don Emanuele Lupi, Moderatore Generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue e sr. Nicla Spezzati, Adoratrice del Sangue di Cristo e Postulatrice della Causa – fonte di grande gioia e di sentimenti di profonda gratitudine a Dio per il dono della santità offerto alla sua Chiesa nella persona del nostro amato don Giovanni Merlini, Sacerdote e III Moderatore Generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, nato a Spoleto (PG) il 28 agosto 1795 e morto a Roma il 12 gennaio 1873.

Uomo di profondo discernimento e di sapienza, ha annunciato, come Missionario Apostolico, il Mistero della Redenzione a intere popolazioni nello Stato Pontificio e nel Regno di Napoli, favorendo i miseri e i reietti. Testimone vivo di tale Mistero al cuore della Chiesa, ha ricercato e vissuto nel quotidiano la volontà di Dio, assumento la pace significata dal Sangue di Cristo, come via regale alla santità, verbo e stile di vita. Fondata, giorno dopo giorno, nell’ascesi dell’habitare secum, nell’orazione, nel vincolo della carità fraterna – alimentato da una visione universale – la vita di Giovanni Merlini ha sapore di Vangelo”.

Dalla Segreteria di Stato del Vaticano è stata comunicata alla Postulazione la Nota (N. 644.680) in cui si afferma che: “Il Santo Padre Francesco ha concesso e disposto che il Rito della Beatificazione del Servo di Dio Venerabile Giovanni Merlini abbia luogo a Roma, il 12 gennaio 2025 alle ore 11:00, nell’Arcibasilica Papale San Giovanni in Laterano. Rappresentante del Sommo Pontefice sarà il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi”.

“Questo Evento di grazia – sottolineano il Moderatore Generale e la Postulatrice – posto all’inizio dell’Anno giubilare 2025, ci vedrà uniti nel santo pellegrinaggio da ogni parte del mondo. E’ un’azione ecclesiale che ha un particolare carattere liturgico, in quanto finalizzata alla lode di Dio, nella venerazione del suo Servo fedele, Giovanni Merlini. Come Famiglia del Sangue Preziosissimo di Cristo, con tutto il popolo di Dio, invochiamo lo Spirito Santo per percorrere la via sanguinis, ‘via nuova e vivente che Cristo ha inaugurato per noi per mantenere, senza vacillare, la professione della nostra speranza’ (cf. Eb 10,20.23)”.

Don Giovanni Merlini nasce a Spoleto (PG) il 28 agosto del 1795 da Luigi Merlini e Antonia Claudi Arcangeli. Dopo essere stato ordinato sacerdote per la diocesi di Spoleto, il 19 dicembre 1818, in occasione di un corso di esercizi spirituali presso l’Abbazia di San Felice, a Giano dell’Umbria (PG), conobbe nel 1820 San Gaspare del Bufalo, fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. L’incontro tra questi due giganti della fede cambierà le vite di entrambi. Gaspare diverrà per Giovanni padre e modello di ispirazione, tanto da convincerlo ad entrare nella Congregazione, il 15 agosto 1820, e a divenirne uno dei fiori all’occhiello.

Come nel carisma della Congregazione, don Giovanni non sarà solamente un intrepido annunciatore del Vangelo per mezzo delle missioni popolari, ma anche e soprattutto una eccellente guida spirituale. Non si può non ricordare la capacità straordinaria che ebbe di intenerire i cuori dei briganti nel basso Lazio, che a lui si rivolsero per chiedere grazia presso il Papa, nel lontano 1824. Tra i frutti più belli della sua sapiente guida risplende nella Chiesa Santa Maria De Mattias che, nel 1834, con il suo paterno aiuto, fonderà le Adoratrici del Sangue di Cristo.

Don Giovanni è stato un uomo dalle molteplici capacità e ha saputo intessere la sua vita a riflesso di quella di Cristo, incastonato, come una gemma preziosa, tra due grandi santi fondatori. Ma la sua peculiarità e quell’unicità che lo fecero brillare vennero fuori soprattutto dal 1847, quando succedette a San Gaspare del Bufalo come III Moderatore Generale della sua Congregazione.

Don Giovanni Merlini diede spazio, da quegli anni in poi, al genio che il Signore gli aveva donato per il bene del Regno di Dio. Seppe sognare in grande per entrambe le Congregazioni religiose, fino a spingersi ad aperture all’estero. Continuò ad essere ricercata ed illuminata guida di anime, tanto da divenire consigliere del Beato Pio IX, dal quale ottenne l’estensione della festa del Preziosissimo Sangue a tutta la Chiesa, con la bolla Redempti sumus del 10 agosto 1849.

Anni di lavoro e consiglio, di preghiera innamorata ma anche di spiccate qualità artistiche, gli guadagnarono il titolo di “santo dei crociferi”, dal nome della piazza in cui risiedeva allora la curia generalizia dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Ed è proprio da quella stessa casa, accanto alla fontana di Trevi in Roma, che don Giovanni volò al cielo il 12 gennaio del 1873, a seguito di un brutto incidente provocatogli da un anticlericale in carrozza.

Ed ancora oggi, da quella chiesa di Santa Maria in Trivio, dove è sepolto accanto al suo santo padre Gaspare del Bufalo, continua ad intercedere e ad essere invocato dai Missionari, dalle Adoratrici e da tanti fedeli, soprattutto giovani, che chiedono a lui consiglio e preghiera. Sembra davvero che la fila di gente fuori dal suo ufficio non si sia mai esaurita, e che lui continui ancora, ora come allora, ad aspettare tante anime da guidare ed accompagnare, e soprattutto a ricordarsi di loro alla presenza del Signore Gesù.

Mons. Sigalini: il virtuale complica le relazioni

“Tre sono le parole che vanno coniugate a riguardo della sessualità: sesso, erotismo e amore. Chiamiamo sesso tutto ciò che nella vita dell’uomo è impiantato per la riproduzione della specie, non è un prodotto culturale, ma naturale. Ha sue regole, la sua energia, la sua disponibilità molto superiore a quanto è necessario per la riproduzione. La natura non può correre rischi e non essere prodiga rispetto a questo compito.

L’erotismo è il piacere collegato alla esperienza della riproduzione, e la natura ha spinto l’ingegno umano a inventarlo; dà all’atto sessuale un valore aggiunto, al di là e al di fuori della sua funzione riproduttiva”: così scrive mons. Domenico Sigalini, presidente del Centro di orientamento pastorale (Cop), nella newsletter in quanto il sesso è collegato alla funzione riproduttiva.

Però si distingue da esso: “L’amore è la scelta di dono e di significato, di comprensione e di trasformazione, di vocazione e di motivazione che governa e il sesso e l’erotismo. E’ una sorta di sovrastruttura emotiva e intellettuale, che investe il sesso di numerosi nuovi significati. La storia del sesso è l’eterna lotta tra queste tre realtà, che tendono a prevalere o a scomparire a seconda della cultura, del potere, delle filosofie”.

Il problema è che l’erotismo è ‘slegato’ dal sesso e si trasforma in commercio: “Oggi la novità senza precedenti è che l’erotismo reclama la sua assoluta indipendenza dal sesso e dall’amore, dalla funzione riproduttiva e dal significato della decisione in cui si colloca. E’ unica e sufficiente ragione e scopo di sé stesso. La libertà di cercare il piacere sessuale fine a sé stesso, senza condizioni, senza legami o briglie, libero di contrarre e sciogliere qualsiasi rapporto di convenienza, è assurta a livello di norma culturale.

A questo punto, interviene il livello commerciale a fare la sua parte, ma lo scardinamento è avvenuto prima. Non è sufficiente scagliarsi contro l’uso commerciale dell’erotismo. Esso ha fatto e fa fortuna perché ha sfruttato senza scrupoli risorse già disponibili. E’ nella cultura dei significati e della loro unità dove dovrà essere riportata la corretta composizione della sfera sessuale della vita”.

E qui nasce un problema per il giovane, secondo mons. Sigalini: “Conseguenza per il mondo giovanile: si passa dal modello di uomo che è stato quello di sana costituzione a quello di uomo sempre in ‘forma fisica’. Il primo aveva una sua stabilità, il secondo crea continuamente ansia. Si deve motivare che significa essere antropologicamente maschio e femmina, omosessualità ed eterosessualità, nasce una necessità di comporre in sintesi nuove di significato la vita concreta delle relazioni”.

Un ‘problema’ che è anche relazionale: “Diventa obbligatorio pensare che ogni esperienza affettiva deve essere assolutamente legata alla sua espressione genitale, non solo sessuale. La prima preoccupazione di un legame affettivo soprattutto nella mentalità dell’adulto è quella della conclusione, del punto di arrivo. La conclusione non può essere che materiale, genitale, corporea, tanto che non permette nemmeno ai sentimenti di vivere la loro lenta ma necessaria evoluzione, pena il creare l’infelicità.

Di fronte a tutto questo, i giovani hanno una ribellione evidente; infatti, oggi si rendono conto che tutta la felicità promessa nella vita sessuale precoce è solo una sofferenza che scatta a orologeria e ha messo in atto una forma di difesa che è fatta dal ritorno a sentimenti tenui, al guardarsi negli occhi, a una sorta di manifesto controcorrente. Nel campo dell’affettività i giovani oggi vivono una sessualità senza tabù, ma con molte paure”.

Inoltre nell’adolescenza il ‘virtuale’ complica le relazioni: “Nel tempo dell’adolescenza cominciano le paure e le complicazioni, perché la virtualità non aiuta a costruire relazioni positive. La simulazione è un nuovo modo di provare a esserci, è provare con le immagini, con il virtuale, con la musica, i suoni, con l’interazione tra le fiction inventate ciò che vorresti fosse la realtà; metti quasi alla prova virtualmente le tue emozioni, le tue capacità, le tue paure, i tuoi progetti, i tuoi desideri, le tue idee”.

Inoltre il virtuale rischia di sostituire il sentimento: “Questo rischia di sostituire l’allenamento dei sentimenti e dei comportamenti, che non sono virtuali; appanna l’importanza del confronto a tu per tu con l’altro, che non è oggetto delle tue manipolazioni. Provo le mie capacità, i miei sentimenti con una Playstation o con una pagina web di intelligenza artificiale, con una canzone, con una e-mail o con una relazione viva con l’altro?

Mille telefonate e messaggi WhatsApp non valgono una stretta di mano, uno sguardo in diretta, una carezza, un bacio. Hanno bisogno di occasioni per mettere in scena le loro situazioni, hanno bisogno di qualcuno che simpatizzi col loro bisogno d’amore e interpreti l’amore frustrato, il loro bisogno di essere accettato e la loro paura di rischiare il rifiuto”.

L’adolescenza è un momento particolare: “E’ una fase delicata perché molto spontanea, libera, in continua trasformazione e scoperta di nuove capacità di relazione. L’adolescente oscilla tra la compagnia degli amici o delle amiche e momenti di isolamento con la sua ragazza/o; talvolta è amore fino all’infatuazione, talaltra è solo una prova di superiorità nei confronti degli amici e delle amiche. Si direbbe che si impari ad amare per tentativi e prove. E’ il periodo dei sogni, degli approcci impacciati o grossolani, che tradiscono ugualmente la difficoltà di relazione… Non si può vivere una deresponsabilizzazione nei confronti di sé, della chiesa, della società per cui si vive in una situazione intermedia a svantaggio sia dell’amicizia che della vita di coppia se diventa stabile. Non può essere lasciata in balia del caso, della mentalità permissiva o edonista”.

In Messico beatificato Moisés Lira Serafín: essere piccoli per essere grandi santi

“Ieri, a Città del Messico, è stato beatificato Moisés Lira Serafín, sacerdote, fondatore della Congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata, morto nel 1950, dopo una vita spesa ad aiutare le persone a progredire nella fede e nell’amore del Signore. Il suo zelo apostolico stimoli i sacerdoti a donarsi senza riserve per il bene spirituale del popolo santo di Dio. Un applauso al nuovo Beato! Vedo lì le bandiere messicane”:

così al termine della recita dell’Angelus di domenica 15 settembre papa Francesco ha salutato i messicani in piazza san Pietro per la beatificazione di Moisés Lira Serafín, avvenuta sabato 13 settembre a Città del Messico, nella celebrazione eucaristica, presieduta dal card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero della Cause dei Santi.

Moisés Lira Serafín nacque a Zacatlan, nello Stato di Puebla, il 16 settembre 1893. Crebbe in una famiglia cristiana, ma la sua infanzia fu segnata dalla morte della madre, nel 1898. Nel 1914 entrò nella congregazione dei Missionari dello Spirito Santo, fondata da padre Felix de Jesus Rougier, e divenne il primo novizio. Prese i voti nel 1917, fu ordinato sacerdote nel 1922 e nello stesso anno emise i voti perpetui. Il suo motto, ‘E’ necessario essere molto piccoli per essere un grande santo’, ha guidato la sua vita spirituale.  

Per la beatificazione di Moisés Lira Serafín, la Postulazione della Causa ha presentato all’esame del Dicastero la guarigione miracolosa, attribuita alla sua intercessione, di una signora da ‘idrope fetale tardiva generalizzata con versamenti viscerali multipli, non immunologica’. Durante la 22ª settimana della sua terza gravidanza, fu sottoposta ad un controllo medico che segnalò delle anomalie fetali. Vista la gravità della situazione i medici ritenevano che la gestazione non avrebbe raggiunto il sesto mese e, qualora fosse giunta a termine, il bambino alla nascita avrebbe presentato gravi problemi. Per tale motivo le consigliarono di interromperla subito.

Lei, al contrario, decise insieme al marito, di proseguire la gestazione ed ad una visita di controllo effettuata al sesto mese di gravidanza il medico comunicò alla paziente che l’idrope era scomparsa e il feto era in buono stato di salute. Il 6 settembre 2004 nacque da taglio cesareo la bambina, perfettamente sana. La protagonista principale dell’invocazione al Venerabile Servo di Dio fu la stessa sanata, che aveva conosciuto proprio in quei giorni, mentre stava leggendo un libro sulla sua vocazione sacerdotale.

Nell’omelia il prefetto del dicastero delle Cause dei Santi ha sottolineato che il nuovo beato ebbe una vita abbastanza travagliata: “Considerando, però, la sua vita terrena ci rendiamo conto che alla viva percezione di questo spirito di ‘figlio’ il beato Moisés non è arrivato percorrendo una via facile. Da ragazzo prima e da adolescente poi, infatti, egli ha avuto non poche difficoltà: la morte della mamma, che avvenne quando aveva solo cinque anni; i continui spostamenti ai quali era costretto per il lavoro del papà, il quale pure si risposò affidando Moisés al curato. Nonostante tutto, il suo carattere rimase allegro, giocoso e scherzoso”.

Per questa sua gioia il nuovo beato è un modello: “In questo il nostro Beato può essere anche presentato modello per tante persone che hanno avuto un’infanzia e una gioventù affettivamente povere. Le testimonianze hanno detto di lui che era molto gioviale, che amava rendere tutti felici ed era evidente che la sua gioia sgorgava dal di dentro, certo per il suo stabile rapporto con Dio. I suoi confratelli religiosi testimoniarono che la sua gioia era una accostamento di virtù diverse e che il suo scopo era quello di rendere gli altri felici”.

Un’altra sua ‘caratteristica’ era quella della direzione spirituale: “Si tratta del suo speciale carisma per la direzione spirituale, che esercitava non solo nella celebrazione del sacramento della Penitenza, cui dedicava dalle sei alle otto ore al giorno, ma pure nell’accompagnamento di tante persone, che guidava pure nella scelta di vita. La sua infanzia spirituale qui si trasformava in paternità spirituale con cui infondeva nei cuori pace, confidenza in Dio, sicurezza. Non abbatteva, ma sollevava lo spirito, dicevano di lui e questo è un bisogno molto avvertito nella Chiesa di oggi”.

Concludendo la celebrazione eucaristica ha affidato la Chiesa e l’imminente Sinodo alla Vergine di Guadalupe: “Nel materiale preparato per questi lavori fra l’altro si legge che ‘una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di accogliere e accompagnare’ e che perciò ‘appare sommamente opportuno dar vita a un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento riconosciuto ed eventualmente istituito, che renda concretamente sperimentabile un tratto così caratteristico di una Chiesa sinodale’… Si tratta, si sottolinea pure, di un ministero che non può essere ritenuto come riservato ai soli ministri della Chiesa”.

(Foto: Unigre)

151.11.48.50