Bussole per la fede
Joe Petrosino: martire della giustizia
Giuseppe (Joe) Petrosino (Padula, Salerno, 30 agosto 1860 – Palermo, 12 marzo 1909) è un martire della giustizia, annoverato tra i Testimoni. Cercando tra i martiri della giustizia e i vari testimoni, mi sono imbattuta in un nome che avevo sentito più volte. Ne ho sempre saputo poco o niente, più che altro niente, e quindi ho deciso di approfondire questa figura.
Da Gorizia: la speranza è motivo di vita
“In realtà, lo sappiamo tutti, il proverbio dice il contrario: ‘Finché c’è vita, c’è speranza’. Si tratta di uno dei molti proverbi dedicati alla speranza che, per altro, è presente anche nella Bibbia: ‘finché si resta uniti alla società dei viventi, c’è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto’, afferma il saggio Qoélet. Come non ricordare tra i tanti, per esempio, un altro detto popolare che collega vita a speranza: ‘la speranza è l’ultima a morire’. Interessante la relazione che la cultura diffusa presenta tra vita e speranza (non si parla anche di ‘speranza di vita’?), una relazione che esprime una caratteristica fondamentale dell’essere umano: può vivere solo se esiste un motivo… per vivere. Un motivo che più che una causa è uno scopo, una meta. Se manca, è difficile vivere”.
E’ l’inizio della lettera pastorale, ‘Finché c’è speranza, c’è vita’, che l’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, ha scritto ai fedeli in preparazione del giubileo in un anno in cui Gorizia e Nova Gorica sono capitale europea della cultura: “Anche nella società italiana ci sono molte persone che si impegnano per gli altri, c’è una diffusa solidarietà, una forte azione del volontariato, un impegno educativo anche in situazioni difficili, una maturazione del senso di dignità di tutti. Non mancano giovani che si impegnano, che studiano, che hanno progetti positivi di vita.
Le stesse comunità cristiane sono vive, hanno ancora persone che si danno da fare per gli altri, ci sono ancora giovani che vedono la vita come vocazione. Nelle due lettere pastorali degli ultimi due anni, dove il tema della speranza è stato rilevante, ho cercato di ricordare molti segni di speranza a partire da quelli che ho potuto constatare direttamente nelle nostre unità pastorali in occasione della breve visita pastorale di due anni fa. Diverse realtà positive sono state elencate anche negli incontri di decanato già citati. Non tutto è nero, quindi. Neppure qui da noi”.
E la speranza non può essere disgiunta dalla Chiesa: “Forse non ci si pensa, ma Chiesa e speranza sono realtà intrecciate anche nel loro destino: la Chiesa finirà quando cesserà la speranza perché ci sarà la realtà del Regno di Dio. Il Regno di Dio dove non sarà più necessaria la fede e neppure la speranza, ma ci sarà solo la carità, la pienezza dell’amore perché Dio “sarà tutto in tutti” (1Cor 15, 28)”.
Inoltre propone alcune ragioni riguardo al battesimo:“Mi limito a richiamare quale sia il motivo per cui proporre il Battesimo dei bambini e a suggerire l’avvio di un itinerario di tipo catecumenale. Ho scritto volutamente ‘proporre’ perché oggi non basta attendere la richiesta del Battesimo da parte dei genitori, ma occorre avere il coraggio di proporlo a chi è diventato papà o mamma. Una proposta che spetta non tanto ai sacerdoti, ma a chi, credente, è in relazione sincera e cordiale con i genitori: i nonni, gli amici, i vicini di casa, i colleghi di lavoro”.
Ecco il motivo per cui il battesimo è una proposta di speranza: “La prima è stata già citata: l’esistenza o la creazione di una relazione vera e umanamente empatica con i genitori. Non si può proporre per così dire ‘a freddo’ il Battesimo di un bimbo o di una bimba da poco venuto o venuta al mondo. All’interno di una relazione calda e accogliente, si può trovare il momento giusto per parlare del Battesimo e magari per favorire il contatto con il parroco e la comunità parrocchiale.
Ma ciò esige una seconda condizione: che si sia convinti che l’essere cristiani è un tesoro prezioso che non si può tenere per sé. La terza condizione è quella di saper motivare l’importanza del Battesimo. Anche sapendo rispondere alle solite obiezioni: non c’è tempo, è difficile trovare il padrino o la madrina, la festa costa troppo, è meglio che scelga lui o lei da grande… Ma soprattutto proponendo il Battesimo come segno di speranza per il bambino o la bambina: che cosa c’è di meglio per il suo futuro che essere figlio/figlia di Dio, essere per tutta la vita nelle mani di un Padre buono”.
Ed infine uno sguardo al 2025: “Nel 2025 Nova Gorica e Gorizia saranno insieme ‘capitale europea della cultura’. Un fatto particolarmente significativo perché la prima volta si avrà una capitale europea della cultura a cavallo di un confine. Un confine particolare: tracciato un po’ a caso dopo la Seconda guerra mondiale, in un territorio gravemente ferito da due guerre mondiali, in una regione che da secoli vede la compresenza di più culture e di più lingue. Si tratta di qualcosa di straordinario che interpella la nostra comunità diocesana e non solo le comunità cristiane di Gorizia e Nova Gorica. A noi tocca in particolare richiamare alcuni valori e proporre alcune iniziative rivolte a chi abita a Gorizia e dintorni e anche a chi passerà da noi il prossimo anno, magari facendo sosta a Gorizia nel suo cammino verso Roma in occasione del Giubileo”.
Un’Europa che ha bisogno di valori: “Tra i valori da proporre ci sono anzitutto quelli che stanno o dovrebbero stare alla base dell’Europa. In questo senso, già alcuni anni fa, ho proposto di capovolgere i termini e chiamare Nova Gorica e Gorizia ‘capitale della cultura europea’. I valori sono quelli della libertà, della pace, della riconciliazione, del dialogo, della dignità delle persone e così via. Insomma, i valori che soli possono dare una prospettiva di speranza all’Europa. Valori che sono costati sangue e sono maturati in Europa dopo grandi tragedie che il nostro territorio ha vissuto in prima persona.
Nel nostro piccolo, con le poche risorse che abbiamo, cercheremo di riproporre questi valori in particolare ai giovani, ma anche a tutti coloro che verranno qui da noi, in particolare con alcuni incontri, alcune pubblicazioni, alcune mostre, ma soprattutto con la proposta di ‘cammini’ e di incontri significativi. Non mancheranno anche alcune specifiche iniziative di carattere religioso”.
Ed ha concluso la lettera con un richiamo al ‘Portico del mistero della seconda virtù’ di Charles Péguy: “La speranza, quella piccola ma fondamentale virtù cristiana, sarà allora la nostra guida durante quest’anno. Se è riposta in Dio, non saremo certo delusi”.
(Foto: Arcidiocesi di Gorizia)
Dall’Assemblea sinodale una Chiesa rinnovata dalla Pentecoste
Domenica scorsa si è chiusa presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma la prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, a cui hanno partecipato 943 persone di cui: 4 Cardinali, 170 Vescovi, 4 Padri Abati, 238 Sacerdoti, 6 Diaconi, 37 Religiose e Religiosi, 210 Laici, 274 Laiche. In totale 641 uomini e 302 donne e prima della chiusura dei lavori tutta l’assemblea sinodale ha inviato un messaggio di ringraziamento a papa Francesco, condividendo ‘le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi’: “Abbiamo colto soprattutto la vivacità, che continua ad abitare le comunità dei nostri territori. Abbiamo avuto cura di non dimenticare gli ultimi, quanti abitano nelle periferie esistenziali, i poveri dei quali oggi celebriamo la Giornata mondiale. Abbiamo pregato con loro e per loro”.
Dalla basilica in cui papa san Giovanni XXIII ha pronunciato il discorso di apertura del Concilio Vaticano II i partecipanti hanno affermato l’impegno di concretizzare la missione della Chiesa: “La nostra gratitudine diventa adesso impegno nel tradurre in decisioni e scelte concrete le riflessioni raccolte nelle fasi di ascolto e discernimento di questi anni di Cammino sinodale e dai lavori di queste giornate… Ci sentiamo in un momento di rinnovata Pentecoste.
E’ il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità, che aveva animato San Paolo. Il libro degli Atti racconta che i primi passi della sua missione sono avvenuti con altri apostoli e discepoli come Barnaba e Giovanni, prendendo letteralmente il largo per fondare e sostenere le comunità cristiane primitive. Sentiamo anche noi questa vocazione ad una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno”.
Mentre nella celebrazione eucaristica conclusiva il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha evidenziato la bellezza della comunione: “Nel giorno del Signore e attorno alla sua mensa, capiamo cosa significa ‘insieme’, essere una cosa sola tra noi, nonostante la nostra umanità, così parziale e contradditoria. Qui siamo come Dio vuole: non tutti la stessa cosa, ma tutti una cosa; non uguali, ma uniti. Con noi ci sono già quei ‘tutti’, la moltitudine, numero indefinito e mai chiuso, per i quali Gesù spezza il pane e versa il vino, e che ci chiede di cercare, di amare”.
Quello che si è aperto domenica scorsa è un cammino da compiere con i ‘compagni di strada’: “Troveremo i modi (alcuni formali, altri aperti e spontanei) per permettere ed esprimere il camminare insieme con i tanti mendicanti di vita che incontriamo, tutti fragili anche se lo dimentichiamo. E’ una fragilità da amare e non da giudicare, fuggire, nascondere, maledire. Da amare, perché diventi forza, ricordando, come l’Apostolo, che è quando siamo deboli che siamo forti”.
Nella particolare giornata dei poveri il cardinale di Bologna ha sottolineato che è possibile scoprire l’essenziale: “I poveri, in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull’altare dei beni materiali, ci insegnano che l’essenziale per la vita è ben altro. La loro preghiera insegna a pregare e viceversa. Non sono assolutamente due dimensioni indipendenti, anzi! Preghiera e amicizia con i poveri si nutrono a vicenda”.
Riprendendo il vangelo della giornata il presidente della Cei ha invitato ad essere persone di ‘speranza’: “Per chi si chiude nelle sicurezze o resta sul divano, questa descrizione può apparire lontana, impossibile, un fastidio per noi pigri e incoscienti. In realtà, ci aiuta a guardare la storia e i segni dei tempi. Siamo uomini di speranza proprio perché affrontiamo il male, il sole che si oscura, come quando si fa buio fuori e dentro il cuore. E quello dentro dura tantissimo”.
Quindi l’invito del card. Zuppi è stato quello di camminare con i poveri: “Ognuno di noi può essere un astro che si accende e dona luce nell’oscurità terribile della vita. Siamo noi la sua parola di amore che non passa, con legami fedeli, perché il Samaritano assicura di tornare, non si compiace di quello che ha fatto lui ma fa quello che serve per l’uomo mezzo morto. Ecco, se camminiamo insieme ai poveri, sapremo camminare tra noi, perché Gesù sarà in mezzo a noi e aiuteremo questa madre (la Chiesa), sempre lieta, che è di tutti, particolarmente dei poveri”.
L’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia è stata chiusa dall’intervento del presidente del comitato nazionale del cammino sinodale, mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, che ha ricordato i 1.700 anni della dedicazione della basilica di san Paolo, avvenuta il 18 novembre del 324:
“In questi tre giorni, ci siamo inseriti in una grande corrente: 17 secoli di ininterrotta vita cristiana che ha trovato qui, sotto la protezione di san Paolo, tutte le sue espressioni: celebrazioni liturgiche e sacramentali, annuncio, predicazione e catechesi, incontri personali e assemblee comunitarie, accoglienza dei poveri e ospitalità dei cercatori di speranza, presenza orante e ministero dei monaci benedettini. Sembra così di rivivere, in questi giorni e in questo luogo, l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, con le loro quattro perseveranze: nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”.
Ha evidenziato alcuni atteggiamenti emersi in questi anni di cammino sinodale: “Prima di tutto lo stile dell’ascolto, che con il metodo della ‘conversazione nello Spirito’ prende avvio dalla Parola di Dio, che dispone all’ascolto degli altri; uno stile che, adattato, potrà connotare il nostro convenire a tutti i livelli: dagli Organismi di partecipazione alle riunioni degli operatori pastorali; questo doppio ascolto all’inizio di ogni riunione permetterà di proseguire con maggiore scioltezza e concretezza nel confronto e nel dialogo tra i partecipanti”.
All’ascolto fa seguito il dialogo: “In secondo luogo, lo stile del dialogo, proposto in modo laboratoriale nei Cantieri di Betania, che sono stati e sono esperienze di incontro anche con i ‘mondi’ non sempre interagenti con quelli ecclesiali: le diverse povertà materiali, relazionali, spirituali; i mondi delle professioni e del lavoro, come artisti, imprenditori, agricoltori, giornalisti, docenti, operai e così via”.
Ed infine la partecipazione: “In terzo luogo, lo stile della partecipazione: in non pochi casi, le sintesi delle nostre Chiese locali hanno registrato la riattivazione dei Consigli pastorali parrocchiali, zonali e diocesani, che, dovendo corrispondere alle richieste provenienti dal Cammino sinodale, si sono nuovamente riuniti e in alcuni casi anche formati ex novo. Rinnovati secondo le indicazioni del Sinodo universale, sono strumenti importanti per la Chiesa sinodale in missione”.
Infine il card. Zuppi ha invitato a ‘gettare il seme’: “Già vediamo i frutti dello Spirito ma questo avviene solo dopo che abbiamo gettato abbondantemente nella terra degli uomini il seme della Parola, anche quando appare inutile. Non affanniamoci per quello che non vale e, pieni della forza del Signore, liberiamoci dalle misure avare, mediocri, suggerite dalla tiepidezza. Ebbrezza è la passione che permette di costruire umilmente relazioni intorno al Signore, case, comunità umane, relazioni di amore. Tutto inizia con il filo d’oro dell’amicizia che è possibile a tutti”.
Per questo ha riproposto la cultura del ‘noi’: “Insieme! Coltiviamo il culto del ‘noi’ in una generazione individualista che, alla fine pensa una soluzione con qualcuno che si imponga e risolva tutto, che non costruisce con pazienza. Costruiamo case dove si impara a pregare, a vivere la dimensione spirituale così importante e desiderata da molti, perché il materialismo pratico ottunde, confonde, dispera. Dialogare con tutti non è cedere al pensiero dominante o dare ragione a tutti, ma misurare la nostra fede, crescere nella comunicazione del Vangelo, spiegare le ragioni di sempre, arrivando al cuore, toccando il cuore”.
(Foto: Cei)
Mons Enrico Trevisi invita ad incontrare Gesù
Nelle settimane scorse il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha consegnato ai fedeli la lettera pastorale ‘Io sono con te’ per invita tutti ad essere ‘pellegrini di speranza’ nell’anno giubilare: “Pellegrini di speranza è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.
La lettera del vescovo, intitolata ‘Io sono con te’, è un invito a non temere di incontrare Gesù: “La vocazione a cui siamo chiamati è impegnativa. La nostra debolezza suscita apprensione; la nostra fragilità è un dato di fatto: siamo vulnerabili. Le nostre capacità sono del tutto inadeguate. Anche noi credenti siamo esposti al rischio della riduttiva logica delle prestazioni volontaristiche che ci fanno appoggiare su noi stessi (il papa parla di neo-pelagianesimo). Invece siamo chiamati a guardare a Gesù, ‘Admirantes Iesum’, e nella quotidiana esperienza mistica dell’essere con Gesù ci sappiamo nell’amore del Padre per camminare con lo Spirito, dentro le testimonianze che ci aspettano”.
Nella lettera mons. Trevisi sottolinea che Gesù non abbandona nessuno: “Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove ‘Paraclito’ (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. E’ Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore). E’ con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio”.
La lettera è un invito a guardare Gesù: “Su alcune questioni siamo turbati e inquieti. Non abbiamo la facile soluzione. Forse nelle singole questioni talvolta eccediamo in prudenza o in ingenuità. Ma una cosa è certa. Noi abbiamo una guida. Non siamo soli. Il Signore è con noi. Lo Spirito Paraclito, con la pienezza dei suoi doni, sempre ci assiste.
Con passione siamo chiamati a trasmettere questa verità ai ragazzi e ai giovani, a chi crede e a chi non crede, ai poveri e agli esclusi. Noi teniamo gli occhi fissi su Gesù. E così (per grazia, per lo Spirito Santo che ci è dato) guardiamo al mondo con i suoi occhi e anche scopriamo quanto Dio ancora sta facendo per noi. E come ancora ci parla: e noi disponibili ad ascoltare la sua Parola, a scrutare i segni della sua presenza viva. I nostri occhi sul mondo piagato (ed anche sulle nostre meschinità e fragilità) devono essere gli occhi di compassione di Gesù. E il nostro cuore deve lasciarsi convertire imparando dal suo cuore”.
L’invito a guardare Gesù significa anche accompagnare gli ‘ultimi’: “Il nostro tenere fisso lo sguardo su Gesù è per imparare da Lui e per ottenere dallo Spirito la forza e la gioia di essere accanto ai fratelli, anche quelli che sbagliano; anche quelli che si sentono esclusi; anche quelli che si sentono falliti, con il suo stile, con il suo cuore, con la sua Grazia. Serve un abbraccio di più, una presenza meno appassita, una tenerezza che accompagni ogni bimbo, un incoraggiamento che fortifichi ogni giovane, tante ‘persone medicina’ che quando le guardi guarisci.
Lo Spirito è per rigenerarci a vita nuova. Se invece i cuori e le parole trasudano diffidenza, aggressività e indifferenza vuol dire che occhi e cuore non sono fissi su Gesù. Le nostre comunità, accogliendo lo Spirito Santo, debbono essere piene di ‘persone medicina’, di compagnie rassicuranti, di testimoni che incarnano la Parola di Gesù e la spezzano nel quotidiano ‘amatevi come io vi ho amati’ (cf. Gv 13,34)”.
La lettera è un invito ad essere ‘pellegrini di speranza’: “Siamo chiamati ad attingere la speranza nella Grazia di Dio. E per questo numerosi saranno gli appuntamenti che ci vedranno attenti a celebrare la Parola del Signore, solleciti nel sacramento della Riconciliazione e riconoscenti nel sacramento dell’Eucaristia. Attenti anche ad invitare persone che fanno parte delle nostre comunità ma che talvolta rischiamo di lasciare un po’ in ombra, magari per le difficoltà logistiche o per le più diverse ragioni che ci rendono frettolosi nei confronti di chi chiede tempi più lenti, parole più meditate, cuori più compassionevoli”.
Essere ‘pellegrini di speranza’ attraverso i ‘segni’: “Radicati nel Signore saremo sollecitati a dare segni di speranza a chi vive il dramma della guerra e delle innumerevoli ingiustizie e iniquità tra i popoli, alle giovani coppie che faticano a vivere l’entusiasmo del trasmettere la vita (l’inverno demografico è uno dei maggiori indici di difetto di speranza), ai detenuti che vivono indegne condizioni nelle nostre carceri, agli ammalati che si trovano nelle case o negli ospedali, ai giovani e al loro futuro che può di nuovo riaccendersi nell’entusiasmo che si fonda in Dio e nel suo amore”.
‘Pellegrini di speranza’ nella ferialità: “Segni di speranza siamo tutti chiamati ad esserlo nella nostra ferialità. Tutti, nessuno escluso. Prima di inventare iniziative strane, noi siamo chiamati a diventare ‘segni di speranza’. Le iniziative sono utili, ma anche sempre precarie e insufficienti. Ciascuno di noi è chiamato a divenire un ‘segno di speranza’: su questo dovremo fermarci a riflettere, e convertirci”.
Ma ‘pellegrini di speranza’ si diventa se ci si prende cura anche della vita spirituale: “Cogliamo il Giubileo come l’occasione, l’appello a prenderci cura della nostra vita spirituale: è un anno speciale e allora diamoci un tempo speciale per la preghiera e il silenzio e l’Adorazione eucaristica con cui guardiamo alla vita, a noi stessi, al mondo, con gli occhi del Signore e alla luce della sua Parola.
Osiamo fare scelte di formazione cristiana: è triste se come credenti assecondiamo le mode e la cultura del tempo senza approfondire quanto ci è rivelato nella Scrittura, senza collocarci dentro la grande tradizione della fede che ancora ci aiuta a trovare il cammino delle nostre responsabilità”.
Acutis e Frassati santi nel 2025
“L’anno prossimo, durante la Giornata degli adolescenti, canonizzerò il beato Carlo Acutis, e nella Giornata dei giovani canonizzerò il beato Piergiorgio Frassati”, ha affermato papa Francesco nei saluti ai fedeli italiani nell’udienza generale di mercoledì scorso. E nel calendario dell’Anno Santo il Giubileo degli adolescenti è programmato da venerdì 25 a domenica 27 aprile; mentre il Giubileo dei giovani da lunedì 28 luglio a domenica 3 agosto.
Ed ha poi continuato dando appuntamento ai bambin nel prossimo febbraio: “In occasione della Giornata Internazionale dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che si celebra oggi, desidero annunciare che il prossimo 3 febbraio si svolgerà qui in Vaticano l’incontro Mondiale dei diritti dei bambini intitolato ‘Amiamoli e proteggiamoli’ con la partecipazione di esperti, di personalità di diversi Paesi. Sarà l’occasione per individuare nuove vie volte a soccorrere e proteggere milioni di bambini ancora senza diritti, che vivono in condizioni precarie, vengono sfruttati e abusati e subiscono le conseguenze drammatiche delle guerre”.
A tal proposito il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, ha sottolineato che la data di canonizzazione del beato Carlo Acutis, sarà domenica 27 aprile: “Assisi esulta per questa importante notizia che ci consente di avviarci al giorno della canonizzazione del beato Carlo Acutis con tutto l’entusiasmo e la buona preparazione necessaria. Abbiamo già in programma alcuni momenti significativi di approfondimento, riflessione e coordinamento che ci vedranno impegnati in città, in tutta la diocesi, nella diocesi sorella di Foligno e nelle diocesi umbre”.
Ed ha descritto il momento di ‘grazia’, che sta vivendo la Chiesa: “Sento questo momento come una grazia per la nostra Chiesa, la Chiesa italiana e del mondo intero. La Chiesa e specialmente i giovani sentono Carlo come un raggio di luce, come lo sono stati Francesco e Chiara sulle cui orme egli è venuto a santificarsi e ora riposa. E’ stato davvero originale non fotocopia, ha voluto conformarsi pienamente a Gesù, ha voluto essere un sorriso di Dio e una calamita di santità per i giovani. Condividono la nostra gioia il papà Andrea, la mamma Antonia, la sorella Francesca e il fratello Michele. E’ bello che Carlo ci indichi la strada della famiglia come strada di santità. Ringraziamo Papa Francesco e ci prepariamo con gioia a questo momento”.
Anche dalla città natale di Carlo Acutis l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha evidenziato che egli è un santo della ‘porta accanto’: “La nostra terra è terra di santi. Ci sono i santi della porta accanto, quelli dei quali nessuno scrive la vita o per i quali nessuno costruisce altari. Sono la moltitudine che nessuno può contare e che quotidianamente, senza imprese degne di nota, silenziosamente tiene in piedi il mondo.
Ci sono i beati che hanno vissuto nei nostri paesi e che la Chiesa ha riconosciuto come vite esemplari, che meritano di essere conosciute perché possano essere imitate. Ci sono i santi che hanno vissuto tra noi ma che sono di tutti, che la Chiesa propone a tutti perché tutti li preghino con fiducia, ne ascoltino le parole, ne conoscano le opere”.
La canonizzazione di Carlo Acutis è un invito alla santità: “Posto sugli altari, potrà continuare a dire quanto ha detto in questi anni con la sua straordinaria popolarità. Ha detto – infatti – che tutti siamo chiamati alla santità: non solo i poveri, ma anche i ricchi, non solo le personalità straordinarie, ma anche le persone qualsiasi, non solo i fondatori di ordini religiosi, ma anche gli ammiratori dei consacrati e delle consacrate, non solo i sani, ma anche i malati, non solo gli adulti, ma anche gli adolescenti.
Il messaggio è quindi rivolto in modo particolare agli adolescenti: forse lo ascolteranno e saranno chiamati fuori di casa, fuori dalle loro tristezze, dai loro complessi, dalla loro rabbia, dalla loro inconcludenza. Forse ascolteranno la voce che viene dal cielo per loro e troveranno la gioia di vivere, il coraggio di amare, la fortezza nel soffrire. Troveranno forse la via della santità giovane, seguendo la pista percorsa da san Carlo Acutis”.
Anche l’Azione Cattolica Italiana è in festa per la canonizzazione del beato Pier Giorgio Frassati, che avviene a 100 anni dalla sua morte: “Una gioia e una gratitudine condivisa con le altre realtà ecclesiali presenti come l’Azione cattolica nel comitato di canonizzazione e parimenti con tutta la Chiesa.
La santità di questo giovane di Azione cattolica (a un secolo dalla morte, avvenuta a Torino il 4 luglio 1925) ancora oggi scalda i cuori e motiva i giovani a mettere al centro della loro vita l’amore di Dio e un servizio generoso e appassionato per il prossimo. La sua regola di vita, ‘lasciarsi coinvolgere’, è un monito contro l’indifferenza e l’isolamento, l’invito a sperimentare l’apertura del cuore da lui incarnata, uno spiraglio prezioso per entrare veramente in contatto con le persone e la realtà intorno a noi”.
La vita del beato Frassati è un esempio di impegno per la socialità nella città: “Specialmente per i più giovani, che quotidianamente si misurano con le tante insicurezze che minacciano la loro capacità di sognare il futuro, nell’opacità del disinteresse per il bene comune, nell’apatia che ogni tanto travolge le esistenze, il beato Pier Giorgio Frassati è esempio di persona che costruendo la sua vita sulla libertà ha saputo dimostrare che in poco tempo si possono raggiungere mete alte.
Come le vette delle montagne che amava scalare, la santità non è una vetta irraggiungibile; non un sentiero per pochi, ma un sentiero che ognuno può percorrere con i mezzi del quotidiano, di una vita normale ma ancorata a ideali alti”.
Tale notizia è uno stimolo in più per vivere l’Anno Santo: “Con il beato Pier Giorgio Frassati nel cuore, i ragazzi, i giovani e gli adulti di Azione cattolica si preparano a vivere in pienezza l’anno giubilare che si sta per aprire. Con la certezza di avere accanto un compagno di strada speciale, e con lui la numerosa schiera di santi, beati, venerabili e servi di Dio di Ac, donne e uomini di ogni età, laici e sacerdoti, testimoni ieri e oggi di un’Azione cattolica scuola di santità”.
Mentre l’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, ha ringraziato il papa per questo ‘regalo’ giubilare: “L’annuncio della canonizzazione del giovane Pier Giorgio Frassati è il più bel regalo che il papa poteva fare a Torino in vista del Giubileo della Speranza, che si apre fra poche settimane. Frassati è stato un grande testimone della Speranza cristiana:
aveva fiducia nella presenza viva e fedele di Cristo fra gli uomini. Era un giovane normale, studiava, amava lo sport, la montagna, ma aveva scoperto Dio e lo cercava nella preghiera quotidiana e in un esercizio instancabile della carità, soprattutto nei confronti dei poveri. Contagiò gli amici con il suo straordinario entusiasmo e lungo tutto il Novecento ha continuato a contagiare generazioni di giovani in tutto il mondo, fino ad oggi. Sarà proclamato Santo, questo è un giorno di grande festa per la Chiesa torinese e per tutta Torino”.
L’Amore al tempo dell’intelligenza artificiale, ma ‘Egli ci ha amati per primo’ (1Gv. 4,19)
Il filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, nel 2003 coniava la definizione di ‘amore liquido’, dove indicava ormai lontana quell’idea di amore imperituro e inscalfibile su cui la società si era sempre fondata nelle generazioni precedenti. Amore liquido, perché liquida si è andata modificando la società e la famiglia, dove è andato emergendo l’individualismo sfrenato, sgretolando il buon vivere della comunità, priva del fondamento che è la fede: è l’amore, infatti, la forma della fede!
Mancando questo fondamento d’unità, mancando ‘il cuore’, la società non è più intesa come entità ‘solida’, ma appunto ‘liquida’: non fondandosi più sulla verità che promana da Dio, tutto è divenuto parziale, provvisorio e temporaneo. Esattamente un mese fa, a distanza di circa un ventennio, anche Papa Francesco ha parlato di questo concetto nella sua Lettera Enciclica ‘Dilexit Nos’ (24/10/2024), quando nelle prime battute dice che nell’attuale ‘società liquida’ si rende necessario parlare di cuore, perché è in atto una svalutazione del centro intimo dell’uomo.
L’Enciclica attualizza il concetto dell’amore umano, intrecciandolo in modo spirituale e sentimentale, senza mancare di fare riferimento alla società digitale, dove l’algoritmo è – potremmo dire – in antitesi con il cuore, poiché è il cuore che permette di mettere in comunione le persone (cfr. n. 14). Proprio in questo mondo in cui impera l’Intelligenza Artificiale, dice il Papa, ‘non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore’ (n. 20): caratteristiche che fanno parte dell’estro e dell’essenza umana e non riproducibili con calcoli computazionali.
Se da un lato non possiamo non riconoscere che l’Intelligenza Artificiale sia capace di elaborare dati complessi pressoché istantaneamente e con eccellenti risultati, essa non ha le caratteristiche sensoriali e delle emozioni che sono prettamente umane. L’Intelligenza Artificiale è e dovrà quindi essere uno strumento al servizio dell’umanità, per natura stessa delle macchine rispetto agli esseri umani: aspetti come la tenerezza, l’amore, i ricordi (non la memoria di un dato), sono tratti che identificano l’identità personale che non sono riproducibili dalla logica algoritmica.
Nonostante questi dati siano incontrovertibili, la tecnologia viene sempre più applicata anche per ‘promuovere’ le relazioni: dai siti di incontri agli assistenti virtuali, essa intende aiutare a trovare potenziali partner, a fornire consigli per migliorare le relazioni e comprendere le preferenze dell’altro attraverso l’analisi dei dati, sempre basandosi su algoritmi aventi l’intento di calcolare persino i sentimenti.
Si avverte, tuttavia, l’urgenza di saper fare interagire quanto di buono viene dagli sviluppi relativi all’Intelligenza Artificiale con la capacità critica dell’essere umano, che pur avverte il desiderio di potenziare il suo pensiero. E’ in quest’orizzonte che si inserisce il ‘Sistema 0’, teorizzato recentemente da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sulla rivista ‘Nature Human Behaviour’, per promuovere l’interazione fra l’intelligenza umana e quella artificiale, quasi in una forma ibrida, al fine di aiutare il pensiero critico, che ha solo nel cuore il centro di discernimento.
In questi termini, si potrebbe dire che l’Intelligenza Artificiale non è del tutto ‘senza cuore’ perché si potrebbe osare affermare che in questa tecnologia si possa riscontrare l’avere ‘a cuore’ le sorti dei deboli e delle persone con disabilità, che attraverso il buon uso di essa, è in grado salvare vite.
Era veramente necessaria in questo tempo una Enciclica che facesse chiarezza sul senso del cuore: ‘il cuore è il luogo della sincerità, dove non si può ingannare né dissimulare’ (n. 5). Continua il Santo Padre: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo” (n. 11).
Potremmo dire in conclusione: ‘Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo’ (1Gv 4, 19). Solo un cuore che è dal cuore di Cristo può amare, e non una ‘macchina autoapprendente’ capace solo di calcoli.
All’Auxilium di Roma un corso sulle identità di genere: a colloquio con la preside Ruffinato
‘Identità di genere: sfide e prospettive per gli educatori’ è il tema del corso interdisciplinare 2024-2025 proposto dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione ‘Auxilium’ di Roma, che mira ad esplorare le principali espressioni del concetto di gender attraverso un approccio multidisciplinare. Infatti, mediante un confronto costruttivo, si propone di individuare percorsi pedagogici ed educativi che favoriscano, soprattutto nelle nuove generazioni, il processo di crescita nell’identità e promuovano atteggiamenti rispettosi di accoglienza e inclusione:
“La realtà odierna, caratterizzata da fluidità e complessità, solleva questioni radicali sulla struttura relazionale della persona. Individualismo, solitudine e isolamento contrastano con un forte bisogno di incontro e relazioni profonde. Le nuove generazioni sono particolarmente vulnerabili al condizionamento mediatico, che trasmette opinioni ambigue e contraddittorie riguardo all’identità e alla struttura relazionale della persona, nonché al paradigma antropologico fondamentale uomo-donna. Anche i significati della genitorialità rischiano di essere banalizzati, entrando in un vortice di significati contraddittori.
È quindi urgente avviare una riflessione antropologica di fondo per individuare le coordinate fondamentali che sostengono la relazionalità umana nelle sue forme strutturali costitutive e, di conseguenza, nelle sue molteplici altre forme”.
Tale percorso propone di comprendere il fenomeno nelle sue coordinate fondamentali dal punto di vista della ricerca scientifica; conoscere le ideologie dominanti che maggiormente influenzano il pensiero sociale e il concetto di gender, nonché l’auto-progettazione delle nuove generazioni; affrontare la dimensione educativa, dove la relazione è fondamentale, poiché non esiste educazione senza relazione; identificare percorsi educativi efficaci per affrontare le questioni di genere con adolescenti e giovani.
L’analisi del fenomeno da parte di esperti nei campi dell’antropologia, del diritto, della psicologia e della pedagogia fornirà le coordinate concettuali e culturali necessarie per affrontare l’argomento con maggiore competenza. Nei due incontri, interverranno Susy Zanardo (Università Europea di Roma), Sergio Cicatelli (Docente di discipline pedagogiche e giuridiche), Assunta Morresi (Università degli Studi di Perugia), Mariolina Ceriotti Migliarese (medico, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta) e Emanuele Fusi (consulente pedagogico e formatore).
Il tema è approfondito sabato 23 novembre dalle ore 9.00 alle ore 12.30 e sabato 30 novembre 2024 dalle ore 10:15 alle ore 12:30 in presenza presso l’aula magna ‘Giovanni Paolo II’ della stessa facoltà ed in diretta streaming sul canale Youtube. Per coloro che partecipano in presenza e non sono studenti/studentesse iscritti alla Facoltà né Insegnanti di Religione della Diocesi di Porto-Santa Rufina è richiesta l’iscrizione.
Per approfondire questo corso interdisciplinare abbiamo chiesto alla preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione ‘Auxilium’, prof.ssa Piera Silvia Ruffinato, docente di Metodologia pedagogica, abbiamo chiesto di raccontare il motivo, per cui è stato istituito un corso interdisciplinare sull’identità di genere:
“Come Facoltà di Scienze dell’Educazione Pontificia, abbiamo sentito la necessità di affrontare questa complessa tematica che intreccia studi e ricerche con la pratica educativa, ponendo molteplici sfide a chi opera nel campo della formazione. Il contesto odierno, caratterizzato da fluidità e complessità, solleva questioni radicali sulla struttura relazionale della persona. Queste vanno affrontate in un’ottica pedagogica per individuare le coordinate fondamentali che sostengono la relazionalità umana nelle sue forme strutturali costitutive e nelle sue molteplici altre forme, con attenzione e spirito critico”.
A quali sfide sono chiamati gli educatori?
“La prima sfida è legata alla formazione ed all’aggiornamento costante sui temi del genere, cercando di affrancare l’argomento dalle strumentalizzazioni ideologiche per comprendere le esperienze delle persone di diverse identità di genere, combattendo disinformazione e pregiudizi. Gli educatori devono essere preparati ad offrire ascolto e sostegno, ed ad indirizzare le persone verso risorse appropriate quando necessario, coinvolgendo sempre le famiglie nel dialogo sulle questioni di genere. In chiave preventiva, è importante offrire ai preadolescenti ed agli adolescenti un’educazione affettiva e sessuale che li aiuti a comprendere se stessi, attraverso un accompagnamento che offra modelli comportamentali e valori tradotti in percorsi educativi”.
Quali sono gli obiettivi del corso?
“Il Corso Interdisciplinare si propone di offrire ai partecipanti gli strumenti per comprendere il fenomeno del gender nelle sue coordinate fondamentali, riconoscendone le manifestazioni e valutandolo criticamente; analizzare l’impatto della pressione sociale sulla crescita relazionale delle nuove generazioni, identificando come essa alimenti stereotipi e pregiudizi; identificare percorsi educativi efficaci per affrontare le questioni di genere con adolescenti e giovani”.
Quali sono le coordinate per poter affrontare l’identità di genere?
“L’approccio interdisciplinare è il più adatto per esplorare le principali espressioni del concetto di gender. La tematica verrà affrontata dal punto di vista antropologico, del diritto, medico, psico-pedagogico e attraverso la lente della comunicazione digitale. Il confronto costruttivo potrà portare a individuare percorsi educativi che favoriscano il processo di crescita nell’identità di preadolescenti e adolescenti, promuovendo atteggiamenti rispettosi di accoglienza e inclusione”.
Quale formazione può fornire il corso?
“Il corso può aiutare a pervenire a una visione più ampia e scientificamente fondata sul gender, alla base della quale sia posta una antropologica integrata, descritta dal card. Giuseppe Versaldi, prefetto emerito della Congregazione per l’educazione cattolica, come uno studio, cioè, che integrando la propria visione della persona umana in chiave cristiana con i risultati delle scienze naturali ed umane ‘compia un’operazione di vero dialogo ed integrazione con esse…, che sia, cioè, il risultato di un dialogo non ideologico tra tutte le scienze che studiano la sessualità umana’, come ha affermato nell’intervista a Luciano Moia pubblicata in Avvenire lo scorso 21 aprile”.
Mons. Anselmi: amare per essere felici
“In questi mesi ho appreso che durante la Seconda Guerra Mondiale anche Rimini e i territori circostanti sono stati teatro di guerra; i nostri nonni e bisnonni, ottant’anni fa hanno vissuto scene di morte e distruzione; nella storia rimangono i quasi quattrocento bombardamenti, l’80 % della città distrutta, i morti della battaglia di Rimini, circa 20.000 tedeschi e 15.00 alleati, i campi di prigionia per più di 150.00 persone allestiti sul litorale.
Una tragedia testimoniata da rovine ancora presenti in città, dai cimiteri di guerra di Rimini e Coriano, dal ricordo vivo dei tre giovani martiri impiccati in piazza, dai resti della chiesa della Pace di Trarivi e soprattutto dal ricordo di tanti testimoni oculari. Grazie alla Repubblica di san Marino che ha accolto decine di migliaia di profughi sfollati. Signore, dona la pace al mondo e aiutaci ad essere operatori di pace”: dopo l’invocazione allo Spirito Santo, così inizia la lettera pastorale del vescovo della diocesi di Rimini, mons. Nicolò Anselmi, intitolata ‘Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene, ora e nei secoli eterni’.
Nella lettera pastorale il vescovo ha spiegato il titolo della lettera: “Ho scelto questo titolo per sottolineare il fatto che la felicità è lo scopo della vita, è il grande desiderio di Dio e che l’amore è la strada per essere felici. Penso che tutti possiamo essere concordi nel riconoscere l’importanza
dell’amore come strada verso la felicità, a prescindere da ogni religione e cultura; qualcuno può essere indifferente al fatto religioso ma tutti siamo interessati all’amore. Non ho mai ascoltato persone teorizzare l’odio verso gli altri esseri umani; tutti siamo in fondo convinti che l’amore sia la strada maestra verso una vita bella e gioiosa. Chi è credente sa che il vero modo di amare Dio, di renderlo felice, è quello di amarci fra noi; la gioia di Dio è quella di vederci uniti come fratelli e sorelle. In questa situazione di unità l’amore per Dio e l’amore per il prossimo coincidono”.
Inoltre il vescovo ha sottolineato che la religione cristiana discende da un fatto storico: “La religione cristiana è prima di tutto figlia di un fatto storico: la Resurrezione di Gesù il giorno di Pasqua; Gesù è vivo, è risorto, è Dio. Gli apostoli e molti discepoli sono i testimoni oculari di Gesù risorto e lo hanno comunicato ai loro successori, oralmente e scrivendo testi chiamati vangeli; dai cosiddetti Padri Apostolici, coloro che hanno conosciuto personalmente gli apostoli ma non hanno incontrato direttamente Gesù, attraverso una lunga catena di fedeltà, pagata fino al sangue del martirio, questa certezza di Fede è arrivata fino a noi. E i vescovi sono i successori dei dodici apostoli. Ogni settimana, la domenica, celebriamo la Pasqua basandoci su questa catena di testimonianza comunitaria che collega gli apostoli e la comunità primitiva con i vescovi e la comunità cristiana di oggi: la chiesa è il popolo che da duemila anni trasmette la verità della resurrezione di Gesù e quindi la sua divinità”.
La lettera è un invito ad ‘essere costruttori del Regno di Dio: “Essere costruttori del Regno di Dio, il regno dell’amore, della pace, della gioia è la vocazione più bella che abbiamo ricevuto, è il senso della vita; tutti siamo invitati a fare la nostra parte, a lavorare nella vigna del Signore, sani e malati, ricchi e poveri, uomini e donne, giovani e adulti, bambini e anziani, sacerdoti e laici, di qualunque nazione e cultura.
Un modo per essere costruttori del regno, messaggeri di amore, missionari di pace è raccontare la presenza trasformante di Dio nelle nostre giornate, nelle grandi svolte della nostra esistenza, le luci quotidiane, la gioia dei piccoli gesti d’amore, l’essere guidati, aiutati, consolati dallo Spirito Santo; è importante raccontare con umiltà, con le parole e le opere, la gioia che abbiamo provato nel compiere gesti di carità, di bontà, di perdono, di servizio verso gli ultimi, verso chi soffre, sostenuti dallo Spirito Santo”.
Al contempo mons. Anselmi ha evidenziato la necessità di pregare: “Pregare è un atteggiamento del cuore sempre presente durante la giornata. Pregare è un modo di vivere; pregando ogni ghiaccio si scioglie, ogni durezza si ammorbidisce, ogni paura svanisce, le parole incomprensibili diventano chiare, la stanchezza diventa vigore, le lacrime puliscono gli occhi e ci aiutano a vedere meglio. Lo Spirito Santo di Gesù prega in noi. La preghiera personale ci è necessaria per assaporare il senso della vita”.
Ed ecco la necessità del discernimento per porsi in ascolto dello Spirito Santo: “Se lo Spirito Santo è presente in ogni essere umano, per scoprire ed ascoltare la voce dello Spirito, è necessario che le persone siano capaci di ascoltare gli altri, nel silenzio, nella profondità, nella verità e nella libertà. Lo stare insieme fra persone dovrebbe sempre avere le caratteristiche dell’ascolto e della scoperta di ciò che è più luminoso, brillante, profumato. Sarebbe bello che, quando ci si ritrova, tutti avessero la possibilità di parlare e di essere ascoltati.
Chi è più espansivo, esperto, preparato deve saper dare spazio agli altri, a tutti, ai più giovani; tutti devono potersi esprimere. La conversazione spirituale in cui tutti parlano e sono ascoltati è una scuola per non giudicare rapidamente, per non voler imporre a tutti i costi la propria idea. Ogni conversazione dovrebbe iniziare con l’invocazione dello Spirito, proseguire con l’ascolto della Parola di Dio, essere pacata, leggera, mite, buona, sottolineare ciò che hanno detto gli altri e concludersi con un rendimento di grazie a Dio. La conversazione spirituale può aiutare a scegliere attraverso il discernimento personale e comunitario”.
Non poteva mancare un capitolo dedicato a don Oreste Benzi: “Lo Spirito Santo attraverso don Oreste ha donato al mondo l’intuizione pastorale che la famiglia è il grembo originario in cui il Vangelo si incarna e può essere vissuto. Le Case-Famiglia da lui volute sono luci che brillano, illuminano la Chiesa e la società, suscitano il desiderio in altre famiglie di essere aperte, accoglienti, vere chiese domestiche, sacramenti dell’amore di Dio, scaldate dalla presenza eucaristica.
Don Oreste, e tante persone con lui, hanno risposto a una molteplicità infinita di domande di amore; i preti e i giovani sono stati le sue grandi passioni testimoniate dalla vita comune da lui vissuta con alcuni fratelli sacerdoti e dall’impegno costante con e verso i giovani, nei campi estivi ed in mille esperienze. Con i giovani e per i giovani si è speso in tutte le situazioni invitandoli ad essere santi e ad affidarsi a Gesù.
Ha seminato il Vangelo in tutti i terreni possibili: la dipendenza dalle droghe, la sofferenza del carcere, la schiavitù della prostituzione, la cura della disabilità, l’accoglienza dello straniero, l’amicizia con le persone nomadi e Rom, l’amore per la vita nascente, l’impegno per evitare ogni interruzione di gravidanza e la disponibilità ad aiutare le famiglie e ad accogliere i neonati, la gratitudine verso gli anziani, l’operatività a favore della pace, l’animazione missionaria.
La molteplicità di queste risposte e l’opera dello Spirito Santo ha fatto nascere un’associazione di laici e consacrati, ispirata alla bontà di San Giovanni XXIII che chiedeva ai giovani porte, finestre, chiese e case aperte”.
Un capitolo è dedicato alla famiglia, che Dio chiama attraverso il matrimonio: “Il matrimonio è una chiamata di Dio, nasce nella comunità cristiana. Tutti devono pregare perché i ragazzi scoprano questa vocazione. Le persone si innamorano se sentono che qualcuno le ama, si prende cura di loro.
Il sacramento del matrimonio è la presenza di Dio nella vita dei due coniugi; c’è chi dice che l’amore può spegnersi e finire, ma la preghiera, la Parola di Dio, i sacramenti dell’Eucarestia e della Confessione sono Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene ora e nei secoli eterni sostegni sicuri perché il fuoco dell’amore e dell’unità continuino ad ardere incessantemente”.
Un pensiero anche per le famiglie separate e divorziate: “Un caro abbraccio alle coppie separate, divorziate, risposate civilmente e ai vostri figli; la Chiesa di cui fate parte vi è vicina, prega per voi e con voi desidera cercare nuove strade di presenza nella comunità cristiana perché possiate far fruttificare il dono che ogni essere umano porta con sé; cercate un accompagnatore spirituale e cominciate a camminare secondo lo Spirito di Gesù.
In alcuni casi, dopo un percorso sempre doloroso, gli sposi hanno scoperto che alla base della loro separazione c’era una scelta non pienamente consapevole; in queste situazioni si può arrivare a una dichiarazione di nullità del matrimonio che non consiste nella cancellazione del sacramento bensì nell’affermazione che il sacramento, per vari motivi, non c’è mai stato. Oggi il percorso per la dichiarazione di nullità è più semplice di un tempo”.
Inoltre il vescovo ha sollecitato ad una presenza in politica: “L’impegno in politica è una vera e propria vocazione; gli amministratori locali hanno la possibilità di ben operare per la vita delle persone; invito giovani e adulti a rendersi disponibili ad assumere ruoli di responsabilità e coordinamento nell’associazionismo, nel volontariato, nelle organizzazioni di categoria, negli organismi di partecipazione a scuola e nelle università; servire il bene comune può essere faticoso ma dona gioia.
Anche studiare, leggere, informarsi, partecipare, andare a votare nei vari turni elettorali, cercando di sostenere le realtà e le persone che portano idee in armonia con il vangelo, sono gesti di amore per il bene comune”.
La lettera si chiude con una visione giubilare: “E’ bello che tutte le persone sappiano ascoltare le richieste di aiuto che silenziosamente ci raggiungono, che tutti sappiano dare speranza, senza giudicare, perché la persona è più grande anche delle proprie fragilità. La storia della nostra salvezza è piena di peccatori convertiti, perdonati: Mosè, il grande re Davide, San Paolo persecutore della Chiesa.
Una persona mi ha confidato che vorrebbe vivere un giubileo cantato, un inno di lode alla presenza di Dio. Le chiese aperte, abitate dal canto e dalla preghiera, anche in pausa pranzo o di sera, sarebbero un segno bello del Giubileo. Il Giubileo ha bisogno di tutti, ed in particolare, di volontari, disponibili ad accompagnare i pellegrini nella visita ai luoghi giubilari ed a proporre un cammino spirituale”.
(Foto: Diocesi di Rimini)
Una giornata per chi prega nel silenzio: l’impegno dell’Opera San Pio X per i monasteri di clausura
Oggi la Chiesa celebra la Giornata mondiale ‘Pro Orantibus’, un’occasione speciale per rivolgere il pensiero e la preghiera alle comunità di vita claustrale, custodi di una spiritualità che attraversa i secoli e che oggi affronta nuove sfide.
Tra le iniziative che rispondono a questa missione, spicca il lavoro dell’Opera San Pio X, nata a Torino settant’anni fa grazie all’intuizione del Cardinale Maurilio Fossati e al sostegno del Consiglio Centrale torinese della Società di San Vincenzo De Paoli. Fondata il 9 giugno 1954 per fronteggiare le difficoltà economiche di alcuni monasteri femminili, l’Opera continua a sostenere centinaia di comunità claustrali in Italia e nel mondo.
Attraverso una rete di solidarietà che si estende ben oltre i confini italiani, l’Opera San Pio X mantiene vivo il dialogo con circa 500 monasteri in Italia e in paesi come Brasile, Israele, Ghana e Filippine. Questo legame è alimentato dalla rivista quadrimestrale ‘Dal Silenzio, fondata nel1987,che informa non solo le monache ma anche oltre 2.000 amici e benefattori sparsi in tutta Italia.
Grazie a questo strumento, l’Opera non solo sensibilizza sul valore della vita claustrale, ma raccoglie fondi per rispondere alle richieste di aiuto delle comunità religiose. Un piccolo miracolo di solidarietà che coinvolge confratelli, benefattori e persino le stesse monache, che spesso si aiutano reciprocamente ispirate dalle pagine della rivista.
In Italia, le monache di clausura sono circa 4.500, appartenenti a ordini e comunità che custodiscono tradizioni e carismi diversi: dalle Clarisse alle Carmelitane, dalle Benedettine alle Passioniste, fino a ordini meno conosciuti come le Visitandine o le Romite. Nonostante le difficoltà, molte di queste comunità continuano a essere fari di spiritualità, accogliendo laici nelle loro foresterie e condividendo il loro carisma anche attraverso l’uso dei social media.
I monasteri, spesso scrigni di tesori artistici e architettonici, sono stati protagonisti della storia religiosa e culturale italiana. L’Opera San Pio X, con la sua sede presso la Casa della Missione di Torino, si inserisce in questa ricca tradizione. Questo luogo, un tempo monastero visitandino fondato da Santa Giovanna Francesca de Chantal, porta con sé una storia fatta di santi e beati, come il beato Marcantonio Durando e il beato Sebastiano Valfrè.
La Giornata ‘Pro Orantibus’ non è solo un momento di riflessione, ma un invito concreto a sostenere le comunità di clausura, spesso composte da religiose anziane o malate. L’Opera San Pio X rappresenta una testimonianza viva di come la solidarietà possa trasformarsi in una rete capace di sostenere chi vive nel silenzio e nella preghiera.
Inoltre in occasione dei 70 anni di vita dell’Opera è stato rinnovato il sito che ospita una sezione ad uso delle monache per le loro comunicazioni.
Giornata dei poveri: per mons. Pesce la preghiera è assunzione di responsabilità
“La preghiera del povero sale fino a Dio… Riflettiamo su questa Parola e ‘leggiamola’ sui volti e nelle storie dei poveri che incontriamo nelle nostre giornate, perché la preghiera diventi via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza”: così inizia il messaggio di papa Francesco per l’ottava giornata dei poveri, ‘La preghiera del povero sale fino a Dio’, che si celebra domenica prossima, una preghiera che deve diventare ‘via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza’. E nei contesti di guerra questa preghiera assume la forma di un grido, di cui il Papa si fa portavoce tornando a stigmatizzare l’orrore che si vive in alcune zone del mondo.
A mons. Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio per la Pastorale Sociale, del Lavoro e della Custodia del Creato, chiediamo di spiegarci il motivo per cui la preghiera del povero sale fino a Dio: “La preghiera dei poveri arriva al cielo e nessuno la può fermare perché è una vocazione, una chiamata di Dio stesso; rompe l’intreccio mafioso tra la speranza dei poveri e la furbizia dei ricchi. La preghiera dei poveri non si ferma finché non è arrivata al cielo, che ricorda la Bibbia, è ‘la soddisfazione ai giusti e il ristabilimento della equità’. Noi dobbiamo metterci dentro la preghiera dei poveri: Paolo li chiama ‘coloro che attendono con amore la sua manifestazione’. La preghiera dei poveri lotta contro tanti ostacoli, ma il Signore li abbatte tutti; abbatte l’ostacolo della legge, perché i poveri non accettano più piccoli compromessi per sopravvivere; abbatte anche le barriere ideologiche, le nostre presunzioni morali e culturali”.
In quale modo si può operare per la liberazione del povero?
“La libertà religiosa, l’economia come servizio e non come prevaricazione, la giustizia sociale che garantisce equità, la pace come vocazione per il mondo intero, la dignità di ogni vita, la cura della nostra “casa comune”, la questione migratoria, la sfida della innovazione tecnologica, la difesa di una cultura e di un’etica della democrazia, sono binari che la dottrina sociale della Chiesa indica, ed entro i quali misuriamo la nostra identità di cittadini e di credenti. La dimensione politica è lo spazio nel quale verifichiamo l’efficacia della lettura dei segni dei tempi offerta dal magistero sociale della Chiesa. La convinzione è che occorre creare una realtà sociale alimentata da una visione spirituale che passa anche attraverso la capacità di far diventare le nostre proposte istanze politiche su cui confrontarsi. Non si tratta, nonostante tutto, di essere buoni; si tratta di annunciare il Regno”.
Come è possibile coniugare povertà e giustizia?
“Il potere sociale o quello politico, il potere economico, il potere religioso disegnano la vita di una comunità. Per questo va letto e possibilmente capito. Il potere non arriva da solo ma è pensato, voluto, conquistato e perché questo avvenga non ha bisogno solo di chi lo cerca ma di chi poi, subendolo o accettandolo, lo legittima. Chi lo ricerca deve crearsi spazi di visibilità per comunicare perché lo richiede e che cosa offe in cambio. In questa dinamica ha bisogno necessariamente di ‘collaboratori’ chi gli riconoscono il ruolo e la funzione, che siano obbedienti e fedeli al disegno di cambiamento che il potere, economico, politico, religioso, sociale, vuole perseguire, fino a diventarne paradossalmente i garanti. E’ necessario indagare il senso profondo e la riconoscibile evidenza di questo stretto rapporto tra chi esercita e chi subisce, volutamente o no, le conseguenze di un potere”.
In quale modo è possibile ‘fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro’?
“La preghiera autentica è un rapporto col Padre. La parola Padre è quella più vera e Lui la preferisce. Ma se preghiamo bene, sentiamo spesso di preferire il silenzio. La vera parola che esprime Dio è la non-parola, è il silenzio, è l’affacciarsi ai nostri limiti, e alzare la preghiera al Padre o appunto rimanere immobili e muti. La preghiera poi è assunzione di responsabilità del mondo in cui viviamo. Che cosa fa Abramo? Abramo prega Dio che risparmi la città peccatrice:
‘Ci saranno cinquanta, quaranta, trenta, venti, dieci giusti?’ Si preoccupa della città. Da bambini ci insegnavano ad abbandonare le distrazioni fuori dalla chiesa; io esorterei a riempire la preghiera di distrazioni, cioè di riempirla della premura per il mondo intero. Come facciamo ad isolarci se accanto a noi c’è un mondo che soffre, i poveri schiacciati, tante vittime di giustizia e di prepotenza? Noi dobbiamo preoccuparci di questo, pregare per questo”.
“E come non ricordare qui, nella città di Roma, San Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783), il cui corpo riposa ed è venerato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Pellegrino dalla Francia a Roma, rifiutato da tanti monasteri, egli trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo. Non avendo nemmeno una piccola stanza dove alloggiare, dormiva abitualmente in un angolo delle rovine del Colosseo, come ‘vagabondo di Dio’, facendo della sua esistenza una preghiera incessante che saliva fino a Lui”. Per quale motivo papa Francesco nel messaggio ha proposto san Benedetto Giuseppe Labre?
“San Benedetto Giuseppe Labre ci sorregge in quella grande avventura dello Spirito che è la nostra vita di fede. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola d’amore che Dio pronuncia su di noi, sul mondo, sulla storia e che carezza come un vento leggero la nostra vita, spesso così difficile in tante giornate. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola efficace che opera ciò per cui era stata mandata. Ha testimoniato che la Parola di Dio porta in sé il gemito di ogni carne in cammino verso la pienezza, di Dio. Ha testimoniato qui a Roma che una Chiesa in preghiera con Pietro e per Pietro è una Chiesa in cammino verso il Risorto.
La sua testimonianza continua lungo i secoli. La nostra società vuole ispirarsi ai grandi principi dell’uguaglianza e della fraternità, cari all’Illuminismo, e ai principi cristiani, ma si trova a compiere una impossibile quadratura del cerchio. Fa finta di voler inserire in sé, dentro le proprie città, l’escluso, (l’immigrato, il clandestino, il senza fissa dimora, il carcerato) ma non ci riesce; perché non ci riesce?
Non ci riesce perché dovrebbe contestare se stessa, nei propri principi costitutivi, e non ne ha il coraggio, anzi meglio non ne abbiamo il coraggio. San Benedetto Giuseppe Labre ha avuto il coraggio di contestare se stesso, la società e la Chiesa del suo tempo; San Benedetto Giuseppe Labre è un testimone per ogni tempo, della dignità dell’uomo, di ogni uomo”.
Allora in quale modo è possibile ‘essere amici dei poveri’?
“Risponderei con un’altra domanda: chi sono i poveri oggi? Sono coloro che stanno sempre con noi:’I poveri infatti li avete sempre con voi’(Mt 26,11). Sono uomini e donne, nomi e cognomi, sono milioni, e rappresentano esattamente come la Parola di Dio, una spada a doppio taglio che penetra nella coscienza civile e cristiana di ognuno di noi; sono lo scandalo perenne di una società moderna che ha costruito il suo ‘accampamento’ lo ha cinto di mura invalicabili e si è lasciata alle spalle, cinicamente, di nascosto e senza pietà un mucchio di pietre scartate.
Possiamo essere amici dei poveri allora stando semplicemente con loro, gettando tanta zavorra inutile, con uno stile di sobrietà nelle nostre scelte personali, e vorrei anche aggiungere, a telecamere spente, senza far vedere ogni istante sui social quello che si fa’; spesso c’è una spettacolarizzazione del servizio ai poveri, fastidiosa ,egocentrica e narcisista, che è il contrario di quello che faceva Gesù”.
(Tratto da Aci Stampa)