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Il Giubileo rigenera la terra

Domenica 9 novembre la diocesi di Acerra ospita la 75ª Giornata Nazionale del Ringraziamento, il cui titolo del messaggio è ‘Giubileo, rigenerazione della terra e speranza per l’umanità’: “Nel celebrare l’Anno Santo rileggiamo le indicazioni che vengono dai primi libri della Bibbia, di grande rilievo per la cura del lavoro della terra e delle relazioni. Già papa Francesco, nell’enciclica ‘Laudato sì’, aveva invitato a scorgere nella Scrittura ‘la riscoperta e il rispetto dei ritmi inscritti nella natura dalla mano del Creatore’. Anzitutto il senso del sabato, nel quale il Popolo di Dio custodiva la memoria grata dell’opera del Creatore, che fa del settimo giorno un tempo di libertà dal lavoro per tutti gli esseri umani e anche per quei viventi che in esso sono coinvolti: tempo di ri-creazione e di festa, di discontinuità rispetto all’operare feriale”.

Partendo dall’inizio del messaggio della Conferenza Episcopale Italiana, intitolato ‘Giubileo, rigenerazione della terra e speranza per l’umanità’, abbiamo incontrato il presidente nazionale di Acli Terra, Nicola Tavoletta, invitato dalla parrocchia ‘Santa Maria Annunziata’ dell’Abbadia di Fiastra, nella diocesi di Macerata, in collaborazione con il Sermirr di Recanati, il Sermit di Tolentino, Agesci, Azione Cattolica Italiana, Acli, Movimento Laudato Sì, Movimento dei Focolari, associazione ‘Città per la Fraternità’, in occasione dell’ottocentesimo anniversario del Cantico delle Creature ed a dieci anni dall’enciclica ‘Laudato sì’,

Nella riflessione ‘Laudato sì, mio Signore, per sora madre terra’ il presidente di Acli Terra ha fatto un breve excursus storico della laude francescana: “Il ‘Cantico delle Creature’ è un cantico di san Francesco d’Assisi composto intorno al 1224 fra san Damiano e il vescovado di Assisi. E’ il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca l’autore. Secondo una tradizione, la sua stesura risalirebbe a due anni prima della sua morte, avvenuta nel 1226. Il Cantico è una lode a Dio e alle sue creature che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l’immagine del Creatore. La creazione diventa così un grandioso mezzo di lode al Creatore”.

Per quale motivo san Francesco lodava Dio attraverso la terra?

“Per il motivo che ne riconosceva la creazione dell’universo e la Sua presenza in ogni realtà generata. Ne riconosceva l’equilibrio naturale e sociale”.

Per quale motivo il giubileo è rigenerazione della terra, come hanno affermato i vescovi italiani nel messaggio per la festa del ringraziamento?

“Per il motivo che riconosciamo i nostri errori e, una volta riconosciuti, c’è un cambiamento. Tali cambiamenti che escludono gli errori passati possono offrire una nuova prospettiva. Certo, c’è probabilità che possono generare nuovi errori, ma anche nuove prospettive interessanti per la comunità”.

Quindi rispettare i ritmi del creato indica anche una speranza?

“Ho parlato della questione del tempo, in quanto occorre rispettare anche il ritmo della creato; noi dobbiamo non accelerare il ritmo, ma vivere il ritmo della natura”.

In quale modo il mondo agricolo può essere stimolo per la cura del creato?

“L’agricoltore ha due approcci: il primo quando si alza la mattina e vede che il vento gli ha rovinato il sistema delle vigne o l’eccessiva pioggia gli ha rovinato le  orticole; il secondo approccio è quello dell’agricoltore che vede nei frutti non solo il risultato del proprio lavoro, ma anche l’unione tra il lavoro ed il creato. Questo secondo approccio è un amore che genera la vita. Questo secondo aspetto prevale e permette all’agricoltura di esistere da migliaia di anni”.

Quindi è essenziale l’invito al ringraziamento da parte della Chiesa?

“Certo che è essenziale, perché se da sempre abbiamo frutti, quindi c’è generatività, vuol dire che ci è permesso dal creato ed è bene essere consapevole che è necessario ringraziare Dio”.

Quindi a distanza di 800 anni il Cantico delle Creature è ancora attuale?

“Non solo è attuale, ma ha anche una funzione di ‘rilancio’, perché ho visto esprimere il cantico di san Francesco non solo in termini di poesia, ma anche in altre arti, quali la musica, la danza, la pittura. Quindi il Cantico delle Creature è da riscoprire perché è un’opera letteraria che lodando Dio attraverso ogni aspetto del creato, interroga ancora l’umanità”.  

Gli incontri proseguono domenica 23 novembre alle ore 11.00 ospitando la consigliera nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il settore giovani, Martina Sardo, che rifletterà sul tema ‘Laudato sii, mio Signore, per tutte le tue creature’;  mentre domenica 30 novembre alle ore 11.00 Nizar Lama, guida cattolica a Betlemme, racconta la vita in Terra Santa.

Nel nuovo anno domenica 15 febbraio Alessandra Cetro, incaricata nazionale al settore ‘Giustizia, Pace e Nonviolenza’, racconterà il verso ‘Laudato sii, mio Signore, per tutti quelli che perdonano per amor Tuo; mentre domenica 22 marzo l’avvocato Monica Silvia Correale, postulatrice al Dicastero delle Cause dei Santi, racconterà l’amore del venerabile Luigi Rocchi per il creato: ‘Un innamorato  del Creato e dei sofferenti’. Chiude il percorso l’autore ed attore Diego Mecenero, che domenica 10 maggio racconterà come si sconfigge il bullismo: ‘San Francesco ed il lupo insieme per sconfiggere il bullismo’.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Leone XIV: sperimentare forme di sinodalità

“Buongiorno a tutti e benvenuti, c’è più entusiasmo qui che nella giornata dei giovani! Vuol dire che siete tutti giovani! Un cordiale saluto a tutti voi, partecipanti alla 65ª Assemblea Generale della Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori. Il tema che avete scelto è ‘Governare la Speranza. Forme e stili di governo delle Province in una Chiesa sinodale’. Si tratta di una prospettiva impegnativa, che riflette la ricchezza del tempo di grazia che la Chiesa sta vivendo, come pure la sua complessità”: questa mattina papa Leone XIV ha incontrato i partecipanti alla 65^ Assemblea Generale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori (CISM), che ad Assisi ha riflettuto sulla sinodalità.

E proprio dalla sinodalità, che rappresenta un motivo di speranza, è partito il discorso del papa: “La comunità dei credenti non si è mai sottratta né agli stimoli, né alle sfide dei tempi e dei luoghi in cui è vissuta, e anche oggi con fiducia e generosità vuole continuare a farlo, portando il messaggio di Cristo in ogni ambito della società e in ogni parte del mondo. In questo suo sforzo, la presenza dei religiosi è sempre stata significativa e provvidenziale, come fermento, profezia e forza per tutto il Popolo di Dio. E la tematica che vi siete proposti conferma la vostra fedeltà a tale ruolo, in particolare nell’ambito del cammino di ‘conversione sinodale’ che abbiamo vissuto in questi ultimi anni”.

Infatti proprio nelle congregazioni si sono sperimentate forme di sinodalità: “Il Documento finale dell’ultimo Sinodo, in proposito, ha rilevato come sia proprio delle famiglie religiose l’avere, nel corso dei secoli, ‘maturato sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento comunitario, imparando ad armonizzare i doni individuali e la missione comune’. La sinodalità, intrinseca alla vita della Chiesa, è di fatto a maggior ragione propria della vostra vocazione, e ciò vi rende particolarmente idonei a contribuire agli sforzi che in tutto il mondo si stanno facendo in questa direzione. A ciò si aggiunge il valore dell’interculturalità crescente delle comunità dei consacrati, che pure risponde alle esigenze delle società in cui viviamo”.

Tale patrimonio non è mai statico: “Ciò comporta la necessità di prendersene cura come del frutto di un organismo vivo, bisognoso di nutrimento, di attenzione, a volte anche di guarigione; e a ciò può contribuire in modo determinante il ministero di autorità, con forme e stili di ‘governo’ adatti a suscitare speranza nel cammino dei fratelli, sostenendone il generoso e proficuo apostolato”.

Riprendendo le conclusioni del Sinodo il papa ha richiamato alla necessità dei processi: “Si tratta, come sottolinea il Documento, di processi interconnessi, che si sostengono e correggono a vicenda. La fedeltà alla Chiesa dirige e illumina il coinvolgimento dei fratelli e ne alimenta la corresponsabilità, garantendo la trasparenza e facilitando quell’apertura reciproca che sola può favorire la cooperazione di tutti. Del resto il confronto sincero, la condivisione, la correzione fraterna possono aiutare molto ad evitare e contrastare eventuali derive particolaristiche e autoreferenziali “.

A ciò si potrà arrivare solo se c’è un rinnovamento nella fedeltà: “In fondo, si tratta di un cammino di purificazione atto a rendere singoli e comunità sempre più liberi nel bene, sia a livello di crescita personale che di esercizio della carità. E ciò chiaramente anche in favore di una rinnovata fedeltà carismatica, che richiede un continuo spogliarsi di strutture e attaccamenti non essenziali, o addirittura nocivi ad una piena attualizzazione nell’oggi della missione originale ispirata ai fondatori. Ed a tale scopo vorrei ricordare, in particolare, l’importanza di incoraggiare, nelle forme di governo, una proficua alternanza nelle responsabilità e negli incarichi, evitando staticismi che rischiano di favorire irrigidimenti e sclerotizzazioni”.

Ugualmente nel messaggio ai partecipanti al congresso missionario in Messico il papa ha sottolineato il bisogno di rimanere saldi nella fede: “Il lievito del Vangelo è venuto nelle mani di pochi missionari. Erano le mani della Chiesa, che avrebbe cominciato a impastare il lievito che portavano con sé (il deposito della fede) con la nuova farina di un continente che ancora non conosceva il nome di Cristo. Poiché entrambi erano integrati, iniziò il processo di fermentazione lento e ammirevole. Il Vangelo non cancellò ciò che trovò, ma lo trasformò. Tutta l’incredibile ricchezza degli abitanti di quelle terre (lingue, simboli, costumi e speranze) è stata impastata con la fede, fino a quando il Vangelo ha messo radici nei loro cuori e si è trasformato in opere di santità e bellezza uniche”.

E’ un invito a ‘fare la volontà’di Dio: “Non basta dire ‘Signore, Signore’, ma dobbiamo fare la volontà del Padre. Dobbiamo essere disposti a mettere le mani nella massa del mondo! Non basta parlare di farina senza sporcarci le mani; bisogna toccare (come diceva il Crisostomo) da mescolare ad essa, 3 sia fondato il Vangelo con la nostra vita fino a trasformarle dall’interno”.

Mentre ai membri della Fondation Internationale Religions et Sociétés il papa ha sottolineato l’impegno alla missione educativa: “La missione richiede di lavorare in sinergia, di evitare l’isolamento e di accettare di costruire una solidarietà pastorale forte, che non si limiti a mezzi economici, ma che includa anche lo scambio di agenti di pastorale tra le Chiese. Questo lavoro merita di essere ben organizzato al fine di favorire il loro buon inserimento nelle diocesi di accoglienza”.

Invece ai partecipanti alla conferenza nazionale sulle dipendenze il papa ha elogiato l’operato delle comunità, chiedendo un maggiore impegno alla prevenzione: “Si tratta di impegnarsi sempre più, e in maniera concertata, in un’opera di prevenzione che si traduca in un intervento della comunità nel suo insieme. È importante, nell’ambito di una politica di prevenzione del disagio giovanile, incrementare l’autostima delle nuove generazioni, per contrastare il senso di insicurezza e instabilità emotiva favorito sia dalle pressioni sociali, che dalla stessa natura della fase adolescenziale. Le opportunità di lavoro, l’educazione, lo sport, la vita sana, la dimensione spirituale dell’esistenza: questa è la strada della prevenzione delle dipendenze”.

(Foto: Santa Sede)

Per Fondazione Migrantes i giovani migranti sono testimoni di speranza

I giovani di origine straniera, nati o cresciuti in Italia, sono i protagonisti silenziosi della trasformazione dell’Italia; quindi non solo destinatari di interventi, ma generatori di speranza, portatori di identità plurali e di un futuro da costruire insieme, come ha sintetizzato il messaggio  della XXXIV edizione del ‘Rapporto Immigrazione’, realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza’, presentato nelle settimane scorse da mons. Carlo Redaelli (presidente di Caritas Italiana), Manuela De Marco (membro dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana), Simone Varisco (storico e ricercatore della Fondazione Migrantes), Maurizio Ambrosini (docente di Sociologia dei processi economici all’università Statale di Milano), Noura Ghazoui (presidente di ‘Conngi’ – Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiani), Rosanna Rabuano (responsabile del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno), Alberto Caldana (vice presidente del Festival della migrazione di Modena), mons. Pierpaolo Felicolo (direttore della Fondazione Migrantes).

Quest’anno il Rapporto pone al centro i giovani con background migratorio, che rappresentano una risorsa vitale per la società italiana. Molti di loro affrontano difficoltà nel riconoscimento e nella partecipazione, ma la loro esperienza è una narrazione vivente di speranza e cambiamento: nel 2024 gli occupati in Italia sono 24.000.000, di cui oltre 2.500.000 stranieri (10,5%) e crescono i rapporti di lavoro attivati con cittadini stranieri (+5,8% in un anno), ma persistono disuguaglianze e sfruttamento, soprattutto nel settore agricolo e in quello dei servizi.

Sul fronte economico, mentre l’incidenza della povertà tra i cittadini italiani si attesta al 7,4%, tra gli stranieri raggiunge il 35,1% (sono 1.727.000 i cittadini stranieri in condizione di povertà assoluta), come ha sottolineato mons. Carlo Redaelli, arcivescovo metropolita di Gorizia e presidente di Caritas Italiana: “Investire in strategie di inclusione e in percorsi legali non è un favore, ma un atto di responsabilità verso il futuro delle nostre comunità e di quelle che arrivano: si può e si deve fare meglio di quanto fatto finora”.

Ad uno dei coordinatori di questo rapporto, Simone Varisco, abbiamo chiesto il motivo per cui il  rapporto sull’immigrazione di quest’anno è intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza’: “Il titolo dell’edizione 2025 del Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes vuole richiamare il fatto che i giovani con background migratorio, di origine straniera, rappresentano generazioni ‘ponte’: nascono o crescono in Italia, praticano la lingua e la cultura italiane, frequentano la scuola, fanno sport e attivismo politico e contribuiscono a costruire il futuro del Paese. Sono ‘testimoni di speranza’ perché mostrano che la partecipazione non è un’utopia, ma una realtà già in atto da tempo, fatta di amicizie, studio, lavoro e cittadinanza. E poi è l’anno del Giubileo dedicato alla speranza, che non delude”.

Organi di stampa hanno scritto di ‘invasione’: quanto c’è di vero? 

“Subiamo molteplici forme di ‘colonizzazione ideologica’, come le definiva papa Francesco, ma non è il caso dell’immigrazione. I cittadini stranieri residenti in Italia sono circa 5.500.000, meno del 10% della popolazione complessiva. I numeri sono pressoché costanti da una decina di anni, anche in virtù delle acquisizioni di cittadinanza. Inoltre, molti arrivi sono temporanei o stagionali.

Si tratta di una presenza certo significativa, ma non sproporzionata rispetto a quella di altri Paesi europei e molto inferiore a quella che caratterizza contesti ben più complessi in Medio Oriente, Asia e Africa. Più che un’invasione, è un fenomeno strutturale e governabile, che richiede politiche serie e non slogan”.

Ma gli immigranti sono veramente una ‘risorsa’ per l’Italia? 

“Se anche volessimo limitarci al solo piano economico, l’apporto dei contribuenti stranieri alle casse pubbliche nel 2023 è di € 41.100.000.000 di entrate (contributi sociali netti, tasse, IVA, consumi, spese burocratiche), contro € 39.900.000.000 di uscite: vale a dire un saldo positivo di € 1.200.000.000. Gli occupati stranieri generano € 177.200.000.000 di valore aggiunto, pari al 9% del Pil nazionale. Sono fondamentali in settori quali l’agricoltura, l’edilizia, l’assistenza familiare e la sanità. Inoltre, l’imprenditoria straniera è in crescita. Ci sono poi i contributi che vengono sul piano demografico e strutturale: nascite, giovani, la presenza nelle scuole. Non dimentichiamo, però, che accanto agli apporti più ‘materiali’ è importante ricordare il valore immateriale – ma concreto – della presenza di persone di origine straniera in Italia sul piano umano, culturale, non da ultimo anche spirituale: sono quasi un milione gli stranieri che stimiamo essere cattolici, che ridanno linfa a comunità locali spesso svigorite; insieme a ortodossi, evangelici, copti e appartenenti ad altre confessioni, i cristiani nel loro complesso sono ancora la maggioranza assoluta fra gli stranieri (51,7%)”.

Quali sono le strade da percorrere per l’integrazione? 

“La prima è chiarire, intanto, cosa si intenda per ‘integrazione’: se una semplice assimilazione oppure un’autentica partecipazione alla vita del Paese, con diritti e doveri. Solo quest’ultima è in grado di cogliere il valore aggiunto dell’immigrazione. Le strade per arrivarci sono molte: dall’istruzione, anche linguistica, al lavoro dignitoso, contrastando le forme di sfruttamento e valorizzando le competenze; dalla partecipazione civica e culturale, con percorsi di cittadinanza e il coinvolgimento nelle comunità locali, al dialogo interculturale e interreligioso”.

In quale modo è possibile sconfiggere l’immigrazione irregolare? 

“Alla prova dei fatti, muri e respingimenti si sono rivelati inefficaci. Gran parte dell’immigrazione irregolare è creata da iter burocratici complessi e talvolta schizofrenici, innescati da una legge quadro incongruente. Serve una politica lungimirante che garantisca canali legali di ingresso in Italia, accordi di cooperazione con i Paesi di origine e corridoi umanitari per chi fugge da guerre e persecuzioni. Così si toglierà spazio ai trafficanti e si offrirà sicurezza sia alle persone migranti sia alla società accogliente”.

Quale ruolo hanno lo sport e la scuola nella realizzazione dell’integrazione

“Entrambi sono laboratori di incontro, di partecipazione, di scambio e di convivenza. Ragazzi e ragazze imparano insieme, senza barriere, un linguaggio universale. Pur con le innegabili difficoltà di entrambi questi ambiti, si tratta di ‘mondi’ potenti per costruire rispetto reciproco e senso di appartenenza e cittadinanza”.

Papa Leone XIV al giubileo dei rom, sinti e camminanti ha lanciato l’invito ad essere protagonisti del cambiamento d’epoca: hanno il coraggio? 

“Il coraggio c’è, e si vede nelle tante storie di famiglie rom, sinti e camminanti che scelgono di investire nell’istruzione dei figli, nel lavoro regolare, nella partecipazione sociale. Non mancano, naturalmente, ombre, questioni irrisolte, devianza, prodotte anche dalla marginalità. Essere protagonisti del cambiamento significa uscire dai margini e contribuire al bene comune. Molti già lo stanno facendo, spesso in silenzio, e molto resta ancora da fare.

La Chiesa e la società civile hanno il compito di accompagnarli, e laddove necessario sostenerli, in questo cammino. Rimane una consapevolezza, che si fa auspicio: ‘Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al cento, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa, perché siete soli: nessuno è solo nella Chiesa’, come ebbe a dire nel 1965 Paolo VI al raduno internazionale dei popoli romaní a Pomezia”.

(Foto: Fondazione Migrantes)

Papa Leone XIV: dalla morte nasce la vita nuova

“Oggi rinnoviamo la bella consuetudine, in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, di celebrare l’Eucaristia in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che ci hanno lasciato durante l’anno appena trascorso, e con grande affetto la offriamo per l’anima eletta di papa Francesco, che è deceduto dopo aver aperto la Porta Santa ed impartito a Roma ed al mondo la Benedizione pasquale. Grazie al Giubileo tale celebrazione (per me la prima) acquista un sapore caratteristico: il sapore della speranza cristiana”: questa mattina papa Leone XIV ha presieduto la celebrazione eucaristica in suffragio dei cardinali (8) e dei vescovi ed arcivescovi (134) defunti nel corso dell’anno, anche per papa Francesco, scomparso lo scorso 21 aprile.

Nell’omelia papa Leone XIV ha commentato l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus: “La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci illumina. Anzitutto lo fa con una grande icona biblica che, potremmo dire, riassume il senso di tutto questo Anno Santo: il racconto lucano dei discepoli di Emmaus. In esso si trova plasticamente rappresentato il pellegrinaggio della speranza, che passa attraverso l’incontro con Cristo risorto”.

Nell’omelia il papa ha raccontato il dolore e lo scandalo davanti alla morte di ‘un fragile’: “Il punto di partenza è l’esperienza della morte, e nella sua forma peggiore: la morte violenta che uccide l’innocente e così lascia sfiduciati, scoraggiati, disperati. Quante persone (quanti ‘piccoli’!) anche ai nostri giorni subiscono il trauma di questa morte spaventosa perché sfigurata dal peccato. Per questa morte non possiamo e non dobbiamo dire ‘laudato sì’, perché Dio Padre non la vuole, ed ha mandato il proprio Figlio nel mondo per liberarcene.

E’ scritto: il Cristo doveva patire queste sofferenze per entrare nella sua gloria e donarci la vita eterna. Lui solo può portare su di sé e dentro di sé questa morte corrotta senza esserne corrotto. Lui solo ha parole di vita eterna (trepidanti lo confessiamo qui vicino al Sepolcro di San Pietro) e queste parole hanno il potere di far ardere nuovamente la fede e la speranza nei nostri cuori”.

E la morte cede la strada alla speranza: “Quando Gesù prende il pane tra le sue mani che erano state inchiodate alla croce, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo offre, gli occhi dei discepoli si aprono, nei loro cuori sboccia la fede e, con la fede, una speranza nuova. Sì! Non è più la speranza che avevano prima e che avevano perduto. E’ una realtà nuova, un dono, una grazia del Risorto: è la speranza pasquale”.

Da questo momento nasce una vita nuova: “Come la vita di Gesù risorto non è più quella di prima, ma è assolutamente nuova, creata dal Padre con la potenza dello Spirito, così la speranza del cristiano non è la speranza umana, non è né quella dei greci né quella dei giudei, non si basa sulla sapienza dei filosofi né sulla giustizia che deriva dalla legge, ma solo e totalmente sul fatto che il Crocifisso è risorto ed è apparso a Simone, alle donne e agli altri discepoli. E’ una speranza che non guarda all’orizzonte terreno, ma oltre, guarda a Dio, a quell’altezza e profondità da dove è sorto il Sole venuto a rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”.

Ecco, quindi, il motivo per cui si può cantare l’ultima strofa del Cantico delle Creature (‘Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale’): “L’amore di Cristo crocifisso e risorto ha trasfigurato la morte: da nemica l’ha fatta sorella, l’ha ammansita… Siamo addolorati, certo, quando una persona cara ci lascia. Siamo scandalizzati quando un essere umano, specialmente un bambino, un ‘piccolo’, un fragile viene strappato via da una malattia o, peggio, dalla violenza degli uomini”.

La speranza cristiana trasforma il corpo: “Come cristiani siamo chiamati a portare con Cristo il peso di queste croci. Ma non siamo tristi come chi è senza speranza, perché anche la morte più tragica non può impedire al nostro Signore di accogliere tra le sue braccia la nostra anima e di trasformare il nostro corpo mortale, anche il più sfigurato, ad immagine del suo corpo glorioso”.

Questo è il significato di cimitero: “Per questo, i luoghi di sepoltura, i cristiani non li chiamano ‘necropoli’, cioè ‘città dei morti’, ma ‘cimiteri’, che significa letteralmente ‘dormitori’, luoghi dove si riposa, in attesa della risurrezione…

Carissimi, l’amato Papa Francesco e i fratelli Cardinali e Vescovi per i quali oggi offriamo il Sacrificio eucaristico, questa speranza nuova, pasquale, l’hanno vissuta, testimoniata e insegnata. Il Signore li ha chiamati e li ha costituiti quali pastori nella sua Chiesa, e col loro ministero essi (per usare il linguaggio del Libro di Daniele) hanno ‘indotto molti alla giustizia’, cioè li hanno guidati sulla via del Vangelo con la saggezza che viene da Cristo, il quale è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione”.

E sempre oggi con un chirografo il papa ha stabilito che san John Henry Newman sia il Santo Patrono della Pontificia Università Urbaniana: “Considerata la richiesta del Venerato Fratello, il Signor Cardinale Luis Antonio Gokim Tagle nella sua qualità di Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, che ha fatto sua la proposta del Delegato Pontificio Rettore Magnifico del medesimo Ateneo, dispongo che San John Henry Newman, Cardinale di Santa Romana Chiesa e Dottore della Chiesa, nato il 21 febbraio 1801 a Londra, morto l’11 agosto 1890 a Edgbaston, canonizzato il 13 ottobre 2019 in Piazza San Pietro, sia proclamato Patrono della Pontificia Università Urbaniana, affinché interceda per tale Istituzione accademica e sia, per quanti in essa si formano al servizio missionario della Chiesa, modello luminoso di fede e di ricerca sincera della verità”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV: la carità vince la morte

“Nel giorno della morte essi ci hanno lasciato, ma li portiamo sempre con noi nella memoria del cuore. E ogni giorno, in tutto ciò che viviamo, questa memoria è viva. Spesso c’è qualcosa che ci rimanda a loro, immagini che ci riportano a quanto abbiamo vissuto con loro. Tanti luoghi, perfino i profumi delle nostre case ci parlano di coloro che abbiamo amato e non sono più tra noi, e tengono acceso il loro ricordo”: al Cimitero Monumentale di Roma nel pomeriggio di oggi papa Leone XIV ha celebrato la Messa per la Commemorazione di tutti i fedeli defunti alla presenza di circa 2.000 fedeli, deponendo un mazzo di rose bianche su una tomba.

Per il papa questo giorno non è soltanto un ricordo, ma una speranza rivolta alla vita ‘futura’: “Oggi, però, non siamo qui soltanto per commemorare quanti sono passati da questo mondo. La fede cristiana, fondata sulla Pasqua di Cristo, ci aiuta infatti a vivere la memoria, oltre che come un ricordo passato, anche e soprattutto come una speranza futura. Non è tanto un volgersi indietro, ma piuttosto un guardare avanti, verso la mèta del nostro cammino, verso il porto sicuro che Dio ci ha promesso, verso la festa senza fine che ci attende”.

Tale speranza si fonda sulla Resurrezione: Questa ‘speranza futura’ anima il nostro ricordo e la nostra preghiera in questo giorno. Non è un’illusione che serve a placare il dolore per la separazione dalle persone amate, né un semplice ottimismo umano. E’ la speranza fondata sulla risurrezione di Gesù, che ha sconfitto la morte e ha aperto anche per noi il passaggio verso la pienezza della vita”.

Per questo la Chiesa propone la lettura del passo evangelico di san Matteo: “E questo approdo finale, il banchetto attorno a cui il Signore ci radunerà, sarà un incontro d’amore. Per amore Dio ci ha creati, nell’amore del Figlio suo ci salva dalla morte, nella gioia dell’amore con Lui e con i nostri cari vuole farci vivere per sempre. Proprio per questo, noi camminiamo verso la méta e la anticipiamo, in un legame invincibile con coloro che ci hanno preceduto, solo quando viviamo nell’amore e pratichiamo l’amore gli uni verso gli altri, in particolare verso i più fragili e i più poveri”.

Infatti solo la carità è capace di sconfiggere la morte: “La carità vince la morte. Nella carità Dio ci radunerà insieme ai nostri cari. E, se camminiamo nella carità, la nostra vita diventa una preghiera che si eleva e ci unisce ai defunti, ci avvicina a loro, nell’attesa di incontrarli nuovamente nella gioia dell’eternità”.

E’ stato un invito ad affidarsi alla speranza che non ‘delude’: “Cari fratelli e sorelle, mentre il dolore dell’assenza di chi non è più tra di noi rimane impresso nel nostro cuore, affidiamoci alla speranza che non delude; guardiamo al Cristo Risorto e pensiamo ai nostri cari defunti come avvolti dalla sua luce; lasciamo risuonare in noi la promessa di vita eterna che il Signore ci rivolge. Egli eliminerà la morte per sempre. Egli l’ha sconfitta per sempre aprendo un passaggio di vita eterna (cioè facendo Pasqua) nel tunnel della morte, perché, uniti a Lui, anche poi possiamo entrarvi e attraversarlo”.

Questa è la gioia: “Egli ci attende e, quando lo incontreremo, al termine di questa vita terrena, gioiremo con Lui e con i nostri cari che ci hanno preceduto. Questa promessa ci sostenga, asciughi le nostre lacrime, volga il nostro sguardo in avanti, verso quella speranza futura che non viene meno”.

Pensiero ribadito a conclusione della recita dell’Angelus: “Quella di oggi, dunque, è una giornata che sfida la memoria umana, così preziosa e così fragile. Senza memoria di Gesù (della sua vita, morte e risurrezione) l’immenso tesoro di ogni vita è esposto alla dimenticanza. Nella memoria viva di Gesù, invece, persino chi nessuno ricorda, anche chi la storia sembra avere cancellato, appare nella sua infinita dignità… Ecco l’annuncio pasquale. Per questo i cristiani ricordano da sempre i defunti in ogni Eucaristia, e fino ad oggi chiedono che i loro cari siano menzionati nella preghiera eucaristica. Da quell’annuncio sorge la speranza che nessuno andrà perduto”.

In questo contesto si apre il futuro: “La visita al cimitero, in cui il silenzio interrompe la frenesia del fare, sia dunque per tutti noi un invito alla memoria e all’attesa. «Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà», diciamo nel Credo. Commemoriamo, dunque, il futuro. Non siamo chiusi nel passato, nelle lacrime della nostalgia. Nemmeno siamo sigillati nel presente, come in un sepolcro. La voce familiare di Gesù ci raggiunga, e raggiunga tutti, perché è la sola che viene dal futuro. Ci chiama per nome, ci prepara un posto, ci libera dal senso di impotenza con cui rischiamo di rinunciare alla vita. Maria, donna del sabato santo, ci insegni ancora a sperare”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV: parlare al cuore degli studenti

“Come sappiamo, la Chiesa è Madre e Maestra, e voi contribuite a incarnarne il volto per tanti alunni e studenti alla cui educazione vi dedicate. Grazie infatti alla luminosa costellazione di carismi, metodologie, pedagogie ed esperienze che rappresentate, e grazie al vostro impegno ‘polifonico’ nella Chiesa, nelle Diocesi, in Congregazioni, Istituti religiosi, associazioni e movimenti, voi garantite a milioni di giovani una formazione adeguata, tenendo sempre al centro, nella trasmissione del sapere umanistico e scientifico, il bene della persona”: questa mattina papa Leone XIV ha incontrato insegnanti e studenti  per il Giubileo del mondo educativo, esortando i maestri ad entrare in contatto con ‘l’interiorità’ degli studenti.

Nel discorso è partito dall’essere stato insegnante: “Anch’io sono stato insegnante nelle Istituzioni educative dell’Ordine di Sant’Agostino e vorrei perciò condividere con voi la mia esperienza, riprendendo quattro aspetti della dottrina del Doctor Gratiae che considero fondamentali per l’educazione cristiana: l’interiorità, l’unità, l’amore e la gioia. Sono principi che vorrei diventassero i cardini di un cammino da fare insieme, facendo di questo incontro l’inizio di un percorso comune di crescita e arricchimento reciproco”.

E’ stato un invito a scoprire il ‘vero maestro’: “Circa l’interiorità, sant’Agostino dice che ‘il suono delle nostre parole percuote le orecchie, ma il vero maestro sta dentro’, ed aggiunge: ‘Quelli che lo Spirito non istruisce internamente, se ne vanno via senza aver nulla appreso’. Ci ricorda, così, che è un errore pensare che per insegnare bastino belle parole o buone aule scolastiche, laboratori e biblioteche. Questi sono solo mezzi e spazi fisici, certamente utili, ma il Maestro è dentro. La verità non circola attraverso suoni, muri e corridoi, ma nell’incontro profondo delle persone, senza il quale qualsiasi proposta educativa è destinata a fallire”.

Quindi il maestro è colui che parla al cuore dei ragazzi: “Noi viviamo in un mondo dominato da schermi e filtri tecnologici spesso superficiali, in cui gli studenti, per entrare in contatto con la propria interiorità, hanno bisogno di aiuto. E non solo loro. Anche per gli educatori, infatti, frequentemente stanchi e sovraccarichi di compiti burocratici, è reale il rischio di dimenticare ciò che san John Henry Newman sintetizzava con l’espressione: cor ad cor loquitur (‘il cuore parla al cuore’) e che sant’Agostino raccomandava, dicendo: ‘Non guardare fuori. Ritorna a te stesso. La verità risiede dentro di te’.

Sono espressioni che invitano a guardare alla formazione come a una via su cui insegnanti e discepoli camminano insieme, consapevoli di non cercare invano ma, al tempo stesso, di dover cercare ancora, dopo aver trovato. Solo questo sforzo umile e condiviso, che nei contesti scolastici si configura come progetto educativo,  può portare alunni e docenti ad avvicinarsi alla verità”.

Perciò è necessaria l’unità, parola che ha scelto come motto papale, decidendo di continuare il progetto del Patto Educativo Globale: “Questa dimensione del ‘con’, costantemente presente negli scritti di Sant’Agostino, è fondamentale nei contesti educativi, come sfida a ‘decentrarsi’ e come stimolo a crescere…  E se ciò è vero in senso generale, lo è a maggior ragione nella reciprocità tipica dei processi educativi, in cui la condivisione del sapere non può che configurarsi come un grande atto d’amore”.

Quindi per portare avanti l’educazione è necessario l’amore: “In campo formativo, allora, ciascuno potrebbe chiedersi quale sia l’impegno posto per intercettare le necessità più urgenti, quale lo sforzo per costruire ponti di dialogo e di pace, anche all’interno delle comunità docenti, quale la capacità di superare preconcetti o visioni limitate, quale l’apertura nei processi di co-apprendimento, quale lo sforzo di venire incontro e rispondere alle necessità dei più fragili, poveri ed esclusi. Condividere la conoscenza non è sufficiente per insegnare: serve amore”.

E’ con amore che si valorizza lo studente: “Solo così essa sarà proficua per chi la riceve, in sé stessa e anche e soprattutto per la carità che veicola. L’insegnamento non può mai essere separato dall’amore, ed una difficoltà attuale delle nostre società è quella di non saper più valorizzare a sufficienza il grande contributo che insegnanti ed educatori danno, in merito, alla comunità. Ma facciamo attenzione: danneggiare il ruolo sociale e culturale dei formatori è ipotecare il proprio futuro, e una crisi della trasmissione del sapere porta con sé una crisi della speranza”.

Ma tutto ciò deve essere fatto con gioia: “Oggi, nei nostri contesti educativi, preoccupa veder crescere i sintomi di una fragilità interiore diffusa, a tutte le età. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questi silenziosi appelli di aiuto, anzi dobbiamo sforzarci di individuarne le ragioni profonde. L’intelligenza artificiale, in particolare, con la sua conoscenza tecnica, fredda e standardizzata, può isolare ulteriormente studenti già isolati, dando loro l’illusione di non aver bisogno degli altri o, peggio ancora, la sensazione di non esserne degni”.

Quindi quattro parole che devono diventare ‘punti cardine’: “Perciò, carissimi, vi invito a fare di questi valori (interiorità, unità, amore e gioia) dei ‘punti cardine’ della vostra missione verso i vostri allievi”.

Anche nell’incontro con i membri  dell’ ‘Organización de Universidades Católicas de América Latina y el Caribe’ papa Leone XIV aveva evidenziato la necessità dell’istruzione cattolica: “Oggi, l’università cattolica, come ha affermato papa Francesco, rimane uno dei migliori strumenti che la Chiesa offre al nostro tempo, ed è espressione di quell’amore che anima ogni azione della Chiesa, ovvero l’amore di Dio per la persona umana”.

Da qui l’importanza delle Università cattoliche in America Latina: “Fin dalle origini della vita universitaria in America Latina, la Chiesa è stata una forza trainante nell’educazione. Le prime università del continente, come quelle di Santo Domingo, San Marcos a Lima, in Messico, e molte altre, sono nate dall’iniziativa di vescovi, religiosi e missionari convinti che annunciare Gesù Cristo, ‘Via, Verità e Vita’, ‘sia parte integrante del messaggio cristiano di salvezza’… Siete ben consapevoli delle sfide che l’educazione deve affrontare oggi. Con creatività, e sapendo che la grazia vi sostiene, proseguite nella missione che la Chiesa vi affida”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV invita a custodire il cuore attraverso l’educazione

Papa Leone XIV firma Lettera apostolica

“Disegnare nuove mappe di speranza. Il 28 ottobre 2025 ricorre il 60° anniversario della Dichiarazione conciliare ‘Gravissimum Educationis’ sull’estrema importanza e attualità dell’educazione nella vita della persona umana. Con quel testo, il Concilio Vaticano II ha ricordato alla Chiesa che l’educazione non è attività accessoria, ma forma la trama stessa dell’evangelizzazione: è il modo concreto con cui il Vangelo diventa gesto educativo, relazione, cultura. Oggi, davanti a mutamenti rapidi e ad incertezze che disorientano, quell’eredità mostra una tenuta sorprendente”: così inizia la lettera apostolica ‘Disegnare nuove mappe di speranza’, diffusa oggi, in occasione dei 60 anni dalla Dichiarazione conciliare ‘Gravissimum Educationis’, integrandola con le sfide attuali.

La lettera sottolinea l’importanza di essere guidati dalla Parola di Dio: “Laddove le comunità educative si lasciano guidare dalla Parola di Cristo, non si ritirano, ma si rilanciano; non alzano muri, ma costruiscono ponti. Reagiscono con creatività, aprendo possibilità nuove alla trasmissione della conoscenza e del senso nella scuola, nell’università, nella formazione professionale e civile, nella pastorale scolastica e giovanile, e nella ricerca, poiché il Vangelo non invecchia ma fa ‘nuove tutte le cose’. Ogni generazione lo ascolta come novità che rigenera. Ogni generazione è responsabile del Vangelo e della scoperta del suo potere seminale e moltiplicatore”.

Quindi, nonostante gli anni trascorsi, tale Dichiarazione è ancora attuale: “La Dichiarazione ‘Gravissimum Educationis’ non ha perso mordente. Dalla sua ricezione è nato un firmamento di opere e carismi che ancora oggi orienta il cammino: scuole e università, movimenti e istituti, associazioni laicali, congregazioni religiose e reti nazionali e internazionali. Insieme, questi corpi vivi hanno consolidato un patrimonio spirituale e pedagogico capace di attraversare il XXI secolo, e rispondere alle sfide più pressanti”.

Ed è ancora una ‘bussola’: “Questo patrimonio non è ingessato: è una bussola che continua a indicare la direzione e a parlare della bellezza del viaggio. Le aspettative, oggi, non sono minori delle tante con le quali la Chiesa ebbe a confrontarsi sessant’anni orsono. Anzi si sono ampliate e complessificate. Davanti ai tanti milioni di bambini nel mondo che non hanno ancora accesso alla scolarizzazione primaria, come possiamo non agire?

Davanti alle drammatiche situazioni di emergenza educativa provocata dalle guerre, dalle migrazioni, dalle diseguaglianze e dalle diverse forme di povertà, come non sentire l’urgenza di rinnovare il nostro impegno? L’educazione (come ho ricordato nella mia Esortazione Apostolica ‘Dilexi te) ‘è una delle espressioni più alte della carità cristiana’. Il mondo ha bisogno di questa forma di speranza”.

Quindi l’educazione cattolica è dinamica: “La storia dell’educazione cattolica è storia dello Spirito all’opera. Chiesa ‘madre e maestra’ non per supremazia, ma per servizio: genera alla fede e accompagna nella crescita della libertà, assumendo la missione del Divin Maestro affinché tutti ‘abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’. Gli stili educativi che si sono succeduti mostrano una visione dell’uomo come immagine di Dio, chiamata alla verità e al bene, e un pluralismo di metodi al servizio di questa chiamata. I carismi educativi non sono formule rigide: sono risposte originali ai bisogni di ogni epoca”.

Si basa su una tradizione viva, in quanto comunità: “L’educazione cristiana è opera corale: nessuno educa da solo. La comunità educante è un ‘noi’ dove il docente, lo studente, la famiglia, il personale amministrativo e di servizio, i pastori e la società civile convergono per generare vita. Questo ‘noi’ impedisce che l’acqua ristagni nella palude del ‘si è sempre fatto così’ e la costringe a scorrere, a nutrire, a irrigare. Il fondamento resta lo stesso: la persona, immagine di Dio, capace di verità e relazione”.

Ricordando le parole di san Newman il papa ricorda che il rapporto tra fede e ragione non è un’opzione: “Occorre uscire dalle secche col recuperare una visione empatica e aperta a capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. Per questo non si devono separare il desiderio e il cuore dalla conoscenza: significherebbe spezzare la persona. L’università e la scuola cattolica sono luoghi dove le domande non vengono tacitate, e il dubbio non è bandito ma accompagnato. Il cuore, lì, dialoga col cuore, e il metodo è quello dell’ascolto che riconosce l’altro come bene, non come minaccia”.

L’educazione cristiana mette al centro la persona: “Mettere al centro la persona significa educare allo sguardo lungo di Abramo: far scoprire il senso della vita, la dignità inalienabile, la responsabilità verso gli altri. L’educazione non è solo trasmissione di contenuti, ma apprendistato di virtù. Si formano cittadini capaci di servire e credenti capaci di testimoniare, uomini e donne più liberi, non più soli. E la formazione non si improvvisa”.

E’ un invito a non disgiungere fede, cultura e vita: “Nella condivisione della comune missione educativa è necessario anche un cammino di formazione comune, ‘iniziale e permanente, capace di cogliere le sfide educative del momento presente e di fornire strumenti più efficaci per poterle affrontare’. E non bastano aggiornamenti tecnici: occorre custodire un cuore che ascolta, uno sguardo che incoraggia, una intelligenza che discerne”.

Inoltre l’educazione cristiana invita a contemplare il creato: “L’antropologia cristiana è alla base di uno stile educativo che promuove il rispetto, l’accompagnamento personalizzato, il discernimento e lo sviluppo di tutte le dimensioni umane. Tra esse non è secondario un afflato spirituale, che si realizza e si rafforza anche attraverso la contemplazione del Creato. Questo aspetto non è nuovo nella tradizione filosofica e teologica cristiana dove lo studio della natura aveva anche come proposito la dimostrazione delle tracce di Dio (vestigia Dei) nel nostro mondo”.

Per questo è necessaria anche una responsabilità educativa: “La responsabilità ecologica non si esaurisce in dati tecnici. Essi sono necessari, ma non bastano. Occorre un’educazione che coinvolga la mente, il cuore e le mani; abitudini nuove, stili comunitari, pratiche virtuose. La pace non è assenza di conflitto: è forza mite che rifiuta la violenza. Un’educazione alla pace ‘disarmata e disarmante’ insegna a deporre le armi della parola aggressiva e dello sguardo che giudica, per imparare il linguaggio della misericordia e della giustizia riconciliata”.

Tale dichiarazione aveva aperto ‘spazi’ da abitare: “Per abitare questi spazi occorre creatività pastorale: rafforzare la formazione dei docenti anche sul piano digitale; valorizzare la didattica attiva; promuovere service-learninge cittadinanza responsabile; evitare ogni tecnofobia. Il nostro atteggiamento nei confronti della tecnologia non può mai essere ostile, perché ‘il progresso tecnologico fa parte del piano di Dio per la creazione’. Ma chiede discernimento sulla progettazione didattica, sulla valutazione, sulle piattaforme, sulla protezione dei dati, sull’accesso equo. In ogni caso, nessun algoritmo potrà sostituire ciò che rende umana l’educazione: poesia, ironia, amore, arte, immaginazione, la gioia della scoperta e perfino, l’educazione all’errore come occasione di crescita”.

Per il papa la discriminate è l’uso della tecnologia: “Il punto decisivo non è la tecnologia, ma l’uso che ne facciamo. L’intelligenza artificiale e gli ambienti digitali vanno orientati alla tutela della dignità, della giustizia e del lavoro; vanno governati con criteri di etica pubblica e partecipazione; vanno accompagnati da una riflessione teologica e filosofica all’altezza. Le università cattoliche hanno un compito decisivo: offrire ‘diaconia della cultura’, meno cattedre e più tavole dove sedersi insieme, senza gerarchie inutili, per toccare le ferite della storia e cercare, nello Spirito, sapienze che nascano dalla vita dei popoli”.

Ed ecco le priorità: “La prima riguarda la vita interiore: i giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio, discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio. La seconda riguarda il digitale umano: formiamo all’uso sapiente delle tecnologie e dell’IA, mettendo la persona prima dell’algoritmo e armonizzando intelligenze tecnica, emotiva, sociale, spirituale ed ecologica. La terza riguarda la pace disarmata e disarmante: educhiamo a linguaggi non violenti, riconciliazione, ponti e non muri; ‘Beati gli operatori di pace’ diventi metodo e contenuto dell’apprendere”.

In conclusione ecco le nuove mappe della speranza: “Le costellazioni non si riducono a neutri e appiattiti concatenamenti delle diverse esperienze. Invece di catene, osiamo pensare alle costellazioni, al loro intreccio pieno di meraviglia e risvegli. In esse risiede quella capacità di navigare tra le sfide con speranza ma anche con una coraggiosa revisione, senza perdere la fedeltà al Vangelo… Eppure, proprio qui, l’educazione cattolica può essere faro: non rifugio nostalgico, ma laboratorio di discernimento, innovazione pedagogica e testimonianza profetica. Disegnare nuove mappe di speranza: è questa l’urgenza del mandato.

Chiedo alle comunità educative: disarmate le parole, alzate lo sguardo, custodite il cuore. Disarmate le parole, perché l’educazione non avanza con la polemica, ma con la mitezza che ascolta. Alzate lo sguardo. Come Dio disse ad Abramo, ‘Guarda il cielo e conta le stelle’: sappiate domandarvi dove state andando e perché. Custodite il cuore: la relazione viene prima dell’opinione, la persona prima del programma”.

Papa Leone XIV ricorda che il vescovo è un pastore

Oggi la Chiesa di Roma gioisce insieme con la Chiesa universale, esultando per il dono di un nuovo Vescovo: Mons. Mirosław Stanisław Wachowski, figlio della terra polacca, Arcivescovo titolare eletto di Villamagna di Proconsolare e Nunzio Apostolico presso il caro popolo dell’Iraq. Il motto da lui scelto (‘Gloria Deo Pax Hominibus’) risuona come eco del canto natalizio degli angeli a Betlemme: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama’. E’ il programma di una vita: cercare sempre che la gloria di Dio risplenda nella pace tra gli uomini. Questo è il senso profondo di ogni vocazione cristiana, e in modo particolare di quella episcopale: rendere visibile, con la propria vita, la lode di Dio e il suo desiderio di riconciliare il mondo a sé”.

Con queste parole papa Leone XIV ha presieduto la messa per l’Ordinazione Episcopale di Monsignor Mirosław Stanisław Wachowski, arcivescovo titolare di Villamagna di Proconsolare e Nunzio Apostolico in Iraq, commentando il motto episcopale scelto dal neo Nunzio: “La Parola di Dio appena proclamata ci offre alcuni tratti essenziali del ministero episcopale.

Il Vangelo ci mostra due uomini che pregano al tempio: un fariseo e un pubblicano. Il primo si presenta con sicurezza, elencando le proprie opere; il secondo rimane in fondo, senza osare alzare lo sguardo, e affida tutto a una sola invocazione: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’.. . La preghiera del povero attraversa le nubi, ci ricorda il Siracide: Dio ascolta la supplica di chi si affida totalmente a Lui”.

Il papa ha sottolineato la necessità dell’umiltà: “Questa è la prima lezione per ogni Vescovo: l’umiltà. Non l’umiltà delle parole, ma quella che abita il cuore di chi sa di essere servo, non padrone; pastore, non proprietario del gregge”.

Eppoi una sottolineatura sulla preghiera: “Mi commuove pensare alla preghiera umile che, in Mesopotamia, sale da secoli come incenso: il pubblicano del Vangelo ha il volto di tanti fedeli d’Oriente che, nel silenzio, continuano a dire: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’. La loro preghiera non si spegne, e oggi la Chiesa universale si unisce a quel coro di fiducia che attraversa le nubi e tocca il cuore di Dio”.

E’ stato anche un invito a non perdere la contemplazione: “Caro monsignor Mirosław, tu vieni da una terra di laghi e foreste. In quei paesaggi, dove il silenzio è maestro, hai imparato a contemplare; tra la neve e il sole, hai appreso la sobrietà e la forza; in una famiglia contadina, la fedeltà alla terra e al lavoro. Il mattino che inizia presto ti ha insegnato la disciplina del cuore, e l’amore per la natura ti ha fatto scoprire la bellezza del Creatore”.

Le radici sono quindi una scuola da cui imparare: “Queste radici non sono soltanto un ricordo da conservare, ma una scuola permanente. Dal contatto con la terra hai imparato che la fecondità nasce dall’attesa e dalla fedeltà: due parole che definiscono anche il ministero episcopale. Il Vescovo è chiamato a seminare con pazienza, a coltivare con rispetto, ad attendere con speranza. E’ custode, non proprietario; uomo di preghiera, non di possesso. Il Signore ti affida una missione perché tu la curi con la stessa dedizione con cui il contadino si prende cura del campo: ogni giorno, con costanza, con fede”.

Dopo aver percorso la carriera diplomatica ora mons. Wachowski è chiamato ad essere pastore: “Ora il Signore chiede che tale dono diventi paternità pastorale: essere padre, pastore e testimone della speranza in una terra segnata dal dolore e dal desiderio di rinascita. Sei chiamato a combattere la buona battaglia della fede, non contro gli altri, ma contro la tentazione di stancarti, di chiuderti, di misurare i risultati, contando sulla fedeltà che è il tuo tratto distintivo: la fedeltà di chi non cerca sé stesso, ma serve con professionalità, con rispetto, con una competenza che illumina e non ostenta”.

Quindi il papa  lo ha inviato a ‘rafforzare’ le radici del popolo cristiano dell’Iraq: “In Iraq, terra della tua missione, questo servizio assume un significato speciale. Lì, la Chiesa cattolica, in piena comunione con il Vescovo di Roma, vive in diverse tradizioni: la Chiesa caldea, con il suo Patriarca di Babilonia dei Caldei e la lingua aramaica della liturgia; le Chiese siro-cattolica, armeno-cattolica, greco-cattolica e latina. È un mosaico di riti e di culture, di storia e di fede, che chiede di essere accolto e custodito nella carità”.

La cristianità in Iraq ha radici profonde: “La presenza cristiana in Mesopotamia è antichissima: secondo la tradizione, fu san Tommaso apostolo, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, a portare il Vangelo in quella terra; e furono i suoi discepoli Addai e Mari a fondare le prime comunità. In quella regione si prega nella lingua che Gesù parlava: l’aramaico. Questa radice apostolica è segno di una continuità che la violenza, manifestatasi con ferocia negli ultimi decenni, non ha potuto spegnere. Anzi, la voce di quanti in quelle terre sono stati privati della vita in modo brutale non viene meno. Essi pregano oggi per te, per l’Iraq, per la pace del mondo”.

Ricordando il viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq il papa gli ha dato il ‘compito’ di essere un ‘uomo di comunione’: “Oggi tu sei chiamato a proseguire quel cammino: a custodire i germogli della speranza, a incoraggiare la convivenza pacifica, a mostrare che la diplomazia della Santa Sede nasce dal Vangelo e si alimenta della preghiera.

Caro Monsignor Mirosław, sii sempre uomo di comunione e di silenzio, di ascolto e di dialogo. Porta nella tua parola la mitezza che edifica e nel tuo sguardo la pace che consola. In Iraq, il popolo ti riconoscerà non per ciò che dirai, ma per come amerai”.

(Foto: Santa Sede)

Giubileo dei Movimenti Popolari: ce lo racconta don Mattia Ferrari

In questo fine settimana si sta svolgendo in Vaticano il quinto incontro dei Movimenti Popolari, seguito dal pellegrinaggio giubilare, come ha sottolineato il card. M. Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, riprendendo l’esortazione apostolica ‘Dilexi Te’; “I leader popolari sanno che solidarietà significa anche lottare contro le cause strutturali della povertà e della disuguaglianza; della mancanza di lavoro, di terra e di casa; e della negazione dei diritti sociali e lavorativi. Significa affrontare gli effetti distruttivi dell’impero del denaro… La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è ciò che stanno facendo i movimenti popolari”.

Il coordinatore della piattaforma EMMP (Encuentro Mundial de Movimientos Populares), don Mattia Ferrari, aveva sottolineato l’importanza dei movimenti popolari: “In questo momento storico aumentano le ingiustizie, si intensificano le violenze contro le persone migranti, si aggrava la dittatura di un’economia che uccide, si investe nell’economia di guerra, la crisi ecologica peggiora. I movimenti popolari e la Chiesa costituiscono la speranza di un altro mondo possibile, fondato non sull’individualismo ma sulla giustizia, sulla solidarietà e la fraternità. I movimenti popolari sono chiamati oggi soprattutto a promuovere le relazioni tra di loro, con gli altri attori sociali, e con le Chiese locali”.

Partiamo da queste indicazioni per comprendere da don Mattia Ferrari il motivo per cui i componenti dei movimenti popolari sono portatori di speranza?

“Con le loro vite e le loro storie i componenti dei movimenti popolari sono portatori di speranza che ci aiutano a riscoprire il significato della speranza, che non è mai un sogno individuale, ma è sempre comunitario, perché è il sogno della fraternità, il sogno delle relazioni”.

In quale modo essi possono stimolare all’accoglienza?

“Attraverso le relazioni. Ogni volta che ci relazioniamo con i migranti sentiamo nascere la solidarietà. Quindi ci salviamo attraverso le relazioni con loro?

Nella sua attività pastorale dove ha riscontrato la speranza?

“La speranza che nasce dal salvarsi insieme ed abbiamo il coraggio di aprire il cuore e di creare solidarietà”.

E’ diventato cappellano di bordo sulla nave della ong ‘Mediterranea Saving Humans’: per quale motivo si è sentito ‘salvato dai migranti’?

.” Cosa mi ha insegnato questa storia? Che se apriamo il nostro cuore ai poveri, agli scartati, agli ultimi del mondo, se accettiamo di vivere l’avventura di diventare davvero loro amici e fratelli, allora la vita ci sorprenderà. Perché laddove si permette alla forza dell’amore di sprigionarsi, la vita sorprende e accade quello che mai ci si sarebbe aspettati”.

Ma come è diventato cappellano di bordo?

“Sono diventato cappellano di bordo della Mare Jonio non per scelta mia, ma in risposta alla chiamata ricevuta dell’equipaggio stesso. Infatti tra i fondatori di ‘Mediterranea’ ci sono i ragazzi e le ragazze dei centri sociali bolognesi Tpo e Labas, con cui siamo amici da anni grazie proprio alla comune fraternità con le persone migranti. Hanno voluto avere il cappellano di bordo come segno della presenza della Chiesa, che accompagna questa missione”.

In quale modo la fede ha inciso in questa scelta?

“La fede ha inciso, perché quando i miei compagni mi hanno rivolto l’invito ho subito pensato a Gesù. In loro ho visto il Vangelo: sono ragazzi e ragazze ‘affamati ed assetati di giustizia’, come dice il brano evangelico delle Beatitudini, ragazzi e ragazze che vivono la ‘compassione viscerale’, di cui ci parla la parabola del Buon Samaritano, realizzando quell’accoglienza di Gesù nei suoi fratelli più piccoli di cui parla il capitolo 25 del Vangelo matteano. Dico sempre infatti che non sono tanto io che evangelizzo i miei compagni, ma sono loro che evangelizzano me.

La Chiesa ha sostenuto questa scelta: per partire come cappellano di bordo, abbiamo prima chiesto il consenso dei vescovi competenti. Il riscontro loro, insieme alle altre persone cristiane presenti con me, il segno concreto che la Chiesa è con loro”.

Ma è anche amico di molti disabili: in quale modo si approccia con loro?

“Alcuni tra i miei migliori amici da sempre sono disabili. Le nostre comunità cristiane hanno tanto da imparare dalle persone disabili e dalle loro famiglie. Tante volte perdiamo di vista il vero senso della vita. Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita.

Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita. Non a caso Gesù considera tutte queste persone i Suoi fratelli più piccoli. Dall’ascolto e dalla condivisione con loro possiamo imparare meglio il Vangelo e conoscere meglio Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

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