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Il papa ai giovani di Singapore: siate coraggiosi!
Papa Francesco ha concluso il suo 45^ viaggio apostolico internazionale svoltosi dal 2 al 13 settembre (in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore), il più lungo del suo Pontificato. Alle ore 12. 25 (ora locale) (ore 6.25 in Italia) l’aereo è decollato per Roma, dove atterrerà, dopo 6 ore di volo alle ore 18:25 circa.
Nell’ultimo incontro papa Francesco ha ‘colloquiato’ con i giovani riuniti al Catholic Junior College per l’incontro interreligioso, che lo hanno accolto con canti ed una danza eseguita da giovani con disabilità: “La gioventù è coraggiosa e alla gioventù piace andare verso la verità. Fare cammino, fare creatività. E la gioventù deve stare attenta a non cadere in quello che tu hai detto, i ‘critici da salotto’, parole… Un giovane dev’essere critico. Un giovane che non critica non va bene. Ma dev’essere costruttivo nella critica, perché c’è una critica distruttiva, che fa tante critiche ma non fa una strada nuova”.
Quindi i giovani non si devono accontentare, cioè non devono vivere ‘sdraiati’: “I giovani devono avere il coraggio di costruire, di andare avanti e uscire dalle zone ‘confortevoli’. Un giovane che sceglie di passare sempre la sua vita in modo ‘confortevole’ è un giovane che ingrassa! Ma non ingrassa la pancia, ingrassa la mente! Per questo dico ai giovani: ‘Rischiate, uscite! Non abbiate paura!’ La paura è un atteggiamento dittatoriale che ti rende paralitico, ti procura una paralisi”.
E’ stato un invito a non temere di sbagliare: “E’ vero che tante volte i giovani sbagliano, tante, e sarebbe bello che ognuno di noi, che ognuno di voi, giovani, pensaste: quante volte ho sbagliato? Ho sbagliato perché ho incominciato a camminare e ho fatto degli errori nel cammino.
E questo è normale, l’importante è rendersi conto di aver sbagliato. Faccio una domanda, vediamo chi mi risponde di voi. Cosa è peggio? Sbagliare perché faccio un cammino o non sbagliare perché rimango chiuso in casa?..
I giovani devono avere il coraggio di costruire di andare avanti, di uscire dalle zone confortevoli un giovane che sceglie di vivere sempre la sua vita in un modo confortevole è un giovane che ingrassa, risate, ma non ingrassa la pancia ingrassa la mente, per questo io dico ai giovani rischiate, uscite, non avete paura, la paura è un atteggiamento dittatoriale, che ti paralizza”.
Inoltre il papa ha sottolineato che è stato impressionati dalla loro capacità di dialogo interreligioso: “Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso… C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio.
Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini… Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo”.
Infatti l’età giovanile è quella del coraggio, che assieme al rispetto è necessario per il dialogo, il quale ha un ruolo fondamentale per affrontare il fenomeno del bullismo: “Una cosa che aiuta tanto è il rispetto, il dialogo. Io vi dirò una cosa. Non so se succede qui, in questa città, ma in altre città succede. Fra i giovani c’è una cosa brutta: bullying…
Ma sempre, sia il bullying verbale sia il bullying fisico, sempre è un’aggressione. Sempre. E pensate, nelle scuole o nei gruppi giovanili o di bambini, il bullying lo fanno con coloro che sono più deboli… Perché superare queste cose aiuta in quello che voi fate, il dialogo interreligioso. Perché il dialogo interreligioso si costruisce con il rispetto degli altri. E questo è molto importante”.
Infine papa Francesco ha invitato i giovani a seguire le parole di Raaj: “Io voglio ringraziare e ripetere quello che Raaj ci ha detto: fare tutto il possibile per mantenere un atteggiamento coraggioso e promuovere uno spazio in cui i giovani possono entrare e dialogare. Perché il vostro dialogo è un dialogo che genera un cammino, che fa strada. E se voi dialogate da giovani, dialogherete anche da grandi, da adulti, dialogherete come cittadini, come politici.
E vorrei dirvi una cosa sulla storia: ogni dittatura nella storia, la prima cosa che fa è tagliare il dialogo. Vi ringrazio di queste domande e sono contento di incontrare i giovani, incontrare questi coraggiosi, quasi ‘sfacciati’, sono bravi!”.
Poco prima papa Francesco aveva abbracciato malati e anziani a cui aveva assicurato le sue preghiere: “Dio è contento di sentire la preghiera vostra. Grazie tante della vostra pazienza e della vostra preghiera. Adesso con questa benedizione il Signore si manifesta vicino a voi. Il Signore perdona tutto sempre e io manifesto nel nome del Signore il perdono a tutti voi”. L’incontro si è concluso con la recita della preghiera dell’Ave Maria.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: l’Amore è edificante
Con una celebrazione eucaristica davanti a 50.000 fedeli papa Francesco ha concluso la giornata a Singapore, prendendo spunto dalle parole dell’apostolo Paolo, secondo cui solo l’Amore edifica: “Proprio per questo, vorrei commentare le stesse parole prendendo spunto dalla bellezza di questa città, e dalle grandi e ardite architetture che contribuiscono a renderla così famosa e affascinante, cominciando dall’impressionante complesso del National Stadium, in cui ci troviamo.
E vorrei farlo ricordando che, in ultima analisi, anche all’origine di queste imponenti costruzioni, come di ogni altra impresa che lasci un segno positivo in questo mondo, non ci sono, come molti pensano, prima di tutto i soldi, né la tecnica e nemmeno l’ingegneria (tutti mezzi utili, molto utili), ma c’è l’amore: ‘l’amore che edifica’, appunto”.
Perciò ha sottolineato che la frase paolina non è banale: “Non c’è opera buona, infatti, dietro cui non ci siano delle persone magari geniali, forti, ricche, creative, ma pur sempre donne e uomini fragili, come noi, per i quali senza l’amore non c’è vita, né slancio, né motivo per agire, né forza per costruire.
Cari fratelli e sorelle, se qualcosa di buono c’è e rimane in questo mondo, è solo perché, in infinite e varie circostanze, l’amore ha prevalso sull’odio, la solidarietà sull’indifferenza, la generosità sull’egoismo. Senza questo, anche qui nessuno avrebbe potuto far crescere una metropoli così grande, gli architetti non avrebbero progettato, gli operai non avrebbero lavorato e nulla si sarebbe potuto realizzare”.
E’ stato un invito a leggere queste storie d’amore, perché senza esso non c’è vitalità: “Allora ciò che noi vediamo è un segno, e dietro ciascuna delle opere che ci stanno di fronte ci sono tante storie d’amore da scoprire: di uomini e donne uniti gli uni agli altri in una comunità, di cittadini dediti al loro Paese, di madri e padri solleciti per le loro famiglie, di professionisti e lavoratori di ogni genere e grado, onestamente impegnati nei loro diversi ruoli e mansioni.
E ci fa bene imparare a leggerle, queste storie, scritte sulle facciate delle nostre case e sui tracciati delle nostre strade, e tramandarne la memoria, per ricordarci che nulla di duraturo nasce e cresce senza l’amore. A volte succede che la grandezza e l’imponenza dei nostri progetti possono farcelo dimenticare, illudendoci di potere, da soli, essere gli autori di noi stessi, della nostra ricchezza, del nostro benessere, della nostra felicità, ma alla fine la vita ci riporta sempre ad un’unica realtà: senza amore non siamo nulla”.
Ma è la fede che illumina l’amore: “La fede, poi, ci conferma e ci illumina ancora di più circa questa certezza, perché ci dice che alla radice della nostra capacità di amare e di essere amati c’è Dio stesso, che con cuore di Padre ci ha desiderati e portati all’esistenza in modo totalmente gratuito e che in modo altrettanto gratuito ci ha redenti e liberati dal peccato e dalla morte, con la morte e risurrezione del suo Figlio Unigenito. E’ in Lui, in Gesù, che ha origine e compimento tutto ciò che siamo e che possiamo diventare”.
Ed ha ripreso l’omelia che papa san Giovanni Paolo II fece nel 1986 proprio in quello stadio: “Fratelli e sorelle, questa è una parola importante per noi perché, al di là dello stupore che proviamo davanti alle opere fatte dall’uomo, ci ricorda che c’è una meraviglia ancora più grande, da abbracciare con ancora maggiore ammirazione e rispetto: e cioè i fratelli e le sorelle che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, senza preferenze e senza differenze, come ben testimoniano la società e la Chiesa singaporiane, etnicamente così varie e al tempo stesso così unite e solidali!”
L’amore di Dio è stato già sperimentato dalla Madonna: “La prima è Maria, del cui Nome Santissimo oggi celebriamo la memoria. A quante persone hanno dato e danno speranza il suo sostegno e la sua presenza, su quante labbra è apparso e appare il suo Nome in momenti di gioia e anche di dolore! E questo perché in Lei, in Maria, noi vediamo l’amore del Padre manifestarsi in uno dei modi più belli e totali: quello della tenerezza (non dimentichiamo la tenerezza!) la tenerezza di una mamma, che tutto comprende, che tutto perdona e che non ci abbandona mai. Per questo ci rivolgiamo a Lei!”
Concludendo l’omelia ha citato anche l’ardore missionario di san Francesco Saverio: “Il secondo è un santo caro a questa terra, che qui ha trovato ospitalità tante volte durante i suoi viaggi missionari. Parlo di San Francesco Saverio, accolto in questa terra in molte occasioni, l’ultima il 21 luglio 1552.
Di lui ci è rimasta una bellissima lettera indirizzata a Sant’Ignazio e ai primi compagni, in cui manifesta il suo desiderio di andare in tutte le università del suo tempo… perché si sentano spinti a farsi missionari per amore dei fratelli”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco a Singapore: costruire il multilateralismo
Da Singapore, dove è arrivato ieri per l’ultima tappa del viaggio apostolico, papa Francesco nei discorso al Corpo Diplomatico ha rivolto un messaggio di speranza, come ha scritto nel Libro d’Oro: “Come la stella che guidò i Magi, così la luce della sapienza orienti sempre Singapore nella costruzione di una società unita e capace di trasmettere speranza”.
In apertura del suo discorso il papa ha evidenziato proprio l’aspetto di un crocevia, ringraziando dell’accoglienza: “Chi arriva qui per la prima volta non può non essere impressionato dalla selva di modernissimi grattacieli che sembrano sorgere dal mare. Essi sono una chiara testimonianza dell’ingegno umano, della dinamicità della società di Singapore e dell’acume dello spirito imprenditoriale, che qui hanno trovato un terreno fertile per esprimersi”.
Quest’anno Singapore festeggia i 101 anni dalla nascita di Lee Kuan Yew, che fu il Primo Ministro della Repubblica e che dal 1959 al 1990 diede forte impulso ai cambiamenti del Paese: “E’ frutto di decisioni razionali e non del caso, è il risultato di un costante impegno nel portare a termine progetti e iniziative ben ponderate e in sintonia con le caratteristiche specifiche del luogo… Singapore non solo ha prosperato economicamente, ma si è sforzata di costruire una società nella quale la giustizia sociale e il bene comune sono tenuti in grande considerazione”.
In effetti la prosperità economica di Singapore ha corso in parallelo alla costruzione di una società attenta alla giustizia sociale e al bene comune, anche se il papa ha messo in luce un rischio pericoloso se i provvedimenti non sono giusti: “Su questo fronte, riconosco e lodo le varie politiche e iniziative messe in atto per sostenere i più deboli, e auspico che venga prestata particolare attenzione ai poveri, agli anziani, le cui fatiche hanno gettato le fondamenta per la Singapore che conosciamo oggi, e anche per tutelare la dignità dei lavoratori migranti, che molto contribuiscono alla costruzione della società, e ai quali occorre garantire un salario equo”.
In effetti la cura è possibile se si mantengono le relazioni: “E’ essenziale coltivare relazioni umane reali e concrete; e che queste tecnologie si possono valorizzare proprio per avvicinarsi gli uni agli altri, promuovendo comprensione e solidarietà, e non per isolarsi pericolosamente in una realtà fittizia e impalpabile”.
Quindi ha sottolineato la coesistenza armonica di etnie, culture e religioni: “Singapore è un mosaico di etnie, culture e religioni che convivono in armonia, e questa parola è molto importante: l’armonia. Il raggiungimento e la conservazione di questa positiva inclusività sono favoriti dall’imparzialità dei poteri pubblici, impegnati in un dialogo costruttivo con tutti, rendendo possibile che ognuno apporti il suo peculiare contributo al bene comune e non consentendo all’estremismo e all’intolleranza di acquisire forza e di mettere in pericolo la pace sociale.
Il rispetto reciproco, la collaborazione, il dialogo e la libertà di professare il proprio credo nella lealtà alla legge comune sono condizioni determinanti del successo e della stabilità ottenuti da Singapore, requisiti per uno sviluppo non conflittuale e caotico, ma equilibrato e sostenibile”.
Poi ha ringraziato la Chiesa per le opere caritative nell’istruzione, nella sanità e negli aiuti umanitari, ricordando i missionari, che hanno inculturato la fede: “La Chiesa Cattolica a Singapore, fin dall’inizio della sua presenza, ha cercato di offrire il proprio apporto peculiare al cammino di questa Nazione, soprattutto nei settori dell’istruzione e della sanità, avvalendosi dello spirito di sacrificio e di dedizione dei missionari e dei fedeli.
Sempre animata dal Vangelo di Gesù Cristo, la comunità cattolica è anche in prima linea nelle opere di carità, contribuendo in modo significativo agli sforzi umanitari e gestendo a questo fine diverse istituzioni sanitarie e molte organizzazioni umanitarie, tra cui la Caritas che tutti conosciamo”.
Inoltre quest’anno ricorre anche l’anniversario delle relazioni tra Santa Sede e Singapore: “Questa mia visita, giunge a 43 anni da quando furono stabilite le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Singapore. Essa si propone di confermare nella fede i cattolici ed esortarli a proseguire con gioia e dedizione la collaborazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per la costruzione di una società civile sana e coesa, per il bene comune e per una testimonianza cristallina della propria fede”.
Ha, quindi, elogiato lo Stato per aver dato un contributo allo sviluppo del multiculturalismo: “Singapore ha anche un ruolo specifico da giocare nell’ordine internazionale (questo non lo dimentichiamo) minacciato oggi da conflitti e guerre sanguinose, e mi rallegro che abbia meritoriamente promosso il multilateralismo e un ordine basato su regole da tutti condivise. Vi incoraggio a continuare a lavorare per l’unità e la fraternità del genere umano, a beneficio del bene comune di tutti, di tutti i popoli e di tutte le Nazioni, con una comprensione non escludente né ristretta degli interessi nazionali”.
Infine ha chiesto una tutela per le famiglie che rischiano di essere ‘indebolite’: “Nelle condizioni sociali attuali, le fondamenta su cui si basano le famiglie sono messe in discussione e rischiano di venire indebolite. Occorre che esse vengano poste nella condizione di trasmettere i valori che danno senso e forma alla vita e di insegnare ai giovani a formare relazioni solide e sane. Sono perciò da lodare gli sforzi compiuti per promuovere, proteggere e sostenere l’unità familiare attraverso il lavoro di varie istituzioni”.
E non ha dimenticato la cura per il creato: “Non possiamo nascondere che oggi viviamo in una crisi ambientale, e non dobbiamo sottovalutare l’impatto che una piccola Nazione come Singapore può avere in essa. La vostra posizione unica vi offre accesso a capitali, tecnologie e talenti, risorse che possono guidare l’innovazione per prendersi cura della salute della nostra casa comune.
Il vostro impegno per uno sviluppo sostenibile e per la salvaguardia del creato è un esempio da seguire, e la ricerca di soluzioni innovative per affrontare le sfide ambientali può incoraggiare altri Paesi a fare lo stesso. Singapore è un brillante esempio di ciò che l’umanità può realizzare lavorando insieme in armonia, con senso di responsabilità e con spirito di inclusività e fraternità”.
Nel ringraziamento il Presidente della Repubblica, Shanmugaratnam, ha condiviso le parole del papa: “Per noi la solidarietà e l’armonia sono state e continueranno ad essere aspetti centrali”, illustrando alcuni progetti per la salvaguardia ambientale sempre più efficace. La giornata era iniziata con un incontro con i Gesuiti, con cui ha parlato di p. Pedro Arrupe e di p. Matteo Ricci, come è stato sottolineato da un tweet di p. Spadaro: “E’ stata un’altra figura di riferimento, perché punto di riferimento per i gesuiti in questo luogo”..
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ai giovani: non perdete la memoria
Papa Francesco ha lasciato Dili, capitale di Timor-Leste verso Singapore, ultima tappa, dopo l’Indonesia e la Papua-Nuova Guinea, del 45^ viaggio apostolico, salutando il presidente della Repubblica José Ramos-Horta, dopo l’ultimo incontro con i giovani, che l’hanno accolto nel Centro de Convenções con lo slogan ‘Noi siamo la gioventù del Papa!’, perché ‘i giovani fanno la Chiesa’, scritta sulle loro magliette.
Ed il papa ha augurato loro ‘buongiorno’, chiedendo di raccontare cosa fanno i giovani, se non sono più abituati a fare ‘chiasso’ in nome di Gesù: “Questo non scordatelo mai! Molto bene, molto bene. Ma c’è una cosa che fanno sempre i giovani, i giovani di diverse nazionalità, i giovani di diverse religioni. Sapete cosa fanno sempre i giovani?
I giovani fanno chiasso, i giovani fanno confusione. Siete d’accordo? Siete d’accordo su questo?.. Vi ringrazio per i saluti, le testimonianze e le domande. Vi ringrazio per i balli. Perché sapete che ballare è esprimere un sentimento con tutto il corpo. Conoscete qualche giovane che non sa ballare? La vita viene con la danza. E voi siete un Paese di gente giovane”.
Ringraziandoli per questa giornata conclusiva il papa ha elogiato la loro voglia di vivere: “C’è una cosa che dicevo stamattina a un vescovo: non dimenticherò mai i vostri sorrisi. Non smettete di sorridere! E voi giovani siete la maggioranza della popolazione di questa terra, e la vostra presenza riempie di vita questa terra, la riempie di speranza e la riempie di futuro.
Non perdete l’entusiasmo della fede! Immaginate un giovane senza fede, con una faccia triste. Ma voi sapete cos’è che butta giù un giovane? I vizi. State attenti. Perché arrivano quelli che si definiscono venditori di felicità. E ti vendono la droga, ti vendono tante cose che ti danno felicità per mezz’ora e basta”.
E’ stato un augurio a proseguire senza dimenticare le ‘radici’: “Vi auguro di andare avanti con la gioia della gioventù. Ma non dimenticatevi una cosa: voi siete gli eredi di coloro che vi hanno preceduto nella fondazione di questa Nazione. Pertanto, non perdete la memoria! La memoria di quelli che vi hanno preceduto e che con tanto sacrificio hanno costruito questa Nazione”.
Quindi è stato un invito a ‘sognare’ senza anestetizzanti: “Un giovane deve sognare… Vi invito a sognare, a sognare cose grandi. Un giovane che non sogna è un pensionato della vita. E qualcuno di questi giovani, di voi, è un pensionato?.. I giovani devono fare confusione, per mostrare la vita che hanno. Ma un giovane è nel mezzo del cammino della vita, è a metà, nel mezzo della strada della vita. Tra i ragazzi e i grandi”.
Ma al contempo anche ad ascoltare gli anziani: “Ma sono i nonni, sono gli anziani che danno la saggezza ai giovani…Gli anziani precedono sempre noi giovani nella storia, non è vero? Gli anziani sono un tesoro: i due tesori di un popolo sono i bambini e gli anziani. Capito? Vediamo, ripetetelo voi. Quali sono i due più grandi tesori di un popolo?.. I bambini e gli anziani. Ecco perché una società che ha tanti bambini come la vostra deve prendersi cura di loro. E una che ha tanti anziani che sono la memoria deve rispettarli e prendersene cura”.
Inoltre il papa ha sottolineato che a Timor-Leste, che ha definito il ‘Paese sorridente’, c’è ‘una meravigliosa storia di eroismo, di fede, di martirio e soprattutto di fede e riconciliazione’, attraverso tre raccomandazioni, libertà, impegno e fraternità con l’autogoverno, tradotto dalla parola ‘ukun rasik-an’, che ha un significato più complesso, in quanto un giovane che non è capace di autogovernarsi è dipendente, non è libero ed è schiavo del proprio desiderio di sentirsi onnipotente:
“Nella lingua tetum c’è un detto: ‘ukun rasik-an’, cioè essere in grado di governare sé stessi. Un giovane che non è in grado, una giovane, un giovane che non è in grado di governarsi, che non è in grado di vivere ‘ukun rasik-an’, che cos’è? Cosa dite? Uno che dipende dagli altri. Molto bene. E un uomo, una donna, un giovane, un ragazzo che non governa sé stesso è schiavo, è dipendente, non è libero… Un giovane che ama la compagnia dei fratelli, delle sorelle, che ha responsabilità, è un giovane che ama il suo Paese. Questo è molto importante”.
Per questo è necessaria la fraternità: “E’ un valore che dovete imparare: la fraternità. Essere fratelli, non essere nemici. I vostri anziani, i vostri genitori e nonni, magari con idee diverse, ma erano fratelli. Ed è bene che i giovani abbiano idee diverse? E questo perché? Per litigare con gli altri? O per rispettarci? Io credo che tu pensi questo: se io sono di questa religione e tu sei di quest’altra religione, ci scontreremo. Non è così, bisogna rispettarsi. Ripetiamo questa parola: rispettarsi”.
Il dialogo del papa con i giovani si è concluso con l’invito alla riconciliazione: “Cari giovani, siate eredi della storia tanto bella che vi ha preceduto! Siate eredi della storia così bella che vi ha preceduto. E portatela avanti. Abbiate coraggio, abbiate coraggio per portare avanti le cose. E se litigate, riconciliatevi. Vi ringrazio per tutto quello che fate per la patria, per il popolo di Dio. E ricordiamo quello che ci ha detto Ilham, che ha parlato poco fa: che dobbiamo amarci al di là di tutte le differenze etniche o religiose… Riconciliazione, convivenza con tutte le differenze”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: i bambini sono segni di Dio
Nell’omelia della messa celebrata nella spianata di Taçi Tolu a Dili alla presenza di 600.000 persone, papa Francesco ha invitato a guardare alla tenerezza e semplicità dei bambini, perché attraverso di loro Dio si fa vicino, in quanto ‘un bambino è nato per noi’, come ha profetizzato Isaia: “Queste sono le parole con cui il profeta Isaia si rivolge, nella prima Lettura, agli abitanti di Gerusalemme, in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale”.
In effetti, è stato il monito del papa, la ricchezza conduce all’illusione: “C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a sé stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti. Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l’infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità. La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetto nasconde così una realtà molto più oscura, molto più dura e crudele, in cui c’è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione”.
Ma il profeta annuncia al popolo un orizzonte nuovo: “Per questo il profeta annuncia ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza, un futuro di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre. Farà sorgere per loro una grande luce, che li libererà dalle tenebre del peccato da cui sono oppressi, e lo farà non con la potenza di eserciti, di armi o ricchezze, ma attraverso il dono di un figlio. Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio”.
Nella sua riflessione il papa ha sottolineato che ogni figlio è un particolare messaggio: “In ogni luogo la nascita di un figlio è un momento luminoso, un momento di gioia e di festa, e a volte suscita anche in noi desideri buoni, di rinnovarci nel bene, di ritornare alla purezza e alla semplicità. Di fronte ad un neonato, anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza. La fragilità di un bambino porta sempre un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, portando con sé movimenti e propositi di armonia e di serenità”.
La meraviglia della nascita di un figlio diventa ancor più grande quando è Dio che si fa bambino: “La vicinanza di Dio è attraverso un bambino. Dio si fa bambino. E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza”.
Ed ha elogiato questo Stato perché ha molti figli: “A Timor Est è bello, perché ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere la vita. E questo è un regalo, un dono grande: la presenza di tanta gioventù e di tanti bambini, infatti, rinnova costantemente la nostra energia e la nostra vita. Ma ancora di più è un segno, perché fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore. Facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi”.
Ecco, quindi, il riferimento alla Madonna, che ha detto ‘sì’ all’opera di Dio nella sua ‘piccolezza’: “Maria questo lo ha capito, al punto che ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto”.
E’ stato un invito a rivedere la propria vita davanti a Dio: “Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri”.
Infatti ha tratto un ammonimento, prendendo spunto da due monili tradizionali, quali sono il Kaibauk ed il Belak: “Il primo simboleggia le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come pure sulla sommità delle abitazioni. Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita. Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della redenzione.
Il secondo, poi, il Belak, che si mette sul petto, è complementare al primo. Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera. Parla di pace, di fertilità, di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rende ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio. Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così Il Signore manifesta la sua regalità, fatta carità e misericordia”.
Al termine della celebrazione eucaristica le parole di ringraziamento del card. Virgílio do Carmo da Silva, arcivescovo di Dili e le parole conclusive del papa prima della Benedizione finale, come augurio: “Cari fratelli e sorelle, ho pensato molto: qual è la cosa migliore che ha Timor? Il sandalo? La pesca? Non è questa la cosa migliore. La cosa migliore è il suo popolo. Non posso dimenticare la gente ai lati della strada, con i bambini. Quanti bambini avete! Il popolo, che la cosa migliore che ha è il sorriso dei suoi bambini. E un popolo che insegna a sorridere ai bambini è un popolo che ha un futuro.
Ma state attenti! Perché mi hanno detto che in alcune spiagge vengono i coccodrilli; i coccodrilli vengono nuotando e hanno il morso più forte di quanto possiamo tenere a bada. State attenti! State attenti a quei coccodrilli che vogliono cambiarvi la cultura, che vogliono cambiarvi la storia. Restate fedeli. E non avvicinatevi a quei coccodrilli perché mordono, e mordono molto. Vi auguro la pace. Vi auguro di continuare ad avere molti figli: che il sorriso di questo popolo siano i suoi bambini! Prendetevi cura dei vostri bambini, ma prendetevi cura anche dei vostri anziani, che sono la memoria di questa terra”.
(Foto: Santa Sede)
A Dili papa Francesco invita a diffondere il profumo dell’amore di Dio
Dopo l’incontro con le autorità oggi papa Francesco ha aperto la giornata incontrando i bambini affetti da gravi malattie nella ‘Casa Irmãs Alma’ che garantisce cure e assistenza a minori, indicando l’esempio di Silvano, 7 anni, affetto da una malattia neuro-degenerativa: ‘Ci insegna a lasciarsi curare’, secondo l’ammonimento di Gesù:
“Quando Gesù parla del Giudizio finale, dice ad alcuni: ‘Venite con me’. Ma non dice: ‘Venite con me perché siete stati battezzati, perché siete stati cresimati, perché siete stati sposati in Chiesa, perché non hanno mentito, perché non hanno rubato…’. No! Dice: Venite con me perché mi vi siete presi cura di me. Vi siete presi cura di me’”.
L’amore ‘è quello che si trova qui’, ha sottolineato il papa nel breve discorso, preceduto dal saluto della superiora suor Gertrudis Bidi, nella sala dedicata a san Vincenzo de Paoli: “Senza amore, questo non si capisce. Non possiamo comprendere l’amore di Gesù se non iniziamo a praticare l’amore. Condividere la vita con le persone più bisognose è un programma, il vostro programma, è il programma di ogni cristiano… Sono loro che insegnano a noi come dobbiamo lasciarci accudire da Dio. Lasciarci accudire da Dio e non da tante idee o progetti o capricci. Lasciarci accudire da Dio. E loro sono i nostri maestri. Grazie a voi per questo”.
Infine ha preso a sé Silvano, un bambino focomelico: “Sto guardando questo bambino: come si chiama? Cosa ci insegna Silvano? Ci insegna a prenderci cura: prendendoci cura di lui, impariamo a prenderci cura. E se guardiamo il suo volto, è tranquillo, sereno, dorme in pace. E così come lui si lascia accudire, anche noi dobbiamo imparare a lasciarci accudire: lasciarci accudire da Dio che ci ama tanto, lasciarci accudire dalla Vergine, che è nostra Madre”.
Ed ha concluso affermando che in questo si manifesta l’amore di Dio: “E Questo io lo chiamo il sacramento dei poveri. Un amore che incoraggia, costruisce e rafforza. E questo è ciò che troviamo qui: l’amore. Senza amore questo non può essere compreso. Ed è così che comprendiamo l’amore di Gesù che ha dato la sua vita per noi. Non possiamo capire l’amore di Gesù se non entriamo nella pratica dell’amore”.
Terminata la visita papa Francesco ha incontrato nella cattedrale di Dili i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate ed i catechisti e catechiste con l’invito ad essere vicino alla gente per sentirne il profumo: “Una Chiesa che non è capace di arrivare ai confini e che si nasconde nel centro, è una Chiesa molto malata… Significa essere consapevoli del dono ricevuto, ricordarci che il profumo non serve per noi stessi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo e servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato”.
Un profumo evangelico che deve essere custodito con cura, perchè “significa essere consapevoli del dono ricevuto, ricordarci che il profumo non serve per noi stessi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo e servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato”.
Un profumo che rende necessaria la pacificazione dei conflitti: “Un profumo di riconciliazione e di pace dopo gli anni sofferti della guerra; un profumo di compassione, che aiuti i poveri a rialzarsi e susciti l’impegno per risollevare le sorti economiche e sociali del Paese; un profumo di giustizia contro la corruzione. E, in particolare, il profumo del Vangelo bisogna diffonderlo contro tutto ciò che umilia, deturpa e addirittura distrugge la vita umana, contro quelle piaghe che generano vuoto interiore e sofferenza come l’alcolismo, la violenza, la mancanza di rispetto per la dignità delle donne. Il Vangelo di Gesù ha la forza di trasformare queste realtà oscure e di generare una società nuova”.
Per questo è necessaria un’azione di inculturazione attraverso la Dottrina Sociale della Chiesa: “Se siete una Chiesa che non è capace di inculturare la fede, che non è capace di esprimere la fede nei valori propri di questa terra, sarà una Chiesa eticista e non feconda…
Non trascurate di approfondire la dottrina cristiana, di maturare nella formazione spirituale, catechetica e teologica; perché tutto questo serve ad annunciare il Vangelo nella vostra cultura e, nello stesso tempo, a purificarla da forme e tradizioni arcaiche e talvolta superstiziose. Ci sono tante cose belle nella vostra cultura, penso specialmente alla fede nella risurrezione e nella presenza delle anime dei defunti; però tutto questo va sempre purificato alla luce del Vangelo e della dottrina della Chiesa”.
L’evangelizzazione avviene solo se si riesce ad espandere il profumo dell’Amore: “L’evangelizzazione avviene quando abbiamo il coraggio di ‘rompere’ il vaso che contiene il profumo, rompere il ‘guscio’ che spesso ci chiude in noi stessi e uscire da una religiosità pigra, comoda, vissuta soltanto per un bisogno personale”.
Ed ha ‘assegnato’ ai cristiani del Paese il ‘compito’ di diffondere questo profumo di riconciliazione e di pace: “Un profumo di compassione, che aiuti i poveri a rialzarsi e susciti l’impegno per risollevare le sorti economiche e sociali del Paese; un profumo di giustizia contro la corruzione. State attenti: spesso la corruzione entra nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie.
Ed, in particolare, il profumo del Vangelo bisogna diffonderlo contro tutto ciò che umilia, deturpa e addirittura distrugge la vita umana, contro quelle piaghe che generano vuoto interiore e sofferenza come l’alcolismo, la violenza, la mancanza di rispetto per la dignità delle donne. Il Vangelo di Gesù ha la forza di trasformare queste realtà oscure e di generare una società nuova”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco a Timor Est per lodare l’esempio di pacificazione
A Dili papa Francesco è stato accolto dalla popolazione in festa, che nel discorso ai diplomatici ha evidenziato la fede che ha sostenuto il popolo nella liberazione prima dalla colonizzazione portoghese (1975), poi dal giogo indonesiano (2002) con un plauso al cammino di riconciliazione con la stessa Indonesia:
“Rendiamo grazie al Signore perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà”.
Ha ricordato la fede che hanno sempre mantenuto,, anche nelle circostanze sfavorevoli: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.
Ed ha menzionato la visita apostolica di san Giovanni Paolo II: “Nel conseguimento di queste importanti mete è stato di grande aiuto il vostro radicamento nella fede, come San Giovanni Paolo II mise in rilievo nella sua visita al vostro Paese. Egli, nell’omelia a Tasi-Tolu, ricordò che i cattolici di Timor-Leste hanno ‘una tradizione in cui la vita familiare, la cultura e i costumi sociali sono profondamente radicati nel Vangelo’; una tradizione ‘ricca degli insegnamenti e dello spirito delle Beatitudini’, di ‘umile fiducia in Dio, di perdono e misericordia e, quando necessario, di paziente sofferenza nella tribolazione’. E traducendo questo nell’oggi, io direi che voi siete un popolo che ha sofferto, ma saggio nella sofferenza”.
A Dili è un cristianesimo che riesce ad inculturarsi per farsi presenza: “Il cristianesimo, nato in Asia, è arrivato a queste estreme propaggini del continente tramite missionari europei, testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più profonda… Una delle dimensioni fondamentali del cristianesimo è l’inculturazione della fede e la cristianizzazione della cultura”.
Poi ha ricordato il periodo (dal 1975 al 2002) che è stato quello dell’indipendenza, grazie alla fede: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.
Secondo il papa Timor-Leste “ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo ed oggi vive come un Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.
Inoltre per il papa non mancano sfide impegnative, che possono essere affrontate con un’azione corale, come il fenomeno migratorio e le povertà sociali: “Tra le molte questioni attuali, penso al fenomeno dell’emigrazione, che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse; come pure della difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base. E non sempre è un fenomeno esterno…
Penso alla povertà presente in tante zone rurali, e alla conseguente necessità di un’azione corale di ampio respiro che coinvolga molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali, per porvi rimedio e per offrire valide alternative all’emigrazione”.
Inoltre papa Francesco ha auspicato che l’esempio di pacificazione di Timor Est sia esempio in altre situazioni di conflitto nel mondo, ed esorta “a proseguire con rinnovata fiducia nella sapiente costruzione e nel consolidamento delle istituzioni della vostra repubblica, in modo che i cittadini si sentano effettivamente rappresentati”, ed è necessaria “una purificazione della memoria”, perché l’unità sempre supera il conflitto.
Tra le questioni di attualità, Papa Francesco cita l’emigrazione, ma anche “la difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base”, e “non sempre sono situazioni esterne”, e la povertà “presente in tante zone rurali”, laddove serve “una azione corale di ampio respiro” che coinvolga tutti per “offrire valide alternative all’emigrazione”.
E non poteva mancare un appello ai giovani in un Paese, in cui Il 65% della popolazione di Timor-Lester è al di sotto dei 30 anni di età e molte sono le criticità per questa fascia della popolazione: “Date degli ideali ai giovani per tirarli fuori da queste trappole! E anche un fenomeno di arruolamento in certe bande che, forti della conoscenza delle arti marziali, invece di usarle al servizio degli indifesi, ne approfittano per mostrare il potere effimero e dannoso della violenza. La violenza è sempre un problema nei villaggi. E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità: tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire questo male sociale e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi”.
E’ stato un invito ad investire nell’educazione: “Investite sull’educazione, sull’educazione nella famiglia e nella scuola. Un’educazione che metta al centro i bambini e i ragazzi e promuova la loro dignità. Sono rimasto contento vedendo i bambini sorridere, con quei denti bianchi! C’era pieno di ragazzi da tutte le parti. L’entusiasmo, la freschezza, la proiezione verso l’avvenire, il coraggio, l’intraprendenza, tipici dei giovani, uniti all’esperienza e alla saggezza degli anziani, formano una miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani.
E qui mi permetto di dare un consiglio: mettete insieme i bambini con i nonni! L’incontro dei bambini e dei nonni provoca saggezza. Pensateci. Insieme, questo entusiasmo giovanile e questa saggezza sono una grande risorsa e non permettono la passività né, tantomeno, il pessimismo”.
Il discorso è stato anche un richiamo alla Dottrina Sociale della Chiesa, che è “un pilastro indispensabile su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini”.
Ha anche aggiunto che la dottrina sociale della Chiesa “costituisce un pilastro indispensabile, su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini. La dottrina sociale della Chiesa non è un’ideologia, è basata sulla fraternità. E’ una dottrina che deve favorire, che favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri”.
Il discorso alle autorità è stato un invito a ‘prendersi cura’ dello sviluppo del popolo: “Che cosa è che ha questo Paese? Il popolo! Prendetevi cura del vostro popolo. Il popolo è meraviglioso. Nelle poche ore in cui sono stato qui si vede come è il popolo. Si esprime con dignità e con gioia”.
Infatti tutto ciò è stato reso possibile grazie alla determinazione del popolo: “Timor-Leste, che ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo, oggi vive come Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società solidale e fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.
(Foto: Santa Sede)
Il papa ai giovani: parlate il linguaggio dell’Amore
Prima di partire per Dili, capitale di Timor Leste, papa Francesco ha incontrato nello stadio di Port Moresby i giovani con l’invito a prendersi cura degli altri, rispondendo alle loro domande con l’indicazione di parlare attraverso il linguaggio dell’amore: “La vostra lingua comune è quella del cuore, dell’amore, della vicinanza e del servizio” con l’augurio che “tutti parliate questa lingua e siate Wantok dell’amore!”, perché “l’indifferenza è una cosa brutta, tu lasci gli altri per strada, non ti interessi degli altri, l’indifferenza ha radice dell’egoismo. Nella vita dovete avere inquietudine del cuore, l’inquietudine di prendersi cura degli altri dovete fare amicizia tra voi e avere vicinanza ai nonni”.
Inoltre papa Francesco ha esortato i giovani a riconoscere uno sbaglio: “Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. E dobbiamo sempre correggerci. “Un giovane può sbagliare, un adulto può sbagliare, tutti possiamo sbagliare, ma l’importante è rendersi conto noi non siamo superman, noi possiamo sbagliare, questo ci dà una certezza: che dobbiamo sempre correggerci.
Nella vita tutti possiamo cadere. L’importante è non rimanere caduti, e se vedi un amico che è caduto tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preparato questo bell’incontro… E se vedete un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa dovete fare? Ridere di quello?”.
Alla risposta negativa il papa ha esortato i giovani all’aiuto: “Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi… Quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, per tanti problemi, cosa dove fare, dare una botta?”.
Ai ragazzi e ragazze del Paese, che sono ‘la speranza per il futuro’, papa Francesco ha chiesto di riflettere ‘su come si costruisce il futuro’ attraverso l’episodio biblico della Torre di Babele, dove si scontrano due modi opposti di vivere e di costruire la società: “uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli”.
Prima di dialogare con i giovani il papa si è messo in ascolto delle loro testimonianze: Patricia Harricknen-Korpok, che fa parte dell’Associazione dei professionisti cattolici ed ha parlato della difficoltà di testimoniare la fede e la morale cattolica in una società che subisce l’influenza negativa ‘delle industrie dello sport e del divertimento, dei social media e della tecnologia’, molto attrattive.
Poi è stata la volta di Ryan Vulum che ha raccontato la difficile infanzia in una famiglia divisa, e che la Chiesa ‘è diventata il mio rifugio’; mentre Bernadette Turmoni, quarta e ultima figlia di una famiglia numerosa, ha raccontato il dramma degli abusi in famiglia: “Chi ne è vittima si sente non amato e non rispettato. Perde la speranza e può suicidarsi o lasciare la famiglia”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco infonde coraggio ai fedeli
“E da questa terra così benedetta dal Creatore, vorrei insieme a voi invocare, per intercessione di Maria Santissima, il dono della pace per tutti i popoli. In particolare, lo chiedo per questa grande regione del mondo tra Asia, Oceania e Oceano Pacifico. Pace, pace per le Nazioni e anche per il creato. No al riarmo e allo sfruttamento della casa comune! Sì all’incontro tra i popoli e le culture, sì all’armonia dell’uomo con le creature!”: con queste parole papa Francesco ha terminato la recita dell’Angelus nella celebrazione eucaristica alla presenza di circa 35.000 persone con l’incoraggiamento a non temere.
Infatti sono state le parole del profeta Isaia a non temere a fare da filo conduttore all’omelia del papa: “Questa profezia si realizza in Gesù. Nel racconto di San Marco vengono messe in evidenza soprattutto due cose: la lontananza del sordomuto e la vicinanza di Gesù. La lontananza del sordomuto. Quest’uomo si trova in una zona geografica che, con il linguaggio di oggi, chiameremmo ‘periferia’. Il territorio della Decapoli si trova oltre il Giordano, lontano dal centro religioso che è Gerusalemme.
Ma quell’uomo sordomuto vive anche un altro tipo di lontananza; egli è lontano da Dio, è lontano dagli uomini perché non ha la possibilità di comunicare: è sordo e quindi non può ascoltare gli altri, è muto e quindi non può parlare con gli altri. Quest’uomo è tagliato fuori dal mondo, è isolato, è prigioniero della sua sordità e del suo mutismo e, perciò, non può aprirsi agli altri per comunicare”.
La vicinanza di Dio si mostra anche a chi vuole essere lontano: “A questa lontananza, fratelli e sorelle, Dio risponde con il contrario, con la vicinanza di Gesù. Nel suo Figlio, Dio vuole mostrare anzitutto questo: che Egli è il Dio vicino, il Dio compassionevole, che si prende cura della nostra vita, che supera tutte le distanze”.
E nella sua vicinanza Dio guarisce: “Con la sua vicinanza, Gesù guarisce, guarisce il mutismo e la sordità dell’uomo: quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza (a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi) allora ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo”.
In questo senso la distanza non è separazione: “E voi, fratelli e sorelle, che abitate questa terra così lontana, forse avete l’immaginazione di essere separati, separati dal Signore, separati dagli uomini, e questo non va, no: voi siete uniti, uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore! E il Signore dice ad ognuno di voi: ‘Apriti!’ Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita”.
Quindi l’invito di Gesù è per tutti: “Anche a voi oggi il Signore dice: ‘Coraggio, non temere, popolo papuano! Apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli’. Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito. E in questo cammino vi accompagni il Beato Giovanni Mazzucconi: tra tanti disagi e ostilità, egli ha portato Cristo in mezzo a voi, perché nessuno restasse sordo dinanzi al gioioso Messaggio della salvezza, e a tutti si potesse sciogliere la lingua per cantare l’amore di Dio”.
Al termine della celebrazione eucaristica papa Francesco ha incontrato i fedeli di Vanimo, prendendo spunto dalla bellezza della natura: “Guardandoci attorno, vediamo quanto è dolce lo scenario della natura. Ma rientrando in noi stessi, ci accorgiamo che c’è uno spettacolo ancora più bello: quello di ciò che cresce in noi quando ci amiamo a vicenda, come hanno testimoniato David e Maria, parlando del loro cammino di sposi, nel sacramento del Matrimonio. E la nostra missione è proprio questa: diffondere ovunque, attraverso l’amore di Dio e dei fratelli, la bellezza del Vangelo di Cristo”.
Nel dialogo con i fedeli papa Francesco ha rivolto loro l’esortazione all’amore come missione: “Ricordiamolo: l’amore è più forte di tutto questo e la sua bellezza può guarire il mondo, perché ha le sue radici in Dio. Diffondiamolo, perciò, e difendiamolo, anche quando il farlo può costarci qualche incomprensione, qualche opposizione. Ce lo ha testimoniato, con le parole e con l’esempio, il Beato Pietro To Rot (sposo, padre, catechista e martire di questa terra), che ha donato la sua vita proprio per difendere l’unità della famiglia di fronte a chi voleva minarne le fondamenta”.
E li ha salutati con un pensiero ai bambini: “E’ questo il dono più prezioso che potete condividere e far conoscere a tutti, rendendo Papua Nuova Guinea famosa non solo per la sua varietà di flora e di fauna, per le sue spiagge incantevoli e per il suo mare limpido, ma anche e soprattutto per le persone buone che vi si incontrano; e lo dico specialmente a voi, bambini, con i vostri sorrisi contagiosi e con la vostra gioia prorompente, che sprizza in ogni direzione. Siete l’immagine più bella che chi parte da qui può portare con sé e conservare nel cuore!”
Infine, prima di ritornare a Port Moresby, il papa ha salutato i missionari, che lo hanno accompagnato nella ‘School & Queen of Paradise Hall’, dove ha assistito ad un breve concerto dell’orchestra degli studenti della scuola.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: Chiesa sia accogliente
“Sono contento di stare qui, in questa bella chiesa salesiana: i salesiani sanno fare bene le cose. Complimenti. Questo è un Santuario diocesano dedicato a Maria Aiuto dei Cristiani: Maria Ausiliatrice (io sono stato battezzato nella parrocchia di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires) un titolo tanto caro a san Giovanni Bosco; Maria Helpim, come con affetto la invocate qui. Quando, nel 1844, la Madonna ispirò a don Bosco di costruire a Torino una chiesa in suo onore, gli fece questa promessa: ‘Qui è la mia casa, da qui la mia gloria’.
Maria gli promise che, se avesse avuto il coraggio di cominciare la costruzione di quel Santuario, grandi grazie ne sarebbero seguite. E così è successo: la chiesa è stata costruita, ed è meravigliosa (ma è più bella quella di Buenos Aires!) ed è diventata centro di irradiazione del Vangelo, di formazione dei giovani e di carità, è diventata punto di riferimento per tanta gente”.
Nel santuario di Maria Ausiliatrice, a Port Moresby, oggi papa Francesco ha incontrato, dopo il saluto alle autorità civili, i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, con i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi ed i catechisti, con una riflessione sulla bellezza dell trasmissione della fede con speranza, prendendo spunto dalla costruzione del Santuario:
“I costruttori di questa chiesa hanno iniziato l’impresa facendo un grande atto di fede, che ha portato i suoi frutti, e che però è stato possibile solo grazie a tanti altri inizi coraggiosi, di chi li ha preceduti. I missionari sono arrivati in questo Paese alla metà del XIX secolo e i primi passi del loro lavoro non sono stati facili, anzi alcuni tentativi sono falliti. Ma loro non si sono arresi: con grande fede e con zelo apostolico hanno continuato a predicare il Vangelo e a servire i fratelli, ricominciando molte volte dove non avevano avuto successo, con tanti sacrifici”.
Questa bellezza è avvenuta grazie ai santi: “Ce lo ricordano queste vetrate, attraverso le quali la luce del sole ci sorride nei volti dei Santi e Beati: donne e uomini di ogni provenienza, legati alla storia della vostra comunità: Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania, Giovanni Mazzucconi e Pietro To Rot, martiri della Nuova Guinea, e poi Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Mary McKillop, Maria Goretti, Laura Vicuña, Zeffirino Namuncurà, Francesco di Sales, Giovanni Bosco, Maria Domenica Mazzarello.
Tutti fratelli e sorelle che, in modi e tempi diversi, cominciando e ricominciando tante volte opere e cammini, hanno contribuito a portare il Vangelo tra voi, con una variopinta ricchezza di carismi, animati dallo stesso Spirito e dalla stessa carità di Cristo… Questa è la nostra vocazione: essere strumenti”.
E’ stato un invito a ‘ripartire’ dalle persone emarginate: “E ancora penso a quelle emarginate e ferite, sia moralmente che fisicamente, dal pregiudizio e dalla superstizione, a volte fino a rischio della vita, come ci hanno ricordato James e suor Lorena. A questi fratelli e sorelle la Chiesa desidera essere particolarmente vicina, perché in loro Gesù è presente in modo speciale, e dove c’è Lui, il nostro capo, ci siamo anche noi, sue membra, appartenenti allo stesso corpo, ‘ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture’. E per favore, non dimenticatevi: vicinanza, vicinanza!”
Ecco il motivo per cui occorre esserci: “Possiamo vederla simboleggiata nelle conchiglie kina, con cui è ornato il presbiterio di questa chiesa, e che sono segno di prosperità. Esse ci ricordano che qui il tesoro più bello agli occhi del Padre siamo noi, stretti attorno a Gesù, sotto il manto di Maria, spiritualmente uniti a tutti i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha affidato e che non possono essere qui, accesi dal desiderio che il mondo intero possa conoscere il Vangelo e condividerne con noi la forza e la luce… La bellezza di esserci, allora, non si sperimenta tanto in occasione dei grandi eventi e nei momenti di successo, quanto piuttosto nella fedeltà e nell’amore con cui ogni giorno ci si impegna a crescere insieme”.
Inoltre ha ribadito l’importanza di crescere nell’evangelizzazione: “In questa Chiesa c’è un’interessante ‘catechesi in immagini’ del passaggio del Mar Rosso, con le figure di Abramo, Isacco e Mosè: i Patriarchi resi fecondi dalla fede, che per aver creduto hanno ricevuto in dono una numerosa discendenza. E questo è un segno importante, perché incoraggia anche noi, oggi, ad avere fiducia nella fecondità del nostro apostolato, continuando a gettare piccoli semi di bene nei solchi del mondo.
Sembrano minuscoli, come un granello di senape, ma se ci fidiamo e non smettiamo di spargerli, per grazia di Dio germoglieranno, daranno un raccolto abbondante e produrranno alberi capaci di accogliere gli uccelli del cielo… Perciò noi continuiamo ad evangelizzare, pazientemente, senza lasciarci scoraggiare da difficoltà e incomprensioni, nemmeno quando queste si presentano là dove meno vorremmo incontrarle: in famiglia, ad esempio, come abbiamo sentito”.
Prima di questo ultimo incontro il papa ha visitato i bambini di ‘Street Ministry’ e di ‘Callan Services’, assistiti dalla ‘Comunità delle Caritas Sisters of Jesus’: “E’ vero, tutti abbiamo dei limiti, delle cose che sappiamo fare meglio, e altre che invece facciamo fatica o non possiamo fare mai, ma non è questo che determina la nostra felicità: piuttosto è l’amore che mettiamo in qualsiasi cosa facciamo, doniamo e riceviamo.
Donare amore, sempre, e accogliere a braccia aperte l’amore che riceviamo dalle persone che ci vogliono bene: è questa la cosa più bella e più importante della nostra vita, in qualsiasi condizione e per qualsiasi persona… anche per il papa, sapete? La nostra gioia non dipende da altro: la nostra gioia dipende dall’amore!”
Nel saluto finale il papa ha invitato i bambini a non perdere di vista i propri obiettivi: “Avete mai visto come si prepara un gatto quando deve fare un bel salto? Prima si concentra e punta tutte le sue forze e i suoi muscoli nella direzione giusta. Magari lo fa in un momento veloce, e non lo notiamo nemmeno, ma lo fa. E così anche noi: concentrare tutte le nostre forze sulla meta, che è l’amore di per Gesù e in Lui per tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sulla nostra strada, e poi con slancio riempire tutto e tutti con il nostro affetto! In questo senso, nessuno di noi è ‘di peso’, come avete detto: tutti siamo doni bellissimi di Dio, un tesoro gli uni per gli altri!”
(Foto: Santa Sede)