Cultura
Dino Tropea: Lasciato indietro, una promessa per i bambini del Bambin Gesù
Buongiorno, come si intitola il suo libro e perché è così importante a livello sociale e spirituale?
“Il mio libro si intitola ‘Lasciato Indietro: Un tributo alla forza della resilienza di fronte alle avversità!’ E’ un viaggio profondo nelle pieghe dell’anima, un racconto che parla di resistenza, di resilienza, di rinascita dopo l’oscurità. Ogni pagina è scritta con l’intento di suscitare riflessioni e di invitare chi legge a trovare forza in sé stesso, anche nei momenti in cui tutto sembra perduto. Questo libro non è solo il racconto della mia esperienza personale, ma una testimonianza di quanto possiamo scoprire su noi stessi nel momento della difficoltà. Lo scopo è offrire non solo uno specchio su me stesso, ma anche una luce per chi si sente smarrito”.
Dietro a questo volume c’è una promessa, di cosa si tratta?
“La promessa dietro ‘Lasciato Indietro’ è duplice: da una parte, c’è l’impegno di donare un euro per ogni copia venduta alle prime mille, alla Terapia Intensiva Neonatale (TIN) dell’Ospedale Bambino Gesù, dove lavora Alice. E’ il mio modo di restituire qualcosa di concreto, come ringraziamento per il grande lavoro di questa struttura e per i neonati che lì ricevono cure fondamentali. Dall’altra parte, c’è la promessa più intima, quella di condividere la mia storia per chi, leggendo queste righe, possa ritrovarsi e riscoprire una scintilla di speranza, un motivo per non mollare, nonostante tutto”.
A chi si rivolge quest’opera (target)?
“Questo libro è per chiunque si sia sentito abbandonato o lasciato indietro nella vita. Per chi combatte battaglie interne, per chi ha il desiderio di rialzarsi ma non sa come farlo. È un racconto per chi cerca risposte, per chi ha bisogno di ritrovare fiducia. Si rivolge anche a chi vive o ha vissuto situazioni di pressione estrema, come i militari o chiunque operi in contesti difficili e complessi. Ma è, soprattutto, per chi ha bisogno di una voce che dica: non sei solo”.
Dove si può acquistare il libro?
“Lasciato Indietro è disponibile sui principali siti on line come Amazon e presto sarà pubblicato anche da Armando Editore Roma, che ringrazio. Sarà possibile trovarlo sia online che presso librerie selezionate”.
Qual è il messaggio principale del libro?
“Il messaggio principale è che la resilienza non è solo una parola vuota, ma una verità che tutti possiamo vivere. Anche quando si ha l’impressione di essere stati lasciati indietro, c’è sempre la possibilità di rimettersi in piedi, di guardare avanti con occhi nuovi. Ho scritto questo libro anche come una lettera a mia figlia ‘Onda’, che ha scelto di allontanarsi da me. Attraverso questa storia, voglio riconnettermi con lei, e con chiunque abbia vissuto una situazione simile.
Nonostante i sacrifici fatti per lei, come il sostegno a una scuola internazionale per otto anni e una laurea presso una prestigiosa università privata, sento che è mancato qualcosa nel nostro legame. Questo libro è anche una preghiera silenziosa, un tentativo di ricucire un rapporto spezzato e di mostrare a mia figlia il cuore di un padre che ha dato tutto, forse in modo diverso da come lei avrebbe voluto.
Oltre a Lasciato Indietro, sto lavorando a un nuovo progetto intitolato ‘Scrivere al Futuro: Esplorando il Potenziale dell’Intelligenza Artificiale nella Scrittura: Creatività, Produttività e Opportunità nel Nuovo Paradigma Letterario’, anche esso autopubblicato e attualmente in cerca di editore. Quest’opera rappresenta un ulteriore passo nel mio percorso di condivisione e donazione delle esperienze vissute, con l’intento di continuare a ispirare chi legge e di lasciare un segno, ancora una volta, attraverso la scrittura”.
Due opere di Pietro Lorenzetti in mostra a New York e Londra
Due importanti opere di arte sacra sono partite alla volta di New York per essere esposte al Metropolitan Museum of Art all’interno della grande mostra dedicata alla pittura senese del Trecento in programma da ottobre 2024 a gennaio 2025. Successivamente la stessa esposizione verrà riallestita alla National Gallery di Londra, dove sarà possibile visitarla da marzo a giugno 2025. Si tratta delle cinque tavole del Polittico di Pietro Lorenzetti (1280-1348), il capolavoro di proprietà della parrocchia della Pieve di Santa Maria in Arezzo e un particolarissimo Crocifisso sagomato in tempera e oro su tavola, sempre di Pietro Lorenzetti, custodito nel museo diocesano di Cortona sin dal 1945.
Il primo via libera alla complessa operazione venne dato nel 2019 dall’arcivescovo Riccardo Fontana, con i vertici del Metropolitan e della National Gallery ad Arezzo per un tour preparatorio. L’ok è stato confermato poi dal vescovo Andrea Migliavacca, così come già aveva fatto don Alvaro Bardelli, parroco di Santa Maria della Pieve e tutto il progetto, in questi anni, è stato seguito passo passo dall’Ufficio diocesano per l’Arte Sacra, di concerto con le tante Istituzioni coinvolte.
Il Metropolitan Museum of Art e la National Gallery, in cambio del prestito di queste preziose opere della Chiesa locale, finanzieranno il restauro di un’importante tela collocata nella Concattedrale di Santa Maria Assunta in Cortona. Si tratta del Transito di San Giuseppe di Lorenzo Berrettini, cm. 264 x 172, del (1662 – 1672).
Per la riuscita del progetto la diocesi ringrazia tutti gli enti coinvolti, a partire dalla Soprintendenza, guidata dall’architetto Gabriele Nannetti coadiuvato dai suoi funzionari, l’Istituto Centrale di Restauro di Roma, il restauratore Roberto Saccuman, incaricato dalla National Gallery e Met e lo Studio Lauria di Grosseto che ha progettato l’articolato sistema che ha permesso di poter trasportare in sicurezza le opere.
L’origine del Polittico è raccontata da Giorgio Vasari. Nel 1320 Pietro Lorenzetti venne chiamato ad Arezzo dal vescovo Guido Tarlati per affrescare la tribuna e l’abside della pieve di Santa Maria, dipingendo dodici storie della Vergine culminanti nell’Assunzione.
Il Crocifisso sagomato cortonese è databile intorno al 1315-20, nel periodo in cui Lorenzetti stava realizzando molte opere nella cittadina etrusca. Il Cristo viene rappresentato mentre sta esalando l’ultimo respiro. Ai lati sono rappresentati la Vergine e san Giovanni. L’opera è stata probabilmente eseguita su legno sagomato per creare un’immagine che desse l’impressione di una scultura.
L’artista Luigia Pattocchio dona un quadro dedicato a san Luigi Gonzaga a Specchia
L’artista Luigia Pattocchio di Specchia, originaria di Presicce, ha realizzato un dipinto (olio su tavola 48 x 66 cm.) raffigurante San Luigi Gonzaga, collocato, con la benedizione di Don Antonio Riva, Parroco di Specchia, nel piccolo altare dedicato al Santo, nella cripta della Madonna del Passo di Specchia.
La cripta della Madonna del Passo, risalente al XVII secolo, si trova alla periferia di Specchia, nei pressi della Strada Provinciale che conduce a Ruffano, originariamente era ‘laura basiliana’ o ‘cripta rupestre’, a circa due metri e cinquanta sotto il livello stradale. All’esterno del luogo sacro sei massicce colonne monolitiche, una lapide al centro riporta un’iscrizione e la data 1851, anno in cui fu costruito il portico che difende la facciata della cripta dall’acqua piovana.
Al di sopra delle due porte d’accesso e della finestra centrale, si aprono cinque grandi nicchie che racchiudono un Calvario ad altorilievo in cartapesta leccese, risalente al 1929, raffigurante i misteri dolorosi del Rosario. All’interno della cripta si trova un altare maggiore, in pietra con il quadro che raffigura la Vergine (Madonna del Passo) che regge sulle gambe il Bambino che benedice.
Alla destra dell’altare maggiore, si trova quello dedicato a San Luigi Gonzaga, più semplice e lineare e quasi identico dell’altare a sinistra, dedicato all’ ‘Ecce Homo’, entrambi realizzati, secondo gli esperti, nello stesso periodo e dallo stesso autore. Come si legge su ‘Chiese e Palazzi di Specchia’ di Antonio Penna (Libellula Edizioni):
“La costruzione è da collocarsi dopo il 1711, data della Santa Visita del (Vicario capitolare) Mons. (Tommaso) De Rossi, ed anche dopo il 1726, anno della canonizzazione di S. Luigi Gonzaga. Il fastigio termina con un ovale, che forse conteneva una scritta, oggi scomparsa. Al centro, in una cornice, fino a poco tempo fa c’era un quadro di S. Luigi dipinto su vetro e rotto in più punti. Certamente non era l’originale, ma uno attaccato malamente in tempi successivi, come si deduce anche dalle dimensioni (cm. 50 x 41,5) diverse da quelle della cornice in pietra, che presenta ancora tracce di pittura”, sostituito recentemente da quello realizzato dalla Pattocchio.
Non è la prima volta che Luigia Pattocchio dona dei quadri da collocare nei luoghi sacri. Nel 2007, in memoria dei defunti genitori, aveva donato un quadro raffigurante la Madonna Addolorata collocata nella Cappella Cimiteriale di Presicce – Acquarica, nel settembre 2009, ha donato alla Parrocchia della Presentazione Beata Vergine Maria di Specchia, due quadri olio su tela, raffiguranti la Beata Eugenia Ravasco e Papa San Giovanni Paolo II.
Nel maggio 2021, in occasione della Festa dedicata a San Nicola di Myra, la Pattocchio ha arricchito la Cappella omonima di Specchia, con quattordici piccole tele, raffiguranti le altrettante stazioni della ‘Via Crucis’ e collocate lungo le pareti del luogo sacro. Nel 2022, nella ricorrenza religiosa di San Nicola di Myra del 6 Dicembre, ha donato una tela, raffigurante il Santo e lo stemma civico di Specchia, della misura cm 80 x 120, anch’essa esposta alle pareti del luogo sacro.
Luigia Pattocchio, nata a Gallipoli (Le) l’11 febbraio 1957, vive ed opera a Specchia (Le). Di formazione autodidatta, perviene alla pittura sospinta da una grande passione per l’arte e per il disegno. Apprezzata e stimata come donna e come artista non soltanto nel suo paese, con la sua pennellata precisa ed inconfondibile riesce ad ipnotizzare i cultori dell’arte pittorica. Sulla sua attività artistica hanno scritto giornalisti, critici e studiosi d’arte tra i quali: Giuseppe Afrune, Maurizio Antonazzo, Luigi De Giovanni, Antonio Penna, Federica Murgia, Laura Petracca e Addolorata Scupola.
Da circa trent’anni è molto attiva artisticamente, ha partecipato a numerosi concorsi, conseguendo premi e trofei. Ha preso parte ad innumerevoli manifestazioni d’arte esponendo sia in mostre collettive che personali in tutta Italia. Tra le quali occorre citare: nel febbraio 2000 la Pattocchio risulta tra le artiste segnalate in occasione del ‘IV Premio d’Arte Contemporanea Ass.I.S.Art.Italia’ a La Spezia, a Specchia ha collaborato alla realizzazione delle scene della rappresentazione teatrale “La Locandiera”. Ha vinto il II Premio nell’estemporanea di pittura ‘Scorci Del Borgo Antico’ svoltosi in occasione di ‘Specchiarte 2001’ – VI Rassegna di Arte ed Artigianato nel Borgo Antico, evento artistico al quale la Pattocchio ha partecipato dalla prima edizione.
Tra le poche artiste dell’Italia meridionale presenti al 20° Concorso Nazionale di pittura contemporanea ‘Premio Comune di Trivero’ (Biella). Nel 2006 ha partecipato al 13° Festival Internazionale dell’Arte Contemporanea, organizzato dal Centro d’Arte e Cultura La Tavolozza di Sanremo Arte 2000, esponendo nella Villa Ormond presso la località ligure. Nel 2007 ha esposto alla Collettiva di Pittura ‘Le donne sono colorate’ a cura di Vittoria Bellomo, presso il ‘Centauro’ Kantiere d’arte multimediale di Bari ed ha partecipato al I^ Concorso di Murales ‘Corti Nosce’ svoltosi a Montesano Salentino (Le), ricevendo una segnalazione per l’opera realizzata, nello stesso anno gli è stato conferito il Premio Anthony Van Dyck.
Nel 2012, con i suoi quadri ha partecipato a ‘I Colori del Salento – Forme e emozioni’, collettiva di pittura insieme agli artisti: Laura Petracca e Luigi Scarcia. Ha partecipato a tutte le ultime edizioni di ‘Specchia in arte’ e della ‘Notte Bianca’, raccogliendo sempre i pareri positivi dei cultori dell’arte e degli operatori culturali. Tra il Dicembre 2017 e il Gennaio 2018 è stata tra i sedici artisti partecipanti alla collettiva ‘Specchiarti’, svoltasi a Palazzo Risolo a Specchia, sempre nello stesso luogo, tra il Dicembre 2023 e il Gennaio 2024 con il Gruppo ‘Pro Arti’ dal 7 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024 ha partecipato alla Collettiva d’arte: ‘Arti, Emozioni e Colori’.
Cecilia Galatolo: un libro sui CambiaMenti dell’adolescenza
“Cercate un libro da proporre ai giovanissimi su amicizia, rispetto di sé, accettazione del proprio corpo e integrazione all’interno di un gruppo? Forse ne abbiamo uno che fa al caso vostro, che siate genitori, insegnanti, educatori. E’ settembre. Lucia si ritrova improvvisamente in una nuova scuola, dove dovrà frequentare la seconda media. Il mondo sembra crollare sulle sue spalle. Perché deve lasciare le sue amiche, le sue abitudini, la sua classe di sempre? La madre ha deciso per lei questo cambiamento e, perciò, è molto arrabbiata. Perché non può scegliere da sola della sua vita?”:
inizia così il romanzo, pensato per un pubblico di preadolescenti, ‘CambiaMenti. Bullismo out’ di Cecilia Galatolo, autrice del libro ‘Sei nato originale, non vivere da fotocopia. Carlo Acutis mi ha insegnato a puntare in alto’ e di moli altri libri su giovani santi.
La fragilità, le battaglie, la voglia di crescere dei ragazzi da un lato e dall’altro l’impegno, la passione, la premura, lo sguardo degli adulti sono al centro di questo libro, che in forma di diario tratta uno dei problemi che affliggono il mondo giovanile oggi: l’eccessiva aggressività di alcuni ragazzi che può sfociare anche nel bullismo. Attraverso le esperienze di una ragazzina, il romanzo descrive il percorso proposto ai ragazzi per contrastare ogni forma di violenza e accrescere la coscienza del valore di sé e dei buoni rapporti di amicizia.
Si crea così una ‘rete’ di relazioni che tende a limitare i caratteri violenti e le espressioni aggressive: “Il messaggio principale è che ognuno di noi è unico e prezioso e che nessuno è condannato in eterno alla solitudine: esistono per tutti altri cuori che battono all’unisono con il proprio, basta solo desiderarli e cercarli. Gli amici sono un dono: per trovarli, però, bisogna aprirsi”.
Da Cecilia Galatolo ci facciamo spiegare il motivo di un libro sul bullismo: “Il bullismo è solo uno dei temi che troverete in ‘Bullismo Out’. La protagonista, Lucia, cambia scuola in seconda media e diviene oggetto di scherno continuo da parte di Micheal, un ragazzino difficile. Ha una situazione famigliare delicata e sfoga il suo nervosismo su questa nuova compagna, percepita come fragile e indifesa. Sono tanti, però, i temi che attraversano il romanzo: il rapporto tra genitori e figli, le amicizie che resistono anche alla distanza; e poi ancora: i primi amori che fanno battere il cuore, la paura di crescere, il legame con i fratelli…
‘Bullismo Out’ vuol essere molto più che un libro di denuncia contro il bullismo: è anche questo, ma non solo. Si presenta, piuttosto, come un romanzo di formazione. Ammetto che ho preso molto spunto dalla mia vita. Anche io, proprio in seconda media, ho vissuto un grande cambiamento e anche io sono stata vittima di bullismo. Attraverso il finale del libro, però, voglio lanciare un messaggio di speranza.
In particolare, mi preme comunicare che nessuno è perduto, anche se ci sembra la persona più cattiva del mondo. Ancora mi commuovo se penso che, quando sono iniziati a comparire i primi social, il bullo che mi aveva letteralmente rovinato la vita ai tempi delle medie mi ha cercata solo per chiedermi scusa”.
Il titolo completo è ‘CambiaMenti. Bullismo Out’: in quale modo avvengono i CambiaMenti negli adolescenti?
“L’adolescenza è per antonomasia il tempo del cambiamento. Se penso agli anni che vanno tra i tredici e i diciannove li ricordo come infiniti, per tutte novità che si sono verificate: dai cambiamenti fisici e nella psiche, al vivere nuove esperienze, nuove conquiste (come prendere la patente!). E, soprattutto, l’adolescenza è un tempo forte perché iniziamo a decidere noi chi vogliamo essere. Si vive tutto intensamente e avvertiamo una sana nostalgia di futuro.
‘Che farò della mia vita?’ Ogni adolescente si pone questa domanda. E’ un tempo bello, ricco di emozioni, ma anche critico: può spaventare lasciare l’infanzia alle spalle. E quanti punti interrogativi si affacciano nella nostra mente in quella fase della vita! Per questo è necessario avere adulti validi a fianco. Scrivo libri per offrire strumenti che possano aiutare a riflettere, a decidere, a orientare la vita dei giovanissimi”.
Per quale motivo si assiste ad un’eccessiva aggressività nei giovani?
“I giovani spesso sono aggressivi come reazione. Penso ai ragazzini inquieti che conosco. Spesso hanno delle ferite nella loro anima, un vuoto non colmato, dei bisogni inascoltati. A volte, invece, si è aggressivi per emulazione o per dimostrazione di forza. Magari ci si lascia trascinare dal gruppo. Anche in questo caso, però, dietro ci sono delle fragilità. Se c’è bisogno di farsi valere con la violenza è perché non si è imparata la tenerezza.
Proprio ieri pensavo che l’aggressività nasce, spesso, come risposta alla malattia più grave che si possa vivere nella vita: quella di sentirsi poco amati, poco accettati, messi sotto giudizio, invece che guardati con carità e interesse autentico. I giovani devono sapere di essere amati: parte tutto da lì!
Inoltre, occorre valorizzare ciò che essi hanno da offrire al mondo. Non c’è niente di peggio che credere che il mondo possa fare a meno di noi.
Ed allora, per indirizzare le tante energie dei giovani verso il bene occorre far capire loro che sono essenziali per la comunità, che hanno tanto da dare, impegnarli concretamente in qualcosa di utile, di sano. Come diceva san Giovanni Bosco, occorre impegnare i giovani nel bene, prima che sia il diavolo a sottrarli dalla noia”.
Come si possono creare ‘buone relazioni’?
“Il primo passo per relazionarsi bene con gli altri è avere autostima. Tante volte si creano relazioni malate e disfunzionali perché ciascuno cerca attraverso l’altro di non pensare al vuoto che lo attanaglia… Per volere bene bisogna prima volersi bene. Inoltre, è importante tenere fuori dalle relazioni l’utilitarismo. ‘Sto con te perché mi servi’, ‘Sto con te perché non trovo di meglio’. Non c’è solitudine più grande di quella che si crea in relazioni segnate da questo egoismo”.
Ad un certo punto la protagonista, nella disperazione, prega: la preghiera potrebbe essere una ‘soluzione’?
“La preghiera è sempre una soluzione. Non significa delegare a Dio quello che spetta a noi. La preghiera non è magia, che risolve le cose al posto nostro. Pregare, per me, significa chiedere di essere trasformata dall’interno per vivere la vita con più amore, con più saggezza. Respirare fa bene al corpo quanto la preghiera fa bene all’anima. Abbiamo bisogno che Dio sia in mezzo alle vicende che viviamo, per dare senso e sapore a tutto”.
(Tratto da Aci Stampa)
Fabrizio Venturi: per la quarta edizione del Festival della Canzone Cristiana in attesa del messaggio di papa Francesco
Preparativi in corso per la quarta Edizione del Sanremo Cristian Music Festival 2024. La canzone cristiana si sta affermando nel mercato discografico italiano grazie al contributo del Festival della Canzone Cristiana ideato e diretto dal cantautore e Direttore artistico Fabrizio Venturi.
“Il Festival della Canzone Cristiana è un trampolino di lancio per chi canta canzoni di ispirazione cristiana, un genere che, pian piano, si sta affermando e riscuotendo successo tra i giovani. La quarta edizione vedrà la partecipazione di nuove promesse della musica e della canzone cristiana che avranno la possibilità di farsi conoscere dal grande pubblico.
Daremo molta visibilità ai partecipanti e creeremo un canale televisivo tematico per consentire una maggiore presenza della musica cristiana sui media, nonché delle star della canzone cristiana italiana ed internazionale”, ha dichiarato Fabrizio Venturi, il quale ha aggiunto:
“La quarta edizione del Festival della Canzone Cristiana rappresenta la consacrazione della Christian Music nel mondo musicale italiano. Noi abbiamo abbattuto quello che poteva essere un pregiudizio sulla Christian Music, fondato sul fatto che esistessero differenze rispetto ad altri generi, ma così non è proprio in quanto la Christian Music è uguale e paragonabile alla musica che si ascolta quotidianamente in radio, con la sola differenza che, nei suoi testi, invece di parlare di una donna, di un calciatore, di un ciclista o di altri temi, si parla di Dio.
Anche Renato Zero, dopo la prima edizione del Festival della Canzone Cristiana Sanremo 2022, ad aprile, esordisce, per la prima volta nella sua carriera, con un album che racchiude 19 brani di musica cristiana, intitolato ‘Atto di fede’. Il grande successo raggiunto dal Festival della Canzone Cristiana ha spalancato le porte a molti artisti della Christian music italiana, dando voce, per la prima volta, a questo genere musicale anche in Italia, che è diventata la prima vetrina della musica cristiana, un vero e proprio Festival Cristian Music non inquinato dalla partecipazione di artisti appartenenti ad altri generi, come avviene, invece, in altri eventi similari. Il Festival ha avuto un’evoluzione positiva sia per la qualità delle canzoni, sia per la bravura degli interpreti. Anche per questa edizione avremo voci di rilievo e canzoni di prestigio”.
Le iscrizioni, come per le passate edizioni, dovranno pervenire, entro il 20 dicembre 2024, alla Segreteria del Festival info@sanremofestivaldellacanzonecristiana.it, attenendosi scrupolosamente al regolamento, che i candidati trovano già online sul sito del Festival: www.sanremofestivaldellacanzonecristiana.it.
Il Festival della Canzone Cristiana si svolgerà a Sanremo dal 13 al 15 febbraio 2025, negli stessi giorni in cui si svolge il Festival della Canzone Italiana. Le finali saranno trasmesse da una emittente televisiva nazionale. Radio Mater sarà la radio ufficiale del Festival. Si tratta di un Festival nel Festival, di una staffetta musicale. L’intento e lo spirito sono gli stessi delle precedenti edizioni, ossia realizzare un connubio creativo tra la canzone e la fede e tra la canzone e la lode a Dio. E’ stato concluso anche un accordo con un network radiofonico italiano.
Ad affiancare Venturi ci sarà un grande nome della TV nazionale, del quale, allo stato attuale, gli organizzatori non svelano il nome: “Tra gli ospiti d’onore della kermesse musicale cristiana vi saranno grandi star della Cristian Music internazionale e della TV nazionale. Si riconferma la presenza del super ospite londinese Noel Robinson, un artista famoso a livello internazionale, icona della Musica Cristiana, che riempie gli stadi di tutto il mondo. Per quanto riguarda gli altri ospiti ci riserviamo di rendere noti i nomi nei successivi comunicati”, ha aggiunto Venturi, il quale ha sottolineato:
“Tutto ciò che il Festival della Canzone Cristiana ha annunciato di fare lo ha sempre fatto: l’Euro Cristian Music Festival a Torino, la Nazionale Italiana Cantanti Cristian Music, la creazione della sua emittente televisiva, la missione di pace a Kiev in Ucraina e altre rilevanti iniziative inerenti il suo messaggio di pace e la sua missione evangelizzatrice”.
Sarà un grande Festival, all’insegna della nuova evangelizzazione, condotta attraverso la forma espressiva più potente che Dio ci ha donato, ossia la musica, che non conosce né barriere, né limiti. È proprio questo che desideriamo far sapere alla stampa, sottolineando che il nostro sarà un autentico messaggio cristiano, una lode a Dio, una preghiera profondamente vissuta. Il nostro unico intento è diffondere messaggi di pace, di amore e di condivisione, non di chiusura e di scontro. Il messaggio che vogliamo diffondere è quello di papa Francesco, che esorta ad essere fautori della fratellanza umana, che, come fa la musica, ‘abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali’.
Tale messaggio sorregge il nostro impegno proprio in quanto esso è finalizzato alla realizzazione della pace e della convivenza comune, pilastri ineludibili per la missione civilizzatrice, che la religione cattolica e tutte le religioni, il cui Dio è unico, devono prefiggersi mediante progetti concreti e mediante un dialogo fervente con tutte le realtà presenti nel contesto umano.
Alla luce del progetto umanitario della realizzazione della fratellanza umana, che la Chiesa Cattolica si prefigge, richiamando non solo tutte le religioni, ma anche tutti coloro che operano in ogni ambito della vita umana a farsi artefici e promotori della cultura della fratellanza umana, abbiamo voluto anche noi, in veste di fautori di una cultura musicale improntata ai valori della fede cristiana, contribuire a diffondere il messaggio della fratellanza umana.
Sant’Agostino affermava che chi canta prega due volte, rimarcando la forza spirituale della canzone. Siamo convinti anche noi che cantare, elevando una lode a Dio, possa essere il modo più rassicurante per affrontare il disagio e lo smarrimento scaturito sia dal deterioramento dell’ecosistema, sia dalla crisi del sistema economico mondiale, che ha provocato nuove forme di povertà, alle quali si aggiunge la povertà morale, di cui sono espressione le guerre in corso. La musica non vi è dubbio che possa rivestire un ruolo educativo e trasformativo in una società, come quella attuale, che sta smarrendo i suoi ineludibili valori umani. Di tale ruolo sono fermamente convinto e, per tale motivazione, ho deciso di realizzare il Festival della Canzone Cristiana”.
Ad Assisi ‘CorporalMente’ per riflettere su corpo ed anima
Dal 12 al 15 settembre (con un’anteprima domenica 8 settembre ‘Sull’infinito’ di Alessandro Baricco) si è svolto il ‘Cortile di Francesco’, giunto alla decima edizione, l’appuntamento culturale annuale nel segno della fraternità promosso dai frati minori conventuali della basilica di San Francesco in Assisi, intitolato ‘CorporalMente’: “Se infatti le stimmate di san Francesco sono la manifestazione visibile, nel corpo, della profondità della sua unione con Cristo, è bello poter riflettere insieme, confrontarsi e intrattenersi (come è tradizione del Cortile, a partire da diverse prospettive) sulla relazione imprescindibile, ma non per questo scontata, tra il nostro mondo interiore personale e la sua manifestazione all’esterno nel corpo”, ha precisato fra Giulio Cesareo, direttore dell’Ufficio comunicazione del Sacro Convento di Assisi.
Molti i temi affrontati: dalla medicina e psicologia alla disabilità e integrazione; dai social media e ambiente all’intelligenza artificiale; dall’arte in Basilica alla spiritualità francescana con il ministro per le disabilità, Alessandra Locatelli, il direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, Costantino D’Orazio, il giornalista Luca Sommi ed il medico nutrizionista ‘mangiologo’ e divulgatore televisivo, Mauro Mario Mariani.
E naturalmente visite guidate al Museo del Tesoro della Basilica e, nella fantastica cornice artistica e simbolica della piazza superiore di san Francesco; concerti e spettacoli serali, tra cui ‘Il sogno’ dei ragazzi ospiti all’Istituto Serafico di Assisi, e la prima esecuzione assoluta del ‘Requiem per il Sociale’ del Maestro Andrea Di Cesare, opera musicale pop moderna per violino elettrico, looper, campionatori, computer synth e due attori (rivisitazione moderna del Requiem KV 626 di W. A. Mozart, arricchita da elementi pop, rock ed elettronici).
L’evento, ideato da Maria Cristina Lalli e prodotto in collaborazione con Angi (Associazione Nazionale Giovani Innovatori), Opera Morlacchi e Associazione Mozart Italia, ha visto la partecipazione straordinaria degli attori Lidia Vitale e Mirko Frezza. Mentre martedì 17 settembre si è svolta la prima rappresentazione assoluta di un corale su san Francesco realizzato da fra Renzo Cocchi; la chiusura del ‘Cortile di Francesco’ avverrà domenica 22 settembre, alle ore 21.30, con il concerto per la pace per archi e solista diretto da fra Peter Hrdy, maestro della Cappella Musicale della Basilica papale di San Francesco.
Dal punto di vista più specificamente francescano, si è svolto un focus particolare alla ‘Chartula di Assisi’, il breve testo autografo di San Francesco custodito in Basilica, scritto dopo l’episodio delle stimmate a La Verna: in modo particolare attraverso di esso si è cercato di scoprire aspetti meno noti del Santo, quali la personalità, la sua preparazione culturale e sensibilità psicologica, facendo anche ricorso all’analisi grafologica della sua scrittura con Davide Rondoni, Femino Giacometti ed Attilio Bartoli Langeli.
Fra Giulio Cesareo ha spiegato il titolo e la relazione esistente tra corpo e mente: “L’anniversario delle stimmate di san Francesco ci fa riflettere sul loro valore culturale, oltre a quello esclusivamente religioso. Intuiamo che esse ci rinviano all’inscindibile nesso che c’è tra l’interiorità e il corpo, perché le stimmate non sono un’azione divina dall’esterno ma la trasparenza nel corpo di ciò che era accaduto nel cuore di Francesco: nel suo rapporto con Cristo, con i frati, con le persone con cui era in contatto.
Francesco, un po’ come tutti noi, era stato ferito dalla vita, in particolare da quei frati dotti e sapienti che, animati anche da tanto zelo, premevano per ‘riscrivere’ il suo ideale originario e per assimilare sempre più la fraternità del suo Ordine a quelle comunità monastiche già esistenti. Francesco vive tutto ciò come una grande sofferenza, sia sente tradito nella sua intuizione originale, gli sembra che tutto stia crollando come un castello di carte e che la Chiesa (e lo stesso Dio) non stiano facendo niente per sistemare le cose.
A La Verna Francesco intuisce però che le ferite della vita sono preziose, perché possono diventare (come e con quelle di Gesù) feritoie di un amore più grande delle incomprensioni, dei tradimenti, dei fallimenti, perché alla fine ciò che lascia il segno nella vita delle persone e del mondo non sono le belle idee, i grandi progetti, ma l’amore autentico che passa attraverso la nostra vita: il nostro corpo!
‘CorporalMente’ vuole così richiamare questa unità tra corpo e mondo interiore, nella consapevolezza che la mente è ben più delle sinapsi cerebrali: è appunto ognuno di noi, la nostra identità che entra in relazione, si manifesta, ama ed è amata sempre e solo nel corpo; esso non è allora qualcosa di aggiunto o una parte di noi, ma proprio noi stessi in quanto capaci e abilitati all’incontro e alle relazioni”.
Quanto è importante la ‘Chartula’ per la vita francescana?
“La Chartula è una tra le reliquie più preziose di san Francesco, perché è proprio opera sua: ci parla di lui, della sua relazione religiosa con Dio, ma anche del suo modo di coltivare un’amicizia, quella con Leone, ci mostra la sua grande creatività (aveva elaborato una firma anche graficamente tutta sua a partire dall’espressione ‘te benedicat’: ‘ti benedica!’); infine ci rivela, grazie all’analisi grafologica, anche qualcosa in più a proposito del temperamento e della personalità di san Francesco, che è così ricco e profondo, da rimanere sempre alla fine (un po’ come tutti noi) una grande mistero”.
Eppoi gli spettacoli, tra cui ‘Il sogno’ e ‘Requiem universalis’: in quale modo l’arte valorizza il corpo?
“Il nostro sogno, insieme ai nostri amici artisti, intellettuali e persone comuni, nonché al tesoro che sono le persone con disabilità, è proprio sottolineare la dignità immensa del corpo, perché coincide con la dignità del volto di cui è espressione e manifestazione. Altrimenti il corpo da solo, sganciato dal volto, rischia di essere percepito solo come una cosa (che piace o no, attira o no): invece proprio grazie all’arte e ai suoi linguaggi evocativi, vorremmo ri-educarci a quest’arte ovvia (eppure mai scontata) di valorizzare l’alleanza ‘both ways’ (‘entrambi i modi’, ndr.): dal corpo alla persona e dall’interiorità al corpo. Avere cura del corpo per avere cura di sé; avere cura di sé è inseparabile dalla cura per il corpo e le relazioni che sono possibili solo nel e grazie al corpo”.
Dopo 10 anni cosa è il ‘Cortile di Francesco’?
“In queste dieci edizioni si è camminato molto e il passo di oggi sarebbe stato impossibile senza tutti quelli precedenti: per questo desidero ancora una volta ringraziare fra Enzo Fortunato, gli amici dell’associazione ‘Oicos’ e tutti coloro che negli anni hanno fatto nascere, crescere e sviluppare il ‘Cortile di Francesco’. Ognuno di noi con la sua storia, le sue competenze e le sue convinzioni, è un dono per gli altri a patto che la condivisione avvenga nella verità, nel rispetto e nell’apertura all’altro.
Credo che proprio per questo il ‘Cortile di Francesco’ sia il luogo dove è possibile sperimentare la fraternità (vera eredità di san Francesco) come evento culturale, attraverso incontri che nella diversità e nel rispetto, sono fonte di vero arricchimento reciproco. E di una riscoperta della diversità come valore aggiunto nelle relazioni, credo che oggi tutti abbiamo particolarmente bisogno”.
(Foto: Cortile di Francesco)
Un domenicano ha inventato lo spirito olimpico moderno
“La ‘leggenda’ olimpica descrive il domenicano padre Martin Didon, al secolo Henri Louis Rémy Didon (1840-1900), come guida spirituale di Pierre de Coubertin, il ‘padre dell’olimpismo’, e suo sostegno nella fase iniziale del Movimento olimpico”, così inizia il volume ‘Padre Henry Didon. Un domenicano alle radici dell’olimpismo’ della prof.ssa Angela Teja, già docente di Storia dello sport all’università di Cassino, vicepresidente della Società Italiana di Storia dello sport (Siss), già presidente del Collegio dei Fellows dell’European Committee for Sports History (Cesh), presentato durante le Olimpiadi con la promozione della Fondazione ‘Giovanni Paolo II per lo sport’ a le Prè Catelan di Parigi, sede di Casa Italia.
Da liberale moderato e repubblicano convinto il motto olimpico di p. Didon e dei suoi allievi è affrancato a quello della Francia Repubblicana, fa notare in prefazione al saggio mons. Emmanuel Gobiliard, vescovo di Digne Riez e Sisteron delegato per i Giochi di Parigi 2024: “La ricerca della virtù, fortius, ciò che rende forti e quindi liberi (libertè), l’aspirazione all’altius, alla vetta con il diritto allo sport per tutti (egalitè) che è felicità per la Chiesa che con lo sport, di squadra e individuale va più veloce (citius) e diventa scuola di fraternità” .
Partendo da queste sollecitazioni abbiamo chiesto alla prof.ssa Angela Teja di raccontarci questo libro sulle Olimpiadi: “Per la verità ‘Padre Henri Didon. Un Domenicano alle radici dell’olimpismo’, che quest’anno ho pubblicato con l’editrice AVE all’interno della collana ‘Laudato sì, sport’ curata dalla fondazione ‘Giovanni Paolo II per lo sport’, non è un libro sulle Olimpiadi ma su di un personaggio che si ipotizza sia stato la guida spirituale del loro ‘inventore’, Pierre de Coubertin.
P. Henri Didon è comunque un personaggio molto interessante per la storia dell’olimpismo, e non solo per questa sua illustre amicizia. Egli è un domenicano vissuto nella seconda metà dell’800 che viene solitamente ricordato in occasione dei Giochi olimpici, perché è stato l’inventore del celebre motto olimpico. In realtà è stato soprattutto un intellettuale francese che ha scritto molto, su molti temi, privilegiandone alcuni di tipo spirituale e morale.
Egli infatti è stato un educatore, avendo diretto tra il 1890 e il 1900, anno della sua morte, l’istituto ‘Alberto Magno’ di Arcueil, alla periferia di Parigi. Una scuola che ha praticamente ricostruito. avendola trovata in stato di abbandono. Del resto la Rivoluzione non era passata invano, gli ordini religiosi erano stati aboliti, i loro istituti chiusi.
I Domenicani sono stati i primi a ricostituirsi grazie a grandi personalità come Henri Lacordaire e lo stesso Henri Didon, anche se il processo di laicizzazione in atto non si sarebbe arrestato e in Francia avrebbe portato nel 1905 alla separazione tra Chiesa Stato. L’operato ampio e complesso, direi variegato, multidisciplinare di p. Didon va visto in questo contesto storico, che è poi anche quello della nascita dei Giochi olimpici. In fondo il desiderio di pace e giustizia, libertà e uguaglianza che p. Didon esprime in tutte le sue opere, ben si accordava con l’utopia coubertiniana di un mondo pacificato, senza guerre, in cui si fosse cittadini del mondo”.
Per quale motivo De Coubertin si rivolse a p. Didon?
“Esattamente per quello che dicevamo: Coubertin voleva rivolgersi alle giovani generazioni per formarle in base a principi di uguaglianza, pace e giustizia. Sapeva di dover andare nelle scuole per ottenere dei risultati, ma non in quelle pubbliche, ancora improntate a vecchi metodi in cui veniva privilegiata l’educazione del cogito a discapito della salute fisica, che è anche forza, coraggio patriottico, se non certezza di un futuro migliore con cittadini forti e liberi.
Esattamente quello che Coubertin si augurava per i giovani francesi dopo aver conosciuto e apprezzato i metodi impartiti nei colleges inglesi dove si formavano i quadri dirigenti del futuro Impero britannico. Sarebbero tanti i discorsi da fare, ma fermiamoci all’attenzione che sia Coubertin che p. Didon ebbero per i metodi ‘sportivi’ degli allievi del college di rugby, per nominare quello che ci introduce meglio alla nascita dello sport moderno, anche se entrambi ne conobbero diversi.
Tutti e due erano stati nel Regno Unito e vi avevano conosciuto i giochi all’aperto utilizzati sia come divertimento che come mezzo di educazione e disciplina per gli iscritti nelle public schools. Coubertin cercava dunque a Parigi una scuola dove poter sperimentare quei metodi, e trova in p. Didon un amico che lo aiuterà in pieno per il suo sogno olimpico.
P. Didon conosceva bene quelli dell’antichità, sia per i suoi studi classici, sia perché li aveva ‘praticati’ nel Seminario Minore di Rondeau, molto giovane e già campione negli sport atletici, che qui si rifacevano all’antica agonistica greca. Perchè i Giochi olimpici inventati da Coubertin sono famosi ma non i primi… Del resto già nel Campo di Marte, in piena Rivoluzione, se ne erano disputati nel 1796, esattamente un secolo prima dunque della cosiddetta prima edizione ufficiale ad Atene”.
Come inventò il motto olimpico?
“Per la verità non è stato p. Didon a inventare il motto olimpico, ma i suoi studenti. Era il 1891 e ad Arcueil si svolgevano per la prima volta gare sportive in una scuola francese, nell’Istituto dove Pierre de Coubertin si era recato a proporle trovando il suo rettore, p. Didon, entusiasta e collaborativo. Il primo step del progetto sarebbe stato la nascita di un’Associazione scolastica di sport atletici per organizzarle.
Il metodo pedagogico di p. Didon, improntato all’autodeterminazione per la formazione di cittadini ‘capaci e degni di libertà’, come riportava la brochure di promozione dei corsi all’Alberto Magno, è alla base del secondo step, che è quello di affidare ai ragazzi la completa organizzazione di tutto: elezione dei dirigenti dell’Associazione, definizione dei regolamenti di gara, inno societario e naturalmente il motto latino, da ricamare sul gonfalone dell’Istituto e sulle bandierine disseminate lungo il percorso delle gare. La prima gara è stata una corsa campestre all’inseguimento di ‘lepri’, gli stessi p. Didon e Coubertin, che lasciarono sul terreno come pista da seguire dei pezzetti di carta.
Un motto deve normalmente racchiudere in sintesi le caratteristiche di chi lo produce e questo motto, non possiamo negarlo, è geniale per il suo significato altamente simbolico (sappiamo che il latino ha queste prerogative di sintesi e chiarezza) con cui riesce a rappresentare gli scopi materiali dello sforzo atletico racchiudendone anche la sua essenza spirituale e morale”.
Ma come arrivano gli studenti dell’Istituto ‘Alberto Magno’ a centrare questi tre aggettivi?
“Ipotizzo che la traduzione in latino fosse un suggerimento di chi ben lo conosceva… e che comunque fosse logico che i ragazzi pensassero a un incitamento ad essere più veloci, più forti e a saltare più in alto (in un primo momento era questo l’ordine degli aggettivi, Citius, fortius, altius), anche se nelle intenzioni interpretative di p. Didon c’era dell’altro, un vero e proprio rispecchiarsi della teologia tomista, base della sua formazione di domenicano e dei suoi insegnamenti ad Arcueil.
In questa ottica citius si sarebbe riferito alla Volontà e al suo muoversi velocemente e liberamente verso il Bene universale; altius avrebbe significato la Prudenza, il cui compito è elevare l’uomo all’altezza della sua dignità unitamente alla Sapienza; fortius avrebbe chiaramente rimandato alla Fortezza, la prima delle virtù morali dalle forti connotazioni patriottiche, perché reprime il Timore e modera l’Audacia.
Il famoso motto sarebbe così diventato una rappresentazione concreta della palestra di virtù che p. Didon voleva ‘allestire’ per i suoi ragazzi a fianco degli impianti sportivi, metafora di un mondo perseguibile, se pur a fatica, e comprensibile ai giovani. Quasi che il celebre motto fosse anche il simbolo dell’iniziazione cristiana dei giovani alla vita”.
Quindi per p. Didon l’attività fisica è una virtù?
“L’attività fisica per lui è una virtù ‘psico-morale’, come si trova a dire nel suo celebre discorso al II Congresso Olimpico di Le Havre nel 1897. Egli ha in mente l’intero corpus tomistico riguardo all’apprendimento delle virtù da parte di un buon cristiano, e a Le Havre inizia a esporlo a piccole dosi, sapendo che non tutti lo avrebbero capito e accettato. Non dimentichiamo al momento di forte secolarizzazione che si stava vivendo in Francia. Se leggiamo i suoi discorsi di fine anno ad Arcueil, quelli che faceva a conclusione del percorso formativo annuale rivolgendosi a studenti, genitori, autorità e a quelli che oggi chiameremmo stakeholders dell’Alberto Magno, testi che troviamo riuniti in una raccolta pubblicata nel 1898 (L’Education présente. Discours à la jeunesse), in essi i riferimenti a san Tommaso d’Aquino sono molteplici.
P. Didon stesso scrive di essersi ispirato alla sua teologia, soprattutto alla ‘Summa Theologiae’ ed alla ‘Summa contra Gentiles’. Da qui l’ipotesi di una interpretazione tomista del motto nella recente pubblicazione su p. Didon per i tipi di AVE, mi sembra che possa essere reale. Anche Norbert Müller, tra i maggiori storici dell’olimpismo, aveva fatto cenno a un’interpretazione spirituale del Motto, anche se poi il Comitato Olimpico Internazionale ha sempre preferito valorizzarne il significato materiale e ‘sportivo’”.
Quali erano le finalità di p. Didon?
“Quelle di incitare i giovani a sviluppare la qualità più importante, la Volontà a resistere e a sforzarsi nelle difficoltà, non tanto per essere primi ma per «tirar fuori da sé il meglio che sia possibile». In questo suo programma gli sport atletici servivano a far penetrare nella gioventù «il culto intelligente della forza fisica, della lotta vigorosa, della resistenza fisica e di quella morale al male» come scrive nel primo dei suoi discorsi di fine anno, L’a culture de la Volonté’ (1890). Per lui la volontà è una ‘energia divina’, che ‘comanda e difende, stimola e rallenta, sostiene e contrasta a suo modo tutte le nostre azioni’. Egli sa che la volontà ha il compito di aiutare i giovani a raggiungere le altre virtù, così importanti per la loro formazione di persone fatte di corpo, anima e spirito, tutte componenti allenabili dunque attraverso l’esercizio fisico con tutte le sue potenzialità, anche quelle spirituali”.
Quale è l’attualità pedagogica dell’olimpismo di p. Didon?
“Sono molti i motivi di somiglianza tra la nostra epoca e quella di p. Didon. Si pensi all’irrompere della modernità (oggi di quella virtuale e artificiale), al progresso vertiginoso delle scienze (oggi delle neuroscienze), al processo di secolarizzazione sempre più accentuato, alla grande confusione in cui ci troviamo spesso a vivere con la difficoltà di distinguere il vero dal falso, una preoccupazione identica a quella di p. Didon che ne aveva parlato anche nell’udienza privata con papa Leone XIII, denunciando la gravità di mancanza di discernimento nei giovani.
In questo libro a più riprese si parla di una ipotizzabile attualità del pensiero di p. Didon, il quale ha sempre vissuto immerso nel suo tempo, ‘curioso di tutto’, come ci ricorda il suo massimo biografo, Yvon Tranvouez, anche se il suo metodo pedagogico andava ben al di là dell’olimpismo, inteso questo come un complesso di organismi, strutture, pensieri, tendenze che vanno nella direzione di una vera e propria filosofia di vita, dove l’eccellenza è il massimo degli scopi da raggiungere. Anche per gli antichi l’areté aveva rappresentato il top della vita, il dare il meglio di sé nella ricerca della perfezione, secondo il modello sotteso all’antica kalokagathìa di cui sono ricchi gli scritti di Platone, la ricerca di essere bello e buono, prestante fisicamente e coraggioso, un concetto che attraverso Aristotele sarebbe stato trasmesso a s. Tommaso d’Aquino. Un cerchio che si chiude dunque, dal pensiero pagano a quello cristiano, e in questo caso p. Didon ha saputo cogliere perfettamente il valore e l’essenza dell’antica agonistica e dello sport moderno.
(Tratto da Aci Stampa)
Più volte mi sono trovata a dire che p. Didon è ‘una miniera’ di insegnamenti per la nostra epoca. I suoi scritti, numerosi, multidisciplinari, con un forte interesse alle scienze e alla modernità e quindi un’apertura piena di curiosità per i grandi nuovi eventi della sua epoca, e lo sport lo era di certo, ebbene i suoi scritti aiutano a dare un senso al ‘perché fare sport’. Egli va aldilà della materialità di questo fenomeno affrontando le sue parti ‘invisibili’, seguendo il carisma domenicano di fare apostolato leggendo e attualizzando il Vangelo alla luce dei tempi in cui si vive.
Per questo credo che p. Didon vada ricordato non solo in ambito sportivo, proprio per l’articolazione del suo pensiero, in particolare di quello pedagogico. Pensiamo a quanto sia importante per i giovani imparare ad autodeterminarsi, e lo sport non può che aiutare in questa direzione sviluppando lo spirito di iniziativa personale e la resistenza. In questo modo egli ha incoraggiato i giovani verso l’Ideale che trascende i sensi, il non visibile, verso la perfezione che risiede in Dio. In L’homme d’action, un altro dei suoi discorsi di fine anno del 1895, egli sostiene con vigore che i figli non vanno allevati in un nido protetto, ma vanno loro aperte le porte dell’Ideale, ‘sollevandoli dalla terra e dal fango’. Bisogna andare ‘più in alto che si possa’, ‘verso quel mondo ideale che riempie l’infinito di Dio, della sua chiarezza, della sua bontà, della sua grandezza e della sua perfezione!’.
Con energia e vigore p. Didon mostra dunque come si debba cercare di innalzarsi dalla materialità della vita quotidiana per guardare in Alto, anche attraverso lo sport. Con metodo esperienziale egli ne fa cogliere gli aspetti spirituali, invisibili ma reali nel momento in cui essi procurano la gioia del gioco, a volte incontenibile, l’estasi della vittoria ma anche la consapevolezza, se non si vince, di aver dato il meglio di sé, una grande soddisfazione anche questa. Come dargli torto, soprattutto nella nostra epoca, così fragile e spesso confusa nello stesso ambito sportivo?”
E da qui la nascita anche di un progetto?
“L’attualità del pensiero di p. Henry Didon sarà ricordata in Italia con un progetto di sport nelle carceri, ‘Insieme nello sport’, presentato a ‘Casa Italia’, durante i Giochi di Parigi ed ideato dalla Rete di magistrati ‘Sport e legalità’ in collaborazione con la Fondazione ‘Giovanni Paolo II per lo sport’ ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per incoraggiare chi sta in carcere a resistere all’indubbiamente difficile situazione vissuta con la volontà di ricostruirsi uomini ‘capaci e degni di libertà’, per utilizzare una citazione di p. Didon, anche attraverso lo sport e le sue ‘virtù’, che insegnano la convivenza civile, il rispetto delle regole, il fair play, soprattutto saper lavorare dignitosamente insieme”.
(Tratto da Aci Stampa)
Fabrizio Venturi comunica il regolamento della quarta edizione del Sanremo Cristian Music Festival 2025
“E’ quasi tutto pronto per la Quarta Edizione del Sanremo Cristian Music Festival 2025. Sono in attesa di ascoltare le canzoni degli artisti che si iscriveranno a questa edizione. Il Festival si attesta, sempre più, a livelli di maggior rilievo artistico sia per la qualità delle canzoni, sia per quanto attiene gli interpreti. Per tale motivo, quindi, anche questa edizione avrà grandi voci e prestigiose canzoni”, ha affermato il cantautore di Firenze Fabrizio Venturi, Direttore artistico del Festival della Canzone Cristiana. Le iscrizioni dovranno pervenire fino al 20 di dicembre 2024 alla Segreteria del Festival info@sanremofestivaldellacanzonecristiana.it, attenendosi scrupolosamente al regolamento, che i candidati trovano online sul sito ufficiale del festival. www.sanremofestivaldellacanzonecristiana.it, dal quale sarà possibile scaricare il regolamento inerente l’anno 2025.
Il Festival della Canzone Cristiana si svolgerà il 13, il 14 e il 15 febbraio 2025, come nelle sue passate edizioni, negli stessi giorni in cui si realizza il Festival della Canzone Italiana. Fabrizio Venturi sfida Carlo Conti: due fiorentini alla guida dei due Festival di Sanremo. Sarà un Festival nel Festival, una staffetta musicale:
“L’intento del Festival, come già abbiamo più volte rimarcato, è quello di realizzare un connubio creativo tra la canzone e la fede e tra la canzone e la lode a Dio» ha continuato Venturi, il quale ha sottolineato: «Lo scopo si configura, pertanto, essere quello della lode a Dio attraverso la musica nella Città dei fiori, che è Sanremo, luogo che meglio rappresenta l’Italia musicale.
Il grande successo raggiunto dal Festival della Canzone Cristiana ha spalancato le porte ad artisti della Christian music italiana, dando voce, per la prima volta, a questo genere anche in Italia, nazione in cui non si era mai verificato, facendo di Sanremo Cristian Music Festival la prima vetrina della musica cristiana, un vero e proprio Festival Cristian music non inquinato dalla partecipazione di artisti appartenenti ad altri generi, come, invece, avviene in altri eventi similari. Il Festival si terrà in una location bellissima, arricchita da una speciale scenografia”.
La kermesse musicale cristiana- come è avvenuto nella precedente edizione – sarà trasmessa da una TV nazionale. Nel medio termine saranno resi noti tutti i dettagli, come informano gli organizzatori.
Radio Mater, sorella di Radio Maria, si riconferma radio ufficiale del Festival per le radio cristiane.
E’ stato chiuso anche un accordo con un network radiofonico italiano, che sarà reso noto appena ultimati gli accordi con l’emittente televisiva. Per certo si sa che Fabrizio Venturi ha fortemente voluto un nome prestigioso della TV nazionale alla conduzione della kermesse, del quale non conosciamo ancora il nome.
Tra gli ospiti d’onore invitati alla kermesse cristiana si annoverano grandi star della Christian music internazionale e della TV nazionale. Non si può non sottolineare che tutto ciò che il Festival della Canzone Cristiana ha annunciato di fare lo ha sempre fatto: l’Euro Cristian Music Festival a Torino, l’European Cristian Music, la Nazionale Italiana Cantanti Cristian Music, la creazione della sua emittente televisiva, Il Festival della Canzone Cristiana non è solo musica, in quanto è anche attento alla dimensione umana e sociale della vita ed ha come sua finalità la diffusione del messaggio del dialogo e della pace tra i popoli e le diverse religioni affinché si generi la pace.
E’ previsto per il 2025 a Milano l’organizzazione di un Forum del dialogo interreligioso, a cui parteciperanno le tre religioni monoteiste e la filosofia buddista. La missione di pace del Festival della Canzone cristiana in Ucraina, in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno 2023, e la visita all’Ospedale pediatrico nazionale di Kiev attestano l’importanza che il Festival attribuisce al valore della pace e agli eventi umanitari legati al cristianesimo: “Attendiamo, con entusiasmo, la quarta edizione del Festival della Canzone Cristiana, considerati i valori cristiani ed umanitari che esso veicola e promuove”.
Monsignor Pighin: il cardinale Costantini antesignano del dialogo tra Santa Sede e Cina
“Di fronte specialmente ai Cinesi, ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione cattolica apparisca come messa sotto tutela e, peggio ancora, come strumento politico al servizio delle nazioni europee”: così, nei suoi memoriali, il card. Celso Costantini ricordava un tratto qualificante della sua missione di primo delegato apostolico in Cina dal 1922 al 1933.
Negli ultimi decenni la memoria di questa figura geniale e profetica della Chiesa cattolica del secolo scorso è stata valorizzata da mons. Bruno Fabio Pighin, professore ordinario nella Facoltà di Diritto Canonico S. Pio X di Venezia e delegato episcopale per la causa di canonizzazione del cardinale. Ed un volume curato dal prof. Pighin, intitolato ‘Il Cardinale Celso Costantini e la Cina. Costruttore di un ‘ponte’ tra Oriente e Occidente’, esplora aspetti poco conosciuti del cardinale friulano.
Il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, nella prefazione al volume, aggiunge dettagli preziosi: “Quel percorso ha tracciato una direzione, sulla quale la Chiesa prosegue tutt’oggi, come avvenuto con l’Accordo provvisorio tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese riconfermato nel 2022. Tale Accordo, già auspicato da papa Benedetto nel 2007 e firmato sotto il pontificato di papa Francesco nel 2018, riguarda la nomina dei vescovi in Cina, in continuità ideale coi sei primi Vescovi cinesi, consacrati a Roma da Pio XI e dallo stesso Costantini nel 1926”.
Da mons. Pighin ci facciamo spiegare da dove nasce l’idea di pubblicare quest’opera: “L’iniziativa è stata voluta dall’associazione ‘Amici del Cardinale Celso Costantini’, promotrice dell’esposizione permanente dedicata a ‘Celso Costantini e la Cina’, inaugurata nel 2023 nel Museo diocesano di arte sacra di Pordenone, che intende custodire, valorizzare e rendere fruibili, anche per i posteri, i tesori culturali inestimabili legati all’insigne porporato pordenonese, molti dei quali provenienti dalla terra di Confucio”.
Quali sono i contenuti di questa pubblicazione?
“Il testo presenta un originale mosaico letterario, nel quale si evidenziano tre polarità che interagiscono tra loro. Anzitutto emerge la figura geniale di Celso Costantini, oggi riscoperta nei suoi vari profili di vescovo e poi cardinale, di scrittore, scultore, protagonista nell’arte sacra del secolo scorso, di diplomatico e di artefice di carità e di pace. Il secondo filone, intrecciato con il primo, illustra le gesta da lui compiute in Cina, dove rifondò la comunità cattolica con propri vescovi, valorizzò la grande civiltà cinese nella liturgia e nell’arte cristiana e sviluppò il dialogo con le autorità del più grande Stato dell’Asia. La terza dimensione attraversa l’intera pubblicazione con 150 fotografie di valore storico-artistico. In esse viene documentato il patrimonio culturale da lui lasciato e ora esposto permanentemente nel Museo diocesano di Pordenone”.
Per quale motivo il card. Celso Costantini è stato un costruttore di ‘ponte’ tra Oriente ed Occidente?
“Celso Costantini, primo delegato apostolico in Cina, ha creato una svolta ai rapporti della Chiesa cattolica con la terra di Confucio e poi, da segretario di Propaganda Fide, più in generale con l’Estremo Oriente. Ha inaugurato la ‘decolonizzazione’ religiosa trattando la Cina con tutta la dignità che meritava, su un piano di uguaglianza, riconoscendone la sua grande cultura e civiltà con la quale si mise in dialogo. Il suo impegno potrebbe essere definito oggi di carattere ‘transculturale’, nella consapevolezza che il Vangelo si ‘coniuga’ con ogni cultura e funge da veicolo anche per i rapporti socio-culturali a livello mondiale”.
Quale contributo offrì il card. Costantini al Concilio sinense?
“Il Primo Concilio Cinese tenutosi a Shanghai nel 1924 sarebbe stato semplicemente impensabile senza l’opera svolta per esso dal card. Celso Costantini. Anzitutto egli fece compiere una svolta di 180 gradi alla preparazione dell’assise, ponendo le basi della futura opera di evangelizzazione in Cina, mentre in precedenza l’impegno mirava a comporre un compendio delle disposizioni emanate negli ultimi tre secoli. Nella fase della celebrazione conciliare egli fu il grande protagonista nel condurlo a buon fine. Gli atti prodotti sono splendidi, grandiosi e originali nella loro forma e nel loro contenuto, considerati ovviamente nel loro contesto di un secolo fa. Infine il card. Costantini fu l’artefice principale della loro pronta attuazione, prima ancora che i decreti conciliari fossero revisionati dalla Santa Sede e poi pubblicati nel 1929”.
Per il card. Costantini cosa significava ‘evangelizzare’?
“Per il card. Celso Costantini ‘evangelizzare’ voleva dire l’opposto di ‘conquistare’, perché significava far risuonare la bellissima notizia portata da Gesù Cristo all’umanità. Il punto centrale stava nel favorire una relazione diretta delle persone con il Risorto, al fine di sperimentare il suo amore salvifico per ogni essere umano, chiamato alla dignità di diventare figlio di Dio”.
Il dialogo tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese ha portato all’accordo per la nomina dei vescovi cinesi: si può dire che il card. Costantini fu antesignano di questo dialogo?
“Il card. Celso Costantini fu più di un ‘antesignano’ di questo dialogo. Infatti, i rapporti tra la Repubblica Cinese e la Santa Sede non sono iniziati oggi, ma si collocano in un tracciato storico. Le piene relazioni diplomatiche tra lo Stato più grande dell’Asia e la Sede Apostolica, stabilite nel 1946, ebbero nel card. Costantini il principale protagonista. Esse furono poi congelate con l’avvento della rivoluzione maoista. Oggi si sta verificando un disgelo fra i due soggetti di diritto internazionale, il quale impone di affrontare problemi simili a quelli risolti con l’apporto determinante del card. Costantini. Si noti poi che l’accordo in vigore tra le due parti sovrane sulla nomina dei vescovi cinesi riguarda i presuli con i successori di quelli portati alla dignità episcopale dallo stesso card. Costantini”.
Cosa è stato il ‘metodo’ Costantini?
“Alcuni storici contemporanei hanno individuato nell’opera di Celso Costantini un metodo nuovo e originale a livello politico e diplomatico della Santa Sede. Detto metodo si basa sull’opportunità di muoversi verso una metà ben chiara tramite percorsi parziali ma sanificativi, ampliando gradualmente le aree condivise e utilizzando canali di dialogo non solo diplomatici, ma anche sociali e culturali. Questo è congeniale alla Santa Sede perché, a differenza degli altri soggetti di diritto internazionale territorialmente delimitati, essa gode di dimensioni planetarie nel governo della Chiesa cattolica che è universale”.
(Tratto da Aci Stampa)
Alla scoperta della spiritualità delle Marche con il Cammino dei Cappuccini
Il Cammino dei Cappuccini nelle Marche è un percorso molto ricco sotto il profilo spirituale, storico, artistico e naturalistico, e molto impegnativo dal punto di vista fisico, a causa della fisionomia dell’entroterra delle Marche che presenta un continuo alternarsi di saliscendi, con numerose tappe dai dislivelli importanti. Esso attraversa da nord a sud la dorsale interna della Marche con un percorso di quasi 400 km che ripercorre i luoghi delle origini dell’Ordine cappuccino. E’ percorribile in molti mesi dell’anno, ma nei mesi invernali (in particolare dicembre, gennaio, febbraio) è sconsigliato, perché diverse tappe sono montuose e potrebbero essere innevate.
Inizia a Fossombrone, dal Colle dei Santi, dov’è il convento dei Cappuccini, da cui dare il via con una liturgia iniziale insieme ai frati lì presenti. Si prosegue nell’incantevole Gola del Furlo, in cui tra le imponenti pareti rocciose si insinua il fiume Candigliano, per giungere nella terza tappa alla storica città di Cagli, dove si può visitare lo storico convento dei Cappuccini, tra i pochi ad aver mantenuto l’architettura originale e zona in cui trovò riparo al termine della sua vita fra Ludovico da Fossombrone.
Da Cagli il cammino prosegue facendo tappa nell’antico monastero di Fonte Avellana, e da lì, passando sotto il corno del Monte Catria continua verso il ‘borghetto’ di Pascelupo, in cui è possibile scorgere l’Eremo di San Girolamo, dove il beato Paolo Giustiniani diede asilo ai primi cappuccini. Il cammino prosegue verso Fabriano, città della carta, e da Fabriano sale a Poggio San Romualdo, passando per l’Eremo dell’Acquarella, in cui nel 1529 si ritrovarono i cappuccini a celebrare il primo capitolo dell’Ordine.
Nella tappa successiva si scopre l’abbazia romanica di Sant’Urbano e l’Eremo dei Frati Bianchi, dove i promotori della riforma cappuccina trovarono rifugio, fino ad arrivare a Cupramontana, e da lì si riparte per arrivare a Cingoli, il ‘balcone delle Marche’, da cui si gode un ampio panorama sulla Regione e conduce a San Severino Marche ed il giorno successivo a Camerino, dove nacquero i Cappuccini e in cui è il primo convento dell’Ordine, il convento dei Cappuccini di Renacavata.
Da Camerino riprende la seconda parte del cammino e la tappa successiva conduce a San Lorenzo al Lago, sul lago di Fiastra. Il tracciato prosegue poi per la città di Sarnano e da lì, passando per il Santuario della Madonna dell’Ambro, un’incantevole luogo di spiritualità incastonato nei Monti Sibillini, si giunge a Montefortino. Il giorno successivo si riparte per Montefalcone Appennino, da cui si può ammirare in un solo colpo d’occhio il multiforme paesaggio delle Marche.
Ripartendo dal Convento degli Osservanti di san Giovanni Battista, luogo che segna l’importante evento della fuga di fra Matteo da Bascio, il cammino conduce a Rotella e in ripartenza a Capradosso, borgo che custodisce la memoria del Venerabile fra Marcellino. Da lì il percorso continua per Offida, dov’è custodito il corpo del beato Bernardo da Offida e giunge alla sua meta ad Ascoli Piceno, nel santuario di san Serafino da Montegranaro, il santo dei Frati Cappuccini delle Marche.
A fra Sergio Lorenzini, ministro della Provincia Picena dei Frati Minori Cappuccini ed autore del volume ‘Il cammino dei Cappuccini’, chiediamo di spiegare questo percorso nelle Marche: “I cappuccini: tutti sanno chi sono ma nessuno da dove vengono. La gente è abituata a vederli, la loro presenza è capillare in tutta Italia e ormai diffusa nel mondo intero, ma le loro origini sono sconosciute. Perciò il Cammino dei Cappuccini con un percorso di quasi 400 km che si snoda da nord a sud nell’entroterra della regione Marche porta il pellegrino alla scoperta della storia e della spiritualità della riforma francescana che avvenne in quei luoghi nel triennio tra il 1525 e il 1528, facendolo attraversare i luoghi più importanti delle origini dei cappuccini e incontrando i religiosi di oggi”.
Quale è la spiritualità di tale cammino?
“Il cammino ripercorre le orme dei primi cappuccini, i quali vollero riformare l’Ordine francescano per riappropriarsi della spiritualità di san Francesco che essi ritenevano perduta. La loro vita, caratterizzata dall’itineranza, ha fatto loro conoscere la fatica della strada, ricordando quello che il Santo di Assisi diceva ai frati: ‘Noi siamo pellegrini e forestieri in questo mondo’. Camminare sul cammino dei Cappuccini significa perciò agganciarsi al loro desiderio di autenticità che può valere per ogni uomo e donna di questo mondo come stimolo a recuperare le radici più profonde della propria storia.
Il cammino diventa perciò alleggerimento non solo da ciò che appesantisce ma anche da ciò che svia dalla verità di noi stessi. Esso permette il recupero della più profonda identità di ciascuno, che nell’ottica cristiana si ottiene non solo con un ritorno a se stessi ma ancor più con un ritorno a Dio, che da Padre ci fa riconoscere figli, figli amati, figli accompagnati. La spiritualità del cammino è fatta anche dall’incontro con i cappuccini di oggi che vivono nei conventi lungo il cammino e li aprono all’accoglienza dei pellegrini, che possono così sperimentare in concreto la vita di un convento cappuccino e condividere i vari momenti che caratterizzano la giornata dei religiosi”.
Per quale motivo ci si mette in cammino?
“La domanda andrebbe rivolta ad ogni singolo pellegrino perché i motivi possono essere tanti e preconfezionare la risposta rischia di essere una semplificazione della realtà. Tuttavia, per non sottrarsi alla fatica della risposta, suddivido i motivi nelle seguenti categorie: motivi di salute (chi lo fa perché ama il trekking e la natura); motivi esistenziali (chi avverte il bisogno di una parentesi dall’ordinarietà per vivere un’esperienza che lo porti a ricentrare e riorientare la propria vita); motivi spirituali (chi intende il cammino come un’esperienza per aprirsi all’incontro con Dio e sperimentarne la vicinanza). In ogni caso, per chiunque si metta in cammino, l’attitudine necessaria è l’apertura e l’accoglienza: vivere un cammino infatti spesso sorprende e concede regali inattesi, che cambiano le prospettive di un’intera esistenza proprio perché non erano programmati né prevedibili”.
Cosa è la credenziale?
“La credenzialeè il passaporto ufficiale che accompagna il pellegrino ed attesta che egli sta compiendo il Cammino dei Cappuccini. E’ di grande importanza averla con sé perché con essa si accede alle ospitalità pellegrine, cioè a tutte quelle strutture recettive e di ristoro che riservano dei prezzi agevolati ai pellegrini. Ad ogni tappa, nella credenziale vanno apposti i relativi timbri che attestano il cammino percorso e al termine del pellegrinaggio consentono il rilascio del ‘testimonium’, la pergamena conclusiva che certifica il compimento del pellegrinaggio. Perciò è importante ricordarsi di far timbrare la credenziale ogni giorno. E’ anche un piacevole ricordo da conservare nel tempo per richiamare alla mente l’esperienza del cammino”.
Il cammino si conclude ad Ascoli Piceno nel santuario di san Serafino da Montegranaro: in quale modo esso emanava il profumo di santità?
“La santità di san Serafino da Montegranaro profuma del più gradevole profumo francescano: quello dell’umiltà. Fu figura dimessa di frate cappuccino, lavoratore indaffarato nei più umili servizi del convento: ortolano, portinaio, cuoco, questuante, i piccoli servizi di coloro che raramente vengono applauditi. Maldestro nell’adempiere al proprio dovere, andò incontro a molte umiliazioni che divennero per lui la strada maestra per una vera umiltà del cuore. Incapace di far leva sulle proprie abilità, non potendo confidare in se stesso confidò pienamente nel Signore che per mezzo di lui operò una quantità smisurata di miracoli, tanto che tutti ad Ascoli Piceno accorrevano a lui per essere guariti. San Serafino è l’esempio di come l’umiltà sia condizione essenziale per l’apertura del cuore al Signore e per un pieno affidamento a Lui, senza il quale l’uomo rimane ancorato a se stesso ma privo della grazia di Dio”.
(Tratto da Aci Stampa)