Cultura

A Venezia la Biennale d’Arte: Stranieri Ovunque

Fino a domenica 24 novembre, ai Giardini e all’Arsenale di Venezia è ospitata la 60^ Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo ‘Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere’, a cura di Adriano Pedrosa e prodotta dalla Biennale di Venezia. Dal 2021 La Biennale ha avviato un percorso di rivisitazione di tutte le proprie attività secondo principi consolidati e riconosciuti di sostenibilità ambientale. Anche per il 2024 l’obiettivo è quello di ottenere la certificazione della ‘neutralità carbonica’, conseguita nel 2023 per tutte le attività programmate dalla Biennale: la 80^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, i Festival di Teatro, Musica e Danza ed, in particolare, la 18^ Mostra Internazionale di Architettura, che è stata la prima grande Mostra di questa disciplina a sperimentare sul campo un percorso tangibile per il raggiungimento della neutralità carbonica, riflettendo essa stessa sui temi di decolonizzazione e decarbonizzazione.

Il titolo ‘Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere’ è tratto da una serie di lavori realizzati a partire dal 2004 dal collettivo Claire Fontaine, nato a Parigi e con sede a Palermo. Queste opere consistono in sculture al neon di vari colori che riportano in diverse lingue le parole ‘Stranieri Ovunque’. L’espressione è stata a sua volta presa dal nome di un omonimo collettivo torinese che nei primi anni 2000 combatteva contro il razzismo e la xenofobia in Italia, come ha spiegato Adriano Pedrosa:

“L’espressione ‘Stranieri Ovunque’ ha più di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”.

Il termine italiano ‘straniero’, il portoghese ‘estrangeiro’, il francese ‘étranger’ e lo spagnolo ‘extranjero’ sono tutti collegati sul piano etimologico rispettivamente alle parole ‘strano’, ‘estranho’, ‘étrange’ ed ‘extraño’, ovvero all’estraneo. Viene in mente ‘Das Unheimliche’ di Sigmund Freud, Il perturbante nell’edizione italiana, che in portoghese è stato tradotto con ‘o estranho’, lo strano che, nel profondo, è anche familiare. Secondo l’American Heritage e l’Oxford English Dictionary, il primo significato della parola ‘queer’ è proprio ‘strange’ (‘strano’), pertanto la Mostra si svilupperà e si concentrerà sulla produzione di ulteriori soggetti connessi: l’artista queer, che si muove all’interno di diverse sessualità e generi ed è spesso perseguitato o messo al bando; l’artista outsider, che si trova ai margini del mondo dell’arte, proprio come l’autodidatta o il cosiddetto artista folk o popular; l’artista indigeno, spesso trattato come uno straniero nella propria terra. La produzione di questi quattro soggetti sarà il fulcro di questa edizione e andrà a costituire il Nucleo Contemporaneo”.

Inoltre il direttore ha sottolineato i due elementi fondamentali dell’esposizione: “Nel corso della ricerca sono emersi in modo piuttosto organico due elementi diversi ma correlati che sono stati sviluppati fino a imporsi come leitmotiv di tutta la Mostra. Il primo è il tessile, esplorato da molti artisti coinvolti, a partire da figure chiave nel Nucleo Storico, fino a molti autori presenti nel Nucleo Contemporaneo… Tali opere rivelano un interesse per l’artigianato, la tradizione e il fatto a mano, così come per le tecniche che, nel più ampio campo delle belle arti, sono state a volte considerate altre o straniere, estranee o strane… Un secondo elemento è rappresentato dagli artisti, molti dei quali indigeni, legati da vincoli di sangue… Anche in questo caso la tradizione gioca un ruolo importante: la trasmissione di conoscenze e pratiche da padre o madre a figlio o figlia oppure tra fratelli e parenti”.

La Mostra sarà affiancata da 88 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Sono 4 i Paesi presenti per la prima volta alla Biennale Arte: Repubblica del Benin, Etiopia, Repubblica Democratica di Timor Leste e Repubblica Unita della Tanzania. Nicaragua, Repubblica di Panama e Senegal partecipano per la prima volta con un proprio padiglione.

Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, è a cura di Luca Cerizza, con il progetto Due qui / To hear dell’artista Massimo Bartolini, che include contributi appositamente ideati da musiciste/i e da scrittrici/scrittori.

Il Padiglione della Santa Sede, promosso dal Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, Cardinale José Tolentino de Mendonça, avrà luogo nella Casa di reclusione femminile di Venezia alla Giudecca. La mostra ha come titolo ‘Con i miei occhi’ ed è a cura di Chiara Parisi e Bruno Racine, con la collaborazione del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede e Commissario del Padiglione, ha affidato la curatela di ‘Con i miei occhi’ a due dei più importanti curatori del panorama artistico internazionale, Chiara Parisi e Bruno Racine, che hanno chiamato a partecipare otto artisti: Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret.

Il progetto espositivo, con l’allestimento e la produzione affidati allo studio COR arquitectos e Flavia Chiavaroli, si distingue per la convivenza di una comunità artistica che nasce sfidando le convenzioni, un’entità nuova che riflette la diversità e l’unità di vite lontane. Ogni iniziativa, dai workshop alle installazioni, dalla danza al cinema, dalla performance alla pittura, è espressione di questa energia condivisa, in linea con l’urgenza del dialogo poliedrico proposto da papa Francesco.

Le visite al Padiglione, su prenotazione, condotte dalle detenute-conferenziere, sfideranno il desiderio di voyeurismo e di giudizio verso artisti e detenute stesse, erodendo i confini tra osservatore e osservato, giudicante e giudicato, per riflettere anche sulle strutture di potere nell’arte e nelle istituzioni.

Per Chiara Parisi, la forza del progetto risiede nella sua idea di fondo: “In un angolo sorprendente del mondo, artisti e detenute uniscono le forze espressive in un’insolita collaborazione, la realtà penitenziaria e l’illimitata espressione artistica si incontrano e si seducono: questo è il cuore del Padiglione della Santa Sede alla Biennale Arte 2024, un progetto con un’incredibile narrazione visiva.

Con i miei occhi ci invita a esplorare le storie e i desideri di chi vive dentro il carcere attraverso progetti, workshop, opere, poesie, e spazi vitali come palestre e giardini… Il percorso attraverso il Padiglione, senza telefoni e senza documenti, permetterà alle detenute di guidare i visitatori ‘con i loro occhi’, rivelando come bellezza e speranza siano tessute nella vita quotidiana e come la necessità della libertà persista nella complessità e nella criticità della vita”.

Bruno Racine parte da una domanda che cerca risposta: “Come si può interpretare oggi il concetto di ‘padiglione nazionale’ storicamente tramandato? La peculiarità della Santa Sede, uno Stato singolare, privo di una scena artistica nazionale, ci ha spinto a sperimentare una formula nuova. La Casa di reclusione femminile della Giudecca è stata la risposta. La scelta del luogo, dunque, è un manifesto, uno statement. Artisti di varie origini e senza distinzioni di fede si uniscono in questo luogo per testimoniare un messaggio universale di inclusione, collaborando strettamente con le detenute e arricchendo il progetto con il loro lavoro artistico e relazionale.

Il visitatore è invitato a immergersi in questa esperienza poetica intensa, privato dei suoi dispositivi digitali e guidato da detenute formate, affrontando così un viaggio che sfida preconcetti e apre nuove prospettive sull’arte come mezzo di espressione e connessione umana. Anche se è vietato scattare fotografie, confidiamo che questa esperienza possa rimanere nella memoria del visitatore…con i suoi occhi”.

Infine il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria attraverso le parole del Capo Dipartimento Giovanni Russo ha espresso grande felicità per la collaborazione: “L’arte è un mezzo di comunicazione efficace e potente, capace di esplorare il linguaggio delle emozioni in tutte le sue sfumature; un mezzo di comunicazione sociale capace di veicolare una testimonianza della nostra umanità e della nostra diversità. L’innovativa idea della Santa Sede di allestire un Padiglione all’interno della Casa di reclusione femminile di Venezia rende orgogliosa tutta l’Amministrazione Penitenziaria, che si riconosce appieno nei valori espressi dalla Chiesa e nel suo impegno per la salvezza di ogni persona, orientando la sua bussola verso l’indirizzo e la formazione delle coscienze”.

(Foto: Marco Cremascoli)

Quale è stato il contributo cattolico alla Resistenza?

“Miei amatissimi genitori, sorella cara, Tonino e la mia piccola Angelica, oggi verrò fucilato, non piangete per me. Vi attendo tutti in Cielo dove saremo sempre uniti. Muoio innocente, ma perdono a coloro che mi hanno fatto prendere, perdono con tutto il cuore, perdonateli anche voi. Muoio con il vostro sguardo rivolto a me. Vi voglio tanto bene, perdonatemi se qualche volta ci ho dato dei dispiaceri, sono il vostro Nino, dal cielo vi guarderà e vi attende tutti lassù con Dio. Salutatemi tutti e arrivederci in Cielo. Vi mando gli oggetti, teneteli in mia memoria. Arrivederci tutti miei cari vostro Nino. Cuorgnè, 24 novembre 1944, ore 14.15”: ‘Nino’ era il nome di battaglia da partigiano di Domenico Bertinatti. Nato a Pont Canavese (vicino a Torino) nel 1919, faceva il ragioniere, sottotenente di fanteria, entrò nella Resistenza nel 1944 e, come tantissimi cattolici, militava in una brigata Garibaldi a guida comunista, di cui fu anche vicecomandante. Prese parte a diversi scontri.

Questa è una delle molte storie narrate nel volume ‘Partigiani cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata (1943-1945)’, scritto da Alberto Leoni e Stefano R. Contini, accurato e completo lavoro di ricostruzione storica, volto a far conoscere episodi pressoché ignorati della lotta antifascista. In realtà l’apporto che diedero alla Resistenza, tra il 1943 e il 1945, migliaia di italiane e italiani animati dalla fede cristiana, fu determinante. Contributo ampiamente documentato grazie ad un’indagine precisa, che si è avvalsa di testimonianze, lettere e memorie civili. Quindi le pagine del libro permettono di leggere testimonianze di fede e verificare come sia possibile combattere per la libertà e accettare di morire con sentimenti di fratellanza e senza nutrire rancore per il nemico.

Ad uno degli autori, Stefano R. Contini, abbiamo chiesto di spiegare il motivo per cui un giovane studioso scrive un volume sul contributo alla Resistenza da parte dei cattolici: “Frequentavo il liceo e mi resi conto di una discrepanza: 25 aprile, Festa della Liberazione… festa solo per alcuni. Volevo saperne di più e informare chi non se ne preoccupava. Una festa nazionale dovrebbe essere condivisa da ogni parte politica: in realtà è la narrazione della storia a non essere condivisa, mentre la storia è una, con tutte le sue sfaccettature di grigio. Si utilizza ancora una narrazione della storia utile per giustificare delle zone d’ombra, semplificando tutto tra bianco e nero (e ignorando le sfumature di grigio), con il risultato di una dannosa polarizzazione”.

Allora quale fu il contributo dei cattolici alla Resistenza?

“Furono moltissimi i cattolici inquadrati in formazioni garibaldine, di cui Aldo Gastaldi ‘Bisagno’ fu il più rappresentativo. Non parliamo di cristiani in quanto battezzati, ma in quanto persone attive nei circoli e nelle associazioni cattoliche. Erano almeno la metà del partigianato italiano; un dato che viene spesso trascurato è che non tutti i partigiani, in punto di morte, facevano riferimento ai partiti politici nella stesura delle loro ultime lettere”.

Perché è una ‘storia ritrovata’?

“Nel volume si trovano resistenti di fede cristiana, appartenenti a schieramenti politici anche opposti tra loro ed il punto è proprio questo: dovremmo ritrovare il loro umanesimo, precursore dei principî comuni della civiltà occidentale. Erano persone ‘straordinariamente ordinarie’, cui dovremmo ispirarci per capire chi siamo e come comportarci di fronte alle sfide più difficili”.

Come possono essere stati ‘resistenti disarmati’?

“Odoardo Focherini e padre Placido Cortese salvarono decine di persone dalla persecuzione semplicemente mettendo a frutto il proprio ingegno e i pochi mezzi di cui disponevano. Disse Focherini a suo cognato: ‘Se tu avessi visto come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di aver fatto abbastanza per loro, se non di non averne salvati in numero maggiore’.

Ricorda la frase ‘Chi salva una vita salva il mondo intero’, riportata da Steven Spielberg nel film ‘Schindler’s list’. Vittorio Gasparini, dirigente d’azienda fucilato in piazzale Loreto (10 agosto ’44) a Milano, forniva informazioni alle bande partigiane tramite una radio clandestina. Rischiava la propria vita senza poterla difendere, rispondeva a Dio e alla propria coscienza”.

Per quale motivo la Chiesa non ha ‘valorizzato’ abbastanza la Resistenza condotta dai cattolici?

“Ribalto la questione: consideriamo la Chiesa come un gruppo composto dal basso verso l’alto, dalla parrocchia di un qualunque villaggio alla basilica di san Pietro. Ecco, dai comportamenti e dagli scritti dei resistenti cattolici traspare il desiderio di superare la tragica esperienza della guerra senza avere nulla in cambio. Nel dopoguerra, i partigiani cristiani, i preti e le suore non sentivano la necessità di raccontare (per un tornaconto) quanto fatto durante il periodo resistenziale. Anche per questo la Resistenza cristiana è passata ‘in secondo piano’. Lo scrisse Manzoni: ‘…quel poco bene che si può fare, si sa che non bisogna contarlo’”.

Dopo 80 anni, come raccontare ai giovani la Resistenza?

“Andando per gradi, come in un climax: la guerra, l’8 settembre, la presa di coscienza, la Liberazione e la Costituzione. I giovani devono essere aiutati a capire come ci siamo arrivati, le biografie dei resistenti ci fanno immedesimare più della classica lezione scolastica di storia. Per evitare i duelli rusticani dei nostri politici ogni 25 aprile, è bene che la storia diventi la guida della politica, di una politica intesa come servizio”.

Libro che aiuta anche scoprire preghiere scritte da loro, come quella composta da don Giuseppe Pollarolo per la brigata Garibaldi ‘Cichero’, quella del comandante ‘Bisagno’: “Vergine Maria, madre di Dio, rendimi un patriota intelligente e onesto nella vita, intrepido nelle battaglie, sicuro nel pericolo, calmo e generoso nella vittoria. Accetta i sacrifici e le rinunce della mia vita partigiana e concedimi di raggiungere, con purezza d’intenzioni, l’ideale che donerà alla Patria, con lo splendore delle antiche tradizioni, l’ebbrezza di nuove altissime mete”.

(Tratto da Aci Stampa)

Paolo Curtaz si racconta attraverso la Parola di Dio

‘La parola mi racconta. Storia di un’anima in cammino’; nella forma del dialogo con Natale Benazzi, Paolo Curtaz, teologo e ‘cercatore di Dio’, racconta la sua storia personale, dalla prospettiva di una costante, sempre presente: la dedizione alla Parola di Dio come filo rosso che ha accompagnato il tempo della sua vocazione sacerdotale, la crisi della stessa, con l’abbandono dell’attività ministeriale, e la seguente opera di evangelizzazione attraverso le proposte di lectio divina, gli incontri personali e i media. La Parola di Dio è sempre rimasta nel percorso di Curtaz l’elemento di continuità, cui negli ultimi anni si è aggiunto anche il tema della sofferenza, offrendo una visione ulteriore in questo suo vero e proprio cammino vocazionale alla ricerca dell’essenziale.

Cosa racconta la Parola di Dio?
“La Parola di Dio racconta d’amore tra Dio ed il popolo di Israele e verso tutta l’umanità. Questo racconto passa attraverso il racconto di migliaia di persone, che sono state scelte per fare arrivare ad ogni uomo ed ad ogni donna la parola che Dio ha su di noi”.

Per quale motivo la Parola di Dio è sempre stata una costante nella sua vita?
“Fin dai primi passi della mia conversione, quando ero poco più che adolescente e credevo di essere ateo (ma non lo ero affatto), ho trovato persone (sacerdoti in particolare) che mi hanno aiutato a fare la ‘lectio divina’, cioè ad accostarmi alla Parola di Dio come qualcosa di vivo, che mi riguardava. Meditando la Parola di Dio e facendo una lettura orante in comunione con la Chiesa, ho veramente scoperto il volto di Dio, Padre di Gesù: questa Parola ispirata dallo Spirito Santo e pregata nello Spirito Santo mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso di vita”.

In quale modo la fede è capace di parlare a chi è in ricerca?
“La fede è fiducia; è un affidarsi nei confronti di Dio, che si è manifestato come Qualcuno di affidabile e merita la nostra fiducia. Leggendo le testimonianze di chi ha vissuto questa fede possiamo far emergere in noi la scintilla dello Spirito Santo e metterci alla ricerca del senso della vita, in quanto Dio è ‘accessibile’, ma ‘nascosto’; è un Dio che non si impone, ma si fa trovare”.

Come è possibile raccontare la Parola di Dio nella sofferenza?
“La Bibbia ha un approccio particolarissimo nei confronti della sofferenza. Possiamo trovare le intuizioni e le riflessioni che si facevano in altre culture, cioè la sofferenza come punizione divina; oppure sofferenza come ‘messa alla prova’. Giobbe si rifiuta di ragionare a livello teologico e disprezza i ragionamenti in punta di fioretto chi vuole difendere Dio. Alla fine questa sua esperienza drammatica di sofferenza ed anche di ribellione, addirittura di bestemmia, lo porterà a conoscere Dio faccia a faccia. Quando c’è, Dio da accusato diventa accusatore e mette Giobbe davanti al grande mistero dell’universo, in cui la sofferenza del singolo ha una ragione di cui noi non riusciamo a comprendere”.

Come si diventa ‘cercatori’ di Dio?
“Si diventa cercatori di Dio quando resti affascinato da una testimonianza, da una comunità, da un libro, da un ritiro spirituale o da un pellegrinaggio e senti dentro questo desiderio di cercare. Viviamo in un contesto, tutto sommato, cattolico. Però altro è vivere la fede ‘popolare’; altro è diventare discepolo. Credo che sia una grande sfida in questo momento in Italia fare questo salto, cioè tornare a capire che il percorso cristiano è un percorso di conoscenza di Dio ed è una ricerca che passa attraverso la meditazione della Parola di Dio ed attraverso l’esperienza della comunità l’accoglienza dei sacramenti che Dio ci ha lasciato per raggiugerLo e dura per tutta la vita. Siamo per sempre ricercatori di Dio, perché la nostra ricerca è ‘già e non ancora’”.

Per quale motivo è un evangelizzatore ‘free lance’?
“E’ una definizione che ho usato molti anni fa nel mio percorso di vita un po’ particolare. Ho desiderato mettere a disposizione quello che io sono e la mia esperienza di fede a chi nella Chiesa vuol fare questo percorso. Sono free lance, perché non sono legato in particolare ad una Chiesa locale, ad un movimento o congregazione, ma sono un battezzato all’interno della Chiesa. Oggi, poi, dopo il Sinodo ancora in corso, piace definirmi missionario digitale”.

(Foto: Edizioni San Paolo)

‘Bruciare d’amore’, nuovo brano del Kantiere Kairòs, in concerto sabato 20 aprile a Siena

E’uscito ieri, 18 aprile, il nuovo brano del gruppo rock cristiano ‘Kantiere Kairòs’, intitolato ‘Bruciare d’amore’: “E’ frutto del recente incontro e della speciale sintonia nata con l’associazione Scintille di Maria, che desiderava avere un ‘inno’ che sintetizzasse lo spirito di essere portatori di tenerezza in nome del Signore”, spiega la band.

“A volte gli incontri che avvengono grazie ai concerti in giro per l’Italia ci permettono di conoscere realtà con cui si instaura una speciale sintonia; abbiamo provato a raccontare il fuoco che muove il nostro cuore di band e di singole persone e che spinge a contagiare di amore gli altri. La canzone è il risultato”.

L’inno sarà presentato per la prima volta dal vivo sabato 20 aprile alle ore 21,30, in occasione del concerto in programma a Siena, nella splendida cornice di Piazza del Duomo: “Suoneremo sul sagrato e siamo emozionati al solo pensiero di suonare in questo luogo straordinario. Il nostro concerto chiuderà la terza edizione del ‘Cammino del Cuore’, organizzato dall’associazione. Ringraziamo di cuore le ‘Scintille di Maria’ e l’arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, nella persona del cardinale Paolo Lojudice, per questo bellissimo regalo”, conclude la band.

L’ingresso all’evento, patrocinato dall’arcidiocesi, è libero fino a esaurimento posti. Il brano ‘Bruciare d’amore’ è disponibile su tutte le piattaforme on line. Info: www.kantierekairos.it; Facebook kantierekairos / Instagram kantiere_kairos / Youtube Kantiere Kairòs

Simone Riccioni racconta una storia di bullismo con ‘Neve’

Una bambina di 10 anni vittima di bullismo. Un attore in piena crisi artistica. Nasce dal loro incontro ‘Neve’ (prodotto da Linfa Crowd 2.0. NVP), ultimo film (dal 7 marzo nelle sale cinematografiche) del regista ed attore marchigiano Simone Riccioni, nato in Uganda ma cresciuto a Corridonia, in provincia di Macerata nelle Marche. La protagonista, Neve, è Azzurra Lo Pipero, 12 anni, di Lido di Fermo, al suo primo film, ‘che spero non sarà l’ultimo’, ha affermato con un sorriso.

Il film, interpretato dallo stesso Simone Riccioni, con Azzurra Lo Pipero, Margherita Tiesi, Simone Montedoro, Alessandro Sanguigni, è girato tra Treia, Sefro, Sarnano, Macerata, Civitanova Marche e Moresco, come racconta Simone Riccioni: “E’ il sesto film che ambiento nelle Marche, ma a questo tengo particolarmente perché viene da una mia storia personale. Quando tornai dall’Africa in Italia, fui vittima di bullismo. E’ una storia che pensavo di aver dimenticato e che invece è riaffiorata durante la pandemia. Da lì la necessità di portarla al cinema”.

Quindi Neve deve affrontare i compagni di scuola che la prendono in giro e la isolano per motivazioni stupide, si chiude in se stessa finché la madre Marta (Margherita Tiesi) decide di iscriverla ad un workshop teatrale tenuto dall’attore Leonardo Morino (Simone Riccioni). Leonardo ha 35 anni, ha sempre solo pensato a se stesso e si trova in un momento discendente della sua carriera: durante il workshop, affrontando Neve e nel rapportarsi con lei, dà il via ad una storia emozionante che trasformerà entrambi. A fare da mediatore, don Carlo (Simone Montedoro), un sacerdote umano che gestisce una casa famiglia e che saprà accompagnare Simone nella sua crescita.

Al termine delle anteprime al multiplex ‘Giometti’ di Tolentino, a conclusione di una giornata ‘sold out’, che ha visto la presenza di 980 spettatori, mentre nelle sale cinematografiche il film sta riscuotendo successo da parte delle giovani generazioni, abbiamo chiesto al regista Simone Riccioni di raccontarci il significato del film: “Neve è un film del rapporto bellissimo che ha questa bambina con sua mamma Marta. Invece Leo è un ragazzo abbastanza egoista, che fa l’attore, ma è caduto un po’ in disgrazia e quindi si arrabatta a fare il presentatore. ‘Neve’ è un film che affronta la tematica del bullismo e del rapporto tra genitori e figli”.

Perché è stato affrontato proprio il tema del bullismo?

“Questo tema nasce da una mia storia personale, perché sono stato bullizzato dall’età di 8 anni fino a 12 anni. Questa ferita è riemersa nel periodo del Covid. Da qui ho deciso di intraprendere questa strada e di portare al cinema un film che potesse toccare il cuore delle persone attraverso una storia, che con semplicità toccasse questo tema”.

Quindi il film è una tua storia personale?

“Io sono nato e cresciuto, come i miei due fratelli, in Uganda da due genitori missionari, mio padre faceva parte dell’Avsi. Quando tornammo in Italia, a Macerata, a scuola mi chiamavano ‘brutto negro’ e ‘mangiabanane’. Essere considerato diverso in Italia mi fece rimanere molto male”.

Come se ne viene fuori dal bullismo?

“Si viene fuori dal bullismo, per la mia esperienza, perché si è circondato da persone che ti vogliono bene, dove ci sono amici ed una famiglia che ti sostiene. Quindi occorre spostare la propria attenzione sulla bellezza della vita”.

In sintesi quale è il ‘messaggio’ del film?

“Nella realtà ci sarà sempre chi ti tratta male; noi dobbiamo essere bravi a cambiare prospettiva! Siamo responsabili non solo per quello che facciamo, ma per quello che non facciamo, il bullismo finirà quando non ci gireremo dall’altra parte. Con il film vogliamo dare occasione ai genitori ed ai ragazzi di mettersi in discussione, ed invitare gli insegnanti ad una maggiore attenzione nelle scuole per non soprassedere sulle cose apparentemente insignificanti”.

Ad Azzurra Lo Pipero (‘Neve’), la più piccola del cast, invece abbiamo chiesto di raccontarci le sue sensazioni di protagonista nel film di Simone Riccioni: “Bellissimo! E’ stata un’esperienza unica e spettacolare. Dietro le ‘quinte’ ho fatto amicizia con tutti gli attori: è stata un po’ un’altra famiglia. Poi ho scoperto tutto il lavoro, che c’è dietro ad un film, dal trucco e parrucco alle luci, alla scenografia, alla segreteria di produzione”.

Come hai coniugato il tuo impegno scolastico con quello cinematografico?

“Abbiamo ‘girato’ il film nel periodo estivo; quindi non ho avuto la scuola. Per quanto riguarda la promozione del film ho ottenuto un permesso scolastico dalla preside, che rientra nelle norme della legge scolastica?

Infine a Margherita Tiesi, madre ‘filmica’ di Neve, abbiamo chiesto di raccontarci questo rapporto tra madre e figlia: “E’ un rapporto che sembra quasi alla pari, in quanto c’è anche poca differenza di età tra i due personaggi (ed anche tra noi attrici interpreti dei ruoli femminili), perché Marta è una ragazza madre che scopre di essere incinta da una relazione, che non era molto stabile. Nonostante ciò decide di partorire e di crescerla da sola. Così è e si vede che si crea un rapporto anche di gioco, vista la poca differenza di età tra le due protagoniste.

Però Neve è costretta dalle difficoltà in cui vivono a crescere velocemente, diventando molto indipendente. Nonostante questo, gli episodi di bullismo che riceve la abbattono moralmente e lei si chiude in un silenzio, smettendo di parlare anche con la madre. Ma la madre cerca di entrare nel suo silenzio e di far emergere i suoi problemi, ascoltandola non solo attraverso le sue parole non dette, ma anche attraverso i suoi atteggiamenti ed i suoi comportamenti, invitando i genitori di ascoltare attentamente i propri figli”.     

Gavino Pala racconta il pontificato di papa Francesco

Bratislava, 12 settembre 2021, ore 17.30: papa Francesco, in visita pastorale in Slovacchia, incontra i gesuiti della regione. La prima domanda è un semplice saluto: “Come sta?” Ma la risposta di papa Francesco è tutt’altro che banale: “Ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene”.

E’ questo lo spunto da cui Gavino Pala, scrittore ed autore televisivo, parte per guidare i lettori nel libro ’Mi volevano morto, Bergoglio alle prese con i suoi detrattori’. Nella prefazione il presidente della Comunità di sant’Egidio, prof. Marco Impagliazzo, parla di processo di ‘ingrigimento della Chiesa’, le cui radici sono lontane. Processo che non è stato arrestato né tanto meno frenato dalla innegabile ‘primavera’ portata dal pontefice arrivato dalla fine del mondo.

All’autore chiediamo di spiegarci il motivo, per cui ‘Mi volevano morto’: “Incontrando i gesuiti a Bratislava, nel 2021, il papa racconta che, durante un suo ricovero, alcuni vescovi si erano riuniti in una sorta di pre-Conclave, spiegando proprio che qualcuno sperava di poter celebrare presto il Conclave. Quelle parole mi hanno colpito e stupito. Che il papa fosse oggetto di critiche, anche feroci, era chiaro, ma fino a che punto? Così ho deciso di mettere insieme tutti gli interventi contro il pontefice e ne è nato il racconto di un pontificato ricco di novità ma anche molto ostacolato”.

Per quale motivo papa Francesco è ‘ostacolo’ per alcuni vescovi e cardinali?

“I ‘nemici’ del papa sono tanti e spesso mossi da motivazioni diverse, ma credo che all’origine ci sia la costante denuncia di papa Bergoglio al clericalismo. Le riforme, infatti, vanno a scardinare poteri consolidati. Credo che dobbiamo superare la divisione progressisti/conservatori e concentrarci di più su interessi e poteri che vengono scardinati. Il papa ha recentemente criticato chi usa l’espressione: si è sempre fatto così. Il ruolo dei laici, e soprattutto delle donne, all’interno della Chiesa è rivoluzionario, pensiamo all’ultimo Sinodo quando per la prima volta i laici hanno avuto un ruolo attivo con il diritto di voto”.

Quali sono le linee del pontificato di papa Francesco?

“Credo che la linea di questo pontificato sia nella sua prima esortazione apostolica: ‘Evangelii Gaudium’, dove per la prima volta parla di ‘Chiesa in uscita’. Alle volte però c’è stata la tentazione di confonderla con il servizio ai poveri, ma è qualcosa di più profondo. Il papa infatti ci chiede di uscire dalla comodità delle nostre chiese per incontrare chi vive nelle periferie. Direi quindi che la parola d’ordine è accoglienza. Quindi l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ va letta con altri due testi fondamentali di questo pontificato: l’enciclica ‘Laudato si’ e le’enciclica ‘Fratelli tutti’”.

Quale Chiesa sta tracciando papa Francesco?

“Il papa vorrebbe una ‘chiesa povera per i poveri’. Ma sarebbe riduttivo limitare questo pontificato al servizio agli ultimi, alla Misericordia, che sicuramente è centrale. Ma sarebbe sbagliato anche pensare ad una chiesa rivoluzionaria. La Chiesa che sta venendo fuori è una chiesa sinodale: il papa avvia processi e non impone le riforme. Pensiamo all’istituzione, nel settembre del 2013, del Consiglio dei Cardinali. Il papa ha chiamato nove cardinali, che rappresentano la Chiesa universale, ad accompagnarlo nelle riforme della Chiesa stessa.

Lo stesso sinodo sulla sinodalità ne è un’ulteriore prova. Non sono, quelle di papa Francesco, riforme che arrivano dall’alto ed imposte, ma frutto di confronto. E poi un ruolo sempre più attivo dei laici. Viviamo un tempo in cui, soprattutto in occidente, vediamo una vera e profonda crisi di vocazioni ed oggi i sacerdoti non solo sono meno che in passato, ma sono più anziani e magari con la responsabilità della gestione di più parrocchie. Davanti a questa crisi ci deve essere una responsabilizzazione proprio dei laici”.

Ci sono aneddoti particolari di papa Francesco, di cui è rimasto colpito?

“Vorrei finire questa intervista con tre immagini che raccontano molto di questo pontificato. La prima immagine è quella del papa che lancia una corona di fiori a Lampedusa. Bergoglio era diventato papa da poco e sceglie per la sua prima visita apostolica l’isola siciliana all’indomani di uno dei più tremendi naufragi nel Mediterraneo. Poi nel novembre del 2015, quando sceglie di iniziare il Giubileo della Misericordia aprendo la porta santa a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. L’ultima ‘diapositiva’ è il papa che si inginocchia per baciare i piedi ai leader del Sudan riuniti a Roma per una preghiera di pace per la nazione africana. Sono immagini che rompono la tradizione ma che sono la vera immagine della Chiesa in uscita”.

A papa Francesco e a mons. Yoannis Lazhi Gaid dedicato il saggio ‘La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario’

Nello shop on line della Casa Editrice TraccePerlaMeta https://shop.tracceperlameta.org/manualistica/la-comunicazione-creativa-per-lo-sviluppo-socio-umanitario-biagio-maimone-270.html, in tutti gli store online e nelle migliori librerie è disponibile il saggio di Biagio Maimone intitolato ‘La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario’, che propone la necessità di un nuovo modello comunicativo che ponga al centro la relazione umana ed, ancor più, l’emancipazione morale ed umana della società odierna.

“Nel mio saggio ‘La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario’ ho voluto porre in luce la necessità di creare un modello comunicativo che tenga conto  dell’importanza indiscutibile dell’uso appropriato della parola, superando quelle distorsioni, ormai consuete, che la rendono veicolo di offese, di menzogne, nonchè di calunnie, che ledono la dignità umana dell’interlocutore.

Umanizzare il linguaggio affinché sia veicolo della ‘Pedagogia della Vita’ definisce il significato autentico del mio impegno giornalistico, che sono certo possa essere condiviso da chi fa della comunicazione lo strumento mediante cui giungere al mondo interiore di chi ascolta, al fine di arricchirlo e non  impoverirlo attraverso un uso distorto e, pertanto, nocivo del linguaggio.

L’epoca contemporanea pone in luce un crescente smarrimento di naturale  spirituale e morale, che si riflette sulla relazione umana, sulle relazioni tra gli Stati e i Continenti dell’intero universo, generando conflitti e povertà morale e materiale. Ne è testimonianza l’insorgere continuo di conflitti in numerosi territori del mondo.

Quel che manca è la ‘Cultura Umana’, la ‘Cultura della Fratellanza Umana’ e la ‘Cultura’ intesa come conoscenza profonda della realtà e del significato autentico del valore dell’essere umano,  in quanto soggetto pensante, nel cui mondo interiore vivono i valori che gli  attribuiscono un valore regale rispetto a tutte le altre creature ed, ancor più, rispetto alle cose” ha dichiarato Biagio Maimone, il quale ha sottolineato:

“La cultura umana consente di cogliere la bellezza depositata nell’interiorità della persona, generata dallo splendore divino che alberga nell’animo umano. E’ compito di chi comunica porre al centro la ‘Cultura Umana’ ed, in tal modo, rimarcare il valore supremo dell’essere umano, che lo distingue dalle cose materiali.

In veste di Direttore della Comunicazione dell’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’, fondata da mons. Yoannis Lahzi Gaid, già Segretario personale di papa Francesco, ho avuto la possibilità di fare esperienza della bellezza interiore, cogliendola nell’impegno di coloro che si prodigano a favore dei bambini abbandonati e poveri, di coloro che vivono nella povertà, di quanti non godono i loro diritti sociali, umani e civili fondamentali.

Ho avuto modo e avrò modo di comunicare la solidarietà concreta  impegnandomi sul piano giornalistico a favore dei contenuti del Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, sottoscritto, il 4 febbraio 2019, da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.

Il suddetto Documento  ha dato vita a numerosi frutti, dei quali ho avuto l’onore, grazie a mons. Yoannis Lahzi Gaid, che in me ha riposto fiducia, di poter scrivere, collaborando, in tal modo, nell’impegno di divulgazione. Ho avuto la possibilità anche di poter scrivere relativamente alla  realizzazione della Casa della Famiglia Abramitica, edificata nella città di Abu Dhabi, che è uno tra i progetti più rilevanti in quanto pone le basi del dialogo  interreligioso creando uno spazio fisico, un territorio comune su cui sono stati edificati tre luoghi di culto diversi (Chiesa, Sinagoga e Moschea), posti l’uno accanto all’altro, in ciascuno dei quali si praticano religioni diverse, le quali si interfacciano reciprocamente per dialogare su ogni tema della vita religiosa ed umana.

Altrettanto rilievo rivestono i seguenti progetti: l’Orfanotrofio ‘Oasi della Pietà’, i ‘Convogli medici’, l’Ospedale Pediatrico ‘Bambino Gesù del Cairo’, primo ‘Ospedale del Papa’ fuori dall’Italia, la ‘Scuola della Fratellanza Umana’ per le persone portatori di  disabilità, la Catena dei Ristoranti della Fraternità Umana ‘Fratello’, che offre pasti gratuiti alle famiglie bisognose egiziane. Anche di essi ho potuto scrivere ampiamente ed esserne molto felice.

Dedico il mio libro, pertanto, a Monsignor Gaid Yoannis Lahzi per la  fiducia che ha riposto in me e, nel contempo, a Sua Santità Papa Francesco, in quanto promotore della  realizzazione dei progetti, per i quali ho potuto collaborare nell’impegno di divulgazione, che ha visto l’opinione pubblica destinataria di un’informazione inerente all’impegno del dialogo interreligioso promosso, in via prioritaria, dalla Chiesa Cattolica e dalla religione musulmana sunnita.

Ritengo che comunicare la pedagogia dell’amore, del rispetto della dignità umana e del valore della vita spirituale sia compito primario dei mass media, degli operatori che in essi riversano le proprie energie. La dimensione socio-umanitaria della vita non può essere sottovalutata da una comunicazione priva di ‘anima’, in quanto la società rischia di regredire verso la barbarie, in cui dominerà  la violenza in tutte le sue forme. 

La vita non può essere un campo di battaglia, ma l’incontro amorevole e fraterno di ogni essere umano. Perché sia così è necessario veicolare messaggi che ricreino la consapevolezza smarrita del valore sacro di ogni persona. In tal modo la bellezza, intesa come espressione magnifica dei valori spirituali e morali,  tornerà – come ho scritto – ad illuminare ogni ambito dell’esistenza: la Bellezza – non vi è dubbio – tornerà ad essere il volto magnifico della vita.

La forza prorompente della Bellezza, che la Parola ha il dovere di trasmettere, sconfigge ogni male! E’ scritto nel Vangelo, è scritto nel cuore degli uomini di Buona Volontà ed è scritto nelle trame vitali dell’esistenza, che nessuno potrà mai distruggere perché esse appartengono alla Vita e la Vita è la ragione stessa dell’esistere umano”.

Giubileo: la cultura per respirare spiritualità

“Nel suo diario Zavattini annota: Vorrebbero [che facessi] un film tutto mio, lasciandomi totalmente libero, dico totalmente, purché il film si basi sulla morale cristiana, ma chi non è cristiano? Cristo è alle porte”: con questo pensiero a conclusione della presentazione  degli eventi culturali che accompagneranno il Giubileo del 2025 mons. Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali, ha presentato la rassegna dei film ‘Volti e controvolti di speranza’ che sarà aperta il 14 aprile al Cinema delle Province, a Roma, con la pellicola ‘La porta del cielo’ (Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, 1945), in una copia recentemente restaurata. Si tratta di un lavoro di rete tra Fondazione MAC, il Centro di ricerca Cast di Uninettuno, Officina della Comunicazione, Isacem e Cineteca Nazionale.

Quindi questa rassegna si apre con il film di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini: “Nello specifico dell’opera di De Sica-Zavattini, La porta del cielo racconta un pellegrinaggio di malati al santuario di Loreto. Girato, tra il marzo e il giugno del 1944, durante l’occupazione nazifascista della Capitale, le riprese si svolsero a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Nel processo realizzativo del film fu coinvolto anche Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, allora sostituto alla Segreteria di Stato”.

Sollecitando le 500 Sale di comunità in Italia a replicare l’iniziativa di quella della diocesi di Roma, mons. Viganò ha citato gli altri film selezionati dalla Fondazione Ente dello Spettacolo: ‘On life’ (2023) di James Hawes, con il premio Oscar Anthony Hopkins, ‘La chimera’ (2023) di Alice Rohrwacher con Josh O’Connor e Isabella Rossellini, ‘Perfect Days’ (2023) di Wim Wenders, ‘Foglie al vento’ (2023) di Aki Kaurismäki., ‘L’intrepido’ (2013) di Gianni Amelio; ‘Silence’ (2016) di Martin Scorsese; ‘Chiara’ (2022) di Susanna Nicchiarelli; ‘Il concerto’ (2009) di Radu Mihăileanu e ‘Cristo proibito’ (1951) di Curzio Malaparte.

Iniziando la conferenza stampa mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, ha spiegato il motto ‘Pellegrini di speranza’: “Tutti sperano, nessuno escluso. L’esperienza della speranza è radicata nel cuore di ogni persona come attesa di un bene e desiderio che si realizzi. La speranza è oggetto di studio da parte varie scienze: dalla letteratura alla psichiatria; dalla sociologia alla filosofia e teologia… l’esigenza di dare voce alla speranza accomuna i saperi e rende l’umanità più coinvolta in un processo di progresso e benessere”.

Inoltre, mentre ha detto che nel prossimo mese sarà reso pubblico il programma completo, mons. Fisichella ha sottolineato il valore spirituale del Giubileo: “E’ per questo che fin dai primi giorni di progettazione si è dato vita anche a una Commissione culturale con l’intento di trovare le forme più adeguate per dare spessore all’esperienza giubilare. La Commissione è stata in grado di accogliere e valutare tante proposte che sono giunte da differenti parti. Alcune sono già partite mentre altre troveranno attuazione nei prossimi mesi. Mi piace, ad esempio, far riferimento al progetto ‘In Cammino’, un pellegrinaggio moderno tra le 14 maggiori Abbazie d’Europa ideato e promosso da Livia Pomodoro, presidente dell’associazione culturale ‘No’hma – In cammino’.

Il Pellegrinaggio, partito dall’Abbazia di Canterbury nel luglio del 2023, attraversa sette Paesi europei per giungere poi fino a Roma nel 2025. Lo scopo principale di questa iniziativa è quello di proporre, come spiegano gli organizzatori, un vero e proprio percorso del cuore e della mente, che riunisce in sé ragione e fede, riscoperta e rispetto dell’ambiente all’insegna della speranza”.

Inoltre don Alessio Geretti, collaboratore esterno del Dicastero per l’Evangelizzazione, ha illustrato la mostra di icone che è esposta per tutto l’anno alla chiesa di Sant’Agnese in Agone, in sacrestia, ‘un luogo di grande accessibilità per tutti’: saranno esposte una ventina di opere, di tradizione russa, ucraina, siriana, con la speciale collaborazione tra il dicastero per l’Evangelizzazione ed i Musei Vaticani: le icone nel contesto dell’arte bizantina saranno particolarmente adatte a entrare nell’Anno Santo.

All’inizio 2025 (tra novembre 2024 e gennaio 2025) ed entro l’estate di quest’anno ci saranno due eventi su Salvador Dalì e Marc Chagall, che proviene da una tradizione ebraica e sviluppatore di una mistica della quotidianità, nutrito di Sacra Scrittura, grande fonte di ispirazione per lui, come ha detto don Geretti: “Forse uno dei pochissimi del mondo ebraico che ha esplicitamente riconosciuto il fascino di Cristo, che poteva sintetizzare ai suoi occhi la sua fede e che ci offre una importante chiave di lettura anche per l’oggi”.

E per quanto riguarda Salvador Dalì don Geretti ha sottolineato il suo percorso di fede: “Dalì trovò religiosamente interessantissima, inoltre, la radice di fede delle scienze quantistiche: la materia, sosteneva, è l’antefatto dello Spirito. In Dalì troviamo che la bellezza della forma risveglia la tensione verso la vita nello Spirito”.

(Foto: Vatican News)

Una donna nella Chiesa alla cui ombra stavano re e teologi

La pigrizia mentale per cui si procede con alcuni slogan e stereotipi appresi stancamente a scuola o sentiti dire è abbastanza diffusa. Per non dire poi che anche i manuali scolatici a volte tendono a ripetere narrazioni ormai prive di fondamento o al minimo da rettificare.

E purtroppo questo avviene anche a livello ecclesiale con esiti non sempre felici. Per questo il cappuccino padre Servus Gieben – vero e proprio esperto dell’iconografia francescana e non solo – esortava a verificare le notizie andando alle fonti primarie.

Tra questi luoghi comuni ripetuti pappagallescamente – a questo proposito papa Giovanni XXIII ironicamente diceva “papa sì, pappagallo, no!” – è l’irrilevanza della donna nella storia della Chiesa soprattutto medievale.

Innanzitutto c’è da tener sempre presente che potere istituzionale e potere di fatto non coincidono: a volte sono detenuti dalla stessa persona ma spesso non è così. Basti pensare che in molte culture chi guadagna i soldi sono gli uomini ma chi li spende sono le donne.

E poi vi sono figure tutte da scoprire come Isabella di Francia alla cui ombra – contrariamente a quanto verrebbe da pensare – visse per vario tempo lo stesso fratello, il famoso santo re Luigi IX.

Questo ed altro si evince dal libro ‘Isabella di Francia sorella di san Luigi. Fonti e documenti sulla fondatrice delle Sorelle minori’, a cura di J. Dalarun, Sean L. Field, M. Bartoli, Editrici Francescane, Padova 2023. 

Tale volume è stato oggetto di un incontro di studio svoltosi presso la Pontificia Università Antonianum martedì 19 marzo 2024 in cui tra l’altro si è evidenziato che l’affermazione secondo cui Chiara d’Assisi è stata la prima donna a scrivere una regola per donne va rivista e rettificata. Infatti l’approvazione della Forma vitae di Chiara da parte di Innocenzo IV nel 1253 va letta e compresa considerando anche quanto avvenne precedentemente a Longchamp dove la sorella minore di Luigi IX scrisse una regola consultando i più grandi intellettuali parigini tra cui san Bonaventura.

In vista del 2025 in cui si celebrerà l’ottavo centenario della nascita della beata Isabella di Francia i video dell’incontro a proposito delle suddette nuove fonti inerente a Isabella di Francia si possono vedere nel link https://www.youtube.com/@PontificiaUniversitaAntonianum/videos

(Tratto da Il Cattolico)

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