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Cosa resta dell’ultimo anno di pontificato di papa Francesco: la beatificazione del sacerdote-martire Michał Rapacz

Domenica 15 giugno nel Santuario-chiesa parrocchiale di Płoki, nella Polonia meridionale, all’interno del quale sono custodite le spoglie del beato Michał Rapacz (1904-1946), sacerdote diocesano ucciso a 41 anni da militanti comunisti, si è tenuta una suggestiva celebrazione nella ricorrenza del primo anniversario della sua beatificazione.

Il parroco e Custode del Santuario p. Tadeusz Tylka, assieme ad altri membri del clero e giovani, hanno in tale occasione recitato una litania in onore del sacerdote-martire per implorarne l’intercessione per la pace in Europa e nel mondo. La beatificazione del giovane parroco di Płoki, antico villaggio medievale nel quale era (ed è ancora) molto amato, è stata l’ultima della Polonia cattolica alla fine del pontificato di papa Francesco.

A presiedere la cerimonia, tenutasi il 15 giugno 2024 nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia alla presenza di due pronipoti del beato Rapacz, è stato il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi. Il porporato, in rappresentanza di Papa Francesco, ha ricordato come per il coraggioso sacerdote, prelevato nella notte nella sua canonica e ucciso in un bosco poco distante, «diffondere l’amore a Cristo era il solo antidoto efficace all’ateismo, al materialismo e a tutte quelle visioni del mondo che minacciano la dignità dell’uomo» (Un segno di consolazione in un tempo ferito dalla guerra, L’Osservatore Romano, 15 giugno 2024, p. 11).

Don Rapacz e tutti gli altri martiri uccisi in odium fidei nei regimi comunisti europei, ha aggiunto il card. Semeraro, rimangono «un segno di consolazione da parte di Dio, in un tempo ancora ferito dalla violenza e dalla guerra in molte parti del mondo ed anche non molto lontano da qui» (leggasi Ucraina).

Alle celebrazioni, preghiere e udienze che i Pontefici tengono regolarmente a San Pietro, come noto, non mancano mai gruppi di pellegrini o rappresentanti di parrocchie, istituzioni o associazioni provenienti dalla Polonia, Paese nel quale circa il 92% dei cittadini si dichiara di fede Cattolica.

All’Udienza generale del mercoledì del 18 giugno hanno preso parte, ad esempio, numerosi giovani della scuola cattolica ‘Sacra Famiglia di Nazareth’ e della scuola secondaria generale associata alla ‘Commissione per l’Istruzione Nazionale’, il primo ministero dell’istruzione entrato in funzione al mondo, istituito nel 1775 dall’ultimo re di Polonia Stanislao II Augusto Poniatowski (1732-1798).

Prima del giogo statale ed ideologico imposto dal Partito Comunista polacco nel 1948, tale importante Istituzione scolastico-universitaria era stata rifondata dopo la fine della seconda guerra mondiale (1946) e, da quarant’anni ormai, ovvero dall’abbattimento nel 1989 della ‘Repubblica Popolare di Polonia’, ha il merito di offrire una formazione umana e cristiana a decine di migliaia di giovani.

Non a caso negli scorsi giorni tre artisti associati all’Università della Commissione per l’Istruzione Nazionale hanno ricevuto le prestigiose Borse di Studio Creative della Città di Cracovia 2025. Questi premi vengono assegnati a persone che, attraverso il loro lavoro, danno un contributo significativo allo sviluppo della cultura della città che ha dato i natali a santi come Stanislao Kostka (1550-1568).

La Borsa di Studio Creativa della Città di Cracovia è stata istituita nel 1994 dal Consiglio Comunale di Cracovia con l’obiettivo di sostenere e promuovere artisti e persone locali impegnate nello sviluppo e nella promozione della cultura. Per quasi trent’anni, questo programma è stato un elemento importante del sistema di mecenatismo culturale della città. Grazie alle borse di studio, centinaia di artisti di Cracovia hanno realizzato i propri progetti: dalle attività artistiche, alle iniziative educative, fino a forme innovative di animazione culturale.

Il 29 settembre 2005 proprio l’arcivescovo di Cracovia, ovvero il più stretto collaboratore per tanti anni di san Giovanni Paolo II, l’attuale cardinale Stanisław Dziwisz, ha dato lo slancio per la finalizzazione del processo di beatificazione di don Michele Rapacz. Il 30 giugno 2017 i lavori diocesani furono infatti chiusi con la trasmissione degli atti alla Congregazione delle Cause dei santi a Roma.

La stessa in poco tempo confermò la validità del processo diocesano e, dopo un approfondito esame dei materiali raccolti, la congregazione ordinaria dei cardinali e dei vescovi diedero quel parere tanto atteso riconoscendo che il martirio del giovane parroco ucciso in odio alla fede. Papa Francesco lo ha confermato nel suo decreto firmato il 24 gennaio 2024, consentendo così la beatificazione del 15 giugno dello stesso anno.

Papa Leone XIV invita a vivere il Vangelo ‘sine glossa’

“Poter accogliere insieme Francescani e Trinitari mi ha ricordato un dipinto che si trova nell’abside della Basilica di san Giovanni in Laterano, che raffigura un’udienza di cui questa potrebbe essere una bella rievocazione. Infatti, l’immagine mostra papa Innocenzo III che riceve san Francesco e san Juan de Mata insieme, per onorare il loro grande apporto alla riforma della vita religiosa”: con queste parole papa ha ricevuto in udienza i partecipanti ai capitoli generali di Francescani Conventuali e Trinitari.

Rileggendo tale quadro papa Leone XIV ha evidenziato gli ‘atteggiamenti’ dei due santi: “E’ interessante notare che San Francesco è raffigurato in ginocchio con un enorme libro aperto, quasi come se stesse per dire al Pontefice: ‘Santità, le chiedo solo di vivere la regola del Santo Vangelo sine glossa’. San Juan de Mata, invece, è in piedi e tiene in mano la Regola che ha redatto insieme al Pontefice”.

Una sottolineatura che esprime il loro servizio alla Chiesa: “Se san Francesco mostra la sua docilità alla Chiesa, presentando il suo progetto non come proprio ma come dono divino, san Juan de Mata mostra il testo approvato, dopo lo studio e il discernimento, come il culmine di un lavoro assolutamente necessario per realizzare il proposito che Dio ha ispirato. I due atteggiamenti, lungi dall’essere in contrasto tra loro, si sarebbero illuminati a vicenda e sarebbero stati una linea guida per il servizio che la Santa Sede ha svolto da allora a favore di tutti i carismi”.

Due posizioni che convergono sulla stessa linea: “Dio ha ispirato a questi due santi non solo un cammino spirituale di servizio, ma anche il desiderio di confrontarsi con il Successore di Pietro sul dono ricevuto dallo Spirito per metterlo a disposizione della Chiesa. San Francesco espone al Papa la necessità di seguire Gesù senza riserve, senza altri fini, senza ambiguità o artifici. San Juan de Mata ha espresso questa verità con parole che si riveleranno poi fondamentali e che san Francesco farà sue”.

La linea è quella del servizio verso la Chiesa: “Un bell’esempio sarà quello di vivere ‘senza nulla di proprio’, senza nulla di ‘nascosto nella camera della tasca o del cuore’, come ha sottolineato papa Francesco… Un altro di questi termini esprime la necessità che tale dedizione si trasformi in servizio, che il superiore sia percepito come un ministro, cioè colui che si fa più piccolo, per essere il servo di tutti. E’ interessante notare come il versetto di san Matteo abbia influenzato il vocabolario di tutta la vita religiosa, perché chiamare priore, maestro, magister o ministro modella l’intera concezione dell’autorità come servizio”.

Rivolgendosi, in particolare alla congregazione dei Trinitari, in spagnolo il papa ha sottolineato di non dimenticare chi è perseguitato a causa della fede: “Mi unisco a questa preghiera e chiedo anche alla Trinità che questo sia uno dei frutti della vostra assemblea, affinché non cessiate di ricordare nella vostra preghiera e nel vostro impegno quotidiano quanti sono perseguitati a causa della loro fede. Questa parte, la terza riferita ai perseguitati, secondo l’insegnamento di sant’Agostino, è la parte di Dio e quella che segna la vocazione del liberatore del suo Popolo. Inoltre, questa tensione verso i membri più sofferenti della Chiesa attirerà l’attenzione delle vocazioni, dei fedeli e delle persone di buona volontà su questa realtà e vi terrà disponibili per i servizi di frontiera che svolgete nella Penisola Arabica, in Medio Oriente, in Africa e nel subcontinente indiano”.

Concludendo con un brano tratto dalle Fonti francescane papa Leone XIV h invitato i componenti dei due ordini a lodare Dio: “Non è il nostro interesse personale che ci deve muovere, ma quello di Cristo; è il suo Spirito che dobbiamo anzitutto ascoltare, per ‘scrivere il futuro nel presente’, come dice il motto del vostro Capitolo. Ascoltarlo nella voce del fratello, nel discernimento della comunità, nell’attenzione ai segni dei tempi, negli appelli del Magistero.

Cari figli di San Francesco d’Assisi, nell’ottavo centenario della composizione del Cantico delle creature o di frate sole, vi esorto ad essere, ciascuno personalmente e in ognuna delle vostre fraternità, vivente richiamo al primato della lode di Dio nella vita cristiana. E non voglio dimenticare che voi Conventuali celebrate l’anniversario della vostra rinnovata presenza in Estremo Oriente”.

In precedenza papa Leone XIV aveva incontrato gli alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica appena tornati dall’anno missionario all’estero, una novità formativa introdotta da papa Francesco, con l’invito ad essere fedeli al Cristo ed alla Chiesa: “Per questo esorto anche voi ad esercitare il dono del vostro sacerdozio con umiltà e mitezza, capacità di ascolto e prossimità, come fedeli ed instancabili discepoli di Cristo Buon Pastore. Quali che siano i compiti che vi verranno affidati, in qualunque parte del mondo vi troverete, il Papa deve poter contare su sacerdoti che, nella preghiera come nel lavoro, non si risparmino nel portare la Sua vicinanza ai popoli e alle Chiese con la loro testimonianza”.

Infine ha inviato un messaggio ai partecipanti alla Seconda Conferenza Annuale su ‘Intelligenza Artificiale, Etica e Governance d’Impresa’ che si conclude oggi a Roma, evidenziando il contributo che la Chiesa può offrire: “Da parte sua, la Chiesa desidera contribuire a un dibattito sereno e informato su queste urgenti questioni, sottolineando soprattutto la necessità di misurare le implicazioni dell’IA alla luce dello ‘sviluppo integrale della persona e della società’. Ciò implica che si tenga conto del benessere della persona umana, non solo dal punto di vista materiale, ma anche intellettuale e spirituale.

Ciò significa salvaguardare l’inviolabile dignità di ogni persona umana e rispettare la ricchezza culturale e spirituale dei popoli del mondo. In definitiva, i benefici o i rischi dell’intelligenza artificiale devono essere valutati esattamente alla luce di questo standard etico più elevato”.

Infine ha mostrato preoccupazione per le cause a cui sono sottoposti le giovani generazioni: “Sono certo che siamo tutti preoccupati per i bambini e i giovani e per le possibili conseguenze dell’uso dell’intelligenza artificiale sullo sviluppo intellettuale e neurologico. Dobbiamo aiutare i nostri giovani, non ostacolarli, nel loro cammino verso la maturità e la vera responsabilità. Sono la nostra speranza per il futuro e il benessere della società dipende dalla loro capacità di sviluppare i doni e le capacità che Dio ha dato loro e di rispondere alle sfide del nostro tempo e ai bisogni degli altri con spirito libero e generoso”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV ribadisce la ‘dignità’ delle Chiese orientali

“Cristo è risorto. E’ veramente risorto! Vi saluto con le parole che, in molte regioni, l’Oriente cristiano in questo tempo pasquale non si stanca di ripetere, professando il nucleo centrale della fede e della speranza. Ed è bello vedervi qui proprio in occasione del Giubileo della speranza, della quale la risurrezione di Gesù è il fondamento indistruttibile. Benvenuti a Roma! Sono felice di incontrarvi e di dedicare ai fedeli orientali uno dei primi incontri del mio pontificato”: questo è stato il saluto di papa Leone XIV ricevendo in udienza i partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali con un appello a far tornare nel mondo la ‘dignità della pace’.

Ripetendo le parole di papa Francesco nel discorso di qualche mese fa ai partecipanti all’Assemblea della ROACO, il papa ha sottolineato la preziosità delle Chiese orientali a conclusione del loro giubileo: “Siete preziosi. Guardando a voi, penso alla varietà delle vostre provenienze, alla storia gloriosa e alle aspre sofferenze che molte vostre comunità hanno patito o patiscono”.

Poi ha citato papa Leone XIII e papa san Giovanni Paolo II per ribadire la ‘dignità’ della liturgia delle Chiese orientali: “E’ significativo che alcune delle vostre Liturgie (in questi giorni le state celebrando solennemente a Roma secondo le varie tradizioni) utilizzano ancora la lingua del Signore Gesù.

Ma papa Leone XIII espresse un accorato appello… La sua preoccupazione di allora è molto attuale, perché ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali”.

E’ stato un invito anche a sostenere i cattolici che devono fuggire dalle terre del Medio Oriente: “Accogliamo l’appello a custodire e promuovere l’Oriente cristiano, soprattutto nella diaspora; qui, oltre ad erigere, dove possibile e opportuno, delle circoscrizioni orientali, occorre sensibilizzare i latini. In questo senso chiedo al Dicastero per le Chiese Orientali, che ringrazio per il suo lavoro, di aiutarmi a definire principi, norme, linee-guida attraverso cui i Pastori latini possano concretamente sostenere i cattolici orientali della diaspora e a preservare le loro tradizioni viventi e ad arricchire con la loro specificità il contesto in cui vivono”.

Per questo ha sottolineato che la Chiesa ha bisogno di loro: “Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano! Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana!”

Ed ha sottolineato che occorre riscoprire la spiritualità orientale: “E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista”.

Il motivo di questo appello consiste nel fatto che la spiritualità orientale è come medicina, riprendendo le parole di sant’Efrem il Siro: “Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti. Abbiamo bisogno di lodare e ringraziare senza fine il Signore per questo…

E’ un dono da chiedere quello di saper vedere la certezza della Pasqua in ogni travaglio della vita e di non perderci d’animo ricordando, come scriveva un altro grande padre orientale, che ‘il più grande peccato è non credere nelle energie della Risurrezione’”.

Ciò è dovuto perché conoscono il male della guerra e ne sono martiri: “Chi dunque, più di voi, può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che papa Francesco chiamò le vostre Chiese ‘martiriali’? E’ vero: dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza!”

Per questo papa Leone XIV ha invitato a pregare per la pace: “E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del papa, ma di Cristo, che ripete: ‘Pace a voi!’… La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare”.

Anzi, papa e Chiesa saranno in prima linea per la promozione della pace: “Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo!”

E’ stato un invito a non uccidere: “La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi”.

Quindi ha chiesto che i cristiani non siano cacciati dalla terra Santa: “La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani (orientali e latini) che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!”

Ha concluso l’udienza con la citazione di san Simeone il Nuovo Teologo, che invitava a non ‘spegnere’ il cuore: “Continuate a brillare per fede, speranza e carità, e per null’altro. Le vostre Chiese siano di esempio, e i Pastori promuovano con rettitudine la comunione, soprattutto nei Sinodi dei Vescovi, perché siano luoghi di collegialità e di corresponsabilità autentica. Si curi la trasparenza nella gestione dei beni, si dia testimonianza di dedizione umile e totale al santo popolo di Dio, senza attaccamenti agli onori, ai poteri del mondo e alla propria immagine”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco invita il Movimento per la Vita a difendere la dignità della maternità

“Conosco il valore del servizio che rendete alla Chiesa e alla società. Insieme alla solidarietà concreta, vissuta con lo stile della vicinanza e della prossimità alle mamme in difficoltà per una gravidanza difficile o inattesa, voi promuovete la cultura della vita in senso ampio. E cercate di farlo con franchezza, amore e tenacia, tenendo strettamente unita la verità alla carità verso tutti. Vi guidano in questo gli esempi e gli insegnamenti di Carlo Casini, che aveva fatto del servizio alla vita il centro del suo apostolato laicale e del suo impegno politico”: dal Policlinico ‘Gemelli’ papa Francesco ha inviato un messaggio, letto dal segretario di Stato, card. Pietro Parolin, in occasione del 50^ anniversario di fondazione del Movimento per la Vita, 50°, esortando a continuare il servizio alla vita umana più fragile ed emarginata.

Ed ha ripercorso questa storia di tutela della maternità: “L’occasione che vi ha radunati a Roma è importante: il cinquantesimo anniversario del Movimento per la Vita, il cui primo germoglio è stato il Centro di Aiuto alla Vita nato a Firenze nel 1975. Da allora, in tutta Italia, i Centri di Aiuto alla Vita si sono moltiplicati. E ad essi si sono aggiunti le Case di Accoglienza, i servizi SOS Vita, il Progetto Gemma e le Culle per la vita. Innumerevoli iniziative sono state intraprese per promuovere a tutti i livelli della società la cultura dell’accoglienza e dei diritti dell’uomo. Perciò vi incoraggio a portare avanti la tutela sociale della maternità e l’accoglienza della vita umana in ogni sua fase”.

Nel messaggio papa Francesco ha ribadito la necessità di ‘combattere’ la cultura dello scarto: “In questo mezzo secolo, mentre sono diminuiti alcuni pregiudizi ideologici ed è cresciuta tra i giovani la sensibilità per la cura del creato, purtroppo si è diffusa la cultura dello scarto. Pertanto, c’è ancora e più che mai bisogno di persone di ogni età che si spendano concretamente al servizio della vita umana, soprattutto quando è più fragile e vulnerabile; perché essa è sacra, creata da Dio per un destino grande e bello; e perché una società giusta non si costruisce eliminando i nascituri indesiderati, gli anziani non più autonomi o i malati incurabili”.

Per questo ha ricordato l’importanza della civiltà dell’amore: “Care sorelle e cari fratelli, siete venuti da tante parti d’Italia per rinnovare ancora una volta il vostro ‘sì’ alla civiltà dell’amore, consapevoli che liberare le donne dai condizionamenti che le spingono a non dare alla luce il proprio figlio è un principio di rinnovamento della società civile. E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, come oggi la società sia strutturata sulle categorie del possedere, del fare, del produrre, dell’apparire”.

E’ stato un ‘elogio’ all’impegno per la dignità della persona: “Il vostro impegno, in armonia con quello di tutta la Chiesa, indica una progettualità diversa, che pone al centro la dignità della persona e privilegia chi è più debole. Il concepito rappresenta, per eccellenza, ogni uomo e donna che non conta, che non ha voce. Mettersi dalla sua parte significa farsi solidali con tutti gli scartati del mondo. E lo sguardo del cuore che lo riconosce come uno o una di noi è la leva che muove questa progettualità”.

Infine ha raccomandato di scommettere sulle donne: “Continuate a scommettere sulle donne, sulla loro capacità di accoglienza, di generosità e di coraggio. Le donne devono poter contare sul sostegno dell’intera comunità civile ed ecclesiale, e i Centri di Aiuto alla Vita possono diventare un punto di riferimento per tutti. Vi ringrazio per le pagine di speranza e di tenerezza che aiutate a scrivere nel libro della storia e che rimangono incancellabili: portano e porteranno tanti frutti”.

Le parrocchie si schierano contro il gioco d’azzardo

Giovedì 20 febbraio alla sede della Caritas Italiana è stato presentato il progetto ‘Vince chi smette’, attraverso il quale si promuovono percorsi di animazione comunitaria con l’obiettivo di sensibilizzare le comunità sul fenomeno dell’azzardo e sui rischi ad esso associati con lo scopo di costruire una coscienza critica collettiva e a promuovere azioni concrete di contrasto e prevenzione, in collaborazione con FICT (Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche), alla presenza di don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, il sociologo Maurizio Fiasco, l’economista Luigino Bruni, il presidente FICT Luciano Squillaci e padre Alex Zanotelli, moderati da moderati da Caterina Boca, che ha sottolineato il bacino d’utenza:

“Il progetto è rivolto alle comunità parrocchiali, abbiamo coinvolto la rete delle Caritas diocesane, chiedendo loro di aderire perché a loro volta possano attivare le comunità in un processo di sensibilizzazione e di formazione di una coscienza critica intorno al tema dell’azzardo… La ‘cassetta degli attrezzi’ del progetto è composta da fascicoli, che corrispondono a percorsi di animazione. Sono proposte di attività da svolgersi sui territori, che sono a loro volta suddivise in base alle categorie: per i ragazzi, i giovani adulti (giovani, giovani coppie, famiglie) e gli anziani. Siamo consapevoli che il linguaggio e gli strumenti da utilizzare per attivare le comunità cambiano in base all’età e all’esperienza”.

Infatti il fenomeno dell’azzardo ha assunto negli ultimi anni una dimensione preoccupante e non si registrano proposte e scelte politiche in grado di realizzare adeguate misure di contrasto, prevenzione e sostegno. Se il gioco è un esercizio singolo o collettivo liberamente scelto a cui ci si dedica per passatempo, svago, ricreazione, o con lo scopo di sviluppare l’ingegno o le forze fisiche, nell’ambito dell’azzardo, l’attribuzione della qualifica di gioco è del tutto fuori luogo.

L’azzardo è infatti un’attività in cui ricorre il fine di lucro, nella quale la vincita o la perdita sono elementi aleatori (l’elemento determinante è il caso), e l’abilità, la capacità o l’esperienza altrimenti riscontrati nel gioco, hanno un’importanza trascurabile ed ininfluente.

Dal 2013 è riconosciuto come patologia perché l’azzardo può dar luogo a una condizione patologica di dipendenza, consistente nell’incapacità cronica di resistere all’impulso del gioco, con conseguenze anche gravemente negative sull’individuo stesso, la sua famiglia e le sue attività professionali.

Nonostante la crescente consapevolezza di questa situazione, il fenomeno dell’azzardo continua a espandersi in modo preoccupante. Le slot machine, i gratta e vinci, le scommesse e i concorsi a premi sottraggono annualmente agli italiani circa € 85.000.000.000, rappresentando una spesa per le famiglie che si avvicina a quella per il cibo e supera quella per il riscaldamento domestico e le cure mediche; quindi è un invito a costruire reti civiche e solidali:

“Animare una comunità, per noi, vuol dire anche essere Chiesa in uscita, invitiamo tutti ad uscire dalle proprie comunità, individuando altri organismi che si occupano di azzardo con cui creare delle relazioni. Si può chiamare l’ente locale e invitarlo a degli incontri pubblici, ragionare insieme sulla presenza delle slot machine nel proprio territorio, mappare la propria zona. L’invito è a non rimanere isolati ma uscire e fare rete con i movimenti civici. ‘Vince chi smette’ è un progetto che vuole smuovere e costruire dal basso la coscienza delle persone. Siamo chiamati, in quanto cristiani, a interrogarci e affrontare il grave male che oggi affligge le nostre comunità”

Salutando i partecipanti il direttore della Caritas italiana, don Marco Pagniello, ha illustrato lo scopo del progetto: “La pratica dell’azzardo toglie dignità e giustizia. Vince chi smette è uno dei progetti giubilari perché ci aiuta ad aumentare la consapevolezza nelle nostre comunità rispetto ai rischi connessi alla pratica dell’azzardo, che non è mai un gioco. Liberare le persone dalle varie forme di dipendenza, come la pratica dell’azzardo, significa restituire dignità”.

Mentre il sociologo Maurizio Fiasco, consulente scientifico dell’Osservatorio ‘sul contrasto al gioco d’azzardo e alla dipendenza grave’, ha lanciato un appello contro la dipendenza d’azzardo: “Con l’azzardo ci troviamo di fronte a una costruzione raffinatissima, molto complessa. La dipendenza da azzardo si sviluppa in correlazione ad altri tipi di dipendenze. Un appello: appassionarsi a smontare il giocattolo. Investire, documentarsi, non aver fretta di giungere a delle conclusioni, verificare le conclusioni”.

Invece l’economista Luigino Bruni, docente alla LUMSA di Roma ha sottolineato il problema economico legato al gioco d’azzardo: “C’è un grande equivoco sul tema del ‘gioco’ patologico. Associare l’azzardo al gioco è un’umiliazione per il gioco vero, che è una delle capacità fondamentali dell’essere umano. L’azzardo tutto è fuorché un gioco. E’ una macchina mangia soldi, una struttura di peccato.

Non c’è solo un problema di patologia. L’azzardo è un problema economico, civile e spirituale. Non confiniamo il problema dell’azzardo al patologico, ma consideriamo il tutto. L’azzardo è contrario al bene comune. E l’idea che l’azzardo sia innocuo se consumato in piccole dosi è fuorviante e va combattuta”.

Quindi il presidente della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche (FICT), Luciano Squillaci, ha affermato che occorre studiare soluzioni complesse: “Quella dell’azzardo è una questione che ha una complessità importante. Le soluzioni semplici sono sbagliate. Il fenomeno va considerato nel suo complesso, non in modo settoriale e frammentato. Serve un approccio sistemico, con il coraggio di percepirsi all’interno del sistema”.

Infine il missionario comboniano, p. Alex Zanotelli, ha invitato a riscoprire la ‘logica’ del Vangelo: “Noi cristiani dobbiamo riconoscere che abbiamo tradito il vangelo, proprio sui soldi. Noi cristiani d’Occidente abbiamo sposato un sistema che è profondamente ingiusto. L’Occidente deve cominciare a convertirsi e tornare alla logica del Vangelo. Rispetto al tema economico, che cosa ne abbiamo fatto di quello che Gesù chiede? Cito due comandamenti proposti dal teologo Enrico Chiavacci. Il primo: cerca di non arricchirti. Il secondo: se tu hai, hai per condividere. Organizziamo dei momenti di comunità in cui chiediamo perdono al Signore per aver tradito le indicazioni del Vangelo. Per essere liberi”.

(Foto: Caritas Italiana)

Papa Francesco ha benedetto libro di Maimone su comunicazione socio-umanitaria e parola vitale

“Sua Santità assicura un ricordo nella preghiera e, mentre auspica che la società così come la Chiesa si avvalgano di una comunicazione le cui basi siano l’umiltà nell’ascoltare e la parresia nel parlare, che non separi mai la verità dalla carità, invoca l’intercessione della Santa Vergine Maria e di cuore imparte la Benedizione Apostolica, con l’augurio di ogni bene nel Signore”. Con queste parole Sua Santità Papa Francesco lo scorso anno ha benedetto il libro del giornalista di America Oggi TV Biagio Maimone intitolato “La Comunicazione Creativa per lo Sviluppo Socio-Umanitario”, edito dalla Casa Editrice Tracceperlameta.

Il libro ha ricevuto, inoltre, l’apprezzamento del Segretario di Stato della Santa Sede, Cardinale Pietro Parolin, il quale ha scritto: “La congratulo per quest’opera e per le finalità che essa si propone: “rimarcare il valore centrale della Parola educativa, della Parola che crea relazioni umane, improntate al rispetto reciproco, al rispetto della sacralità della dignità umana”. Mi fa piacere sapere anche che l’opera ha ricevuto l’apprezzamento di tante illustri personalità e la benedizione di Papa Francesco. Mentre auguro una sua ampia diffusione, mi è grato porgerLe cordiali saluti e un augurio fervido di buon Anno, animato dalla speranza che non delude”.

Il testo, che è stato presentato nella Camera dei Deputati, nell’Istituto Italiano di Cultura di New York ed in Senato, propone la necessità di un nuovo modello comunicativo che ponga al centro la relazione umana ed, ancor più, l’emancipazione morale ed umana della società odierna. Sulla scorta della constatazione delle innumerevoli comunicazioni distorte veicolate dai media e da tutti i mezzi di comunicazione, compresi i social, foriere di sottocultura che non può essere consentita in quanto impoverisce la società civile deteriorando le relazioni umane, Biagio Maimone ritiene che non sia più rimandabile la necessità di far vivere un linguaggio scevro da menzogne, da offese e dal turpiloquio.

La violenza, il cyberbullismo e l’incitazione all’odio non devono essere avvolti dal silenzio, ma combattuti da un sano impegno  che disciplini l’uso della parola in modo che essa non divenga strumento di violenza e generi, pertanto, forme molto gravi di bullismo e comunicazioni nocive all’educazione dei giovani, facendo degenerare l’intera società verso l’involuzione morale.

“La Comunicazione diventa futuro” è lo slogan che identifica l’impegno di Biagio Maimone. Egli ritiene, infatti,  che il futuro per essere finalizzato al progresso umano debba far propria una nuova modalità di comunicare che veicoli la pedagogia della vita, della pace, della fratellanza umana, della parola vitale che educa le coscienze dei singoli affinché essi si dirigano sulla strada della vera emancipazione umana, oltre l’impoverimento morale ed anche materiale.

Per tale ragione nei primi mesi dell’anno costituirà l’Associazione “Progetto Vita e Umanità”, la comunicazione al servizio degli ultimi e degli indifesi. Egli, pertanto, pone in risalto l’importanza della cultura umana da riversare nel contesto della comunicazione ampiamente intesa,  affinché si pongano le fondamenta di un nuova e migliorativa modalità di trasmettere informazioni affinché esse arricchiscano sempre più l’universo interiore di coloro che le recepiscono, alimentandolo con verità e valori morali e spirituali, senza i quali l’essere umano viene deprivato di quei contenuti che ne fanno un soggetto pensante capace di costruire un mondo accogliente in cui viva la legalità, la fratellanza umana e quella bellezza che sgorga dall’animo di chi si è nutrito di cultura umana, unica cultura che consente il miglioramento delle relazioni umane e lo sviluppo socio-umanitario.

Per Biagio Maimone occorre superare  gli stereotipi che sorreggono la comunicazione, sia quella giornalistica, sia quella di ogni altro media, nonché quella istituzionale, necessariamente legata ai vari ambiti della vita umana e sociale, al fine di creare un nuovo modello comunicativo che prenda le mosse dai suoni, dai colori e dalle voci legati al sentimento, scaturenti dall’interiorità e dalla spiritualità umana. Dare voce agli infiniti linguaggi depositati nell’intimo di ognuno egli ritiene debba essere l’intento del nuovo comunicatore, animato dalla finalità primaria di educare all’apprendimento di un linguaggio che fondi le sue radici nei valori insiti nell’animo umano.

Il linguaggio dovrà divenire, pertanto, vettore di valori e non di offese ed insulti, come sovente si verifica.

Partendo dal linguaggio, ripulito dal desiderio di ferire e ridimensionare l’altro, si potrà anche ricreare la relazione umana, rendendola scevra da conflitti lesivi della dignità dell’interlocutore per orientarla all’ascolto autentico, che è creativo di benefici reciproci. Non meno rilevante sarà la forma che tale nuovo linguaggio dovrà assumere per essere vera espressione del mondo interiore, in cui vivono i valori umani.

Tale forma non potrà che essere la forma che rimanda sia al suono musicale, in quanto esso crea il senso della melodia, intesa come coinvolgimento all’unisono delle varie sensibilità umane, forza reale del linguaggio penetrante e convincente, sia al suono della poesia, da intendersi come modalità sublime di quella dimensione altamente creativa, proprio in quanto sorretta dai valori umani, che la comunicazione di elevato livello non può esimersi dal fare propria.

Altisonante ed indicativa di un preciso  impegno concreto è la sua affermazione: “La Bellezza – non vi è dubbio – tornerà ad essere il volto magnifico della vita. La forza prorompente della Bellezza, che la Parola ha il dovere di trasmettere, sconfigge ogni male! È scritto nel Vangelo, è scritto nel cuore degli uomini di Buona Volontà ed è scritto nelle trame vitali dell’esistenza, che nessuno

potrà mai distruggere perché esse appartengono alla Vita e la Vita è la ragione stessa dell’esistere umano”.

Partendo da tali principi, riportati nel quarto di copertina del suo libro, Biagio Maimone si accinge a divulgare i contenuti della nuova corrente filosofica a cui egli ha voluto dar vita, denominata “Comunicazione socio-umanitaria”. Il messaggio del libro è universale,  finalizzato all’affermazione di una nuova cultura della comunicazione, tale in quanto tesa a rivedere l’uso del linguaggio e, più precisamente, della parola, alla luce delle nuove sfide dell’epoca contemporanea, permeata da nuove esigenze e, tra queste, l’esigenza di riconsegnare alla persona la sua centralità nel contesto  della  vita umana, che appare essere percorsa da continue frammentazioni.

Il messaggio veicolato dal libro nasce dalla constatazione dell’affermarsi di una subcultura della comunicazione, che bisogna contrastare in quanto determina un crescente impoverimento morale, sociale e culturale. Rilievo centrale riveste il tema della comunicazione che trasmette l’importanza della solidarietà, presupposto ineludibile da cui prendere le mosse per dirigersi verso lo sviluppo socio-umanitario.

Biagio Maimone, in veste di Direttore della Comunicazione dell’Associazione “Bambino Gesù del Cairo”, fondata da Monsignor Yoannis Lahzi Gaid, già Segretario personale di Papa Francesco, ha richiamato, mediante il giornalismo, alla necessità di far vivere il dialogo interreligioso, la pace e la solidarietà, attraverso le iniziative dell’Associazione “Bambino Gesù del Cairo” che si qualifica nei termini di attività giornalistica a favore dei bambini poveri ed ammalati dell’Egitto. L’Associazione è stata fondata in seguito alla sottoscrizione del Documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune” da parte di  Sua Santità Papa Francesco e da parte del Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, in data 4 febbraio 2019.

“Nel mio testo, si rimarca che la parola è vita in quanto deve generare la vita nelle sue espressioni più nobili e spirituali, perché essa penetra nelle coscienze individuali e collettive e, se è sorretta dalla violenza e dalla menzogna, crea una coscienza umana che è guidata da disvalori che impoveriscono i singoli individui e, conseguentemente, l’intera collettività ed il contesto sociale” ha

dichiarato Maimone, il quale ha aggiunto: “Umanizzare il linguaggio affinché sia veicolo della ‘Pedagogia della Vita’ definisce il significato autentico del mio impegno giornalistico, che sono certo possa essere condiviso da chi fa della comunicazione lo strumento mediante cui giungere al mondo interiore di chi ascolta, al fine di arricchirlo e non impoverirlo attraverso un uso distorto e, pertanto, nocivo del linguaggio”.

I Missionari Scalabriniani al fianco della Conferenza episcopale USA: No alle deportazioni

La Direzione Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo – Scalabriniani esprime piena solidarietà alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti e al suo presidente, Mons. Timothy Broglio, per la loro chiara posizione in difesa della dignità e dei diritti dei migranti.

In una lettera indirizzata a Mons. Broglio, Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale della Congregazione, insieme a Padre Horecio Carlos Anklan, Superiore Provinciale della Provincia di San Carlo Borromeo e a Padre Giovanni Battista Bizzotto, Superiore Provinciale della Provincia di San Giovanni Battista, hanno manifestato forte preoccupazione per le recenti misure restrittive, che colpiscono chi cerca rifugio e nuove opportunità di vita.

“Abbiamo seguito con profonda apprensione la decisione dell’amministrazione Trump di intensificare le deportazioni di massa, autorizzando persino le forze dell’ordine a eseguire retate in chiese, ospedali e scuole, luoghi che la tradizione umana e cristiana riconosce come rifugi sacri per i bisognosi. In questo contesto, ci uniamo alla vostra voce per ribadire che la protezione dei migranti e dei rifugiati non è un’opzione, ma un dovere morale”, ha affermato Padre Leonir Chiarello.

Da 138 anni, i Missionari Scalabriniani operano al fianco dei migranti negli Stati Uniti e in altri 35 Paesi, accompagnandoli nei percorsi di integrazione attraverso parrocchie, centri di accoglienza e assistenza legale e pastorale. “Conosciamo i volti di questi uomini, donne e bambini. Sappiamo delle loro notti insonni, delle paure per il domani, delle lacrime versate per le famiglie divise. Ma sappiamo anche della loro forza, della loro voglia di lavorare, del loro desiderio di contribuire al bene comune”, ha continuato Padre Leonir Chiarello.

Accogliere e governare i flussi migratori con giustizia e umanità è una necessità imprescindibile. “La Chiesa riconosce il diritto e il dovere degli Stati di regolamentare le migrazioni, ma filtrare non significa respingere indiscriminatamente. Un’affluenza incontrollata può creare instabilità sociale, ma una chiusura cieca alimenta solo sofferenza e ingiustizia. Le politiche attuali rischiano di trasformare le famiglie in bersagli, di marginalizzare ulteriormente i più deboli e di minare la coesione della società americana”, ha sottolineato Padre Leonir Chiarello.

Da decenni, i Missionari Scalabriniani partecipano attivamente al dibattito sulle politiche migratorie statunitensi, attraverso il Center for Migration Studies di New York (CMS) e lo Scalabrini International Migration Network (SIMN), promuovendo una governance che tenga insieme legalità, diritti e inclusione.

Richiamando il passo biblico della Genesi, Padre Leonir Chiarello ha ricordato che la domanda di Dio a Caino – “Dov’è tuo fratello?” – interpella le coscienze di oggi. “Oggi la voce dei migranti respinti, perseguitati, deportati, risuona nelle nostre coscienze. Non possiamo restare indifferenti e chiudere i nostri cuori alla sofferenza di chi bussa alle nostre porte”.

In tutto il mondo i Missionari Scalabriniani portano avanti l’insegnamento di San Giovanni Battista Scalabrini, che vedeva in ogni migrante un fratello e una sorella da accogliere, proteggere e accompagnare. Con questo spirito, la Congregazione intende rafforzare la collaborazione con la Chiesa americana, lavorando insieme alla Conferenza Episcopale e alle diocesi in cui è presente per costruire percorsi di integrazione che garantiscano dignità e diritti, offrendo alternative concrete alle politiche di chiusura.

Nel rinnovare la propria vicinanza alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, la Direzione Generale dei Missionari Scalabriniani ribadisce il proprio impegno concreto e sinodale per una società più giusta e solidale, con la certezza che il Signore non abbandona chi opera per la giustizia.

Papa Francesco ai vescovi statunitensi: lottare per la dignità umana

Papa Francesco

“Vi rivolgo alcune parole in questi momenti delicati che state vivendo come Pastori del Popolo di Dio che cammina negli Stati Uniti d’America”: con questo inizio di lettera papa Francesco ha scritto ai vescovi statunitensi, che si trovano ad affrontare una ‘crisi’ con il programma di ‘deportazione di massa’ di immigrati e rifugiati clandestini, voluto dall’amministrazione del presidente Trump, esortandoli in dieci punti a non cedere a ‘narrazioni’ discriminatorie.

Dopo la presa di posizione dei vescovi statunitensi il papa ha sottolineato che la storia del popolo ebreo è un esempio per la società contemporanea: “Il cammino del popolo d’Israele dalla schiavitù alla libertà, narrato nel libro dell’Esodo, ci invita a guardare alla realtà del nostro tempo, così marcatamente segnata dal fenomeno delle migrazioni, come a un momento decisivo della storia per riaffermare non solo la fede in un Dio sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato, ma anche l’infinita e trascendente dignità di ogni persona umana”.

Quindi ha voluto evidenziare che le sue parole non sono inventate, ma poggiano sulla Sacra Scrittura: “Le parole con cui inizio non sono pronunciate artificialmente. Anche un esame superficiale della Dottrina sociale della Chiesa mostra con grande forza che Gesù Cristo è il vero Emmanuele e che Egli non ha vissuto senza la difficile esperienza di essere espulso dalla propria terra a causa di un rischio imminente per la sua vita, e senza l’esperienza di dover rifugiarsi in una società e in una cultura estranee alla sua. Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha scelto di vivere anche il dramma dell’immigrazione”.

Ed ha ricordato anche le espressioni di papa Pio XII sulla cura dei migranti, che parla della famiglia di Nazareth costretta alla fuga: “Mi piace ricordare, tra le altre, le parole con cui Papa Pio XII iniziò la sua Costituzione apostolica sulla cura dei migranti, considerata la Magna Carta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni:

La famiglia di Nazareth in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe, emigranti in Egitto e lì profughi per sfuggire all’ira di un re empio, sono il modello, l’esempio e la consolazione degli emigranti e dei pellegrini di ogni età e paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, spinti dalla persecuzione o dalla necessità, sono costretti ad abbandonare la loro patria, i loro amati familiari e i loro cari amici per recarsi in terre straniere”.

Queste ‘deportazioni’ ledono la dignità umana, a cui i cristiani devono conformarsi: “Allo stesso modo, Gesù Cristo, amando tutti con un amore universale, ci insegna a riconoscere permanentemente la dignità di ogni essere umano, senza eccezioni. Infatti, quando parliamo di ‘dignità infinita e trascendente’, vogliamo sottolineare che il valore più decisivo che la persona umana possiede supera e sostiene qualsiasi altra considerazione giuridica che possa essere fatta per regolare la vita nella società. Pertanto, tutti i fedeli cristiani e le persone di buona volontà sono chiamati a considerare la legittimità delle norme e delle politiche pubbliche alla luce della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, e non viceversa”.

Il messaggio è un invito ad esprimere un pensiero critico a seguito di una giusta informazione: “Ho seguito da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti a causa dell’avvio di un programma di deportazioni di massa. Una coscienza debitamente formata non può esimersi dal formulare un giudizio critico e dall’esprimere il proprio dissenso nei confronti di qualsiasi provvedimento che identifichi, tacitamente o esplicitamente, la condizione di illegalità di alcuni migranti con la criminalità”.

Però riconosce anche il diritto di uno Stato a proteggere i propri cittadini senza ferire la dignità di una persona: “Allo stesso tempo, deve essere riconosciuto il diritto di una nazione a difendersi e a proteggere le proprie comunità da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel paese o prima di arrivarci. Detto questo, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave degrado ambientale, ferisce la dignità di molti uomini e donne, di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e indifesa”.

La giustizia di uno Stato si fonda su questo principio: “Non si tratta di una questione di poco conto: un autentico Stato di diritto si verifica proprio nel trattamento dignitoso che tutti gli uomini meritano, soprattutto i più poveri ed emarginati. Il vero bene comune si promuove quando la società e il governo, con creatività e rigoroso rispetto dei diritti di tutti (come ho affermato in numerose occasioni) accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi e vulnerabili.

Ciò non impedisce lo sviluppo di una politica che regoli la migrazione ordinata e legale. Tuttavia, la suddetta ‘maturazione’ non può essere costruita attraverso il privilegio di alcuni e il sacrificio di altri. Ciò che si costruisce sulla base della forza, e non sulla base della verità sulla pari dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male”.

In ciò consiste l’amore cristiano che si differenzia da quello filantropico: “Noi cristiani sappiamo bene che solo affermando l’infinita dignità di tutti può giungere a maturazione la nostra identità come persone e come comunità. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che si estendono gradualmente ad altre persone e gruppi.

In altre parole: la persona umana non è un semplice individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! La persona umana è un soggetto dotato di dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, può maturare gradualmente la sua identità e vocazione. Il vero ‘ordo amoris’ da promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del ‘buon samaritano’, cioè meditando sull’amore che costruisce la fraternità”.

Per il papa risulta pericoloso riflettere solo su se stessi, riconoscendo il ‘lavoro’ svolto dalla Conferenza episcopale statunitense: “Preoccuparsi dell’identità personale, comunitaria o nazionale, al di fuori di queste considerazioni, introduce facilmente un criterio ideologico che distorce la vita sociale e impone la volontà del più forte come criterio di verità.

Riconosco i preziosi sforzi di voi, cari vescovi degli Stati Uniti, mentre lavorate a stretto contatto con i migranti e i rifugiati, annunciando Gesù Cristo e promuovendo i diritti umani fondamentali. Dio ricompenserà abbondantemente tutto ciò che fai per proteggere e difendere coloro che sono considerati meno preziosi, meno importanti o meno umani!”

Il messaggio è un’esortazione alla costruzione di ‘ponti’ di fraternità: “Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a non cedere a narrazioni che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo tutti chiamati a vivere in solidarietà e fraternità, a costruire ponti che ci avvicinino sempre di più, a evitare muri di ignominia e a imparare a donare la nostra vita come Gesù Cristo ha offerto la sua, per la salvezza di tutti”.

Ed ha invitato a pregare la Madonna di Guadalupe: “Chiediamo alla Beata Vergine Maria di Guadalupe di proteggere le persone e le famiglie che vivono nella paura o nel dolore a causa della migrazione e/o della deportazione. La ‘Vergine oscura’, che ha saputo riconciliare i popoli quando erano in conflitto, ci conceda di rincontrare tutti come fratelli, nel suo abbraccio, e di fare così un passo avanti nella costruzione di una società più fraterna, inclusiva e rispettosa della dignità di tutti”.

Papa Francesco chiede impegno per debellare la tratta di esseri umani

“Sono felice di incontrarvi e di unirmi a voi che quotidianamente siete impegnati contro la tratta di persone. Ringrazio in particolare ‘Talitha Kum’ per il servizio che svolge. Grazie! Ci ritroviamo alla vigilia della festa di santa Giuseppina Bakhita, che fu vittima di questa terribile piaga sociale. La sua storia ci dà tanta forza, mostrandoci come, nonostante le ingiustizie e le sofferenze subite, con la grazia del Signore sia possibile rompere le catene, tornare liberi e diventare messaggeri di speranza per altri che sono in difficoltà”.

Pur non essendo in buona salute papa Francesco oggi ha incontrato a Casa Santa Marta una delegazione della rete contro la tratta delle persone, n occasione della XI Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone (istituita nel 2015), la cui promozione è stata affidata alla stessa rete, all’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg) e all’Unione dei superiori generali (Usg), che si celebra domani, 8 febbraio, memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, vittima di questa piaga sociale:

“La tratta è un fenomeno globale che miete milioni di vittime e non si ferma davanti a nulla. Trova sempre nuovi modi per insinuarsi nelle nostre società, ad ogni latitudine. Di fronte a questo dramma non possiamo restare indifferenti e, proprio come fate voi, dobbiamo unire le nostre forze, le nostre voci e richiamare tutti alle proprie responsabilità, per contrastare questa forma di criminalità che guadagna sulla pelle delle persone più vulnerabili”.

Quindi ha esortato ad impegnarsi contro questo sfruttamento di milioni di persone: “Non possiamo accettare che tante sorelle e tanti fratelli siano sfruttati in maniera così ignobile. Il commercio dei corpi, lo sfruttamento sessuale, anche di bambini e bambine, il lavoro forzato sono una vergogna e una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali”.

E’ stato un ringraziamento per questa ‘battaglia’ di sensibilizzazione: “So che siete un gruppo internazionale, alcuni di voi sono arrivati da molto lontano per questa settimana di preghiera e riflessione contro la tratta. Vi ringrazio! In modo speciale mi congratulo con i giovani ambasciatori contro la tratta che, con creatività ed energia, trovano sempre nuovi modi per sensibilizzare e informare”.

Il richiamo del papa è un ulteriore incoraggiamento ad essere ‘ambasciatori’ di speranza: “Incoraggio tutte le organizzazioni di questa rete e tutti i singoli che ne fanno parte a continuare ad unire le forze, mettendo al centro le vittime e i sopravvissuti, ascoltando le loro storie, prendendovi cura delle loro ferite e amplificando la loro voce. Questo significa essere ambasciatori di speranza; spero che in questo Giubileo tante altre persone seguano il vostro esempio”.

E per tale occasione papa Francesco ha indirizzato un messaggio a questi nuovi ambasciatori di speranza: “Con gioia mi unisco a voi nell’undicesima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Questo evento ricorre nella memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, donna e religiosa sudanese, sin da bambina vittima di tratta, divenuta simbolo del nostro impegno contro questo terribile fenomeno. In questo anno giubilare camminiamo insieme, come ‘pellegrini di speranza’, anche sulla strada del contrasto alla tratta”.

Il messaggio papale offre una concreta risposta alle domande impellenti per la dignità umana: “Ma come è possibile continuare a nutrire speranza davanti ai milioni di persone, soprattutto donne e bambini, giovani, migranti e rifugiati, intrappolate in questa schiavitù moderna? Dove attingere sempre nuovo slancio per contrastare il commercio di organi e tessuti umani, lo sfruttamento sessuale di bambini e bambine, il lavoro forzato, compresa la prostituzione, il traffico di droghe e di armi? Come facciamo a registrare nel mondo tutto questo e a non perdere la speranza?

Solo sollevando lo sguardo a Cristo, nostra speranza, possiamo trovare la forza di un rinnovato impegno che non si lascia vincere dalla dimensione dei problemi e dei drammi, ma nel buio si adopera per accendere fiammelle di luce, che unite possono rischiarare la notte finché non spunti l’aurora”.

Per questo i giovani sono un bell’esempio: “Ci offrono un esempio i giovani che in tutto il mondo lottano contro la tratta: ci dicono che bisogna diventare ambasciatori di speranza e agire insieme, con tenacia e amore; che occorre mettersi a fianco delle vittime e dei sopravvissuti”.

E’ una richiesta a combattere contro ogni ingiustizia: “Con l’aiuto di Dio possiamo evitare di assuefarci all’ingiustizia, allontanare la tentazione di pensare che certi fenomeni non possano essere debellati. Lo Spirito del Signore risorto ci sostiene nel promuovere, con coraggio ed efficacia, iniziative mirate per indebolire e contrastare i meccanismi economici e criminali che traggono profitti dalla tratta e dallo sfruttamento.

Ci insegna anzitutto a metterci in ascolto, con vicinanza e compassione, delle persone che hanno fatto esperienza della tratta, per aiutarle a rimettersi in piedi e insieme con loro individuare le vie migliori per liberare altri e fare prevenzione. La tratta è un fenomeno complesso, in continua evoluzione, e trae alimento da guerre, conflitti, carestie e conseguenze dei cambiamenti climatici. Pertanto richiede risposte globali e uno sforzo comune, a tutti i livelli, per contrastarlo.

E’ un invito alla promozione della dignità umana: “Invito dunque tutti voi, in modo particolare i rappresentanti dei governi e delle organizzazioni che condividono questo impegno, a unirsi a noi, animati dalla preghiera, per promuovere le iniziative in difesa della dignità umana, per l’eliminazione della tratta di persone in tutte le sue forme e per la promozione della pace nel mondo…

Sorelle e fratelli, vi ringrazio per il coraggio e la tenacia con cui portate avanti quest’opera, coinvolgendo tante persone di buona volontà. Andate avanti con la speranza nel Signore, che cammina con voi!”

(Foto: Santa Sede)

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