Da Novara mons. Brambilla per la dignità della donna

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“Lo scorso mese di novembre mi è capitata tra le mani la mia prima omelia di san Gaudenzio e mi ha impressionato per la sua attualità. Sembra scritta per il tempo presente. L’unica cosa diversa è l’aggravarsi della situazione e dei fenomeni descritti. Sono stato persino tentato di riproporla tale e quale e di rivelare solo alla fine la sua data. Mi è parso bello riprenderne almeno una parte ampia, per poi focalizzare il nostro sguardo sul tema cruciale su cui voglio attirare la vostra attenzione: l’ora della donna nella Chiesa e nel mondo”.

Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, ha iniziato con queste parole il discorso alla città e alla diocesi in occasione della festa del patrono san Gaudenzio, celebrata lunedì 22 gennaio, ritornando ad una frase pronunciata in occasione del suo ingresso in diocesi (11 anni fa) con un “invito a diventare una Chiesa e una società generativa, ci richiama oggi alla condizione della donna nella Chiesa e nel mondo. Sul quadrante del tempo si può dire che ‘è giunta l’ora della donna’. Nel testo del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, Gesù parla della sua Pasqua, cioè del suo passaggio da questo mondo al Padre. L’evangelista si riferisce all’esperienza della maternità, per spiegare il passaggio dal dolore alla gioia, dal tempo della prova alla speranza della vita che nasce”.

Il vescovo ha condannato duramente ogni violenza sulle donne e sui bambini: “Non si può tuttavia considerare la donna solo come madre o sposa, ma anzitutto per se stessa in quanto donna. La dimensione femminile della vita e del mondo oggi è balzata al centro dell’attenzione proprio nel momento in cui assistiamo nella società contemporanea a tante forme tragiche e drammatiche di violazione delle donne.

Qui voglio dar voce al grido di dolore e alla più intransigente condanna di tutte le forme di violenza sulle donne e sui bambini: in una società avanzata, come ci vantiamo di essere, questo dramma è assolutamente incomprensibile e domanda una lotta senza quartiere contro tale cancro della vita umana e della società civile. E’ un orribile delitto che non si può in alcun modo accettare!”

Quindi occorre riflettere sul tema dell’incontro capace di superare la dualità tra femminile e maschile: “Per questo, bisogna ripensare il tema della donna a partire dall’esperienza della prossimità tra uomo e donna e della generazione dei figli. Tale duplice esperienza è il luogo dove la coscienza umana viene istruita sull’alterità dell’altro non solo nella linea di una astratta uguaglianza, ma nell’ottica del dono promettente dell’altro e del dono originario della vita nella generazione dei figli.

Solo l’evento dell’incontro tra uomo e donna e l’accoglienza grata della generazione dei figli può illuminare l’esperienza della reciprocità nella sua specificità. Non possiamo pensare l’uomo e la donna solo attraverso una illustrazione delle componenti ‘maschile’ e ‘femminile’, o addirittura mediante una descrizione della natura o del ruolo dell’uomo e della donna”.

E’ un cambio di mentalità, che invita a superare certi schemi patriarcali: “Se fino a non molto tempo fa la cultura sociale aveva fissato in modo ben definito i ruoli di maschile e femminile, i cambiamenti contemporanei hanno introdotto forti trasformazioni dei ruoli di genere, rendendo fluida l’identità psicologica e mettendo in crisi la polarità maschio-femmina. Inoltre, all’inizio del terzo millennio il tema della differenza uomo e donna è stato oscurato dal sorgere delle teorie del ‘genere’ che si sono imposte a partire dalla separazione di sesso (sex) e di genere (gender)…

Sul versante antropologico bisogna superare la prospettiva della ricerca di uno specifico femminile, che si esprimeva nella retorica del ‘genio femminile’. Sul versante ecclesiale e socioculturale è necessario superare un sistema contrassegnato ancora da molti tratti androcentrici e patriarcali. Faccio un breve approfondimento”.

Perciò è necessario un ripensamento all’interno della Chiesa: “Sul versante della vita ecclesiale s’impone il ripensamento della presenza della donna nelle comunità cristiane: la promozione di una ministerialità diffusa, il coinvolgimento delle donne nei movimenti laicali e negli organismi di partecipazione, i cambiamenti nella vita religiosa femminile, la partecipazione liturgica delle donne, l’apprezzamento del servizio femminile nella vita della Chiesa, l’apporto delle teologhe nella ricerca, docenza, formazione e pubblicistica. Ciò ha portato a un riconoscimento delle donne nella loro dignità battesimale e ha significato una trasformazione simbolica dello spazio dei poteri e dei ministeri ecclesiali, ridisegnato dalla presenza attiva della donna”.

Quindi occorre superare anche ruoli per troppo tempo codificati: “In modo pratico potremmo dire: una Chiesa di uomini e donne, corresponsabili nell’annuncio evangelico e nel servizio al mondo, deve assumere l’atteg­giamento di Gesù che ha incluso le donne nel suo movimento religioso integrandole come significative nell’annuncio del Regno”.

Ed ha offerto alcuni esempi per una proficua collaborazione: “Richiamo solo un paio di esempi su entrambi i fronti: nel mondo dell’educazione, si pensi solo alla scuola, la presenza di donne è esorbitante, perché s’introduce l’idea che la trasmissione della vita e della fede è ridotta ai processi dell’infanzia, riservati alla donna-madre, da lasciarsi alle spalle una volta divenuti adulti.

Qui l’assenza del padre è vistosa, per l’immagine diffusa che a lui siano riservati il potere, l’amministrazione e l’economia. Altrettanto si potrebbe dire dell’ampio spazio della carità e del servizio troppo facilmente ricondotto alla capacità di cura, che sarebbe tipica del mondo femminile.

D’altra parte, le forme organizzative e decisionali nella Chiesa e nella società (ministeri, consigli, servizi e rappresentanze, ecc.) sono tutte fortemente presidiate dal maschile, quando la presenza delle donne non sia sentita con fastidio e in concessione decorativa, senza effettivamente beneficiare delle azioni, decisioni e operazioni proprie della capacità femminile di potere e di fedeltà”.

Su tale strada occorre camminare per un ripensamento del ruolo della donna e dell’uomo nella Chiesa e nella società: “Abbiamo bisogno di più uomini e padri nell’educazione per far crescere la vita in formato grande e di più donne e madri nella vita sociale perché la società sia di più luogo della cura e dell’accudimento dell’umano e meno spazio della competizione e del mercato.

Se diamo più spazio alle donne, saremo più umani e sarà giunta finalmente l’ora della donna!.. L’uomo e la donna nella loro diversità appaiono così un dono, non un concorrente che mette alla prova e di fronte al quale cautelarsi, affermando la propria parità e soggettività individuale”.

La mattinata si era aperta con il corteo civile che ha riportato nella basilica i vasi di fiori in metallo da issare sul maestoso lampadario per ricordare il miracolo delle rose, fiorite in pieno inverno e offerte dal primo vescovo della città, Gaudenzio, a sant’Ambrogio, suo ospite.

(Foto: Diocesi di Novara)

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