Mons. Martinelli agli arabi: la vita è vocazione

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Lunedì 25 settembre il vicario apostolico per l’Arabia Meridionale, mons. Paolo Martinelli ha pubblicato la sua prima lettera pastorale, che prende spunto dal passo evangelico di san Giovanni, ‘Vieni e vedi (Giovanni 1:39), la vita è una vocazione’, indirizzata ai fedeli con l’invito a riflettere sul tema della propria vita come vocazione, richiamando l’attenzione sugli aspetti fondamentali della vita cristiana:

“Nel primo capitolo, dopo il maestoso prologo, che descrive il mistero di Dio e l’incarnazione del Figlio che ci rivela la vita divina (Gv 1,1-18), troviamo una storia molto semplice che ci ricorda l’essenza del cristianesimo. All’inizio del cristianesimo c’è la grazia dell’incontro.

Giovanni Battista vede Gesù venire verso di lui; lo riconosce: è l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo. Due suoi discepoli, probabilmente Andrea e Giovanni, lo stesso autore del Vangelo, cominciano a seguirlo. Ad un certo punto, Gesù si accorge di essere seguito; si volta e chiede: Che cosa cerchi?”

Fin da subito mons. Martinelli focalizza l’attenzione sul verbo restare: “La domanda dei discepoli utilizza un verbo cruciale: restare. E’ un verbo che il vangelo di Giovanni utilizzerà più volte per descrivere il rapporto di Gesù con i suoi discepoli. 

Ad esempio, Gesù dice, verso la fine della sua missione, che dobbiamo ‘rimanere’ in Lui come i tralci nella vite per portare frutto (Gv 15,1-17). O quando li invita a ‘rimanere’ nel suo amore per Lui, come Lui ‘rimane’ nel Padre e nel suo amore per Lui (Gv 15,10)”.

Con questo dialogo, apparentemente insignificante, inizia il cristianesimo: “Il cristianesimo comincia con un incontro, con un invito a stare con Gesù. Il cristianesimo è fatto da coloro che hanno incontrato Gesù e hanno accettato il suo invito a seguirlo.

Il Vangelo ci racconta che i discepoli lo seguirono e videro dove abitava. Sorprendentemente, il Vangelo non riporta il loro dialogo quel pomeriggio. Si dice soltanto che videro la sua abitazione, la sua casa. Una casa semplice. Era la casa di un falegname. 

Potrebbero aver incontrato la Madre di Gesù, Maria. I discepoli potrebbero aver visto il rapporto semplice e profondo tra Gesù e Maria. Questo rapporto continuerà fino alla fine della missione di Gesù, quando ritroveremo Maria sotto la croce insieme a Giovanni, il discepolo amato”.  

E san Giovanni riporta nella narrazione evangelica anche l’ora precisa: “Perché ricorda dopo tanti anni il momento di quell’incontro? Perché quell’avvenimento cambiò tutto nella sua vita, come in quella degli altri discepoli. 

Tutta la loro vita è stata trasformata da quell’incontro, sulle rive del fiume Giordano. Niente è rimasto più come prima dopo l’incontro con il Signore Gesù. Quell’incontro diede alla loro vita un nuovo orizzonte. Seguendo Gesù, i discepoli concepirono la loro vita in modo diverso. Hanno cambiato mentalità”.

Questo incontro degli apostoli con Gesù continua ancora oggi grazie alla testimonianza di tanti cristiani: “Come ci ha raggiunto Gesù? Attraverso la Chiesa, la testimonianza dei cristiani, attraverso la comunità cristiana, guidata dai vescovi successori degli apostoli, dai sacerdoti e dai diaconi, attraverso le persone consacrate, e tutti i cristiani che hanno testimoniato la bellezza dell’incontro con Gesù. La fede cristiana ci ha raggiunto attraverso i nostri genitori e amici.

Il Vangelo è arrivato nelle nostre terre d’origine. Il Vangelo raggiunse le terre dell’Arabia. San Paolo ci ricorda già nelle sue lettere che venne in Arabia dopo aver incontrato Gesù sulla via di Damasco”.

Ma in particolare per gli arabi attraverso la testimonianza di sant’Areta, di cui in Arabia si celebra un anno giubilare, che inizia mercoledì 8 novembre: “Quest’anno celebriamo il giubileo, insieme al Vicariato Apostolico dell’Arabia Settentrionale, commemorando il 1500° anniversario del martirio di sant’Areta e dei suoi compagni a Najrān. 

Questa città fu sede di una delle più grandi comunità cristiane dei primi secoli. Najrān si trovava nell’antico Yemen, attualmente si trova in Arabia Saudita. Ricordando la loro testimonianza, ci rendiamo conto che, fin dall’antichità, i cristiani hanno abitato la terra in cui ora viviamo. E noi facciamo parte di questa bellissima storia, la storia della Chiesa nella penisola arabica”.

Poi il vicario apostolico ha ribadito che la Chiesa è formata da un popolo di battezzati: “Siamo tutti battezzati e formiamo un solo popolo, il popolo di Dio che vive in Arabia. Essere Chiesa significa essere chiamati a camminare insieme. 

L’anno scorso ho visitato tutte le nostre parrocchie negli Emirati Arabi Uniti e in Oman. A causa del conflitto in corso non ho ancora potuto andare nello Yemen. Sono però in costante contatto con le suore Missionarie della Carità e il loro sacerdote, che si prende cura anche dei fedeli”.

E non ha importanza la diversa provenienza, in quanto il battesimo rende uniti: “Ma non dobbiamo dimenticare che la nostra Chiesa ha origine dal primo incontro tra Gesù e i suoi primi discepoli. Questo incontro, capace di cambiare la vita, si è sviluppato nei nostri Paesi e ha dato origine a numerose Chiese locali.

Le nostre lingue sono diverse, ma abbiamo la stessa fede cattolica. Abbiamo tradizioni spirituali diverse, ma formiamo un solo corpo; siamo membra dell’unico corpo di Cristo, chiamati a testimoniare tutto l’amore di Dio. 

Incontrando tutti i gruppi e le diverse comunità linguistiche, spesso mi sono chiesto: cosa può tenere insieme tante persone diverse? L’incontro con Gesù ci unisce. Il battesimo ci unisce. Siamo battezzati. Anche se siamo molte membra, formiamo un solo corpo”.

E’ un invito a ricordare il giorno del battesimo: “Fratelli e sorelle, non dimentichiamo mai il nostro battesimo. Ti invito sempre a ricordare la data del tuo compleanno e il giorno del tuo battesimo. Festeggia questo giorno! 

In questo modo ricordiamo che tutti abbiamo ricevuto la vocazione alla santità. Se dimentichiamo la nostra fondamentale vocazione ad essere figli di Dio, allora tra noi prevalgono divisioni e interessi di parte. Se viviamo uniti nella fede e nell’amore, le nostre differenze diventano una ricchezza per tutti”.

Per questo il cristiano è chiamato alla vita: “Riflettiamo innanzitutto su questo fatto: ciascuno di noi è chiamato alla vita. Nessuno può dare la vita a se stesso. Nasciamo sempre da qualcuno che ci precede e che ci ha voluto e accolto: sono i nostri genitori e tutti coloro che ci hanno aiutato a crescere. Non nasciamo per caso ma perché Dio ci ha concepiti dall’eternità”.

E’ un invito a non dimenticare che la vita è vocazione all’amore, come ha detto sant’Agostino nel libro delle Confessioni: “Certo, tutto ciò che incontriamo nella vita ci attrae, ma risulta anche limitato. In tutte le cose vediamo il limite. 

Eppure il desiderio che abbiamo dentro il cuore è infinito…  Per questo, anche la nostra esperienza del limite delle cose e delle persone ci fa scoprire che siamo fatti per la pienezza della felicità, per incontrare Dio. Siamo fatti per l’infinito, per la vita eterna”.

A causa di tale invito di Gesù la vocazione chiama alla libertà, come ha sottolinea san Paolo ai Galati: “La vocazione di ciascuno di noi è una chiamata alla libertà, per questo, quando Dio chiama, non ci impone mai una scelta ma ci dona segni attraverso i quali possiamo verificare e discernere quale sarà la volontà di Dio per la nostra vita”.

E la vocazione consiste nell’unicità della persona: “Tutta l’azione della Chiesa deve preoccuparsi di aiutare i fedeli, soprattutto i giovani, a discernere la loro vocazione e a comprendere ciò che Dio ha preparato per loro.

Ognuno di noi è unico e irripetibile, e ognuno di noi è al mondo perché ha una missione speciale da compiere. Per questo è importante discernere insieme la vostra vocazione. Come diceva questo grande giovane, il Beato Carlo Acutis: tutti nasciamo originali perché ciascuno di noi è stato voluto e progettato da Dio per cose grandi. 

Ma spesso viviamo e moriamo come fotocopie. Rischiamo cioè di vivere non secondo il progetto che Dio ha preparato per noi, ma in modo superficiale, lasciandoci influenzare dalla mentalità mondana e rischiando così di buttare via i doni di Dio”.

Solo in questo modo si possono costruire un mondo fraterno, comunicando la gioia del Vangelo: “Desideriamo dare il nostro contributo alla buona vita di tutti. In particolare, vogliamo coltivare e approfondire i rapporti con tutte le persone di buona volontà, di altre fedi e religioni, come ci invita a fare papa Francesco, per costruire insieme un mondo più umano e fraterno in vista del Regno dei cieli”.

Ed infine un riferimento alla ‘Casa della Famiglia Abramitica: “Pochi mesi fa, come sapete, è stata inaugurata ad Abu Dhabi la Casa della Famiglia Abramitica, che affonda le sue radici nel documento sulla Fraternità umana firmato da papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar, Sheikh Ahmed El-Tayeb. 

Si tratta di una struttura con tre luoghi di culto: una Moschea, una Sinagoga e una Chiesa dedicata a san Francesco d’Assisi. E’ un’ottima occasione per coltivare buoni rapporti con i fedeli delle altre religioni e per dare la nostra testimonianza di una vita buona, promuovendo la pace e la giustizia”

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