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Papa Francesco: i martiri sono i testimoni della bellezza di Dio
Sono state tante le storie di martiri emerse nel convegno organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi sul tema ‘Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita’, che, iniziato lunedì 11 novembre, all’Istituto Patristico Augustinianum a Roma, si è concluso oggi con l’udienza da papa Francesco. Le conclusioni, ieri pomeriggio, del prefetto del dicastero, il card. Marcello Semeraro, hanno evidenziato che ‘i martiri non sono stati e non sono degli eroi insensibili alla paura, all’angoscia, al panico, al terrore, al dolore fisico e psichico’. Infine il cardinale ha sottolineato che dalle relazioni è emerso che “il numero dei martiri cristiani non corrisponde affatto a quelli beatificati o canonizzati, ma c’è, al contrario, un intero, grande popolo di martiri”.
Nell’udienza papa Francesco ha evidenziato il tema del seminario di studio: “Esso aveva come Parola-guida quella di Gesù nel Vangelo di Giovanni: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici’. E per beatificare un martire non ci vuole il miracolo. Il martirio è sufficiente… così risparmiamo un po’ tempo… e carte e soldi. E questo dare la vita per i propri amici, è una Parola che infonde sempre conforto e speranza. Infatti, nella sera dell’Ultima Cena il Signore parla del dono di sé che si sarebbe consumato sulla croce. Soltanto l’amore può dare ragione della croce: un amore così grande che si è fatto carico di ogni peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dà la forza di sopportarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci. Nella Croce di Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immensa misericordia”.
Quindi la santità ha bisogno dell’amore di Dio, come è sottolineato nella Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium): “Per essere santi non occorre soltanto lo sforzo umano o l’impegno personale di sacrificio e di rinuncia. Prima di tutto bisogna lasciarsi trasformare dalla potenza dell’amore di Dio, che è più grande di noi e ci rende capaci di amare anche al di là di quanto pensavamo di essere capaci di fare.
Non a caso il Vaticano II, a proposito della vocazione universale alla santità, parla di ‘pienezza della vita cristiana’ e di ‘perfezione della carità’, in grado di promuovere ‘nella stessa società terrena un tenore di vita più umano’. Questa prospettiva illumina anche il vostro lavoro per le cause dei santi, un servizio prezioso che offre la Chiesa, affinché non le venga mai meno il segno della santità vissuta e sempre attuale”.
Ed ha sottolineato alcuni temi emersi dal convegno: “Durante il Convegno avete riflettuto su due forme della santità canonizzata: quella del martirio e quella dell’offerta della vita. Fin dall’antichità i credenti in Gesù hanno tenuto in grande considerazione coloro che avevano pagato di persona, con la vita stessa, il loro amore a Cristo e alla Chiesa. Facevano dei loro sepolcri dei luoghi di culto e di preghiera. Si trovavano insieme, nel giorno della loro nascita al cielo, per rinsaldare i legami di una fraternità che in Cristo Risorto oltrepassa i limiti della morte, per quanto cruenta e sofferta”.
Il martire è colui che segue Gesù, che va bel aldilà della propria confessione religiosa: “Nel martire si trovano i lineamenti del perfetto discepolo, che ha imitato Cristo nel rinnegare sé stesso e prendere la propria croce e, trasformato dalla sua carità, ha mostrato a tutti la potenza salvifica della sua Croce. Mi viene in mente il martirio di quei bravi libici ortodossi: morivano dicendo: ‘Gesù’. ‘Ma padre, erano ortodossi!’ Erano cristiani. Sono martiri e la Chiesa li venera come propri martire… Con il martirio c’è uguaglianza. Lo stesso succede in Uganda con i martiri anglicani. Sono martiri! E la Chiesa li prende come martiri”.
Ed ecco gli elementi che determinano il martirio: “Nell’ambito delle cause dei santi, il sentire comune della Chiesa ha definito tre elementi fondamentali del martirio, che restano sempre validi. Il martire è un cristiano che (primo) pur di non rinnegare la propria fede, subisce consapevolmente una morte violenta e prematura. Anche un cristiano non battezzato, che è cristiano nel cuore, confessa Gesù Cristo con il Battesimo del sangue. Secondo: l’uccisione è perpetrata da un persecutore, mosso dall’odio contro la fede o un’altra virtù ad essa connessa; e terzo: la vittima assume un atteggiamento inatteso di carità, pazienza, mitezza, a imitazione di Gesù crocifisso. Ciò che cambia, nelle diverse epoche, non è il concetto di martirio, ma le modalità concrete con cui, in un determinato contesto storico, esso avviene”.
Infine ha ribadito della commissione ‘Nuovi Martiri – Testimoni della Fede’ in occasione dell’anno giubilare: “Poiché si trattava di definire una nuova via per le cause di beatificazione e canonizzazione, stabilivo che dovesse esserci un nesso fra l’offerta della vita e la morte prematura, che il Servo di Dio avesse esercitato almeno in grado ordinario le virtù cristiane e che, soprattutto dopo la sua morte, fosse circondato da fama di santità e fama di segni.
Ciò che contraddistingue l’offerta della vita, nella quale manca la figura del persecutore, è l’esistenza di una condizione esterna, oggettivamente valutabile, nella quale il discepolo di Cristo si è posto liberamente e che porta alla morte. Anche nella straordinaria testimonianza di questa tipologia di santità risplende la bellezza della vita cristiana, che sa farsi dono senza misura, come Gesù sulla croce”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ai belgi: la misericordia costruisce il futuro
Al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha preso da Bruxelles per rientrare a Roma con un volo della Brussels Air Line il Papa fa rientro in Vaticano, salutando la delegazione belga con un pensiero nel libro d’onore dell’aeroporto: “Grato per l’accoglienza ricevuta alla Basa aerea di Melsbroek, auspico che essa sia sempre a servizio della pace nel Belgio, in Europa e nel mondo intero”.
E prima del ritorno in Vaticano papa Francesco ha ricordato la Giornata del Migrante e del Rifugiato, sottolineando che il Belgio è terra di arrivo di tanti migranti: “Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema ‘Dio cammina con il suo popolo’.
Da questo Paese, il Belgio, che è stato ed è tuttora meta di tanti migranti, rinnovo all’Europa e alla Comunità internazionale il mio appello a considerare il fenomeno migratorio come una opportunità per crescere insieme nella fraternità, e invito tutti a vedere in ogni fratello e sorella migrante il volto di Gesù che si è fatto ospite e pellegrino in mezzo a noi”.
Inoltre ha invitato a pregare per le nazioni martoriate dalla guerra: “Continuo a seguire con dolore e con tanta preoccupazione l’allargamento e l’intensificazione del conflitto in Libano. Il Libano è un messaggio, ma in questo momento è un messaggio martoriato, e questa guerra ha effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno in Medio Oriente.
Preghiamo per le vittime, per le loro famiglie, preghiamo per la pace. Chiedo a tutte le parti che si cessi immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele. Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina”.
Infine ha sottolineato l’importanza della recita dell’Angelus: “Questa preghiera, molto popolare nelle passate generazioni, merita di essere riscoperta: è una sintesi del mistero cristiano, che la Chiesa ci insegna a inserire in mezzo alle occupazioni quotidiane. Ve la consegno, specialmente ai giovani, e vi affido tutti alla nostra Madre Santissima, che qui, accanto all’altare, è raffigurata come Sede della Sapienza. Sì, abbiamo bisogno della sapienza del Vangelo! Chiediamola spesso allo Spirito Santo”.
Nell’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva del viaggio apostolico nello stadio ‘Re Baldovino’ papa Francesco ha parlato della libertà dello Spirito Santo: “Ce ne parlano la prima Lettura e il Vangelo, mostrandoci l’azione libera dello Spirito Santo che, nel racconto dell’esodo, riempie del suo dono di profezia non solo gli anziani andati con Mosè alla tenda del convegno, ma anche due uomini che erano rimasti nell’accampamento”.
Ed ha definito parole sagge quelle del libro dei Numeri: “Sono parole sapienti, che preludono a ciò che Gesù afferma nel Vangelo. Qui la scena si svolge a Cafarnao, e i discepoli vorrebbero a loro volta impedire ad un uomo di scacciare i demoni nel nome del Maestro, perché, affermano, ‘non ci seguiva’, cioè ‘non è nel nostro gruppo’…
Osserviamo bene queste due scene, quella di Mosè e quella di Gesù, perché riguardano anche noi e la nostra vita cristiana. Tutti infatti, con il Battesimo, abbiamo ricevuto una missione nella Chiesa. Ma si tratta di un dono, non di un titolo di vanto.., Egli continua a riporre in noi con amore di Padre, vedendo in noi quello che noi stessi non riusciamo a scorgere. Per questo ci chiama, ci invia e ci accompagna pazientemente giorno per giorno”.
E la libertà dello Spirito Santo avviene nella comunione, raccontata nella lettera dell’apostolo san Giacomo: “L’egoismo, come tutto ciò che impedisce la carità, è ‘scandaloso’ perché schiaccia i piccoli, umiliando la dignità delle persone e soffocando il grido dei poveri… Si crea un mondo in cui non c’è più spazio per chi è in difficoltà, né c’è misericordia per chi sbaglia, né compassione per chi soffre e non ce la fa. Non c’è”.
Ed ha rimarcato il dramma degli abusi sessuali nella Chiesa: “Pensiamo a quello che accade quando i piccoli sono scandalizzati, colpiti, abusati da coloro che dovrebbero averne cura, alle ferite di dolore e di impotenza anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nella comunità. Con la mente e con il cuore torno alle storie di alcuni di questi ‘piccoli’ che ho incontrato l’altro ieri. Li ho sentiti, ho sentito la loro sofferenza di abusati e lo ripeto qui: nella Chiesa c’è posto per tutti, tutti, tutti ma tutti saremo giudicati e non c’è posto per l’abuso, non c’è posto per la copertura dell’abuso”.
Quella del papa è stata una scelta precisa: “Chiedo a tutti: non coprite gli abusi! Chiedo ai vescovi: non coprite gli abusi! Condannare gli abusatori e aiutarli a guarire da questa malattia dell’abuso. Il male non si nasconde: il male va portato allo scoperto, che si sappia, come hanno fatto alcuni abusati e con coraggio. Che si sappia. E che sia giudicato l’abusatore. Che sia giudicato l’abusatore, sia laica, laico, prete o vescovo: che sia giudicato”.
E’ stato un chiaro invito alla scelta della misericordia: “Se vogliamo seminare per il futuro, anche a livello sociale ed economico, ci farà bene tornare a mettere alla base delle nostre scelte il Vangelo della misericordia. Gesù è la misericordia. Tutti noi, tutti, siamo stati misericordiati. Altrimenti, per quanto apparentemente imponenti, i monumenti della nostra opulenza saranno sempre colossi dai piedi di argilla. Non illudiamoci: senza amore niente dura, tutto svanisce, si sfalda, e ci lascia prigionieri di una vita sfuggente, vuota e senza senso, di un mondo inconsistente che, al di là delle facciate, ha perso ogni credibilità, perché? Perché ha scandalizzato i piccoli”.
Ed ha concluso l’omelia con la parola della testimonianza attraverso la vita di Anna di Gesù: “E così giungiamo alla terza parola: testimonianza. Possiamo prendere spunto, in proposito, dalla vita e dall’opera di Anna di Gesù, Anna de Lobera, nel giorno della sua Beatificazione. Questa donna è stata tra le protagoniste, nella Chiesa del suo tempo, di un grande movimento di riforma, sulle orme di una ‘gigante dello spirito’, Teresa d’Avila, di cui ha diffuso gli ideali in Spagna, in Francia e anche qui, a Bruxelles, e in quelli che allora erano chiamati Paesi Bassi Spagnoli”.
La vita povera è stata una sua scelta: “In un tempo segnato da scandali dolorosi, dentro e fuori la comunità cristiana, lei e le sue compagne, con la loro vita semplice e povera, fatta di preghiera, di lavoro e di carità, hanno saputo riportare alla fede tante persone, al punto che qualcuno ha definito la loro fondazione in questa città come una ‘calamita spirituale’.
Per scelta, non ha lasciato scritti. Si è impegnata invece a mettere in pratica ciò che a sua volta aveva imparato, e con il suo modo di vivere ha contribuito a risollevare la Chiesa in un momento di grande difficoltà”.
Infine, dopo aver visitato la tomba del re Baldovino, che rifiutò di firmare la legge sull’aborto nel 1990, annuncia che darà una nuova spinta alla causa di beatificazione del re, iniziata nel 1995, il papa ha invitato i vescovi belgi a portare a termine la causa di beatificazione: “Al mio rientro a Roma avvierò il processo di beatificazione di Re Baldovino. Che il suo esempio di uomo di fede illumini i governanti. Chiedo che i vescovi belgi si impegnino per portare avanti questa causa”.
(Foto: Santa Sede)
L’Aquila: la Perdonanza è testimonianza di vita
Giovedì 29 agosto, presieduta da mons. Antonio D’Angelo, arcivescovo metropolita de L’Aquila, si è chiusa la Porta Santa di Santa Maria di Collemaggio, nella 730^ Perdonanza Celestiniana, con l’attribuzione all’arcivescovo emerito, card. Giuseppe Petrocchi, del premio del Perdono 2024, che ha ringraziato l’amministrazione comunale del capoluogo abruzzese: “Un impegno comune per promuovere, sempre e dovunque, la spiritualità e la cultura della riconciliazione e della pace. È un obbligo morale che discende dal fatto che siamo ‘stirpe’ di Celestino V, perciò ‘eredi’ della grazia di custodire e diffondere, a livello planetario, l’evento della Perdonanza, di cui questo Uomo di Dio è stato un geniale e provvidenziale profeta”.
Chiudendo la Porta Santa della Perdonanza mons. D’Angelo ha riflettuto sull’importanza della Misericordia con lo sguardo già proiettato verso il prossimo Giubileo, prendendo spunto dal Vangelo del racconto del martirio di san Giovanni Battista: “Il brano del Vangelo ci presenta l’episodio del martirio di san Giovanni Battista. E’ significativa l’espressione di san Giovanni: ‘Non ti è lecito’. Questa espressione richiama alla giustizia, alla verità della vita e delle scelte che si devono fare. Non si può fare come si vuole, c’è un codice interiore che regolamenta la vita”.
San Giovanni Battista mostra l’ambiguità del potere, che deve essere ‘vinta’ attraverso un percorso di riconciliazione: “La celebrazione della Perdonanza che si ripete ogni anno, deve aiutarci proprio in questo, vincere la nostra ambiguità, rafforzare le scelte e i valori che portiamo dentro. L’incontro con la Misericordia rigenera e genera la coscienza di ogni persona, accogliendo l’invito di san Paolo ai Corinzi: ‘lasciatevi riconciliare con Dio’. Riconciliare è proprio mettere insieme, ricomporre o comporre una nuova realtà, perché si costruisca una vera sintonia tra le diverse dimensioni della persona umana e la vita relazionale”.
Il brano del Vangelo rimanda a san Celestino V: “San Celestino V ci dona questa testimonianza di equilibrio, di sintonia. Ciò lo possiamo cogliere dalla sua capacità di interpretare bene i vari momenti della vita, non senza difficoltà, ma sotto la luce di Dio, attingendo proprio dalla sua ricchezza interiore maturata nel tempo mediante l’ascolto della Parola e l’esperienza della Misericordia”.
La coerenza ai valori rende la persona ‘nobile’: “Bisogna sottolineare che la coerenza più difficile riguarda i valori che segnano la vita personale, quei valori che rendono nobile la persona. Essere veri e leali con se stessi è il principio attorno al quale ruota la grandezza di un uomo, dinamiche non immediatamente visibili agli altri. La vera nobiltà dell’uomo risiede nella sua intimità più profonda, sacrario nel quale si origina ogni sua scelta. Proprio in questo sacrario si costruisce la sua statura, luogo dove avviene l’incontro con la Misericordia, il perdono di Dio che tocca le corde più profonde della sua esistenza, non solo per guarire ma per generare il vero volto dell’essere umano”.
L’esempio è dato da san Giovanni Battista e da san Celestino V: “Uomini che hanno saputo tenere la loro posizione nei momenti cruciali della loro vita rimanendo fedeli a se stessi. Se oggi siamo qui a venerarli, a raccogliere la loro eredità umana e cristiana, non è per un semplice cerimoniale ma, per fede, crediamo che quanto da loro donatoci è vero anche per noi”.
E’ stato un invito a lasciarsi riconciliare con Dio, come ha scritto san Paolo: “Lasciamo che l’Amore di Dio tocchi la nostra vita per scoprire, consolidare e sperimentare in pieno la bellezza della vita che ci è stata donata. L’esistenza ci è stata donata, quindi lasciamoci accompagnare da Colui che ci ha fatto questo dono, nello spirito di umiltà e obbedienza”.
L’omelia è stata chiusa con uno sguardo al prossimo Giubileo: “Siamo prossimi all’inizio del Giubileo, ci stiamo preparando celebrando ‘l’Anno della Preghiera e del Perdono’, due coordinate fondamentali per il cammino della vita. La fede non è un optional nel corso dell’esistenza ma fuoco che illumina gli eventi della vita per fa entrare nell’eternità, non come tempo, ma come pienezza di vita in comunione con Dio…
Non lasciamoci rubare la vita da lucciole che non hanno consistenza, ma lasciamoci illuminare dal sole di Cristo, ‘via, verità e vita’. Sia il Vangelo della Misericordia a sostenere i passi della nostra vita per aprirci alla Speranza di una vita nuova”.
Ed aprendo la Porta Santa nella basilica di Collemaggio l’arcivescovo emerito, card. Giuseppe Petrocchi, ha ‘focalizzato’ l’omelia su san Celestino V: “Celestino, uomo coraggioso e profetico, è maestro e guida sulle vie della Parola e della Comunione, ecclesiale e sociale. Per ‘celestinizzare’ il nostro stile di vivere la Perdonanza occorre anzitutto assumere un autentico atteggiamento ‘penitenziale’.
Bisogna, perciò, entrare attraverso la ‘Porta Santa’ in compagnia della virtù dell’Umiltà, che rende capaci di “dirsi” e “sentirsi dire” la verità nell’amore. Questa lealtà, dai lineamenti biblici, mette allo scoperto le nostre negatività: illumina le zone d’ombra e le rende visibili. Ciò ci consente di ‘ispezionare’, con sapienza evangelica, i ‘tunnel’ dell’anima in cui sono occultati pensieri, sentimenti e comportamenti macchiati dal peccato, per poi avviare un processo di ‘purificazione’ della memoria”.
E dal perdono deriva la pace: “La Perdonanza è madre feconda e la sua figlia prediletta è la Pace: con se stessi e con gli altri. Discorso che ci interessa molto come credenti e abitanti di questa epoca storica: ma viene avvertito con vibrante intensità in questi giorni attraversati da drammatici ed impetuosi venti di guerra… Perdono, Giustizia e Pace, dunque, sono un trinomio inscindibile per edificare un mondo secondo Dio e, proprio per questo, degno dell’uomo”.
(Foto: arcidiocesi de L’Aquila)
Anna Bonanno: una testimonianza di fede viva ancora oggi
Mi hanno messa a conoscenza di questa storia. Ringrazio Giorgia Rapisarda, la nipote di Anna. Ci sono persone speciali che, pur non seguendo il percorso della canonizzazione, sono un esempio da vita cristiana. Per Giorgia, sua nonna è una testimone di Fede e vuole farla conoscere.
Questo articolo non vuole dire, se e quanto, Anna Bonanno sia santa, vuole solo mostrare una vita gradita a Dio durante il viaggio terreno e anche dopo il suo ritorno al cielo. Questo articolo racconta fatti portati alla luce da Giorgia e da Luigi Bulla, che ha condiviso il di lei testo sui social. Ma chi è Anna Bonanno?
Anna Bonanno nasce a Borrello (Belpasso) giovedì 27.08.1931. Riceve il sacramento del Battesimo quando è in pericolo di vita, l’08.09 dello stesso anno. Sin da piccola mostra una forte sensibilità alla Fede e un grande amore verso Dio. Riceve la Prima Comunione, a soli 7 anni, presso l’Istituto delle Suore del Sacro Cuore di Gesù di Acate (RG). Con la famiglia, viva la prima infanzia e la Seconda guerra mondiale, dopo il trasferimento a Ragusa.
Nel novembre del 1941, nonostante abbia solo 10 anni, riceve il Sacramento della Confermazione nella Chiesa Madre di Acate. Dopo la guerra e la tragica morte prematura del padre e del fratello Alfredo, Anna torna a vivere a Belpasso. Frequenta l’Istituto Magistrale Regina Elena, dove si diploma il 18.10.1952. Anna è una giovane ragazza piena di bellezza e talento, una promessa del cinema e del teatro che, però, preferisce, infatti, dedicarsi pienamente alla sua famiglia.
Dopo poco, incontra Stefano, l’amore della sua vita. I due si fidanzano ufficialmente il 06.04.1958, domenica di Pasqua. L’01.06.1960, nella Parrocchia S. Maria della Mercede, i due si sposano.
Anna è una donna innamorata della sua famiglia: cresce, infatti, anche sua cugina Letizia, più piccola di vent’anni. E’ una donna piena di Spirito Santo che, con la sua Fede, riesce a convertire delle persone lontane da Dio, fa diversi sogni premonitori e organizza gruppi di preghiera e recita del Santo Rosario.
Anna ha una marea di passioni e interessi, come la lettura e la scrittura di lettere. Grande amante di piante e fiori, coltiva alcuni di essi nel giardino di casa. Nasce al Cielo in modo improvviso, a causa di due ictus, a soli 61 anni, mercoledì 28.07.1993. Si trova presso il Policlinico di Catania e da lí lascerà questo mondo per il cielo. Il giorno successivo, nel Santuario della Addolorata in Mascalucia, circondata da molta gente che tanto l’ha amata e ammirata nel suo pellegrinaggio terreno, si svolge il funerale .
Dalla sua nascita al Cielo ad oggi, non smette di stupire la sua presenza in questo mondo. Molte persone, infatti, dicono che è venuta loro in sogno. Una volta, in particolare, ha annunciato che sarebbe nata, nonostante diverse difficoltà, sua nipote Giorgia. Questo in una data speciale: 6.04.1999.
E poi darà ancora molto altro, seppur dal cielo. Giorgia, consapevole che quella di sua nonna è una vita spesa per il prossimo più bisognoso d’amore, si impegna e riesce a dedicarle una sezione all’interno di un premio letterario.
Il Concorso Letterario Nazionale ‘Gaetano Trifoglio’ Estate di Versi Poesie del Solleone, giunto alla quinta edizione, prevede dei premi speciali: Il Premio religioso dedicato alla memoria del Sacerdote Luciano Cosentino, il premio giovani dedicato alla memoria del Giovane Salvo Vadalà, il premio all’amicizia dedicato a Gaetano Trifoglio, e d’ora in poi, il premio della critica memorial ‘Anna Bonanno’.
A Palermo il card. Parolin invita ad essere testimoni di fede
Il solenne Pontificale per il IV Centenario del ritrovamento delle spoglie mortali di Santa Rosalia a Palermo è stato presieduto dal segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, che nell’omelia ha ricordato tutti i martiri palermitani: “Rosalia continua ad essere un esempio di fedeltà e coraggio per vivere in comunione con Cristo e per promuovere giustizia e legalità”.
Nell’omelia il segretario di stato vaticano ha ricordato i testimoni della fede: “La testimonianza della fede in Gesù Cristo lega Rosalia agli altri Santi e Sante siciliani: Agata, Lucia, Gerlando, Vito, Alberto degli Abati, per citarne solo alcuni. Questi coraggiosi testimoni di Cristo hanno gettato il seme del Cristianesimo della Chiesa siciliana e noi oggi, frutto di quel seme fecondo, facciamo memoria di una di questi testimoni, la Vergine Rosalia, per venerarne con sentimenti di gratitudine, la testimonianza esemplare ed implorarne la protezione divina sulla Chiesa palermitana.
I santi di ogni tempo e luogo sono infatti modelli di fedeltà e di coraggio per tutti coloro che vogliono vivere secondo il Vangelo di Gesù. Siccome però non abbiamo un insegnamento diretto della nostra Santa siamo invitati ad accogliere l’insegnamento indiretto che ci viene impartito dalle Sacre Scritture che la Liturgia ci propone in occasione della sua festa”.
L’omelia è stato un invito ad ascoltare l’invito che Dio rivolge all’umanità: “Dio invita l’uomo, e quindi ciascuno di noi, a cercare il suo volto e ad ascoltare la sua parola. L’umanità desidera vedere Dio, l’abbiamo detto nel salmo responsoriale, L’umanità desidera vedere Dio, ma anche Dio desidera vedere il volto autentico dell’umanità…
L’umanità deve ascoltare la voce di Dio ma anche Dio ama ascoltare la voce dell’umanità. Comprendiamo bene allora che la santità cui siamo chiamati non è una statica perfezione morale ma una dinamica di relazione, non è solo essere buoni, certamente anche questo è parte fondamentale della santità, ma è soprattutto un’esperienza della vita stessa di Dio che include la dimensione dell’intimità, del silenzio, anche talvolta dell’assurdo che abita la nostra esistenza umana. La santità a cui oggi Rosalia ci richiama è correre il rischio di vivere la trasformazione operata in noi da Cristo, altrimenti la fede diventa una passione inutile”.
Infine ha invitato a promuovere la cultura della legalità, liberando la città dalle ‘pesti’ che la invadono: “Le reliquie di Santa Rosalia nel 1624 furono portate in processione per la città che fu così purificata e liberata da una grave epidemia di peste. Chiediamoci allora, cari fratelli e sorelle, qual è la peste che avvolge ancora la nostra città, che avvolge il mondo, un mondo che ha tanto bisogno di confronto con la verità e con l’esperienza di fede, quindi recuperiamo anche nelle celebrazioni del Festino un forte senso di sobrietà evangelica e di servizio che sono i veri valori incarnati da Rosalia”.
E questo può avvenire attraverso la testimonianza: “La città di Palermo ha perseguito la giustizia attraverso forme di testimonianza altissima, fino al sacrificio della vita. Qui ci sono i martiri della giustizia, tra i quali il caro don Giuseppe Puglisi. Nella memoria di tutti noi è rimasta impressa l’invettiva del cardinale Salvatore Pappalardo: Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata dai nemici, e questa volta non è Sagunto ma la nostra Palermo. Il clima era cupo in quegli anni ma la città seppe reagire. Dal sangue versato nacquero migliaia di voci e di esperienze sul cammino del cambiamento.
La Chiesa di Palermo continui anche adesso ad essere attenta e sollecita nel favorire processi e percorsi atti a promuovere la cultura della giustizia e della legalità, collaborando con le numerose associazioni che operano tra le maglie del tessuto urbano e che sono presenti sul territorio per aiutare la cittadinanza a superare una mentalità che può rischiare alle volte di essere in contrasto con la legalità”.
E nel messaggio alla città mons. Corrado Lorefice,arcivescovo di Palermo, ha chiesto a chi si vuole lasciare la città: “A questa nuova peste che, sotto i nostri occhi, camuffata di normalità e di ineluttabilità, sta contagiando i nostri giovani, cioè i nostri figli e nipoti, a Ballarò come al Cep, a Bagheria come a Termini Imerese?! Questa tremenda peste entra nelle nostre case, nelle nostre scuole, nei luoghi di ritrovo dei giovani, nei luoghi di divertimento e dello sport. Ci invade sotto i nostri occhi”.
E’ un preciso atto di accusa contro i trafficanti di droga: “Si diffonde come cosa ordinaria il consumo di crack e di altre droghe come il fentanyl, aggiunto all’eroina. Neonati ricoverati per overdose. Giovani piegati o stramazzati a terra. Esaltati, o depressi. A Palermo si abbassa anche l’età dei consumatori di droga. La prima dose si consuma anche a dieci anni. Penso a Ballarò e alle sue stradine, dove vediamo ragazzini e giovani distesi sui marciapiedi con lo sguardo perso, con gli occhi dello sballo da crack. Ragazze costrette a vendere i loro corpi per racimolare il prezzo di una dose. Non sono figli di altri, sono i nostri figli e ne siamo responsabili. Giovani, bambini, adescati per farli diventare dipendenti. Schiavi. Manipolabili. Consumatori”.
E’ un invito a non abbandonare i giovani: “Genitori, educatori, docenti, animatori delle comunità cristiane, rimaniamo accanto ai giovani, facciamo nostre le loro paure, le loro fragilità, le loro incertezze che noi adulti abbiamo provocato. Non li abbandoniamo. Ma stiamo con loro da adulti, non come adolescenti, con sapienza, come loro punti certi di riferimento. Noi adulti siamo sbandati. Depistati anche noi da questa mentalità individualista e da questa cultura che idolatra la soddisfazione illimitata dell’io, il profitto indiscriminato, il consumo sfrenato. Una cultura che crea scarti, emarginazione”.
Infine un invito ad una ‘sana’ indignazione: “Rosalia ci chiede di indignarci come e con lei, a metterci insieme per fare crescere una sensibilità di impegno civile e sociale. Ci chiede di alzarci. Di sbracciarci. Di liberarci da un falso perbenismo e dall’indifferenza. Diamo cibo robusto ai nostri giovani non frivolezze e assenza di presenza significativa. Testimoni di bene. Di vita. Di cura. Di responsabilità e libertà. Mettiamoci insieme per fare alleanze educative e impiantare cantieri educativi”.
(Foto: Arcidiocesi di Palermo)
XV Domenica Tempo Ordinario: la Chiesa cristiana è Chiesa missionaria!
Dopo l’accoglienza ostile di Nazareth, Gesù riprende il suo ministero itinerante invitando i Discepoli a collaborare. Il brano del vangelo ci fa rivivere la prima esperienza di apostolato: Gesù invia i suoi discepoli a due a due, secondo l’uso ebraico. Sino ad ora i discepoli sono stati sempre con Gesù, ascoltatori assidui; ora devono lanciarsi da soli sul cammino del vangelo. E’ la prima esperienza della Chiesa missionaria: il Vangelo narra il momento in cui Gesù invia i dodici in missione: è una sorta di tirocinio di quella missione che poi saranno chiamati a svolgere dopo la sua risurrezione.
Il brano si sofferma sullo stile che dovrà contraddistinguere il vero missionario, che possiamo sintetizzarlo in due punti: a) il centro di riferimento è sempre Cristo Gesù, il Salvatore; b) la missione degli apostoli ha poi un volto: la povertà dei mezzi: gli apostoli di Gesù non sono uomini qualificati per cultura, nè funzionari affermati o imprenditori ma gente semplici che conosce solo il lavoro per vivere; l’apostolo è chiamato a diffondere il messaggio di Cristo con la parole e la testimonianza di vita, sarà Dio ad operare la conversione.
Questa è la missione propria della Chiesa alla quale Gesù affida il compito di andare in tutto il mondo per predicare il Vangelo: non preoccupatevi di quello che dovete mangiare o bere o come vestirvi. Ogni discepolo di Cristo deve essere un missionario, un apostolo; è chiamato a diffondere la Parola di Cristo che è Via, Verità e Vita; a chi ha fede è assicurata la vita eterna.
L’azione missionaria non è un tentativo di imporre agli altri le proprie convinzioni o scelte di vita ma di annunciare il messaggio di Cristo che invita alla conversione, ci rivela la verità di Dio, l’amore misericordioso del Padre, l’opera di salvezza operata da Cristo Gesù, unico mediatore che ha dato la sua vita in riscatto per tutti.
Il Vangelo deve essere offerto e non imposto: Esso è potenza divina per la salvezza (Rom. 1, 6); non si può pertanto presentare con i criteri della pubblicità; esso è un messaggio di liberazione e deve raggiungere la profondità dello spirito. Bisogna predicare non per piacere agli uomini ma solo a Dio, che scruta i cuori degli uomini. Chi opera la conversione è sempre e solo Dio. Compito del cristiano è seminare, spargere il buon seme della parola di Dio e testimoniarlo con la propria vita.
Da questo seme si sviluppano poi le comunità cristiane che vengono aggregate alla Chiesa di Cristo. Il sacramento del Battesimo è la porta che inserisce l’uomo nella Chiesa ed ogni battezzato riceve nutrimento dalla parola di Dio e dal Pane dell’Eucaristia. Scopo e fine dell’attività missionaria rimane sempre quello di promuovere la dignità della persona umana elevata da Gesù con il Battesimo a ‘Figlio di Dio’ e ad invocare Dio: ‘Padre nostro che sei nei cieli’, Gesù inviando i suoi discepoli a due a due fa loro sperimentare la missione di evangelizzatori, carisma che si esercita grazie all’azione dello Spirito santo.
Questa azione missionaria poggia su due pilastri: la preghiera e il sacrificio perché il missionario deve essere uomo di fede e chiamato a vivere e a diffondere l’amore verso Dio e i fratelli. Da qui i martiri della fede: sacerdoti e laici coraggiosamente morti sul campo per diffondere con coraggio e amore il messaggio cristiano. Questa stessa missione è affidata anche alla famiglia cristiana, vera chiesa domestica, sempre soggetto ed oggetto di evangelizzazione.
Tutti siamo chiamati in sintesi a mettere a fuoco i talenti e i carismi ricevuti dalla Spirito santo. Questo, amici carissimi, è il Regno di Dio sulla terra che ci avvia verso il Regno di Dio nel cielo. Maria Santissima, la prima missionaria del Regno dei cieli, madre di Gesù e nostra, ci aiuti a diffondere con gioia e ovunque il messaggio di amore di Cristo Gesù.
L’arcivescovo di Milano in Perù per un viaggio missionario
Dal 15 al 26 luglio l’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, sarà in Perù in visita pastorale per incontrare i vescovi e le comunità che accolgono i cinque fidei donum diocesani, tre sacerdoti e una coppia di sposi.
Dopo l’arrivo lunedì nella capitale Lima e l’accoglienza in una struttura dell’Operazione Mato Grosso, movimento che opera in America Latina e in Italia al servizio dei più bisognosi, l’Arcivescovo si sposterà il giorno successivo nell’entroterra raggiungendo Huaycán (Diocesi di Chosica) dove incontrerà il Vescovo, mons. Jorge Izaguirre, e alcuni laici della Comunità Santo Spirito, originari della Diocesi di Milano, che da oltre trent’anni collaborano con le parrocchie della zona e portano avanti progetti sociali in favore delle famiglie più povere.
Mercoledì 17 luglio la partenza verso Pucallpa, dove mons. Delpini si fermerà fino a domenica. Qui l’incontro con quattro fidei donum ambrosiani: don Luca Zanta, in Perù dal 2017, don Tommaso Nava, arrivato nel 2021, e la famiglia Galbiati, composta dai coniugi Kumar e Marta con le loro figlie, Letizia di tre anni e Irene di 3 settimane; dal giugno 2022 la coppia gestisce un centro giovanile a Pucallpa. Sarà l’occasione per conoscere le comunità che accolgono i missionari ambrosiani e il Vescovo del Vicariato apostolico di Pucallpa, Augusto Martín Quijano Rodríguez.
Prima di ripartire l’Arcivescovo avrà modo di incontrare il gruppo di dieci giovani peruviani che l’anno scorso, in occasione della Giornata mondiale della gioventù a Lisbona, sono stati ospitati alcuni giorni nel decanato di Paderno Dugnano per una esperienza di gemellaggio tra le Chiese. Tra i giovani sudamericani e i loro coetanei che li hanno accolti sono nati legami di amicizia e a fine agosto gli italiani di Paderno vivranno un viaggio missionario a Pucallpa per riabbracciare i loro amici.
Seguirà lo spostamento a Chakas, a 3.400 metri di altitudine, dove l’Arcivescovo celebrerà la Messa sulla tomba di padre Ugo De Censi, il salesiano cofondatore dell’Operazione Mato Grosso, nel centenario della sua nascita. Mercoledì 24 luglio l’arrivo a Huacho, dove da 17 anni è impegnato un altro fidei donum ambrosiano, don Antonio Colombo, e l’incontro con il Vescovo della Diocesi locale, mons. Antonio Santarsiero. Il giorno dopo, prima della ripartenza per l’Italia, mons. Delpini sosterà in preghiera sulla tomba di don Vittorio Ferrari, fidei donum deceduto nel 2021 dopo 16 anni di missione in Perù.
Ad accompagnare l’Arcivescovo, che torna in Perù dopo un analogo viaggio nel gennaio del 2020, don Maurizio Zago, responsabile della Pastorale missionaria per la Diocesi di Milano, che spiega: «Anche se già incontrati qualche anno fa, la visita dell’Arcivescovo ai missionari diocesani e alle Chiese che li hanno accolti è sempre un momento di gioia e di conferma.
La gioia di sentirsi parte di una Chiesa di natura sua missionaria e la conferma nel servizio di testimonianza della fede che ogni missionario vive nella propria comunità. Inoltre, il viaggio missionario costituisce un forte stimolo anche per chi va a visitare: l’esperienza di una Chiesa diversa per cultura, tradizione ed esperienza ecclesiale offre sempre spunti per rinnovare la propria missione una volta rientrati».
I fidei donum sono sacerdoti e laici/laiche inviati all’estero come missionari dalle proprie Diocesi. Per quanto riguarda la Chiesa di Milano si contano attualmente 31 missionari – 28 sacerdoti, una laica consacrata e una coppia con figli – distribuiti tra Albania, Argentina, Brasile, Camerun, Colombia, Cuba, Messico, Niger, Perù, Repubblica Democratica del Congo, Turchia e Zambia.
In agosto mons. Delpini sarà impegnato in un altro viaggio missionario: dal 16 al 23 agosto si recherà nella Repubblica Democratica del Congo dove incontrerà due sacerdoti fidei donum ambrosiani, don Francesco Barbieri e don Maurizio Canclini, impegnati come missionari nel tormentato Paese dell’Africa subsahariana.
Mons. Lorefice: santa Rosalia invita a compiere scelte coraggiose
“Le sono grato per l’invito a partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia, presieduta dal Cardinale Parolin, in occasione del quarto Centenario del ritrovamento delle reliquie di Santa Rosalia… Come Sua Santità Francesco ha ricordato, Santa Rosalia è donna di speranza, che ha operato una scelta controcorrente. Una scelta, vorrei aggiungere, quasi di scandalo per i criteri della società in cui Santa Rosalia viveva e ancor più per quelli della società di oggi. Speranza e scelte coraggiose, fuori dalle convenienze: sono gli elementi di cui avvertiamo, con sempre maggiore urgenza, grande bisogno, nella speranza che le celebrazioni del Festino inducano a praticarle”: in occasione del Festino di santa Rosalia il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha scritto all’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, in occasione del Giubileo Rosaliano.
Ed oggi l’arcivescovo di Palermo ha celebrato una messa per la Casa comunale, invitando le Istituzioni a far ‘fiorire’ la città: “Rosalia è fiorita e fiorisce, qui a Palermo, come un giglio profumato e come una rosa fulgida, perché è stata pervasa dall’amore di Dio. Dio trasfigura la vita di noi umani, di noi creature! Rosalia siamo noi! A maggior ragione se siamo stati rigenerati dalle acque battesimali, se portiamo nel nostro DNA umano il DNA divino di Cristo Gesù”.
Ed ha ripetuto il messaggio di papa Francesco, fatto alcuni giorni fa, con l’invito ad aprirsi alla speranza: “Siamo di fronte ad una scelta epocale. Il Giubileo di Rosalia ce la mette davanti. I giorni che verranno potranno essere giorni di grazia, in cui fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, consolare tutti gli afflitti annunziare la gioia dell’alba di un mondo nuovo. Per farlo però dobbiamo avere il coraggio di abitare nella notte e di stare accanto alla sentinella di Isaia, chiedendole incessantemente, tutti insieme: ‘Sentinella, quanto resta della notte?’ Rosalia è la sentinella della nostra Palermo”.
E’ un invito a prestare attenzione alle domande di chi ha bisogno: “Dobbiamo ripetere all’infinito la nostra domanda e quella che sale dalla Città, affiancando i disperati, i senza luce, tutti coloro che in carcere o sulle nostre strade sempre più insicure e accidentate gridano senza voce il loro desiderio di vita, di riscatto e di liberazione; gli scoraggiati e gli abbandonati nelle nostre case, negli ospedali e nelle case di riposo per anziani; ascoltando il lamento che sale dai vicoli e dalle piazze del centro storico segnati da violenza, furti e aggressioni, dallo spaccio a viso aperto delle nuove devastanti droghe che travolgono i nostri giovani”.
A queste domande si deve dare voce, nel ricordo della strage in cui persero la vita Borsellino e gli agenti della scorta: “Dobbiamo levare noi la nostra voce, per tutti i dimenticati, per quelli che restano all’ombra del dolore: nella nostra Palermo bella, tormentata e tormentosa. Nella nostra Palermo che si appresta a fare memoria di un suo illustre cittadino, il giudice Paolo Borsellino e degli uomini e donne della sua scorta barbaramente uccisi dalla mafia, strage che attende ancora (non senza connivenze, silenzi e depistaggi) verità e giustizia”.
Perciò la testimonianza di vita di Paolo Borsellino non deve essere persa: “Rosalia ci annuncia oggi che la parola in cui è racchiusa la speranza non è l’odio ma l’amore, l’unica vera forza trasformante la convivenza umana. I tanti martiri della giustizia e della fede della nostra città ce lo confermano. Il 20 giugno 1992 Paolo Borsellino, facendo memoria del suo fraterno amico Giovanni trucidato insieme alla scorta a Capaci disse: ‘Perché non si è turbato; perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!’ Chi ama Dio ama la città. Spera per e con la Città”.
E’ n invito agli amministratori locali di ‘servire’ la città per amore: “Questi hanno contribuito alla liberazione e alla trasfigurazione di Palermo amandola perdutamente: ‘amore urbis meae’. Amministratori di questa nostra Città il Giubileo Rosaliano vi chiede, vi ordina di amare questa Città! Chiede e ordina a tutti noi di amarla, con tutto il nostro essere, il nostro cuore, le nostre forze. Dimentichi di noi stessi, senza la ben minima ombra di un interesse personale o di parte. Disinteressatamente. Solo per amore”.
Infine leggendo il messaggio inviatogli al presidente Mattarella l’arcivescovo ha invitato i cittadini a compiere scelte ‘coraggiose’: “Rosalia ha vegliato e veglia su questa Città, ma veglierà anche su come saremo autenticamente capaci di praticare ‘scelte coraggiose, fuori dalle convenienze’ per dare gambe alla speranza di quanti la abitano come Casa Comune. Perseveriamo nell’amore, perché Palermo ha bisogno di chi la ami con i fatti e non solo a parole. Santa Rosalia, prega e veglia su questa tua Città”.
Mentre ieri l’arcivescovo di Palermo ha aperto le porte del palazzo arcivescovile per dialogare con i rappresentanti di tutti i popoli e religioni presenti in città: “Ci ritroviamo stamattina per innalzare il vessillo della diversità come benedizione, come preziosa risorsa. Per dire che la convivenza è possibile, che l’inimicizia non è scritta nel DNA della storia, che la guerra non è il destino del mondo. Lo diciamo sommessamente nella preghiera che ci unisce in quanto anelito, in quanto sospiro dell’umano levato verso l’altro, verso l’oltre, in tutte le lingue e in tutti i modi possibili.
Ma lo gridiamo anche, in questa ‘casa delle genti’, così come nella piazza di Palermo (simbolo di ogni piazza del mondo), perché non possiamo rassegnarci a una Terra violentata dalla perversa logica economica della massimizzazione del profitto, divisa e ferita dall’ingiustizia e dal sopruso, in cui i poveri, i piccoli vengono calpestati, annientati, trattati da escrementi della storia da parte di chi non sa che il loro esserci è il fango, l’adamà della vita”.
Ed ha narrato la storia di come fu ritrovato il corpo di santa Rosalia grazie ad una donna, Girolama La Gattuta: “Girolama trova il corpo di una donna che sarà la salvezza di Palermo dalla peste. E’ molto bello che stamattina ci ritroviamo per ricordare assieme questa scena così emozionante, 400 anni dopo. E’ Girolama, è una donna a essere scelta per riportare a Palermo il corpo di Rosalia. E’ un dato su cui riflettere. In una società come quella del XVII secolo, in un contesto storico in cui nulla era concesso alle donne del popolo, Rosalia ha scelto una donna come Girolama, in qualità di ‘apostola’ della sua memoria e della sua carne, così come Gesù di Nazareth scelse in quel mattino di Pasqua di farsi incontrare e annunciare dai soggetti meno credibili e considerati nella tradizione culturale del suo tempo: un manipolo di povere donne intrepide e amanti”.
E spesso le donne sono portatrici di ‘belle’ notizie: “Si parla tanto oggi della questione femminile, del divario di genere, della violenza sulle donne, piaghe di un mondo che fatica a riconoscere i nuovi soggetti, a fare spazio a chi non ne ha o non ne ha mai avuto. In questo contesto, il rinvenimento di Girolama ha il valore di una profezia. Il cammino di manifestazione della potenza e della bellezza del femminile è iniziato, nel racconto del Vangelo di cui oggi io sono testimone in mezzo a voi, [è iniziato] il mattino di Pasqua, si è rinnovato ogni volta che una donna ha offerto la propria testimonianza viva dell’euanghelion fino alla morte, ha attraversato popoli e culture. È stato il cammino di Sarah e di Rachele, di Ester e di Ruth, di Maria di Nazareth e di Maria di Magdala, di Mahapajapati Gotami e di Fatima al-Fihri, di Caterina da Siena e di Ildegarda di Bingen, di Rosalia Sinibaldi e Sarada Devi, di Etty Hillesum e di Nadia Murab”.
(Foto: Arcidiocesi di Palermo)
Papa Francesco invita i palermitani ad affidarsi a santa Rosalia
“La felice ricorrenza del IV Centenario del ritrovamento del corpo di Santa Rosalia è una speciale occasione per unirmi spiritualmente a Voi cari figli e figlie della Chiesa palermitana, che desidera elevare al Padre celeste, fonte di ogni grazia, la lode per il dono di così sublime figura di donna e di ‘apostola’, che non ha esitato ad accogliere le prove della solitudine per amore del suo Signore. Il mio deferente pensiero va a Te caro fratello Corrado, alle Autorità civili e militari, come pure saluto con affetto i sacerdoti, le religiose ed i religiosi, gli appartenenti alle tante Confraternite, ai movimenti laicali, e quanti nel corso di questo Anno giubilare hanno aderito nella preghiera apprendendo da Santa Rosalia la passione per i poveri e la fedeltà alla Buona Notizia”.
Così inizia il messaggio inviato da papa Francesco a mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, in occasione del IV centenario del ritrovamento delle spoglie della loro patrona, santa Rosalia, in programma fino al 15 luglio, in occasione dell’imminente conclusione dell’Anno Giubilare Rosaliano.
Nel messaggio papa Francesco ha ripreso il motivo della santa palermitana, ‘Per amore Domini mei’, come scelta controcorrente: “La vita del cristiano, sia ai tempi in cui visse la nostra Vergine eremita sia ai giorni nostri, è costantemente segnata dalla croce; i cristiani sono coloro che amano sempre, ma spesso in circostanze in cui l’amore non è compreso o è addirittura rifiutato.
Ancora oggi si tratta di una scelta controcorrente, poiché chi segue Cristo è chiamato a far sua la logica del Vangelo che è speranza, che decide nel suo cuore di fare spazio all’amore per donarlo agli altri, per sacrificarlo a favore del fratello, per condividerlo con quanti non lo hanno sperimentato a causa delle ‘pesti’ che affliggono l’umanità”.
Ed i palermitani sono gli ‘eredi’ spirituali della santa palermitana: “Come Lei date un volto bello al vostro territorio, ricco di cultura, storia e fede profonda, dove grandi donne e uomini hanno trovato la forza per spendersi a motivo del Vangelo e della giustizia sociale. Alla scuola di Santa Rosalia, rinunciando a ciò che è superfluo, non esitate ad offrirVi con generosità agli altri”.
Quindi è un invito ad affrontare le sfide per consentire la rinascita di Palermo: “Abbiate fortezza di spirito nell’affrontare le sfide che tuttora ostacolano la rinascita di codesta Città, il cui cammino è affaticato da tante problematiche e, di queste, alcune molto dolorose. Con coraggio guardate a Colui che è Misericordia, ai cui occhi non sono invisibili le sofferenze del Suo popolo poiché ‘perfino i capelli del vostro capo sono contati’; Egli conosce le nostre pene ed è pronto a versare il balsamo della consolazione che risana e dona rinnovato slancio”.
E’ un invito a rivolgersi a santa Rosalia per trovare il coraggio della testimonianza: “Con Rosalia, donna di speranza, Vi esorto dunque: Chiesa di Palermo alzati! Sii faro di nuova speranza, sii Comunità viva che rigenerata dal sangue dei Martiri dia testimonianza vera e luminosa di Cristo nostro Salvatore. Popolo di Dio in questo lembo di terra benedetto, non perdere la speranza e non cedere allo sconforto. Riscopri la gioia dello stupore di fronte alla carezza di un Padre che ti chiama a sé e ti conduce sulle strade della vita per assaporare i frutti della concordia e della pace”.
Infine ha auspicato che tale anno giubilare sia stato occasione di una rinascita spirituale: “Auspico che questo Anno Giubilare Rosaliano, che volge a conclusione, abbia favorito soprattutto una rifioritura spirituale inserita nel percorso avviato dalla vostra Comunità ecclesiale; pertanto, invito a porVi con docilità all’ascolto dello Spirito Santo affinché possiate realizzare una copiosa stagione pastorale, pronti a spandere il profumo dell’accoglienza e della misericordia.
Consegnate alla vostra Santa Patrona desideri e aspirazioni che portate nel cuore; chiedete a Lei, donna del silenzio orante, di dissipare le paure e di vincere le rassegnazioni che soffocano le radici del bene, per essere audaci discepoli del Maestro e costruttori di speranza”.
In mattinata mons. Corrado Lorefice, presentando il ‘Quattrocentesimo Festino di Santa Rosalia’ dal titolo ‘Rosalia pellegrina di speranza, Palermo rifiorisce con te’, ha sottolineato che ella liberò la città dalla peste: “Questo 400° Festino in onore di Santa Rosalia segnerà la storia di questa città. Rosalia passò per le vie di Palermo facendo del bene e guarendo. La Patrona contribuì a sconfiggere la peste. A noi viene oggi fatta una sfida: mettere insieme diritti e responsabilità perché non si può vivere in una Babele dove non ci si capisce. Rosalia è la speranza di una città ferita dalla violenza, dalla diffusione della droga, dalla disoccupazione, dalle degradate periferie urbane e spirituali, da un centro storico che rischia di essere un grande pub. Ma non basta la convivialità gastronomica, si deve offrire anche la convivialità spirituale”.
Con un richiamo alla lettera del papa l’arcivescovo di Palermo ha invitato i cittadini ad assumersi la responsabilità della partecipazione: “E’ una festa, che non ci aliena ma ci fa camminare su queste strade, come Rosalia, eremita, donna, che guarda alla città da Monte Pellegrino con lo sguardo di Dio, pieno di compassione, che fa proprie le sofferenze e i destini degli uomini. Non è commiserazione, ma una sfida: partecipare dei pesi e delle attese degli altri. Da lei viene la speranza che viene a noi quando siamo capaci di assunzione di responsabilità per dare un volto bello alla città come suoi concittadini ed eredi spirituali”.
(Foto: Arcidiocesi di Palermo)
A Roma festa patronale in onore di san Gaspare del Bufalo
Fino al 9 giugno 2024 presso la parrocchia San Gaspare del Bufalo a Roma, situata nel quartiere Tuscolano, si terrà la consueta festa patronale in onore di San Gaspare del Bufalo, fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Il parroco, don Domenico D’Alia, evidenzia che “il desiderio da sette anni di voler celebrare la festa patronale, in onore di san Gaspare del Bufalo, diversa da quella onomastica che ricorre il 21 ottobre, ha come obiettivo quello di fare una festa di tutta la comunità che manifesti il patrocinio di san Gaspare sul popolo e che vada a concludere l’anno pastorale. Nessuna data poteva essere più consona come quella vicina al 12 giugno, giorno in cui ricorre l’anniversario di canonizzazione di san Gaspare del Bufalo, di cui quest’anno celebriamo i 70 anni (1954 – 2024).
Si terrà un triduo di preparazione fino all’8 giugno, alle ore 18:30, predicato da don Giacomo Manzo, Missionario del Preziosissimo Sangue e direttore di Primavera Missionaria, che metterà in correlazione le figure di san Gaspare del Bufalo e del prossimo Beato, il Venerabile don Giovanni Merlini. Inoltre, due grandi eventi accompagneranno questi giorni di festa: il primo, venerdì 7 giugno alle ore 20:45, con la VI rassegna Roma CoRossal, legato per la terza volta all’iniziativa della “Lunga Notte delle Chiese”, che vedrà coinvolte tre diverse realtà corali.
Sabato 8 giugno, invece, si svolgerà la Festa dei Popoli in oratorio alle ore 20:00: “Tredici popoli ci faranno degustare i loro piatti tipici all’insegna della solidarietà e dell’integrazione sociale. Infine, domenica 9 giugno, alle ore 19:00, avremo la Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Emilio Nappa, presidente delle Pontificie Opere Missionarie. Al termine della celebrazione, si terrà la processione con la statua di San Gaspare per le vie del quartiere di Arco di Travertino”.
Claudio Silvestri, direttore del Coro DecimaQuinta, condivide che “la rassegna corale, ormai giunta alla VI edizione, è nata e cresciuta insieme con il nostro Coro proprio nella Parrocchia San Gaspare del Bufalo, diventando così un punto di incontro tra le diverse realtà corali. Il concerto, in programma per venerdì 07 giugno alle ore 20:45, si inserisce all’interno della ‘Lunga Notte delle Chiese’ che si svolge ormai da diversi anni. Il tema di quest’anno è ‘Trovami’ e dà una risposta in qualche modo alla domanda dello scorso anno, la cui tematica era Dove sei?”.
“Il concerto – evidenzia il M° Silvestri – è realizzato in collaborazione con il gruppo missionario ‘Opere di San Gaspare’ a sostegno dei progetti in Africa di Fondazione Primavera Missionaria, che verranno illustrati nella serata anche ascoltando testimonianze dirette. Alla rassegna corale parteciperanno gli amici del Coro Giovanni Pierluigi da Palestrina, diretti dal Maestro Vinicio Lulli e, da quest’anno, anche il JC Choir, diretto dal Maestro Stefano Natale, Coro proveniente dal quartiere Centocelle di Roma della John Coltrane Music School”.