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Papa Francesco ad Ajaccio con l’invito a riscoprire la pietà popolare
“Le terre bagnate dal mar Mediterraneo sono entrate nella storia e sono state la culla di molte civiltà che hanno raggiunto un notevole sviluppo. Ricordiamo, in particolare, quella greco-romana e quella giudeo-cristiana, che attestano la rilevanza culturale, religiosa, storica di questo grande ‘lago’ in mezzo a tre continenti, di questo mare unico al mondo che è il Mediterraneo”: questa mattina papa Francesco ad Ajaccio ha partecipato alla sessione conclusiva del convegno ‘La Religiosité Populaire en Mediterranée’ sulla pietà popolare e della spiritualità nel Mediterraneo.
Quindi ha sottolineato che nel Mediterraneo sono sorte le culture che hanno dato origine al pensiero greco e latino: “Non possiamo dimenticare che nella letteratura classica, quella greca e quella latina, spesso il Mediterraneo è stato lo scenario ideale per la nascita di miti, racconti e leggende. Come pure il fatto che il pensiero filosofico e le arti, insieme con le tecniche di navigazione, permisero alle civiltà del Mare nostrum di sviluppare una cultura elevata, di aprire vie di comunicazione, di costruire infrastrutture e acquedotti e, ancor più, sistemi giuridici e istituzioni di notevole complessità, i cui principi di base sono ancora oggi validi e attuali”.
Da questi luoghi è sorta anche l’esperienza religiosa: “Tra il Mediterraneo e il vicino Oriente, ha avuto origine una esperienza religiosa del tutto particolare, legata al Dio di Israele, che si rivela all’umanità e inizia un incessante dialogo con il suo popolo, culminando nella presenza singolare di Gesù, il Figlio di Dio. È Lui che ha fatto conoscere in modo definitivo il volto del Padre, Padre suo e nostro, e che ha portato a compimento l’Alleanza tra Dio e l’umanità”.
Ed ha ribadito che è un grave errore contrapporre cultura cristiana e cultura laica: “Sono passati più di duemila anni dall’Incarnazione del Figlio di Dio e tante sono state le epoche e le culture che si sono succedute. In alcuni momenti della storia la fede cristiana ha informato la vita dei popoli e le sue stesse istituzioni politiche, mentre oggi, specialmente nei Paesi europei, la domanda su Dio sembra affievolirsi e ci si scopre sempre più indifferenti nei confronti della presenza e della sua Parola. Tuttavia, bisogna essere cauti nell’analisi di questo scenario, per non lasciarsi andare in considerazioni frettolose e giudizi ideologici che, talvolta ancora oggi, contrappongono cultura cristiana e cultura laica. Questo è uno sbaglio!”
Infatti occorre una reciproca ‘apertura’ per cercare valori fondamentali: “Al contrario, è importante riconoscere una reciproca apertura tra questi due orizzonti: i credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano; e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune”.
Per realizzare tale connubio è importante riscoprire la pietà popolare: “La pietà popolare, esprimendo la fede con gesti semplici e linguaggi simbolici radicati nella cultura del popolo, rivela la presenza di Dio nella carne viva della storia, irrobustisce la relazione con la Chiesa e spesso diventa occasione di incontro, di scambio culturale e di festa (è curioso: una pietà che non sia festosa non ha ‘un buon odore’, non è una pietà che viene dal popolo, è troppo ‘distillata’). In questo senso, le sue pratiche danno corpo alla relazione con il Signore e ai contenuti della fede… I piccoli passi che ti portano avanti. La pietà popolare è una pietà che viene coinvolta con la cultura, ma non confusa con la cultura. E fa dei piccoli passi”.
Però ha messo in guardia a non strumentalizzare la pietà popolare: “Quando la pietà popolare riesce a comunicare la fede cristiana e i valori culturali di un popolo, unendo i cuori e amalgamando una comunità, allora ne nasce un frutto importante che ricade sull’intera società, e anche sulle relazioni tra le istituzioni politiche, sociali e civili e la Chiesa. La fede non rimane un fatto privato (dobbiamo stare attenti a questo sviluppo, direi, eretico della privatizzazione della fede; i cuori si amalgamano e vanno avanti…), un fatto che si esaurisce nel sacrario della coscienza, ma (se intende essere pienamente fedele a sé stessa) comporta un impegno e una testimonianza verso tutti, per la crescita umana, il progresso sociale e la cura del creato, nel segno della carità”.
E’ un invito a riscoprire le opere derivanti dalla pietà popolare: “Proprio per questo, dalla professione della fede cristiana e dalla vita comunitaria animata dal Vangelo e dai Sacramenti, lungo i secoli sono nate innumerevoli opere di solidarietà e istituzioni come ospedali, scuole, centri di assistenza (in Francia sono molte!), in cui i credenti si sono impegnati a favore dei bisognosi e hanno contribuito alla crescita del bene comune. La pietà popolare, le processioni e le rogazioni, le attività caritative delle confraternite, la preghiera comunitaria del santo Rosario e altre forme di devozione possono alimentare questa (mi permetto di qualificarla così) ‘cittadinanza costruttiva’ dei cristiani. La pietà popolare ti dà una cittadinanza costruttiva!”
Riprendendo il pensiero di papa Benedetto XVI il papa ha concluso il discorso, sottolineando la necessità anche di una ‘sana’ laicità: “Ne deriva la necessità che si sviluppi un concetto di laicità non statico e ingessato, ma evolutivo, dinamico, capace di adattarsi a situazioni diverse o impreviste, e di promuovere una costante collaborazione tra autorità civili ed ecclesiastiche per il bene dell’intera collettività, rimanendo ciascuno nei limiti delle proprie competenze e del proprio spazio… Così Benedetto XVI: una sana laicità, ma accanto una religiosità. Si rispettano i campi”.
(Foto: Santa Sede)
In Toscana il festival dell’economia e spiritualità riflette su ‘capitalismo come religione’
Da sabato 23 novembre a domenica 1 dicembre si svolgerà il Festival di Economia e Spiritualità in alcune città della Toscana (programma completo: https://festivaleconomiaespiritualita.it/) con la partecipazione di John Milbank, Ugo Morelli, Leonardo Becchetti, Marilisa Palumbo, David Riondino, Massimo Faggioli, Madre Noemi Scarpa, Domenico Iannacone, Massimiliano Valerii, Stefano Zamagni, Luigi De Vecchi, Davide Rondoni, Mauro Magatti, Emanuela Buccioni.
Il Festival di Economia e Spiritualità è un festival che insiste sul collegamento tra economia e spiritualità, due ambiti che per abitudine e prassi storica abbiamo divaricato, reso terre straniere. C’è invece una sacralità nella loro messa insieme, nell’unione di una propensione al bene comune. La nona edizione sarà incentrata su un tema che pensiamo decisivo: ‘Capitalismo come religione’. Un argomento nato da una intuizione del prof. Luigino Bruni:
“Il capitalismo, sul crepuscolo degli dèi tradizionali, è di fatto diventato la sola vera ‘religione’ popolare del XXI secolo. La forza culturale del capitalismo sta proprio nel suo essere una ‘esperienza’ globale, un culto, una cultura onnicomprensiva e avvolgente.
E’ nella sua dimensione di sola prassi quotidiana che il capitalismo trae la sua forza, perché crea e rafforza la sua cultura alimentandosi nel culto quotidiano di miliardi di persone. Ma da tutto ciò deriva anche una conseguenza molto interessante: per superare la religione/idolatria capitalistica oggi occorrono nuove prassi, nuove esperienze. Non basta scrivere libri e articoli, non è sufficiente costruire teorie, perché anche la nuova cultura economica (che in tanti vogliamo più umana, più inclusiva, circolare) nascerà dalla prassi e dal pane quotidiano”.
Presentando quest’edizione del festival il prof. Bruni ha sottolineato il modo in cui il capitalismo è diventato una ‘religione’:“La prima virtù del mercato capitalistico, che gli ha consentito di diventare un vero e proprio culto globale, è la sua capacità di esprimersi in pratiche quotidiane nella vita della gente. Il capitalismo, sul crepuscolo degli dèi tradizionali, è infatti diventato la sola vera ‘religione’ popolare del XXI secolo. La forza culturale del capitalismo sta proprio nel suo essere una ‘esperienza’ globale, un culto, una cultura onnicomprensiva e avvolgente, il primo populismo moderno lo ha inventato il capitalismo”.
Nella prosecuzione dell’analisi il prof. Bruni ha sottolineato che il capitalismo è un culto: “E’ nella sua dimensione di sola prassi quotidiana che il capitalismo trae la sua forza, perché crea e rafforza la sua cultura alimentandosi nel culto quotidiano di miliardi di persone. Ecco perché è diventato «il» culto universale e globale, che può solo crescere e rafforzarsi nei prossimi decenni.
Se guardiamo bene il nostro secolo ci accorgiamo che il capitalismo è un insieme di pratiche quotidiane reiterate di culti di acquisto, vendita, investimenti. Anche nelle imprese, che nel Novecento erano in genere pensate e vissute sul modello della ‘comunità’ sta crescendo la stessa cultura commerciale. Dal modello comunitario tipico del XIX e XX secolo siamo infatti passati progressivamente all’impresa-mercato, che oggi domina indisturbata la scena”.
In questo modo il capitalismo diventa culto: “Ed è in questi culti e in queste pratiche reiterate che si alimenta la cultura-religione del capitalismo. Perché, secondo Pavel Florenskij, ‘il contenuto mistico-religioso dei concetti non si rivela nel pensiero astratto ma nell’esperienza’. Infatti, la prima realtà di ogni religione, compresa quella cristiana, non sono i dogmi e nemmeno i miti, ma il culto, ovvero una realtà concreta e feriale. Mito e dogma sono astrazioni, teorie, che vengono dopo. Come il cristianesimo pre-moderno era essenzialmente una prassi nell’Europa medioevale, anche il capitalismo del nostro tempo è un insieme di pratiche.
Per questa sua natura pratico-cultuale, ad esempio, i filosofi e i teologi fanno molta fatica a comprendere il capitalismo del nostro tempo, e sbagliano spesso le loro analisi. Ma da tutto ciò deriva anche una conseguenza molto interessante: per superare la religione/idolatria capitalistica oggi occorrono nuove prassi, nuove esperienze. Non basta scrivere libri e articoli, non è sufficiente costruire teorie, perché anche la nuova cultura economica (che in tanti vogliamo più umana, più inclusiva, circolare) nascerà dalla prassi e dal pane quotidiano”.
(Foto: Festival dell’Economia e spiritualità)
A Tolentino sulle orme del beato Tommaso da Tolentino e del venerabile Matteo Ricci
Nel viaggio apostolico a Singapore papa Francesco ha ricordato ai gesuiti che san Francesco Saverio e il venerabile p. Matteo Ricci hanno affrontato situazioni difficili, confidando nella ‘potenza’ della preghiera: “E guardate anche alla vita di Francesco Saverio, di Matteo Ricci e di tanti altri gesuiti: sono stati capaci di andare avanti grazie al loro spirito di preghiera”; mentre in un’udienza generale dello scorso anno aveva ricordato l’apporto del gesuita maceratese nello stabilire l’amicizia con il popolo cinese:
“Il suo amore per il popolo cinese è un modello… Lui ha portato il cristianesimo in Cina; lui è grande sì, perché è un grande scienziato, lui è grande perché è coraggioso, lui è grande perché ha scritto tanti libri, ma soprattutto lui è grande perché è stato coerente con la sua vocazione, coerente con quella voglia di seguire Gesù Cristo”.
Partendo da tali presupposti a fine settembre a Tolentino si è svolto un incontro sul tema ‘Fra Tommaso e Padre Matteo in Asia: diplomatici del Vangelo’, organizzato dal Comitato per le celebrazioni in memoria del beato Tommaso da Tolentino, dal Santuario della Basilica di san Nicola da Tolentino e dal Sermit odv (Servizio missionario Tolentino), che sostiene i missionari in Brasile, in India ed in Burundi, con gli interventi del missionario e sinologo p. Gianni Criveller, direttore del Centro missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) e direttore editoriale di Asia News, che ha incentrato il proprio intervento sull’azione missionaria del francescano beato Tommaso da Tolentino e del gesuita, venerabile p. Matteo Ricci: ‘Fra Tommaso da Tolentino e padre Matteo Ricci: due missionari marchigiani in Cina’; mentre il prof. Dario Grandoni, docente di ‘Business Startup e Corporate Finance’ all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Fondazione internazionale ‘P. Matteo Ricci’ di Macerata, ha descritto la figura del gesuita maceratese: ‘Padre Matteo Ricci, un ponte o un modello?’, confrontandosi sul tema della serata: ‘Fra Tommaso e Padre Matteo in Asia: diplomatici del Vangelo’.
Durante il convegno p. Gianni Criveller ha descritto il ‘contatto’ tra il beato Tommaso da Tolentino e la Cina: “Il primo contatto tra Tommaso e la missione di Cina risale al giugno-luglio del 1307, quando il frate di Tolentino consegnò a papa Clemente V, un papa avignonese che si trovava in quel momento nella regione della Guascogna, le ultime due lettere del confratello missionario a Pechino Giovanni da Montecorvino: fu a seguito di esse che il papa inviò sette nuovi vescovi francescani in Oriente per consacrare Giovanni. Secondo alcuni, tra loro avrebbe potuto esserci lo stesso Tommaso, ma è una ipotesi poco credibile”.
Inoltre il relatore ha evidenziato che la storia di questi missionari francescani, uccisi in ‘odium fidei’ in India, si ricollega all’idea di missione avanzata da Gioacchino da Fiore e da san Francesco di Assisi: “Le profezie visionarie di Gioacchino, l’entusiasmo di Francesco d’Assisi che mostrava che era possibile vivere il vangelo alla lettera e senza commento, le attese suscitate dal papato di Celestino V furono le fonti del movimento degli spirituali e di altri movimenti alternativi alla chiesa istituzionale, percepita da tanti come non più corrispondente alla forma apostolica. Sul fronte missionario questa visione aveva per protagonista Dio, o meglio la Santa Trinità, autrice della missione. I credenti, i missionari partecipano in modo simbolico ad una missione pienamente realizzata dalla Trinità”.
Al termine dell’incontro abbiamo domandato a p. Gianni Criveller di spiegarci il motivo per cui la Chiesa ha guardato verso l’Asia ed in particolare verso la Cina: “In Cina ci sono tanti uomini e donne che attendono l’annuncio del Vangelo”.
Per quale motivo i francescani decisero di andare in missione in Cina?
“I francescani hanno iniziato la loro missione in Cina intorno a metà del secolo XIII su mandato dei papi ed alcuni sollecitati anche dai re di Francia, quali Guglielmo da Rubok, come missionari e come diplomatici. Poi dalla Cina hanno scritto relazioni molto importanti, che oggi sono utili per conoscere la Cina dei secoli XIII e XIV”.
E quale è stato il pensiero che ha mosso p. Matteo Ricci di recarsi in Cina?
“P. Matteo Ricci fondamentalmente è andato in Cina per evangelizzare e portare la fede; era un figlio del suo tempo, all’inizio della modernità. Era uomo di scienza e di cultura, che dava molta importanza ai libri ed alle immagini: ha trasmesso la fede in Cina attraverso questi mezzi”.
Nel viaggio apostolico in Asia papa Francesco ha esortato i cristiani a guardare a p. Matteo Ricci: è un modello per gli europei per rapportarsi con i cinesi?
“Sì, è un modello soprattutto per il suo spirito di ‘accomodamento’, che oggi chiamiamo interculturalità, cioè l’interlocutore è importante perché ha qualcosa da dire e non sono solo io che devo per forza dire qualcosa. Poi è molto importante lo stile dell’amicizia che p. Matteo Ricci ha attivato, perché è stato una novità, in quanto non tutti i missionari erano amichevoli con le popolazioni”.
L’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, riguardante la nomina dei Vescovi, quali rapporti sta introducendo?
“Direi abbastanza scarsi in quanto l’accordo avrebbe dovuto portare molto più frutti e sono stati pochi i vescovi che sono stati consacrati e moltissime diocesi cinesi sono ancora senza vescovo. Tuttavia il rinnovo, che verrà fatto, porterà ad un miglioramento della funzionalità di questo accordo”.
(Tratto da Aci Stampa)
Al Meeting di Rimini il cristianesimo è incarnazione
Il Meeting, giunto alla sua 45^ edizione, offre anche quest’anno il proprio contributo di cultura, dialogo e umanità… Il tema di questa edizione esprime le radici culturali del Meeting proponendo uno sguardo aperto alle straordinarie trasformazioni che stiamo vivendo.
Si vuole ricercare l’essenziale proprio mentre i flussi globali delle informazioni diventano fiumi in piena, mentre le tecnoscienze ci mostrano soluzioni fino a ieri inimmaginabili, mentre le opportunità offerte ai singoli ripropongono la fallace lusinga dell’onnipotenza dell’uomo. Eppure, a fronte di tante nuove chances per l’umanità, tocchiamo con mano l’orrore, le atrocità e l’escalation delle guerre, le volontà di dominio, con un drammatico ritorno al passato. Sentimenti di paura, sfiducia, talvolta indifferenza, non di rado rancore e odio, si riaffacciano”.
“Proprio mentre attraversiamo tempi complessi, la ricerca di ciò che costituisce il centro del mistero della vita e della realtà è di cruciale importanza. La nostra epoca, infatti, è segnata da problematiche varie e notevoli sfide, dinanzi alle quali riscontriamo talvolta un senso di impotenza, un atteggiamento rinunciatario e passivo che possono condurre a ‘trascinare la vita’ e a lasciarsi travolgere dallo stordimento dell’effimero, fino a perdere il significato dell’esistenza. In questo scenario, perciò, è quanto mai pertinente la scelta di mettersi sulle tracce di ciò che è essenziale”.
Con la lettura dei messaggi del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e di papa Francesco si è aperto, martedì 20 agosto, alla fiera di Rimini, il meeting dell’Amicizia tra i Popoli dal titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, inaugurato dal dialogo con il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa, introdotto da Bernhard Scholz, presidente della Fondazione stessa, che ha sottolineato il ‘punto nevralgico’ che questa edizione affronta:
“Mai nella storia della nostra umanità i cambiamenti culturali, sociali, tecnologici e politici sono stati così pervasivi, interconnessi e accelerati come in questo momento storico… Da dove può nascere la possibilità di vivere pienamente la nostra umanità in mezzo a queste condizioni piene di incognite e come è possibile costruire la pace in mezzo a guerre così atroci e perduranti?.
L’intervento del card. Pizzaballa, sviluppatosi in un colloquio con il presidente Scholz, ha toccato molti temi importanti, condividendo inizialmente il suo percorso di fede: “La vocazione francescana, come ogni vocazione cristiana, è incentrata sulla persona di Gesù Cristo”, iniziato proprio a Rimini quando era ragazzo, parlando della sfida di vivere e trasmettere questa esperienza in una realtà complessa come quella di Gerusalemme, una città segnata da divisioni e conflitti, perché “essere francescano significa incontrare Cristo e fare esperienza di Lui secondo uno stile e un modo che Francesco ha mostrato”.
Quindi il patriarca ha affrontato il tema del conflitto del 7 ottobre, descrivendo l’impatto devastante che ha avuto su entrambe le popolazioni, israeliana e palestinese: “Quello che è successo il 7 ottobre è stato uno shock incredibile per Israele… Il rifiuto reciproco dell’esistenza altrui si respira nell’aria… I negoziati in corso sono ormai l’ultimo treno. Io ho miei dubbi ma non bisogna perderlo, questo treno. Per questo ho chiesto di pregare incessantemente… Ricostruire sarà una fatica immane che dovrà impegnare tutti”
E sul dialogo interreligioso in Medio Oriente il card. Pizzaballa ha dato un giudizio molto critico. “Il dialogo è in crisi; ebrei, cristiani e mussulmani non riescono ad incontrarsi. Oggi non riusciamo a parlarci a livello istituzionale… In passato ci sono stati incontri ufficiali che hanno prodotto documenti bellissimi, come ad Abu Dhabi, ma questo non basta più.
Il dialogo interreligioso non può limitarsi alle élite; i leader religiosi devono aiutare le loro comunità a non chiudersi in sè stesse… Il vero dialogo interreligioso è l’incontro tra persone che hanno un’esperienza di fede diversa, ma che, una volta condivisa, ti aiuta a illuminare in maniera più completa quello che sei tu”.
Un altro tema affrontato dal Patriarca di Gerusalemme è stato quello della comunione cristiana in un contesto di divisioni politiche e culturali, in quanto la sua ‘diocesi’ si estende in quattro nazioni (Giordania, Israele, Palestina e Cipro) con cristiani sotto le bombe a Gaza e cristiani che fanno il servizio militare nell’esercito israeliano:
“Il cristianesimo astratto non esiste, il cristianesimo è sempre incarnato e bisogna fare i conti con le proprie appartenenze… Proprio come oggi: c’è chi non vuol vedere e si rifugia in un devozionismo sofisticato; c’è chi vede ma non vuole fare i conti con la realtà e c’è chi impugna le armi… Non abbiamo risposte, ma un indirizzo: Dio, che dà senso a tutto quello che facciamo”.
Per questo la Chiesa è presente in Terra Santa, sebbene i cristiani siano il 3% della popolazione: “Ma la prima cosa non sono i numeri; la prima cosa è esserci, stare lì e sostenere la comunità, incoraggiare. Va da sé che, poi, negli aiuti materiali sosteniamo tutti. A Gaza la nostra parrocchia si dà da fare per chiunque. Non abbiamo soluzioni politiche, ma una parola di verità perché non cresca la spirale dell’odio fra le nazioni”.
Inoltre, affrontando il tema del perdono in situazioni di ingiustizia, il card. Pizzaballa ha ribadito che il perdono è centrale nella fede cristiana, ma esso “non si può imporre. A livello personale, giustizia e perdono sono quasi sinonimi, se illuminati dalla fede. Ma a livello comunitario le dinamiche sono diverse, perché entrano in gioco fattori come dignità ed uguaglianza; perdonare senza che ci siano dignità ed uguaglianza vuol dire giustificare un male che si sta compiendo. In questo caso il perdono ha dinamiche completamente diverse che richiedono tempo e parole di verità che riconoscano il male e l’ingiustizia commessi. Come pastore ricordo a tutti che la giustizia senza perdono diventa vendetta”.
E, parlando della necessità di una purificazione della memoria, intesa come la consapevolezza del male che facciamo, ha ribadito l’importanza di non restare chiusi nelle proprie narrazioni esclusive, ma di aprirsi a una comprensione più ampia e inclusiva della storia e delle relazioni, con una chiara condanna dell’antisemitismo: “L’antisemitismo è una sorta di cartina di tornasole per capire quali sono i modelli su cui si regge la società… Noi religiosi dobbiamo creare una cultura di relazioni, di accoglienza. La civiltà si costruisce ‘con’ e non contro”.
La prima giornata alla fiera di Rimini si è chiusa con un suggestivo incontro sul Cantico delle Creature di san Francesco tra il poeta Davide Rondoni, presidente del Comitato nazionale per l’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, e p. Guidalberto Bormolini, tanatologo e membro fondatore del Gruppo Nazionale ‘Sala del Silenzio’, autori del libro ‘Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di san Francesco’, in cui è stata approfondita la concretezza della vita spirituale, in quanto per il santo assisate l’umanità è ‘giuntura’ tra il divino e la natura, perché il corpo è il tempio dello Spirito, in quanto la croce portata da Gesù salva, perché indica la direzione; quindi non è possibile ‘dividere’ la carne dallo Spirito.
(Tratto da Aci Stampa)
La vita come comunione secondo don Luigi Giussani
“La speranza cristiana è un giudizio storico che trae da un avvenimento storico il suo criterio (avvenimento storico immediato nella propria vita, da riconoscere, e mediato nel passato preciso di duemila anni fa) e che nel tempo della storia trova la sua conferma, e nella completezza della fine della storia troverà la sua evidenza senza nube. E’ questo il valore della speranza cristiana, è questa la verità, la misura della verità, nella nostra vita, di ‘Cristo nostra speranza’.
E’ in quella misura che noi possiamo inserirci nella storia come fattori trasformanti, incidenti, determinanti il volto del mondo, il moto degli uomini. E, a differenza di qualunque altro intervento, di qualunque altra incidenza, tanto più potente risulterà questo nostro influsso sulla società e sul mondo, quanto più in noi la prestazione avverrà nella pace, perché non è sulle nostre forze di immaginazione, di pensiero, di dedizione, di sacrificio, di intelligenza e d’azione, che tutte le nostre azioni poggiano o poggeranno, ma è su un Altro, su un forte Amico che, dal profondo della storia di duemila anni fa, irresistibilmente viene, emerge dentro la nostra esistenza”.
Questa riflessione è tratta dal nuovo volume di mons. Luigi Giussani, ‘Una rivoluzione di sé. La vita come comunione (1968-1970)’, nella cui prefazione il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, prof. Davide Prosperi, docente di biochimica all’università Bicocca di Milano, ha scritto: “Ma la forza dirompente della proposta giussaniana si rivela intatta nella situazione presente, di fronte ai suoi limiti e al- le sue urgenze, ai disagi e alle solitudini che la feriscono, con nuove e forse più insidiose forme di individualismo, determinate dall’azione pervasiva delle tecnologie e dalle profonde lacerazioni del tessuto sociale, con la conseguente mancanza di luoghi generativi dell’umano. Solo un cristianesimo fedele alla sua natura può infatti costituire un concreto punto di riscatto e di speranza per una umanità così affaticata, alla ricerca travagliata e oscillante di una via”.
Partendo da queste affermazioni gli chiediamo di raccontarci il carisma di don Luigi Giussani: “Don Giussani è stato un uomo di grande carisma, capace di toccare il cuore di migliaia di giovani. ‘Aveva intuito, non solo con la mente ma con il cuore, che Cristo è il centro unificatore di tutta la realtà, è la risposta a tutti gli interrogativi umani, è la realizzazione di ogni desiderio di felicità, di bene, di amore, di eternità presente nel cuore umano.
Lo stupore e il fascino di questo primo incontro con Cristo non lo hanno più abbandonato’, ha ricordato papa Francesco durante l’udienza concessa a Comunione e Liberazione in piazza san Pietro il 15 ottobre 2022 nel centenario della nascita di don Giussani. Per lui il cristianesimo era un incontro, qualcosa di sperimentabile qui e ora in ogni ambito dell’esistenza.
L’essenza del nostro carisma si esprime ancora oggi nelle dimensioni fondamentali della cultura, della carità e della missione. E la visione integrale del carisma (la scoperta dell’intero carisma) è la meta costante del nostro cammino come movimento: per questo seguiamo con fiducia e stima la strada che costantemente la Chiesa ci indica”.
Per quale motivo aveva a cuore i giovani?
“Don Giussani cominciò la sua attività di ‘educatore al cristianesimo’ nel 1954, entrando come insegnante di religione in un liceo statale, il Berchet di Milano ‘con il cuore tutto gonfio dal pensiero che Cristo è tutto per la vita dell’uomo’, come scrive in ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’. Stupì da subito gli studenti con la sua decisione e al tempo stesso grande umanità, e con la sua proposta rivolta innanzitutto alla ragione e alla libertà di ciascuno.
Li sfidava all’incontro con la bellezza, attraverso la musica, la poesia, la natura, e a non censurare le esigenze fondamentali che costituiscono il cuore dell’uomo. Lo stesso avverrà nei lunghi anni di insegnamento all’Università Cattolica di Milano. Anni dopo, come riportato nel volume ‘Realtà e giovinezza. La sfida’, sarà lui stesso a dire: ‘Ho quasi 64 anni ed anch’io sono passato per la vostra età e ho un po’ la presunzione di essermela portata dietro… Essere giovani vuol dire avere fiducia in uno scopo. Senza scopo uno è già vecchio. Infatti la vecchiaia è determinata da questo: che uno non ha più scopo.
Mentre chi ha quindici, vent’anni, magari inconsciamente, è tutto teso a uno scopo, ha fiducia in uno scopo. Questo rivela un’altra caratteristica dei giovani. E’ la razionalità. Essi lo sono molto più degli adulti. Un giovane vuole le ragioni. E lo scopo è la ragione per cui uno cammina. Per dire la parola grossa, che può sapere di romantico, l’ideale. Se uno non l’ha, è vecchio’”.
In quale modo don Giussani invitava a vivere il carisma nella Chiesa?
“Una delle cose che mi ha sempre colpito della sua personalità, certamente appassionata ed energica, era il suo costante richiamo alla sequela e all’obbedienza alla Chiesa, al Papa in primis, e all’autorità. Diceva sempre che la più grande virtù dell’amicizia è l’obbedienza. Tra l’altro è proprio parte dell’integralità del carisma la coscienza dell’ecclesialità: il metodo che don Giussani ha sempre indicato è seguire la strada maestra e la strada maestra è indicata oggettivamente da chi guida.
Scriveva nel volume ‘Il movimento di Comunione e Liberazione. 1954-1986’: ‘Il grande strumento del cambiamento del mondo è l’unità ecclesiale, non l’intelligenza della coscienza individuale o la scaltrezza della propria cultura o il progressismo del proprio spirito’. Per lui l’obbedienza non era remissività, ma un legame e un’amicizia dentro cui seguire chi aiuta a camminare verso il destino come amava spesso ripetere”.
Perché diede vita al movimento di Comunione e Liberazione?
“Una risposta la possiamo trovare nelle parole che don Giussani stesso scrisse a san Giovanni Paolo II nel 2004: ‘Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta’, come è riportato da Alberto Savorana nel volume ‘Vita di don Giussani”.
Recentemente papa Francesco ha invitato a custodire l’unità oltre le ‘interpretazioni personalistiche’: Comunione e Liberazione come vive quest’unità?
“In obbedienza e cordiale sequela alla Chiesa, come è sempre stato, stiamo lavorando molto sul tema dell’unità così come indicato dal Santo Padre. Le sue parole, che abbiamo accolto con gratitudine, sono state per noi un segno incoraggiante e prezioso della sua amicizia e sono al centro di un percorso che continua nelle nostre comunità a tutti livelli. L’unità non è intesa solo al nostro interno, ma con tutta la Chiesa a partire da chi è chiamato a guidarla.
Questo ci rende liberi nelle correzioni e desiderosi di crescere: da chi ci ama non ci si difende, ma si è grati e disponibili. Io ho capito così il costante richiamo del papa ai movimenti a non essere autoreferenziali. Questo si declina anche in una corresponsabilità nella conduzione del movimento secondo il metodo, valorizzato dal papa, della guida comunionale e in uno slancio più vigoroso nella dimensione culturale e missionaria.
Del resto la questione dell’unità si gioca in tutte le dimensioni e le età della vita e per noi questo significa vivere la comunione, innanzitutto con il papa e con la Chiesa, e poi tra di noi. Perché se è vero che l’unità nasce da un dono, è altrettanto vero che un dono senza adesione, senza uno slancio di sequela autentica, è un dono sprecato”.
(Tratto da Aci Stampa)
Da Ascoli Piceno per la festa di Sant’Emidio un invito a scoprire il Vangelo
Emidio nacque a Treviri, in Germania, nel 273 da una nobile famiglia pagana. La sua conversione al Cristianesimo avvenne grazie alla predicazione dei santi Nazario e Celso: diventò catecumeno, fu battezzato e si dedicò allo studio delle Sacre Scritture. Entrato in conflitto con la famiglia che tentò in tutti i modi di ricondurlo al paganesimo, partì per l’Italia insieme ai tre amici Euplo, Germano e Valentino. Giunto a Milano fu consacrato sacerdote.
In seguito alla persecuzione di Diocleziano fuggì a Roma dove trovò rifugio da un certo Graziano. Qui gli vennero attribuite molte guarigioni miracolose. La fama del sacerdote ben presto destò l’interesse di papa Marcellino che ordinò Emidio vescovo di Ascoli ed Euplo diacono, e affidò loro la difficile missione di diffondere il cristianesimo nell’importante centro Piceno (ancora quasi completamente pagano). Ad Ascoli era prefetto Polimio, autore di dure repressioni contro i cristiani, che ordinò subito a Emidio di non predicare la buona novella, ordine che fu completamente ignorato.
Anche ad Ascoli Emidio si prodigò nella guarigione dei malati, cosa che gli consentì di convertire un gran numero di ascolani. Polimio lo credette la reincarnazione del dio Esculapio, e gli chiese di offrire sacrifici agli dei, promettendogli in matrimonio Polisia, sua figlia. Il Santo non solo rifiutò, ma addirittura convertì Polisia alla fede cristiana e la battezzò nelle acque del fiume Tronto.
Polimio avvertito di questo, ordinò l’arresto di Emidio e lo condannò alla pena capitale. Il vescovo non si nascose e fu decapitato mentre Polisia, fatta ricercare dal padre, fuggì sul monte Ascensione e scomparve in un crepaccio. La festa di Sant’Emidio, patrono di Ascoli Piceno, si festeggia oggi.
In tale occasione il vescovo della diocesi di Ascoli Piceno, mons. Gianpiero Palmieri, ha scritto una lettera alla città in cui ricorda la trasmissione della fede da parte del Santo: “La festa di S. Emidio ci aiuta ogni anno a ricordare il grande dono che abbiamo ricevuto da lui e dai suoi compagni martiri: il dono del Vangelo. Le raffigurazioni più antiche (come l’affresco sepolcrale emerso dal recente restauro della cripta) lo presentano vestito con i paramenti da vescovo, il pastorale in una mano e il Vangelo nell’altra.
Le narrazioni medioevali ci raccontano che i Piceni accolsero con favore questo gruppo di persone venuto da Roma (Emidio era per di più originario di Treviri), colpiti da loro stile di vita pacifico e generoso e dalla loro fede nel Dio di Gesù, amico degli uomini”.
Di conseguenza ha plasmato anche la cultura: “Questo ha permesso al cristianesimo di plasmare e fecondare profondamente la cultura del nostro territorio e di arricchirlo di valori universali, come è avvenuto in tutto il mondo. Se i Piceni fossero stati chiusi e rigidi, ostili ad ogni novità, se non avessero avuto sete di verità e di allargare l’orizzonte della loro ricerca spirituale, non avrebbero accolto questi ‘stranieri’ e il Vangelo di cui erano portatori”.
Ed ha formato una nuova mentalità: “Da allora in poi il Vangelo, penetrando gradualmente e formando la mentalità e le scelte collettive, ci ha donato davvero dei frutti straordinari. Sono quei beni universali che rendono possibile il vivere in comune degli uomini e che scaturiscono dal messaggio di Gesù: la dignità di ogni essere umano perché figlio di Dio e di conseguenza il riconoscimento dei diritti di ciascuno; la necessità di vivere in uno stile di fraternità universale e di rispetto per la vita e il creato; il ripudio della violenza e della guerra come soluzione dei conflitti e il primato della pace; la solidarietà che si prende cura dei più fragili, anziani, disabili e persone che fuggono dalla guerra e dalla fame; la libertà garantita alla coscienza di ogni persona (Gesù nei Vangeli dice ventisei volte al suo interlocutore: ‘se vuoi…’), accompagnandola perché faccia sue le esigenze del bene comune”.
Il vescovo ha, quindi, ricordato che il Vangelo ha permeato anche le Istituzioni: “Come sappiamo, alcune di queste istanze sono state ben fissate nella nostra Costituzione. Quest’ultima è scaturita nel dopoguerra dall’alleanza tra le varie anime del nostro paese: quella cattolica, socialista e liberale, un punto di partenza comune che è diventato fondamento insostituibile della nostra convivenza democratica.
La forza spirituale del Vangelo si è rivelata vincente anche quando le istituzioni, comprese quelle ecclesiastiche, lo hanno combattuto in nome degli interessi di parte. Li dove la Chiesa, per sua colpa, aveva perduto ogni credibilità, il Vangelo continuava la sua corsa, magari dentro a movimenti laici e secolari che facevano dell’opposizione alla Chiesa cattolica la loro bandiera”.
La lettera si conclude con l’invito a festeggiare il patrono della città: “Talvolta abbiamo l’impressione che ad essere messi in discussione siano proprio questi elementi fondamentali appena ricordati del vivere insieme, per cui molti provano un grande disorientamento, ma anche preoccupazione ed angoscia per il futuro.
In questa situazione, credo che ci faccia molto bene festeggiare S. Emidio. Egli ci ripresenta il Vangelo, da ascoltare con fede ancora oggi, da approfondire con amore cogliendone tutte le implicazioni, da vivere con coraggio nelle scelte quotidiane.
Abbiamo bisogno di stringerci gli uni agli altri, di accoglierci, di sentirci più uniti mentre facciamo festa insieme. In fondo a questo serve la festa! Quella in onore del nostro Patrono serve per guardare in alto, verso il Signore, e per rinsaldare quei valori che ci uniscono. Uno straniero come Emidio poteva essere respinto e rimandato al mittente; invece si è rivelato una benedizione per tutti noi”.
(Foto: diocesi di Ascoli Piceno)
Cina e Occidente, prove di dialogo
Il preside della Facoltà, don Andrea Toniolo, di ritorno dalla Cina – dove ha partecipato al convegno per i 400 anni dalla scoperta della stele di Xi’an, prima opera di trascrizione del cristianesimo in lingua cinese con immagini e categorie taoiste e buddhiste – racconta il grande sforzo che il Paese sta facendo per far conoscere la sua storia culturale.
Il preside della Facoltà teologica del Triveneto, don Andrea Toniolo, ha partecipato al convegno “New directions, new materials, and discoveries: 2024 Xi’an international Jingjiao Forum”, che si è tenuto in Cina a Xi’an City, nella Provincia dello Shaanxi dal 5 al 7 luglio scorso. L’evento è stato organizzato dall’Institute of Silk Road Studies of Northwest University, nell’anniversario dei 400 anni dalla scoperta (avvenuta fra 1623 e 1625) della stele di Xi’an, datata 781 dopo Cristo e considerata la prima grande opera di trascrizione del cristianesimo in lingua cinese con immagini e categorie taoiste e buddhiste.
L’evento ha richiamato studiosi e ricercatori di diverse Università cinesi, dell’Università cattolica di Milano, dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano, il direttore dell’agenzia Fides Giovanni Valente e la giornalista di Avvenire Stefania Falasca. «L’intento del convegno – spiega Toniolo – era di mostrare la grande storia culturale della Cina e la fecondità dei rapporti non solo economici ma anche culturali e religiosi fra Cina e Occidente, rappresentata dalla Via della seta.
La partecipazione di un rappresentante della Facoltà teologica del Triveneto è stata possibile anche grazie alla mediazione di don Giuseppe Feng Bo, sacerdote responsabile dei cattolici cinesi nelle diocesi di Padova e di Treviso e studente nella nostra Facoltà».
Nella lunga iscrizione incisa sulla pietra della stele di Xi’an si narra dell’arrivo, lungo la Via della seta, di religiosi persiani della chiesa siro-orientale nell’allora capitale dell’impero cinese e delle alterne vicende delle comunità cristiane tra il 635 e il 781 dopo Cristo. Un resoconto storico, unico nel suo genere, della presenza in Cina della “religione della luce” (Jingjiao, il nome con cui il cristianesimo è chiamato nella stele). «Si può dire il primo punto certo nella conoscenza del cristianesimo cinese» afferma don Toniolo, che al convegno ha presentato un paper intitolato “Dialogo tra culture e religioni: la testimonianza storica e teologica della stele di Xi’an”.
Sul sito della Facoltà teologica del Triveneto è pubblicata un’ampia intervista, che può essere ripresa del tutto o in parte citando la fonte (https://www.fttr.it/cina-e-occidente-prove-di-dialogo/). Ne riportiamo di seguito alcuni passaggi.
Don Andrea Toniolo, secondo il Governo cinese oggi nel Paese sono presenti 98 diocesi, nove Istituti, seimila chiese e sei milioni di cattolici, oltre ottomila religiosi. Quale situazione ha potuto toccare con mano nel suo viaggio?
“Grazie alla bella accoglienza e ospitalità del popolo cinese ho avuto la possibilità di visitare le meraviglie storico-artistiche del Paese (la Grande muraglia, la Città proibita, il Museo dell’Esercito di terracotta) e anche di incontrare la realtà dei cristiani cattolici (secondo Catholic News Agency si stima che il numero sia superiore a 10 milioni). Sorprende la grande forza di fede di quelle comunità, che oggi hanno anche una libertà di culto.
La frequenza domenicale è del 95%: lì non c’è differenza fra credente e praticante, perché chi crede anche pratica. La Cina attuale, che si conosce visitandola dal di dentro, è molto diversa da quella di quarant’anni fa. Ha vissuto un grande sviluppo economico, tecnologico e culturale (attestato anche dal livello molto alto di giovani ricercatori e ricercatrici intervenuti al convegno) e una situazione di apertura verso le appartenenze religiose da parte del governo, il quale chiede oggi alle religioni un’opera di cinesizzazione, cioè di piena inculturazione delle religioni nella realtà cinese”.
Ci sarà un seguito a questo viaggio?
“Durante la permanenza in Cina ho incontrato diverse realtà e visitato alcune università cinesi, cogliendo il desiderio, più volte manifestato, di poter continuare la collaborazione a livello di ricerca universitaria nel dialogo fra Occidente e Oriente, fra cristianesimo e tradizione culturale cinese”.
(Tratto da Facoltà Teologica del Triveneto)
Olga di Kiev: la diffusione del cristianesimo nella Rus’
Nacque tra l’890 e il 925 d.C. Quando aveva circa 15 anni il principe Igor la vide e se ne innamorò, prendendola in moglie. Igor era figlio di Rurik, una figura leggendaria, fondatore della federazione tribale Rus’ di Kyiv, un territorio che comprendeva parte dell’attuale Russia, Ucraina e Bielorussia e che aveva la sua capitale a Kiev. Il termine ‘Rus’, da cui derivano i termini di Russia e Bielorussia, è probabilmente di origine finnica e significa ‘uomo venuto dal mare’. Igor intraprese due campagne militari contro Costantinopoli, entrambe fallimentari.
50 anni di Agesci accompagnando nella vita ragazze e ragazzi
Sono più di 18.000 le capo ed i capi dell’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) iscritti alla Route nazionale 2024, il percorso pensato per le ‘Comunità capi’ che culminerà in un incontro nazionale a Villa Buri – Verona dal 22 al 25 agosto; un incontro che avviene nel 50^ anno dalla fondazione dell’AGESCI, avvenuto nel 1974. Infatti da 50 anni le capo e i capi si appassionano alla bellezza del servizio e accompagnano le nuove generazioni alla realizzazione di sé come uomini e donne, attraverso il gioco, l’avventura e la strada.
Sarà un grande momento di riflessione collettiva: quattro giorni per partecipare a oltre 60 tra incontri, approfondimenti, momenti di formazione e dibattiti, con lo scopo di analizzare la realtà dei giovani di oggi e definire le sfide e il percorso dell’Associazione per i prossimi anni: “L’incontro di Verona sarà un momento importante, non solo per i numeri delle persone che saranno coinvolte, ma anche per l’eccezionalità dell’evento: le Route nazionali precedenti si sono tenute nel 1979 a Bedonia (Parma) e nel 1997 ai Piani di Verteglia (Avellino) e hanno rappresentato momenti di snodo dell’Associazione, che oggi conta 182.000 iscritti, tra capi e ragazzi”. Presentando l’incontro nazionale Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale dell’AGESCI, hanno ribadito gli obiettivi dell’organizzazione:
“Numerosi sono gli obiettivi di questo incontro: dal coinvolgere i capi dell’Associazione in un’esperienza fortemente motivante che possa regalare un tempo di qualità, nuove energie, nuove parole, nuovi contenuti per l’educazione; all’offrire un’occasione unica di confronto sugli orientamenti educativi e sociali attuali; dal valorizzare il contributo dei 50 anni di storia dell’AGESCI e posizionare l’Associazione nella società e nella Chiesa come attore importante di cambiamento nel presente; all’identificazione di nuove risposte, nuovi equilibri e nuovi assetti di fronte alle sfide educative attuali”
A fare da collante alla quattro giorni, il tema della felicità, che rappresenta oggi una scelta politica forte, controcorrente rispetto al negativismo e ai segnali di crisi e sfiducia, e che ritorna anche nel titolo di questo appuntamento: ‘Generazioni di felicità’.
L’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) è stata presente con una delegazione alle giornate della Settimana sociale ed ha portato “il suo contributo di realtà educativa giovanile, che sul tema della democrazia e della cittadinanza attiva fonda il proprio metodo. Attraverso l’educazione di ogni guida e scout nel proprio territorio, ma con uno sguardo ampio di fratellanza internazionale lo scautismo accompagna alle scelte e a vivere esperienze di servizio al prossimo, attraverso azioni quotidiane che sono fondanti per sperimentare modalità di partecipazione democratica e di crescita verso una cittadinanza responsabile e attiva. Ogni cittadino per rafforzare la propria partecipazione può e deve agire per contribuire al cambiamento, mettendosi in gioco in prima persona nel proprio territorio e in alleanza con gli altri, e questo è quello che si prefigge lo scautismo fin da piccoli”.
L’Agesci è nata nel 1974 come iniziativa educativa liberamente promossa da credenti, dall’unificazione di due preesistenti associazioni, l’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani), maschile, e l’AGI (Associazione Guide Italiane) femminile e grazie al metodo educativo scout, aiuta i giovani di tutta Italia a crescere, come buoni cittadini e cristiani, in una società che cambia evolve e affronta sfide complesse. Essa conta 182.000 soci e si propone di contribuire alla formazione della persona secondo i principi ed il metodo dello scautismo, adattato ai ragazzi e alle ragazze nella realtà sociale italiana.
Per questo anniversario abbiamo chiesto a Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale dell’Agesci, di spiegarci il significato di questi 50 anni: “Nel nostro Paese quest’anno saranno 50 anni che l’Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) è al servizio della crescita delle giovani generazioni, offrendo loro l’opportunità, da protagonisti, di fare del proprio meglio per lasciare il mondo migliore di come trovato.
Consapevoli che viviamo oggi un tempo complesso, che ci riporta sulla soglia e ci obbliga a metterci sempre in ascolto, volgiamo il nostro sguardo alle scelte profetiche che abbiamo voluto fare, pronti ad accogliere il futuro con speranza e voglia di abitare questi tempi incerti, afflitti dalle guerre che imperversano e da una crisi di cambiamento climatico, che ci ricorda che siamo tutti sotto lo stesso cielo. Tempi che necessitano ancora di più della presenza di capi significativi, che crescano accanto e con i 150.000 giovani dell’Agesci, il vero cuore pulsante dell’Associazione”.
In quale modo Agesci educa alla vita cristiana?
“L’associazione già da alcuni anni ha posto la sua attenzione sul tema dell’educare alla vita cristiana per supportare i capi nel cammino insieme ai ragazzi. Alla luce di questa consapevolezza ci immaginiamo il capo e il ragazzo come i due discepoli di Emmaus, che vivono le loro vite e fanno un percorso all’interno della comunità, abitano il mondo e le sue vicende e non ne rimangono indifferenti. Per educare alla vita cristiana c’è bisogno di accompagnare i ragazzi nel loro cammino di crescita nella fede. Significa essere capaci di offrire degli strumenti perché possano riconoscere il proprio percorso di fede e offriamo percorsi per esplorare, capi e ragazzi insieme, i sentieri della vita riconoscendo che Dio cammina con ciascuno di noi”.
Quanto è importante l’educazione per Agesci?
“Educare, accompagnare, crescere assieme sono la nostra scelta di servizio, attraverso lo scautismo. In questo momento storico appare chiaro come e quanto bambini e bambine, ragazzi e ragazze abbiano bisogno di ambiti educativi e di socializzazione positivi. L’intera proposta educativa dell’Agesci è animata e sostenuta dall’annuncio del Vangelo. Le attività, la testimonianza e lo stile dei capi costituiscono un luogo privilegiato per l’incontro personale con Dio e per il cammino di fede della ragazza e del ragazzo. Ci impegniamo ogni giorno nei territori per ribadire la centralità dell’educazione, per non lasciare indietro nessuno”.
Come aiutate i ragazzi a scegliere?
“Attraverso l’autoeducazione di ogni ragazzo e ragazza alla vita sociale, lo scautismo li accompagna alle scelte talvolta complesse che portano ad uno sviluppo armonico del carattere, alla cura della propria salute e alla crescita delle proprie abilità e competenze, a vivere esperienze di servizio al prossimo, attraverso azioni quotidiane che sono fondanti per sperimentare modalità di partecipazione e di educazione ad una cittadinanza responsabile. Il nostro ruolo è quello riconoscere le ragazze e i ragazzi, nelle loro emozioni e desideri, con sguardo amorevole e accogliente. Accompagnarli affinché siano protagonisti del proprio presente e del futuro, con spirito coraggioso, pragmatico e visionario. Infine, ma non in ultimo, convocarli perché possano fare sentire la propria voce e scoprire, attraverso forme autentiche di partecipazione, il proprio valore originale”.
In Norvegia si sta svolgendo ‘Roverway’, a cui partecipate con un contingente, con un titolo ‘North of the Ordinary’ (‘A Nord dell’Ordinario’): perché Roverway?
“Il Roverway è un evento europeo organizzato in ambito internazionale per dare l’opportunità alla branca Rover e Scolte, ragazzi e ragazze di età compresa dai 16 ai 22 anni, di scoprire e condividere differenti culture e tradizioni. L’edizione di quest’anno si svolge in Norvegia, a Stavanger, fino al 2 agosto, ma durante i mesi precedenti il contingente si è preparato in Italia. Il motto di questa edizione è ‘North of the Ordinary’ e l’evento si svolgerà immersi nella natura norvegese”.
Infine a don Andrea Turchini, assistente ecclesiastico generale dell’AGESCI, chiediamo il motivo per cui ancora oggi don Giovanni Minzoni è un ‘prezioso’ testimone?
“Don Giovanni Minzoni è un’ispirazione per noi guide e scout dell’Agesci. Soprattutto oggi, in questi tempi così sfidanti, quando abbiamo bisogno di stringerci alla nostra fede e di ancorarci all’esempio di profeti credibili, dobbiamo tornare alla sua testimonianza. La sua coraggiosa predicazione evangelica è memoria viva per l’educazione dei cittadini e cittadine di domani e per tutti noi che siamo come adulti invitati a conoscerne la storia e per imitare il suo esempio. Soprattutto nei territori difficili, con coraggio e speranza, dove non c’è una possibilità, dove manca la fede”.
(Tratto da Aci Stampa)