Diocesi di Piacenza: don Beotti beato per l’accoglienza agli ebrei

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Nell’ultimo sabato di settembre nel duomo di Piacenza, il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, card. Marcello Semeraro, nell’omelia per la beatificazione del religioso ucciso dai nazisti nel 1944, ha sottolineato l’esempio luminoso di colui che, così come gli Ulma, ospitò e aiutò ‘chi era maltrattato quasi fosse suo compagno di patimenti’.

Come arciprete della parrocchia di Sidolo, piccola frazione di Bardi in provincia di Parma, nel 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, e quindi sotto occupazione tedesca, Beotti soccorse e ospitò soldati in fuga, prigionieri fuggiti dai campi e perseguitati, tra loro un centinaio di ebrei. Nel 1944, per rappresaglia dopo l’uccisione di 70 soldati tedeschi, vennero rastrellati e distrutti i paesi della zona, tra questi Sidolo.

Don Beotti, rimasto in chiesa, il 20 luglio fu arrestato e fucilato, per rappresaglia ma anche, e soprattutto, come reazione all’aiuto e riparo da lui offerto a tanti ebrei, Il suo martirio fu testimoniato da chi, pur on avendo assistito alla esecuzione, però corse poco dopo sul luogo dell’eccidio. A morire con don Beotti furono anche il chierico, Italo Subacchi, che aveva trovato ospitalità presso don Beotti, e un confratello, don Francesco Delnevo.

Nell’omelia il card. Semeraro ha evidenziato il significato evangelico del ‘dare la vita’: “Normalmente, carissimi, noi mettiamo in luce il nostro dovere di amare Cristo ed è bello e giusto. Qui, però, si vuol dire che il valore più grande e decisivo è che Cristo ci ama e che in questo suo amore per noi dobbiamo depositare la nostra fiducia, anzi la nostra certezza nella vittoria.

L’altra scintilla che scaturisce dall’unica Parola di Dio è l’affermazione, quattro volte ripetuta, del dare la vita. Il Pastore evangelico non dà solo il pascolo al suo gregge, ma offre se stesso come cibo. Anche qui, tutto è sospeso all’amore: il Padre mi ama, dice Gesù. Capiamo che pure nel martirio di don Giuseppe Beotti tutto è legato all’amore, tutto è comprensibile nell’amore”.

E  la parabola del ‘buon Pastore’ è stata la base per l’omelia che ha fatto nel 1940: “In un documento, conservato nell’Archivio di questa Curia Vescovile di Piacenza e prodotto nel processo canonico per la beatificazione e dichiarazione di martirio, è scritto che presentandosi alla comunità parrocchiale che gli era stata affidata, il 21 gennaio 1940 don Beotti commentò nell’omelia proprio il brano del buon pastore che è stato appena proclamato.

Si legge pure che, attribuendola a sant’Agostino, sulla sua casa fece scrivere la frase ‘Fraternitatis amor in domo mea semper’. A dire il vero, questa espressione (pur bella e importante per entrare nell’animo del nostro Beato) non l’ho trovata nelle opere di Agostino; ce n’è, però, un’altra, che si adatta meravigliosamente alla testimonianza di santità che ci giunge da questo giovane sacerdote”.

Questo amore per la vita si è manifestato nell’accoglienza verso gli ebrei: “Al riguardo, possiamo senz’altro affermare che l’atto più eroico di don Beotti e forse pure tra le cause decisive del martirio fu la sua carità pastorale verso gli ebrei, di cui molti provenienti dalla Jugoslavia. In questo egli non si nascose.

Il fatto, peraltro, era una cosa ben nota all’autorità nazifascista. Il nostro Beato si impegnò per proteggerli e salvarli dalla persecuzione, aiutandoli a fuggire in Svizzera. Sappiamo che per i nazisti, il semplice fatto di dare ospitalità agli ebrei era considerato come un crimine punibile con la pena di morte”.

Per questo il paragone ricorre alla famiglia Ulma, recentemente beatificata: “In Polonia, nello stesso periodo, abbiamo l’esempio luminoso degli sposi Josef e Wiktoria Ulma, uccisi dai nazisti il 24 marzo 1944 con gli 8 ebrei che avevano nascosti e con i loro sette bambini, l’ultimo dei quali venuto alla luce dal grembo materno proprio in quelle drammatiche vicende.

Anche di loro, lo scorso 10 settembre ho avuto la grazia di procedere, a nome del Santo Padre, al rito di beatificazione. Dopo venti giorni, ecco che la Chiesa ha un altro beato che ha praticato l’ospitalità ed ha aiutato chi era maltrattato quasi fosse suo compagno di patimenti”.

E per il nuovo beato la carità fu una scelta di vita, secondo un ricordo del card. Ersilio Tonini: “La carità pastorale di don Giuseppe Beotti, però, è più che in singoli gesti. Fu una scelta di vita. Di lui si diceva che ‘aveva le tasche buche’ nel senso che dava ai poveri tutto quello che aveva’.

La cosa era conosciuta sicché ‘i suoi parrocchiani e anche i parroci vicini, pur sapendo che aveva le mani buche, lo aiutavano…’. La povertà, l’aveva sperimentata in famiglia… Don Beotti seppe però trasformare la sua povertà in ricchezza di dono, specialmente per chi alla povertà univa altri gravi disagi”.

Ed ha spiegato il motivo per cui fu ucciso: “Quanto alla causa immediata del martirio, le testimonianze addotte ci permettono di dire che sembra essere stata la distribuzione del pane, sul sagrato dalla Chiesa, fatta a diverse persone che ne facevano richiesta, la mattina del 20 luglio: gesto che i nazisti videro da lontano con il binocolo e da cui materialmente si sviluppò il dramma.

A me pare che in questo ci sia del valore simbolico: l’unità tra esercizio del sacro ministero nella divina liturgia e impegno quotidiano della vita. Fin dalla Chiesa antica, difatti, la condivisione dei beni e la raccolta delle offerta a favore dei bisognosi sono strettamente unite all’anamnesi del sacrificio di Cristo…

Allenandosi in questo tipo di doni il Beato Giuseppe Beotti è giunto a fare, come Cristo Pastore, il dono della propria vita. Forte della grazia di Cristo egli è stato vincitore sulla tribolazione, l’angoscia e la persecuzione e oggi, nella Santa Chiesa, la sua luce sorge come un’aurora”.

(Foto: diocesi di Piacenza-Bobbio)

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