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L’Ucraina nel racconto del presidente dell’Azione Cattolica di Bologna Daniele Magliozzi

Da Bologna e Vicenza i giovani dell’Azione Cattolica Italiana nei mesi scorsi hanno visitato i giovani ucraini per ‘coltivare la speranza’ in un tempo in cui la guerra continua incessante, colpendo soprattutto i civili, grazie ad un gemellaggio, nato 2 anni fa, fra l’Azione Cattolica di Bologna e la chiesa greco cattolica ucraina; al ritorno in Italia hanno raccontato la loro esperienza: “L’idea del viaggio nasce dall’Azione Cattolica di Bologna, che (su iniziativa della Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana) in questi anni ha ospitato molte volte gruppi di giovani ucraini. Un viaggio che ha toccato le città di Lviv, Ternopil, Bucha e Kiev, ed abbracciato la Chiesa greco-cattolica ed i suoi giovani che in questi anni non hanno mai perso di vista il bene, pur sperimentando l’orrore della guerra”.

La delegazione dell’Azione Cattolica di Bologna e dell’Azione Cattolica nazionale era composta dal presidente diocesano felsineo, Daniele Magliozzi, dall’assistente diocesano, don Stefano Bendazzoli, da Nicola Fava e Andrea Alberoni, rappresentanti del settore giovani dell’Azione Cattolica diocesana, e da Emanuela Gitto, vice presidente nazionale del settore giovani dell’associazione. Quindi abbiamo chiesto al presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Bologna, Daniele Magliozzi, di raccontare alcune impressioni:

“Tutte le associazioni laicali giovanili ucraine, anche le più piccole, si sono attivate per creare dei luoghi accoglienti di cura per tutti, a partire dai più piccoli. La Chiesa locale di Ternopil è vivissima e super impegnata, come i suoi giovani. Tutti, sin dal primo momento, hanno supportato le attività legate all’emergenza. Alcuni dei loro soci sono al fronte, ci hanno raccontato, quasi tutti hanno parenti stretti o amici in combattimento.

Superata la fase critica dei primi mesi di guerra, oggi servono la propria comunità con rinnovato slancio: c’è chi promuove attività estive per i figli dei militari, chi si è mosso per raccogliere fondi per sostenere le necessità urgenti delle famiglie, e chi continua ad accompagnare le domande di vita dei giovani. A Kyiv abbiamo incontrato i giovani della diocesi accolti lo scorso anno dall’Ac di Bologna. Non senza emozione, ci troviamo nei sotterranei della Cattedrale della Risurrezione, per chi è in presenza. Molti altri infatti si collegano su zoom, perché nelle loro città sono in corso allarmi aerei, e per questo non ci hanno potuto raggiungere. Siamo stati anche al santuario di Zarvanitsya per pregare e affidare alla Madonna una preghiera per la pace”.

Cosa avete sperimentato a Kiev?

“Nella visita abbiamo potuto constatare di persona i danni che la guerra sta facendo e l’opera fondamentale e straordinaria che la Chiesa cattolica ucraina sta compiendo; un lavoro enorme di supporto del tessuto sociale colpito da lutti, sofferenze fisiche e psicologiche. Abbiamo visitato molte città piene di manifesti di ragazzi giovani caduti in guerra, abbiamo incontrato gruppi giovanili che, nonostante le ferite enormi nei loro occhi e nei loro volti, hanno l’entusiasmo, la voglia di ripartire e di sognare. Siamo andati a Buča vicino Kyiv e abbiamo potuto vedere gli orrori e i massacri della guerra.

Arrivati in Ucraina siamo stati accolti da p. Roman Demush vice presidente della Commissione patriarcale per gli affari giovanili della Chiesa Cattolica ucraina, che ci ha ringraziato per la visita: ‘Questa visita di solidarietà è una prova molto preziosa del sostegno degli ucraini, della nostra Chiesa e, in particolare, dei giovani.

Quando i giovani ucraini dei territori più colpiti dalle ostilità hanno partecipato alle varie iniziative del progetto ‘Gli abbracci guariscono’, gli amici italiani hanno assicurato loro che li avrebbero ricordati nelle preghiere e che sarebbero venuti in visita in Ucraina. Questa visita è stata un mantenere la promessa fatta. Durante i nostri incontri con vari gruppi di giovani, ho ringraziato i rappresentanti dell’Azione Cattolica per la loro coraggiosa testimonianza di vicinanza. Dopotutto, venire in Ucraina ora è una decisione coraggiosa che ha stupito i nostri giovani’. Abbiamo anche incontrato il nunzio apostolico, mons. Visvaldas Kulbokas”.  

Cosa significa aver visitato Bucha?

“Il desiderio di ricostruire è forte, come ha raccontato Veronika Diakovych, la responsabile della ‘National Ukrainian Youth Association’ (Numo), che è in dialogo con le istituzioni per contribuire alla formulazione di una legge per le politiche giovanili. La loro missione è quella di creare ambienti sicuri, dove ragazzi e giovani possano crescere in serenità. Insieme a lei abbiamo visitato Bucha, la città martire nota per il massacro di civili durante l’occupazione russa.

Entrando, ci siamo subito accorti che i segni di distruzione stanno lasciando il posto a case di nuova costruzione. Qui ricostruire è segno di speranza, significa allontanare da sé le ferite di quei giorni di follia omicida. La Chiesa ortodossa al centro della città ha ancora segni dei colpi di mortaio e di mitragliatrice. Alle sue spalle, la stele con i nomi di tutti coloro che persero la vita nella strage e un elenco dei dispersi, come ci ha raccontato p. Roman: Bucha è diventata luogo di pellegrinaggio”.

In quale modo alimenterete questa amicizia con gli ucraini?

“Capire che siete qui mi dà la speranza che non siamo sole, ci ha detto una delle ragazze.

L’obiettivo che ci siamo dati come Azione Cattolica diocesana è quello di non dimenticarci mai di loro nella preghiera e di continuare in questo gemellaggio importante cercando di programmare alcune attività di accoglienza che possano aiutare i giovani ucraini a vivere più serenamente gli anni della loro vita”.

(Tratto da Aci Stampa)

Giornata del Rifugiato: occorre tutelare la persona

“E’ una realtà che interpella le nostre coscienze e ci chiama a fare di più per chi si trova in condizione di fragilità e bisogno per affermare l’inviolabilità della dignità di ogni persona. Non è solo questione umanitaria: è responsabilità giuridica e morale comune. Nella Giornata Mondiale del Rifugiato, si rinnova il dovere di ricordare che la tutela della persona, in ogni sua condizione, è principio fondativo della Repubblica Italiana, cuore dell’ordinamento europeo e pilastro del diritto internazionale”: così inizia il messaggio del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, in occasione della giornata del rifugiato, che si celebra oggi.

Nel messaggio il presidente Mattarella ha sottolineato la sfida a cui è ‘chiamata’l’Italia: “L’Italia, anche per la sua collocazione geografica, si trova in prima persona a rispondere a questa sfida globale e ad affrontare le ragioni profonde di questi fenomeni. Si misurano in questo ambito le insufficienze dell’ordinamento internazionale che non riesce ad assolvere pienamente al compito di protezione di queste condizioni di fragilità, specie in questa fase di indebolimento e lacerazione delle relazioni fra gli Stati.

La visione della Repubblica Italiana, fondata sulla cooperazione multilaterale e sul dialogo, appare ancora più preziosa, con l’attivo coinvolgimento delle forze della società civile, per un approccio condiviso in grado di offrire risposte rapide, concrete ed efficaci”.

Alla fine del 2024, si stimava che 123.200.000 persone nel mondo fossero sfollate con la forza a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani ed eventi che hanno gravemente turbato l’ordine pubblico con un aumento di 7.000.000 persone, pari al 6% rispetto alla fine del 2023.

Mentre la Fondazione ISMU ha evidenziato che nello scorso anno, secondo i dati Eurostat, le domande di protezione internazionale presentate nei Paesi dell’Unione Europea sono state 997.000, con un calo del 12% rispetto al 1.130.000 del 2023. Inoltre con quasi 159.000 richieste di asilo l’Italia è terza dopo Germania e Spagna: “Le richieste presentate nel nostro Paese rappresentano il 16% di tutte quelle presentate nell’UE. Dal 2021 il numero di domande di protezione nel nostro Paese è in continua crescita e nel 2024 si è registrato il numero più elevato degli ultimi dieci anni”. 

I principali fattori che determinano la fuga rimangono i grandi conflitti come quello in Sudan, Myanmar e Ucraina. In Italia solo il 7,6% ottiene lo status di rifugiato. Per quanto riguarda le decisioni di prima istanza adottate, Fondazione ISMU ETS evidenzia che nello scorso anno in Italia quasi due terzi delle richieste di protezione (oltre 50.000 in numero assoluto su 78.000 esaminate) hanno avuto esito negativo. Il dato italiano è superiore a quello UE, dove gli esiti negativi sono meno della metà (48,6%). Nel 2024, dunque, nel nostro Paese sono state accolte poco più di un terzo delle richieste di asilo esaminate, e in particolare lo status di rifugiato è stato riconosciuto solo a 6mila persone, il 7,6% del totale”.

Relativamente alle decisioni di prima istanza sulle domande di asilo si rileva che negli anni 2012-2024 in Italia mediamente lo status di rifugiato viene riconosciuto in misura inferiore rispetto al complesso degli Stati Membri: il 10% dei casi a fronte di una media UE del 23%: “Nel nostro Paese, il dato più alto è stato raggiunto nel 2021, quando l’incidenza dello status di rifugiato è stata del 17% sul totale delle domande esaminate. Nel complesso dei Paesi UE, invece, è il 2015 l’anno in cui si è registrata la percentuale maggiore, con il 39% delle concessioni di protezione per Convenzione di Ginevra”. 

Una significativa peculiarità italiana è la protezione umanitaria, non prevista in molti Stati Membri: sul totale degli esiti positivi i permessi umanitari concessi nel 2024 sono stati il 41% del totale (oltre 11.000 casi), mentre nel complesso dei Paesi UE l’incidenza di tale forma di protezione è del 17%. Il peso relativo della protezione sussidiaria è invece simile tra Italia e totale UE: 38% vs 40%.

Infine nel 2024 hanno ottenuto lo status di rifugiato il 46% dei cittadini provenienti dall’Afghanistan, il 20% dei cittadini del Camerun, il 18% degli ivoriani e il 16% dei nigeriani. Per queste ultime nazionalità africane prevalgono le donne, che rappresentano oltre due terzi di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato.  Nella media UE è l’Eritrea il Paese con la più alta percentuale di riconoscimento di status di rifugiato (oltre due terzi), seguito da Afghanistan (54%) e Somalia (36%).

Secondo il Centro Astalli i diritti umani sono posti in secondo piano, scavalcati dagli interessi delle nazioni: “ Secondo il Conflict Index 2024 di ACLED – Armed Conflict Location & Event Data, sono più di 50 i conflitti nel mondo, il numero più alto dal dopoguerra ad oggi. Così come milioni sono le persone rifugiate e sfollate, oltre 120.000.000, il numero più alto mai registrato da 80 anni a questa parte. Ottanta anni fa si assistette a una forte spinta di cambiamento collettivo. Era necessario un nuovo inizio, un impegno comune e condiviso per la costruzione di un nuovo futuro.

Una generatività che ieri come oggi è fondata sulla speranza che ‘non delude’. Oggi, mentre il mondo si scopre immobile davanti alle emergenze umanitarie e al grido di aiuto delle persone vulnerabili, in particolar modo se migranti e rifugiate, in balìa di muri legislativi e burocratici, di armi e giochi di potere, di onde, che si richiudono sui corpi sommersi nell’indifferenza generale, c’è bisogno di un sussulto di umanità fondata su un nuovo paradigma: un umanesimo planetario come nuova visione”.

Ed è stato evidenziato la speranza del ‘rifugiato’: “Alla miopia di un Occidente e di un’Europa che si rifiutano di guardare al di là dei propri orizzonti, si contrappone una speranza che è caratteristica comune di ogni persona rifugiata. Una speranza che è testimonianza incarnata nelle loro vite. Una testimonianza che si traduce in solidarietà spontanea di tanti cittadini e cittadine che aiutano i rifugiati con gesti concreti, superando la diffidenza e la paura, e di tanti rifugiati, essi stessi volontari nelle comunità, agenti di cambiamento e rappresentanti delle società che abitano. Tutti loro rivelano la vera dimensione dell’accoglienza: un incontro tra persone, tra uomini e donne che si conoscono e si riconoscono, un incontro di umanità, che apre a orizzonti nuovi”.

Associazione Dormitorio San Vincenzo De Paoli: a Brescia un concerto a sostegno delle donne

C’è un mondo di cui si parla poco. È il mondo delle donne che vivono ai margini. Si tratta di mamme con bambini, donne sole, senza lavoro, senzatetto e senza dimora. Sono vite segnate da un forte disagio che oggi registra numeri crescenti e alla quale a stento si riesce a rispondere. A Brescia, l’Associazione Dormitorio San Vincenzo de Paoli cerca di affrontare questa emergenza sociale e a ospitare quante bussano alla porta per usufruire del servizio ‘Emergenza donne’.

Si tratta di un’attività serale e notturna che accoglie le donne che vivono in una condizione di fragilità ed estremo disagio: donne, giovani e di mezza età, che arrivano dopo aver vissuto lunghi periodi di disagio, spesso dopo aver sviluppato problemi psichici o dipendenze. Donne vittime di violenza domestica e donne che hanno affrontato un lungo percorso di migrazione e ora sono richiedenti asilo.

“Solo nel 2024 abbiamo accolto 58 donne, 7 delle quali sono passate nei servizi di inclusione sociale”, spiega Bona Sulliotti, Presidente dell’Associazione Dormitorio San Vincenzo de Paoli e specifica: “Le richieste sono in aumento da circa due anni anche da parte delle richiedenti asilo prive di un posto all’interno dei SAI (Sistema di accoglienza e integrazione). All’interno della struttura però si possono accogliere solo 8 persone.  Da qui l’esigenza di organizzare un evento solidale.

Giovedì 12 giugno al Teatro San Barnaba di Brescia il pianista Angelo Santirocco si esibirà con un concerto di musica jazz, pop, rock. Il ricavato dei biglietti di ingresso sarà devoluto al servizio ‘Emergenza donne’. L’artista, che ha girato sui palcoscenici e per le strade di mezzo Mondo con il suo inconfondibile pianoforte rosa, farà tappa nella città lombarda e delizierà il pubblico con un’esibizione dalle sonorità rockeggianti e classiche, spaziando dalle colonne sonore di film come il Gladiatore, Pirati dei Caraibi fino a riscoprire i grandi classici della musica da piano.

“Speriamo di poter rafforzare la nostra attività che è nata nel periodo più freddo del 2018, su richiesta del Comune di Brescia. In quell’anno abbiamo accolto badanti anziane, donne vittime di violenza, donne con dipendenze attive, donne con gravi problemi sanitari e psichiatrici”, ha concluso Bona Sulliotti.

Una presenza importante sul territorio che, grazie al sostegno di educatori e volontari, garantisce un percorso di accompagnamento coordinato, dando la possibilità a diverse donne di essere ascoltate e indirizzate verso servizi specifici che evitano loro il ritorno in strada, in carcere o in altre situazioni di pericolo.

L’impegno dell’Associazione Dormitorio San Vincenzo sul territorio nasce nel 1994 come emanazione della Società di San Vincenzo De Paoli. La realtà ha il proposito di attuare azioni che, oltre all’assistenza concreta, offrano un percorso di reinserimento sociale che restituisca alla persona dignità e autonomia.

L’Associazione Dormitorio San Vincenzo ogni giorno accoglie 150 persone attraverso la gestione di diversi servizi: il Dormitorio maschile San Vincenzo e Duomo Room, le Case di accoglienza ‘San Vincenzo’ femminile e maschile, 15appartamenti destinati all’housing sociale, un appartamento di housing first e una villetta a Castenedolo.

Il sostegno è rivolto a uomini e donne o senza dimora che vivono situazioni difficili e storie complesse, connotate dall’abbandono, dalla dipendenza, dalla disgregazione dei legami familiari e dalla solitudine.

La Società di San Vincenzo De Paoli opera a Brescia dal 1858. Il costante servizio a sostegno del prossimo ha consentito di accrescere l’operato sul territorio grazie all’apertura del Dormitorio San Vincenzo 125 anni fa, era il Natale del 1899. Il Consiglio Centrale, con 31 Conferenze attive, opera nelle province di Brescia e di Mantova fornendo aiuto concreto a chi si trova in difficoltà tra poveri, emarginati e persone sole, e alla gestione operativa dell’Associazione Dormitorio San Vincenzo finalizzata all’accoglienza delle persone emarginate e senza dimora.

(Foto: San Vincenzo de’ Paoli)

Estate 2025: per frenare i prezzi del turismo le strutture religiose e non-profit resistono al carovita

L’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana (ORI) rende noti i risultati di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo delle quasi 3000 strutture ricettive religiose e non-profit in tutta Italia, evidenziando il dato significativo che gli aumenti delle tariffe estive per il 2025 si mantengono ben al di sotto della media di settore.

Secondo l’indagine, l’incremento medio delle tariffe per il soggiorno nei mesi di luglio e agosto è solo del 4% rispetto all’estate 2024, contro un’impennata nel turismo dell’8/10% fino a punte del 20%. Più nel dettaglio, in queste particolari strutture per una camera doppia con colazione in vacanza si spendono mediamente € 83 al giorno, che arrivano a 138 euro se si sceglie la pensione completa.

Una famiglia di 4 adulti può così vivere una vacanza di una settimana in pensione completa con una spesa tra € 1.800 ed € 2.100 euro, secondo la zona scelta. Ancora meno se sono presenti bambini o si sceglie una camera quadrupla: “Queste strutture confermano la loro missione originaria di accoglienza accessibile, anche in un contesto di rincari generalizzati”, dichiara il presidente di ORI, Fabio Rocchi.

“Continuano ad offrire ospitalità sobria, di qualità, a prezzi equi, senza rinunciare ai valori di inclusione e solidarietà che le contraddistinguono”. Il sondaggio ha coinvolto case per ferie, foresterie, conventi, istituti religiosi, associazioni e fondazioni laiche senza scopo di lucro, presenti sia in contesti urbani che nelle aree rurali, marine e montane, tutte facenti riferimento al portale ospitalitareligiosa.it.

A Padova la tredicina di sant’Antonio

Dal primo giugno è iniziata la Tredicina in preparazione per la festa di sant’ Antonio da Padova ed il Santuario si arricchisce di eventi come il pellegrinaggio della Comunità filippina del Triveneto, che da alcuni anni si danno appuntamento in basilica per salutare frate Antonio, il santo più amato e venerato nel loro Paese. Sono diverse centinaia oggi i filippini presenti, giunti da tutto il Nord Italia, alcuni arrivati appositamente da Londra, per unirsi ai connazionali nella festa.

Ed in vista della solennità di sant’Antonio, i frati della basilica del santo di Padova hanno realizzato una speciale iniziativa digitale per accompagnare spiritualmente i devoti nei 13 giorni che precedono la festa del 13 giugno attraverso la serie ‘Antonio – Parole d’Amore, Parole di Speranza’, composta da tredici video della durata di circa 5 minuti ciascuno, che offrono un originale e profondo percorso di riflessione.

I video, concepiti come una sorta di ‘cammino antoniano’, presentano sant’Antonio a Padova durante gli ultimi mesi della sua vita terrena. In ciascun episodio, il Santo vive o ricorda momenti significativi del suo ministero, sia in città che nei luoghi attraversati durante le sue missioni. Da queste esperienze, Antonio trae spunti di riflessione che confluiranno nei 13 sermoni che sta scrivendo e che fanno parte della sua grande opera teologica e spirituale.

Infatti ‘speranza’ è la parola chiave di questo ‘Giugno Antoniano’, intitolato ‘Pellegrini di speranza con sant’Antonio’, con molti eventi culturali che declinano questo termine in maniera originale: al tema del cammino e dei cammini è stata dedicata la serata ‘Storia e storie di pellegrini lungo il Cammino di sant’Antonio’ con riflessioni e testimonianze sul pellegrinaggio e sul Cammino di Sant’Antonio con padre Luciano Bertazzo del Centro Studi Antoniani e Alberto Friso, che è anche project event manager del progetto Antonio800.

Mentre a mons. Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente di Caritas Italiana, è dedicato il convegno ‘Carità e giustizia: le beatitudini quotidiane di mons. Giovanni Nervo’ di giovedì 5 giugno in Sala Studio Teologico al Santo. L’incontro è promosso dalla diocesi di Padova nell’ambito dell’avvio del processo di beatificazione del sacerdote e profeta della carità. A dialogare saranno Tiziano Vecchiato, presidente di Fondazione ‘Emanuela Zancan’, sul tema solidarietà e giustizia, e il teologo Andrea Toniolo sulla carità.

Per quanto riguarda il cartellone musicale del GA25, venerdì 6 giugno, nel cortile di Palazzo Moroni si terrà il concerto ‘Rosso di sera – La voce del Creato’ con voci soliste, piano, recitazione in occasione degli 800 anni del Cantico delle Creature di san Francesco con il soprano Silvia Rampazzo ed il tenore Cristian Lanza; al pianoforte Antonio Camponogara, con il contributo di Fineco Banca.

Infine, in occasione del Giubileo della Speranza in Basilica è a disposizione dei pellegrini un percorso giubilare in 10 tappe: Arca del Santo; Cappella della Madonna Mora; Cappella di san Giuseppe; Cappella delle Reliquie; Memoriale p. Placido Cortese; Cappella delle benedizioni; Penitenzieria; Croce ‘Voca me’ in Chiostro della Magnolia, Cappella del Santissimo, con possibilità di ritirare il ricordo del proprio Pellegrinaggio di Speranza al Santo in sala accoglienza del Messaggero di sant’Antonio. Il cartellone completo con tutti gli eventi culturali e le celebrazioni religiose è su www.santantonio.org.

Infine nell’ambito del Giugno Antoniano, ‘Antonio800’ ha presentato numeri, date, luoghi del cammino giubilare di 1.306 chilometri a staffetta con la reliquia di sant’Antonio dal centro della Francia a Padova, come ha spiegato fra Antonio Ramina, rettore della basilica di sant’Antonio: “Non siamo in grado di dire che sant’Antonio abbia scelto precisamente queste strade per passare dall’Italia alla Francia andata e ritorno, ma di certo la sua presenza è attestata in alcuni dei luoghi che tocchiamo: Brive-la-Gaillarde, Solignac, Limoges. Per il tratto italiano, sappiamo che Antonio fu a Vercelli, Milano, Verona, ovviamente a Padova. Il contesto storico è diventato occasione per lasciarci nuovamente interrogare dalla vita di sant’Antonio, dalla sua passione per Gesù e per l’annuncio della Buona Novella a ogni persona incontrata lungo la via. Ecco in sintesi perché vogliamo tornare sulle strade da lui percorse, affidando a Dio i nostri passi”.

Quindi ‘En Route con sant’Antonio’ è un cammino a staffetta ed un cammino di popolo, secondo la presentazione di fra Roberto Brandinelli, ministro della Provincia Italiana di S. Antonio di Padova: “A staffetta, perché in tanti concorreranno a camminare i 1.306 chilometri del percorso, con una modalità già sperimentata nell’estate 2022, quando avevamo attraversato l’Italia da Capo Milazzo, vicino a Messina, luogo del naufragio di Antonio, fino ad Assisi e quindi a Padova.

Poi è un cammino povero perché pienamente francescano, strutturato intorno a pochi elementi fondamentali: i passi lieti dei pellegrini, l’accoglienza fiduciosa richiesta bussando alle porte di conventi e parrocchie, il desiderio di pregare insieme e di lasciarsi toccare dalla bellezza dell’annuncio cristiano testimoniato da Antonio. Peraltro, una sua reliquia ex ossibus ‘camminerà’ con noi sulle spalle di un frate pellegrino, e sarà consegnata di volta in volta alle comunità cristiane incontrate lungo le 60 tappe fino alla ripartenza del giorno successivo”.

Marina Galati confermata presidente del CNCA

L’Assemblea nazionale del CNCA odv, riunitasi ieri online, ha confermato come presidente Marina Galati e ha eletto il Direttivo nazionale, ampliato da 3 a 5 membri: confermati Alessia Pesci e Mattia De Bei, eletti per la prima volta Silvia Rizzato e Antonio D’Aquino. Nel corso dell’Assemblea è stato anche approvato il cambio di nome, allineandosi a quanto già fatto dalla rete CNCA: da Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti.

La presidente Marina Galati ha confermato l’impegno concreto del nuovo Direttivo a rafforzare l’impatto sociale delle attività promosse dal CNCA odv a livello nazionale e internazionale. “Siamo in un tempo che richiede coraggio, visione e prossimità”, ha dichiarato Galati. “Il volontariato non è solo risposta all’emergenza, ma costruzione quotidiana di legami, diritti e possibilità. Il nostro impegno sarà quello di lavorare per sostenere il movimento delle persone e favorire la presa di parola, soprattutto giovanile, attraverso azioni di advocacy e sostegno a percorsi di auto-rappresentanza”.

Nel corso dell’Assemblea si è anche fatto il punto sulle attività recenti del CNCA odv. Particolare rilievo hanno avuto i due appuntamenti di VoCi Festival, tenutisi a novembre 2024: il primo si è svolto a Marzabotto, coinvolgendo le reti di famiglie accoglienti; il secondo a Cetraro, con protagonisti i giovani volontari. Entrambi gli eventi hanno rappresentato spazi fondamentali di incontro, scambio e co-progettazione.

Sono stati, inoltre, realizzati due progetti, in collaborazione con la rete CNCA e l’Associazione Maranathà, all’interno dei quali il CNCA odv ha avuto un ruolo attivo nello sviluppo e nella realizzazione delle attività. Complessivamente, i progetti e il festival hanno coinvolto circa 230 giovani, confermando l’impegno dell’organizzazione nella promozione della cittadinanza attiva tra le nuove generazioni.

Un ulteriore traguardo significativo è stato il finanziamento approvato di un nuovo progetto che consentirà al CNCA odv di ampliare il proprio raggio d’azione e consolidare le pratiche di solidarietà, partecipazione e inclusione.

Il CNCA odv proseguirà la sua azione anche nei prossimi mesi con attività che uniscono volontariato, pace e legami intergenerazionali, valorizzando l’incontro tra generazioni, territori e culture, nella prospettiva di una società più giusta, accogliente e solidale. La nuova governance si pone in continuità con il cammino sinora tracciato, ma con uno sguardo proiettato verso le sfide future.

“Il rinnovo delle cariche del CNCA odv”, ha dichiarato Caterina Pozzi, presidente della rete CNCA, “ha visto un ampliamento dei suoi componenti, passati da 3 a 5, con l’inserimento di due giovani operator3 sociali che ringraziamo di cuore. Un grazie di cuore anche a Marina, Alessia e Mattia per il rinnovato impegno. Il cammino del CNCA odv – che mette al centro la cittadinanza attiva e il coinvolgimento dei giovani e delle giovani – è un tassello fondamentale nel cammino comune di tutto il CNCA”.

Don Antonio Ruccia presenta la Madre di Dio come donna del Giubileo

“Con una lettura originale e pungolante, don Antonio ci conduce, insieme con Maria, a toccare le ferite dell’umanità e a entrare in esse come se fossero delle feritoie o delle porte da attraversare, appunto, per irrorare i meandri tortuosi della storia con la luce del Vangelo e con lo stile di Gesù, che non è venuto per condannare il mondo, ma perché quest’ultimo sia salvato per mezzo di Lui”: così si legge nella prefazione del libro ‘Maria, donna del Giubileo’, scritto da don Antonio Ruccia, parroco della chiesa di San Giovanni Battista a Bari e docente di teologia pastorale al Pontificio Istituto di teologia della vita consacrata ‘Claretianum’ di Roma ed alla Facoltà teologica di Bari.

A lui chiediamo di spiegarci il motivo per cui Maria è la donna del Giubileo: “In tanti parlano di Maria come donna e madre di speranza. A lei attribuiscono il ruolo di corredentrice della salvezza e la indicano come modello all’umanità in cammino verso il cielo. Parlare di Maria come donna di un giubileo che ruota tutto intorno alla speranza ci offre l’opportunità di cogliere come la madre di Gesù è colei che, aprendo la porta del suo cuore, ha aperto un ingresso mai chiuso. Attraverso lei si raggiunge sempre il Cristo.

Ci accompagna e non lascia nessuno fuori. Se qualcuno pensa che possano esserci dei figli che non hanno la possibilità di passare ma semplicemente spassare dinanzi alla porta che è Cristo, si sbagliano del tutto. Maria è donna del giubileo perché come lei anche noi dobbiamo avere il coraggio di uscire dall’egoismo e dalla passività e cercare quanti non hanno la forza di avvicinarsi al Cristo. Maria è uscita dalla porta di Nazaret. Per noi è il tempo di uscire dalla porta del giubileo e cominciare nuovi cammini”.

Per quale motivo la Madre di Dio è madre dei ‘giubilanti’?

“Se diamo per acquisito il fatto che il giubileo dei credenti del terzo millennio è uscire dalla porta poco prima attraversata e poi mettersi in marcia per andare ad incontrare gli assenti della nostra società, Maria diventa la Madre dei giubilanti perché è lei che cerca i figli abbandonati e delusi. I tanti che oggi deviano e l’escalation delle violenze su tutti i fronti, dalle guerre in atto agli atti di bullismo e all’uso delle armi anche nelle nostre città, devono farci rendere conto che la proposta di Maria è quella di non arrendersi mai. I cammini di nuova evangelizzazione unitamente a quelli di carità devono segnare la strada per una Chiesa dell’intraprendenza e della disponibilità. Il giubileo non è un anno del calendario o un tempo della Chiesa. Il giubileo indicatoci da Maria è il tempo di tutti quelli che camminano insieme per cambiare insieme un mondo che boccheggia e che ansima per le situazioni di precarietà e di assenza di Dio dalla vita di tanti”. 

Perché la Madonna è ‘icona dell’accoglienza’?

“Accogliere fa sempre rima con raccogliere. Maria è la Madre che prima accogliere il Cristo e poi raccoglie altri figli. Proviamo per attimo a pensare a chi resta indietro. Ci sono tanti che arrancano e restano al palo: i poveri, i bambini affamati, le donne violentate, le persone che ogni giorno devono cercare qualcosa per sopravvivere. Voi pensate che una donna come Maria che si è inventata il Magnificat e lo ha cantato dinanzi ad un’altra donna gravida come Elisabetta si limiterebbe a stare dinanzi ad un computer o al piccolo schermo mentre i migranti muoiono in mare o vengono rimandati indietro perché gente di ‘basso rango’? Maria è donna sollecita perché, essendo uscita dalla porta giubilare, traccia la strada per tutte le forme di accoglienza e per le dinamiche di una Chiesa del post-modernismo e della nuova evangelizzazione che oltrepassi anche le logiche della semplice sacramentalizzazione su cui continua a poggiare la pastorale contemporanea. Il vero giubileo sta nell’uscire e non nel temporeggiare!”    

Per quale motivo, pur obbedendo a Dio, ella è una donna irriducibile?

“Se dovessi pensare, in questo momento dove potrebbe essere la Madre di Gesù che mai ha lasciato suo Figlio indifeso, non avrei esitazione nel dire che la troverei tra le “donne irriducibili”. Sono quelle che continuano a lottare per ottenere giustizia per i desaparesidos di Plaza de Mayo o tra le strade di Gaza dove si combatte per una ‘striscia’ abitata nella stragrande maggioranza da poveri. Pensate che qualcuno posso fermarla? Se qualcuno lo pensa, credo che non la incontrerà mai. Noi che con i rosari continuiamo a sgranare ‘ave Maria’, dobbiamo sgranare dalle logiche della guerra chi continua a creare sacche di morte su cui spesso siamo indifferenti. Gesù è il re della pace e Maria è colei che esce per indicare proprio questa strada”.  

In quale modo ci si può vestire ‘di giubileo come Maria’?

“Non basta emozionarsi nel vedere i figli muoversi durante un’ecografia. Bisogna prepararsi per vestirli di amore ed essere genitori. Maria è Colei che ci insegna a vestire di amore il mondo, svestendoci di ogni forma di passività. Questo significa aprire la porta del cuore e permettere al Signore di entrare ancora nelle nostre vite per camminare e ‘sfoggiare’ gli abiti dell’amore che la società dell’indifferenza continuare a snobbare”.  

(Tratto da Aci Stampa)

Rapporto 2025 sull’ospitalità religiosa in Italia: come cambiano usi e costumi dell’accoglienza a pellegrini e turisti

L’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana ha pubblicato l’annuale Rapporto sullo stato delle accoglienze religiose e non-profit in Italia, che prende in esame le strutture ricettive di questo ambito destinate a chi viaggia per motivi spirituali, turistici, lavorativi e di studio: si tratta di Case per Ferie, Conventi, Monasteri, Istituti, Residenze universitarie, Case religiose…

Secondo lo studio, realizzato tramite il portale ospitalitareligiosa.it, questo settore dispone oggi di circa 190.000 posti-letto distribuiti in 2.940 strutture in tutta Italia, in leggera flessione rispetto agli anni precedenti, per la  riconversione di alcune strutture ad altri usi, primo fra tutti quello delle RSA per anziani. L’invecchiamento della popolazione spinge infatti Diocesi, Ordini e Congregazioni ad orientarsi con sempre maggiore attenzione verso un settore lasciato spesso scoperto dall’imprenditoria commerciale.

Tornando all’ospitalità religiosa di breve e medio termine, il Lazio e Roma offrono sempre la maggiore disponibilità, rafforzata con il Giubileo, con 32.897 posti letto suddivisi in 518 strutture. Più distanti Veneto (22.115), Lombardia (16.834) ed Emilia Romagna (15.730).

Se però si pone a confronto questi dati con la densità di popolazione, la situazione si ribalta ed emerge la Valle d’Aosta con un posto letto dell’ospitalità religiosa ogni 39 abitanti, seguita dalla francescana Umbria (1 ogni 74), dal Trentino-Alto Adige (1 ogni 133) e dalle Marche (1 ogni 140).

Cambia anche il rapporto con la tecnologia in queste strutture, di cui ora il 70% è dotato di Wi-Fi per gli ospiti. Le altre non sono rimaste indietro, ma per scelta fanno proprio dell’approccio offline una delle caratteristiche dell’offerta ricettiva. Ne è la riprova che si tratta quasi sempre di strutture situate in collina o montagna, luoghi ideali per ‘staccare la spina’ dalla frenesia del nostro quotidiano, smartphone compresi.

Per degustare le capacità culinarie dei gestori, non manca la possibilità di rivolgersi a quel 46% di strutture che offrono la pensione completa o la mezza pensione, rendendo così l’esperienza del soggiorno più coinvolgente. Una tradizione secolare in cucina che oggi gode anche di una ‘contaminazione’ grazie alla sempre più frequente presenza di religiosi e religiose provenienti da altri continenti.

Secondo il presidente dell’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, Fabio Rocchi, questo settore dell’accoglienza, “poco conosciuto e non paragonabile ad altri comparti dell’ospitalità, merita sempre più l’attenzione del pubblico indistinto -credente o meno- per la capacità che ha di rinnovarsi, mantenendo però quella costante attenzione nei confronti degli Ultimi, grazie alla redistribuzione degli introiti nelle opere caritatevoli e assistenziali in Italia e nel mondo”.

Al Centro Astalli di Roma presentato il rapporto

Nelle settimane scorse a Roma è stato presentato il Rapporto annuale del Centro Astalli: uno strumento per capire attraverso dati e statistiche quali sono le principali nazionalità degli oltre 24.000 rifugiati e richiedenti asilo assistiti, di cui 11.000 a Roma, che si sono rivolti nel corso dell’anno al Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, quali le difficoltà che incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di inclusione.

Durante l’evento, trasmesso anche in diretta sul canale YouTube dell’organizzazione, p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha presentato i dati che raccontano una realtà che, grazie agli oltre 800 volontari che operano nelle 8 sedi territoriali (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Padova, Palermo, Vicenza, Trento), si adatta a rispondere ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che stenta a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca protezione:

“Presentiamo il Rapporto 2025 in questo Anno Giubilare con la ferma convinzione che accompagnare, servire e difendere le persone richiedenti asilo e rifugiate sia un segno di speranza… Il 2024 è stato l’anno del Patto sulla migrazione e l’asilo adottato dal Consiglio Europeo lo scorso maggio. Come in più occasioni sottolineato dalla società civile e con documenti congiunti dall’Ufficio europeo del JRS, l’implementazione di questo Patto può portare, tra le altre cose, a un arretramento del diritto d’asilo, per l’aumento previsto delle procedure accelerate alla frontiera e un conseguente possibile aumento del numero delle persone detenute in modo arbitrario”.

Per quanto riguarda la situazione italiana ha sottolineato la creazione di centri di accoglienza in Albania: “Sul versante Italia il 2024 è stato poi l’anno del braccio di ferro sui centri in Albania. Al di là delle polemiche, quello che ci preoccupa è la creazione di un artificio legale, quello di centri in terra albanese sotto la giurisdizione italiana. Per fare questo si è sostenuto il principio di deportabilità delle persone (abbiamo visto qualche esempio), rispetto alle quali si è persa di vista la centralità della loro dignità, trattandole come carichi residuali non desiderati.

Non convince neppure la recente decisione di convertire queste strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)… Non crediamo che l’utilizzo a tale scopo delle strutture in Albania possa migliorarne la funzionalità in vista del rimpatrio delle persone detenute e garantire nel contempo il rispetto dei diritti dei migranti trattenuti”.

Ed ha evidenziato il ‘lavoro’ fatto con i giovani: “Anche per il 2024 una parte importante del percorso di Astalli, attraverso i progetti ‘Finestre e Incontri’, è stato fatto con i giovani italiani delle scuole secondarie, anche se tra di loro ci sono molti ragazzi e ragazze (troppi) che non hanno ancora la cittadinanza, che sono cittadini di fatto anche se ancora non di diritto. Abbiamo continuato, non senza la fatica per le poche risorse, a far incontrare i rifugiati e i testimoni di diverse religioni e confessioni cristiane con studenti e studentesse andando nelle scuole, in 1.969 classi, per un totale di 38.700 studenti in tutta Italia”.

Il Rapporto annuale 2025 del Centro Astalli evidenzia un quadro di crescente complessità e vulnerabilità di cui i rifugiati assistiti sono portatori, in un contesto caratterizzato da politiche migratorie sempre più restrittive e dalle difficoltà di accesso a un sistema di accoglienza adeguato non sempre all’altezza del compito che è chiamato a svolgere.

Sono stati 65.581 i pasti distribuiti presso la mensa di Via degli Astalli, 1.114 le persone ospitate in strutture d’accoglienza, di cui, 227 a Roma, 10.044 le persone che hanno ricevuto assistenza sanitaria presso il Centro Sa.Mi.Fo., 1.161 le persone che si sono rivolte ai servizi di accompagnamento sociale, tra cui 710 quelle che hanno richiesto un accompagnamento ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione. Mentre sono stati 38.700 gli studenti e le studentesse incontrati nell’ambito dei progetti di sensibilizzazione ‘Finestre e Incontri’.

Dal rapporto si evince che sono sempre più numerosi i migranti vulnerati da tentativi negati di accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, intrappolati in un limbo giuridico: “La riduzione a soli sette giorni del termine per presentare ricorso contro decisioni negative alla richiesta di asilo da parte di migranti provenienti da Paesi considerati ‘sicuri’ ha reso difficile garantire un’efficace tutela giurisdizionale.

Sono lunghe mesi, invece, le attese per accedere alle Questure e per ottenere permessi di soggiorno, mentre si lamenta una disponibilità sempre più limitata di posti in accoglienza…. Il servizio di orientamento legale del Centro Astalli si è trovato a supportare 517 persone, tra le quali molte con permessi in scadenza e senza possibilità di rinnovo. A Catania sono state 965 le persone accompagnate nell’iter burocratico della procedura di asilo, 525 a Trento”.

Quest’evento era iniziato con la testimonianza di Khanum Yehoian, originaria dell’Armenia, in fuga dall’Ucraina in guerra: “Mi chiamo Khanum e sono nata in Armenia, un piccolo e antico Paese del Caucaso meridionale, tra Turchia, Georgia, Azerbaigian e Iran. La civiltà armena è una delle più antiche del mondo, ha una storia millenaria e un popolo forte, che è sopravvissuto al genocidio del 1915, quando l’Impero Ottomano organizzò lo sterminio sistematico del mio popolo. Più di 3.000.000 di persone furono uccise e altre milioni furono costrette a lasciare la loro terra…

Vivo a Roma da tre anni e il mio percorso di adattamento in questo nuovo Paese continua. Cerco ancora delle risposte alle tante domande e continuo a crescere come persona. So che l’Armenia, la mia terra d’origine, l’Ucraina, il Paese dove sono cresciuta, e l’Italia, il luogo in cui ho trovato rifugio, fanno parte di me. Tre paesi, tre identità diverse. Ognuno di questi mi ha lasciato un segno e sono felice di poter condividere oggi questa esperienza con voi”.

(Foto: Centro Astalli)

Ricordando papa Francesco per una Chiesa aperta

Papa Francesco a Lesbo

Ieri mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha celebrato una messa di suffragio per papa Francesco, in cui è stato utilizzato il calice che papa Francesco donò alla diocesi in occasione della sua visita a Milano il 25 marzo 2017: “L’impatto emotivo della morte di papa Francesco ha suscitato molti discorsi, molte analisi, molte confidenze di esperienze. In questi giorni sono pervenuti a tutti noi parole, immagini e riflessioni. Questa sera noi non siamo qui per una commemorazione, per una rievocazione della figura e del pontificato di papa Francesco. Noi siamo qui questa sera a pregare per papa Francesco, a chiedere alle scritture che verranno proclamate di imparare ad ascoltare, a vivere e a celebrare la Pasqua che papa Francesco ha celebrato domenica e ha compiuto lunedì”.

Nell’omelia mons. Delpini ha sottolineato che il cristiano è ‘disturbante’: “Il cristiano che ha fatto Pasqua è irritante, mette a disagio, si rende antipatico perché annuncia in Gesù la risurrezione dei morti. Il cristiano che ha fatto Pasqua disturba perché prende la parola anche se non è autorizzato dalle autorità costituite. E’ fastidioso perché porta un messaggio sconcertante e mette in discussione le consuetudini pigre, la prepotenza dei potenti”.

E’ disturbante perché va al cuore del problema: “Il cristiano che ha fatto Pasqua tocca il cuore di quelli che hanno ascoltato la Parola e credono, ma suscita l’ostilità di coloro che non vogliono più sentir parlare di Gesù. Il cristiano che ha fatto Pasqua sa che la Pasqua sarà motivo di irritazione e di persecuzione dappertutto per coloro che l’annunciano e motivo di gioia indicibile per coloro che credono”.

In questo senso papa Francesco ha ‘fatto’ Pasqua: “In questi giorni si dice molto, si analizzano gli aspetti complessi del suo ministero da Vescovo di Roma, come servo dei servi nella Chiesa universale, come un uomo che si è fatto voce di coloro che non hanno voce, come un profeta che ha invocato ostinatamente (e a quanto pare inutilmente) la pace.

Si può dire molto di papa Francesco, questa sera però io credo che si possa dire semplicemente così: papa Francesco è un cristiano che ha fatto Pasqua e ha sperimentato il timore e la gioia grande e si è dedicato a sostenere la fede e la perseveranza dei fratelli. Ed è stato fastidioso, irritante per la sua parola che, in nome del Vangelo, ha proposto uno stile di vita, una attenzione ai più poveri, un doveroso cammino di conversione. E’ stato fastidioso, però così sono i cristiani che fanno Pasqua: lieti, timorosi, zelanti e irritanti”.

Per questo suo attaccamento alla Parola di Dio la ‘Casa della Carità’ ambrosiana ha ripercorso brevemente il pontificato del papa: “In questi 12 anni, a partire da quel semplice ‘Buonasera’ con cui ha salutato il mondo dopo la sua elezione, Papa Bergoglio ha cambiato il volto della Chiesa e ha saputo parlare a credenti e non credenti. Dalla prima visita a Lampedusa al suo invito a essere ‘Chiesa in uscita’, dalle sue encicliche allo sguardo verso gli ultimi, gli scartati, al costante richiamo a perseguire la pace, ci ha insegnato a vivere il Vangelo nel presente. Per noi di Casa della Carità, le sue parole e i suoi gesti sono stati una guida, in continuità con gli insegnamenti del card. Carlo Maria Martini”.

Il presidente della ‘Casa della Carità’, don Paolo Solmi, ha ripercorso il magistero di papa Francesco: “Attraverso i suoi scritti (come l’esortazione ‘Evangelii Gaudium’ e le encicliche ‘Laudato Sì’ e ‘Fratelli tutti’) papa Francesco ha saputo parlare non soltanto ai cattolici, ma anche ai credenti di altre religioni e ai non credenti, offrendo all’umanità intera un dono prezioso di riflessione e speranza.

In questi dodici anni di pontificato ha incessantemente esortato tutte e tutti a partire dai margini, dalle periferie ‘geografiche ed esistenziali’, ad accogliere le fragilità e a contrastare ogni esclusione sociale, da lui definita ‘cultura dello scarto’. Bergoglio ha posto i poveri al centro della sua riflessione teologica”.

Anche don Virginio Colmegna ha ricordato il suo messaggio per una ‘Chiesa aperta’: “Il suo messaggio ci lascia in eredità una missione: proseguire su questo solco tracciato, con fede, ascolto, umiltà. Un grazie profondo che si trasforma in preghiera e impegno. La sua scomparsa, avvenuta in tempo pasquale, dentro l’annuncio della resurrezione, ci ricorda che la speranza è il centro della nostra fede”.

Una spiritualità aperta alla comunione: “Ci ha affidato un compito che va oltre l’impegno sociale: vivere una spiritualità che apra la Chiesa al dialogo, alla comunione, alla gioia del Vangelo vissuto nella concretezza delle relazioni. In un tempo in cui sembra prevalere il delirio di onnipotenza, papa Francesco ci ha lasciato in dono la coscienza della fragilità e della debolezza come luogo in cui si rivela il senso del nostro cammino”.

Una comunione che porta la gioia della riconciliazione: “Ha riportato al centro la gioia della riconciliazione e del perdono, come ci ha ricordato nella Evangelii gaudium, e ha dato nuova energia alla Chiesa anche attraverso esperienze come il Convegno ecclesiale di Firenze. Ha spronato tutti noi a essere testimoni e pellegrini, Chiesa viva e in movimento”.

Mentre il  giornalista e scrittore Biagio Maimone, direttore della comunicazione dell’associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’, il cui presidente è mons. Yoannis Lazhi Gaid, già segretario personale di papa Francesco, ha paragonato papa Francesco al santo di Assisi: “Il suo esempio storico è stato Francesco d’Assisi, il quale ha chiamato tutte le creature fratelli e sorelle, sorretto da un forte sentimento di amore cristiano che considera uguali tutti gli esseri viventi. Papa Francesco, avvinto dalla testimonianza evangelica di Francesco d’Assisi, ha voluto  riproporre la sua grandiosa magnificenza in quanto espressione di autentica fede in Dio.

Così ha dato corso al discorso sulla pace, che egli lega ad un nuovo concetto di giustizia. Ne scaturisce un altro binomio indissolubile, che è il binomio ‘Pace-Giustizia’, da cui dovrà sgorgare uno scenario di trasformazioni sociali, economiche, giuridiche, umanitarie e spirituali davvero sorprendenti.  Papa Francesco ha interpellato le nostre coscienze quando ha  sottolineato che la giustizia vera, senza difetti, che va oltre il giudizio soggettivo, oltre le faziosità che conducono ai conflitti, è solo quella fondata sulla misericordia”.

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