Card. Zuppi: cattolici sono minoranza creativa

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“Prima di entrare in medias res, mi sia consentito un ricordo doveroso ma cordiale del Presidente Giorgio Napolitano. In particolare negli anni della sua presidenza della Repubblica, dal 2006 al 2015, ha dimostrato grande sapienza non soltanto nella gestione delle crisi, ma anche nell’impegno ordinario a far dialogare le varie componenti della politica italiana e a dare alle discussioni un respiro almeno europeo, se non mondiale. Questo sforzo per il dialogo costante e per un allargamento degli orizzonti resta un esempio significativo e molto attuale”.

Con tali parole il card. Matteo Maria Zuppi, presidente della CEI, aprendo i lavori della sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, ha ricordato il presidente emerito della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, deceduto venerdì scorso. Nella prolusione l’arcivescovo di Bologna ha invitato i cattolici ad evitare l’isolamento:

“In questo mondo, più di sempre, tutto si comunica: non si può pensare all’Italia isolata dall’Europa e dal resto del mondo (lo si vede con la guerra in Ucraina e le migrazioni, e tant’altro); non si può pensare la Chiesa isolata o separata dalla contemporaneità.

Questo non significa che la Chiesa sia “confusa”, sbattuta qua e là: non confusa, ma non separata. Preservare l’identità della comunità ecclesiale non significa chiudersi in sé, nei nostri ambienti, nel nostro linguaggio. Non dobbiamo isolarci per proteggerci dal rischio di essere contaminati”.

Infatti, riprendendo il pensiero di papa Benedetto XVI, ha sottolineato che i cattokici sono una minoranza ‘creativa’: “C’è chi ne teorizza la necessità e soprattutto c’è chi lo pratica, con la convinzione di conservare così la verità altrimenti minacciata.

Non siamo una minoranza residuale ma, come dissi ricordando la felice espressione di papa Benedetto XVI, la Chiesa è chiamata a essere minoranza creativa. La creatività nutre la missione ed è frutto del viverla, spinti dallo Spirito della Pentecoste, non subendo il mondo ma accettandone la sfida con serena consapevolezza e responsabilità”.

Ed ha ribadito che la Chiesa italiana è una Chiesa di ‘popolo’: “La Chiesa in Italia, in vari aspetti, è una Chiesa di popolo, realtà da coltivare, mai da disprezzare, i cui confini non debbono essere tracciati da noi con il rischio di allontanare e rendere incomprensibile l’annuncio evangelico ma con la fiduciosa speranza del seminatore.

Dobbiamo annunziare e vivere il Vangelo, tutto il Vangelo e i comportamenti conseguenti, questo sì! Lo Spirito Santo dà e darà forma alle comunità. Siamo in ascolto dello Spirito. La Chiesa vive per il Vangelo e per gli altri, segno di unità e pace nelle città, nelle periferie, nelle aree interne, nell’Italia intera, ricordandole il destino comune di popolo”.

E non ha dimenticato l’impegno dei cattolici per la pace nella guerra tra Russia ed Ucraina: “Capiamo con evidenza come siamo davvero tutti sulla stessa barca e apparteniamo alla stessa famiglia umana. Fratelli tutti. L’azione del Santo Padre per la pace, oltre alle sue parole, ci ricorda che tutti dobbiamo agire e pregare per la pace.

Ho personalmente sentito quanto la preghiera per la pace abbia accompagnato anche la mia missione degli ultimi mesi e ne sono intimamente grato ed edificato. Sono certo che è un valore che misteriosamente, ma efficacemente, spingerà la missione nella direzione auspicata…

La solidarietà aiuta la resistenza degli ucraini in una situazione tragica, venendo incontro a molteplici e drammatiche necessità. Soprattutto ci ricordiamo sempre degli ucraini e continuiamo a sostenerli in Ucraina o in Italia, esuli dalla loro terra”.

Al contempo la Chiesa non dimentica gli altri conflitti nel mondo, specialmente nel Sudan e nel Nagorno Karabakh: “L’appassionato impegno per l’Ucraina non fa dimenticare altri Paesi che soffrono guerra, tensioni e instabilità. Dovremmo scorrere i nomi dei Paesi in guerra nella preghiera, come i grani del Rosario.

Penso al terribile conflitto in Sudan, dove 5.000.000 di abitanti su 45.000.000 hanno dovuto lasciare le loro case. In questi giorni si è riaccesa una preoccupante violenza nel Nagorno Karabakh per il quale auspichiamo che la vita dei cristiani e la convivenza siano pienamente rispettate. Pensando a questa e a tantissime situazioni di conflitto, sentiamo l’urgenza della pace”.

Quindi guerre e conflitti causano migranti: “Le guerre, il degrado ambientale, l’insicurezza, la miseria, il fallimento di non pochi Stati sono all’origine dei flussi di rifugiati e migranti. Si tratta di gestire con umanità e intelligenza un vasto fenomeno epocale.

L’errore (non da oggi) è stato politicizzare il fenomeno migratorio, anche condizionati dal consenso e dalle paure. Si tratta di esseri umani prima di tutto; si tratta del futuro dell’Italia, in crisi demografica; si tratta di coinvolgere la popolazione in un fenomeno che crea scenari nuovi e non semplici. Richiede coraggio politico e responsabilità sociale”.

Ed ha chiesto che la migrazione diventi una questione nazionale: “La questione migratoria dovrebbe essere trattata come una grande questione nazionale, che richiede la cooperazione e il contribuito di tutte le forze politiche.

Papa Francesco a Marsiglia (incontro che è stato in piena continuità con quelli di Bari e Firenze e che chiede una progettazione perché il Mediterraneo sia per tutta la Chiesa, per la nostra Conferenza, un ambito decisivo di riflessione) ha richiamato ‘la tragedia di chi non ce l’ha fatta, di chi è morto in mare’…

 In questo è davvero necessaria una concertazione tra le forze politiche e sociali indispensabile per creare un sistema di accoglienza che sia tale, non opportunistico, non solo di sicurezza perché la vera sfida è governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un’opportunità così come esso è. Non dimentichiamo la necessità anche di una comune visione europea, per la quale è necessario forse un ulteriore sforzo da parte nostra e delle Chiese europee, anche con maggiore collaborazione con il CCEE e la COMECE”.

L’illegalità si sconfigge con la legalità: “E’ solo la legalità che contrasta l’illegalità e può permettere una seria e indispensabile inclusione. La Conferenza Episcopale Italiana resta fedele all’intuizione e allo spirito dell’iniziativa ‘Liberi di partire, liberi di restare’ e ai corridoi umanitari, esperienza che offre importanti indicazioni per affrontare responsabilmente il problema.

In questo contesto è stata possibile l’apertura del primo canale legale di ingresso per minori stranieri non accompagnati attraverso un permesso di studio dal Niger all’Italia, specificatamente in Piemonte.

E’ stato un percorso molto difficile e lento, ma i risultati raggiunti per i pochi minori che si è riusciti a far arrivare (una decina in circa due anni) sono estremamente incoraggianti. Tutti sono entrati con un permesso di studio e sono stati inseriti in famiglie affidatarie: forse varrebbe la pena aumentare questo tipo di possibilità, ad esempio per i MSNA che si trovano in Libia”.

Ma anche gli italiani sono in sofferenza: “La società italiana non è in pace. Penso ai femminicidi, spesso amara conclusione di un processo di violenza sulla donna. La strage delle donne continua spesso causata dalla ricerca di libertà da un rapporto violento e possessivo (38 sono morte per mano di compagni o ex partner). Sono 79 le donne assassinate dall’inizio dell’anno: 61 in ambito familiare-affettivo.

C’è in gioco il rispetto verso le donne, ma ancora più in profondità il nostro modo di essere famiglia, di vivere in una trama di relazioni. Abbiamo il compito di fornire strumenti per aiutare a guarire dalla malattia mortale che è il disprezzo del più debole e la volontà di sottomissione. Al contempo, dobbiamo trovare nuovi modi per tutelare i più deboli e fragili, per identificare il disagio e trovare soluzioni in grado di prevenire tanta violenza.

Il mondo dei giovani è coinvolto dalla violenza: risse, bullismo, atti vandalici, violenze sessuali, ma anche spaccio, furti e rapine, a volte di baby gang. I social sono il tam-tam dove si documentano le gesta. Violenze verso minorenni o adulti, compiute da minori: segnali di una tendenza in atto da anni, amplificata dalla pandemia”.

E’ stato un invito a ritornare ad educare: “Sotto la pressione degli ultimi eventi, si torna oggi a parlare di ‘educazione affettiva’ dei giovani. Per noi la persona è una realtà unica e complessa, la cui affettività è in dialogo con il corpo e il suo sviluppo, con la mente e le sue conoscenze, con il cuore e i suoi valori.

Forse è tempo perché anche noi credenti troviamo il coraggio di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale. L’educazione all’affettività nasconde infatti un’esigenza ancora più profonda: l’educazione alla vita interiore, all’incontro con le profondità di sé stessi.

Da pochi giorni in tutta Italia si sono aperte le scuole e tra pochi giorni inizieranno le lezioni nelle Università. Vorrei rivolgere per questo un augurio speciale di buon anno scolastico e accademico a tutti: ai docenti, agli studenti e al personale amministrativo.

Che sia un anno di crescita intellettuale e umana. Dalla scuola dell’infanzia ai Centri di ricerca universitari siano questi i luoghi in cui si possa fare esperienza di un sapere che edifica la comunione e la pace”.

Quindi ha invitato la Chiesa ad amare il popolo: “Evangelizzare è incontrare, conoscere, comunicare personalmente la Parola di Dio, divenire amici e fratelli. In questa prospettiva, cogliendo l’opportunità del processo sinodale, non dobbiamo interrogarci su come la Chiesa possa più essere famiglia?

Su come le nostre comunità possano essere familiari, accoglienti, fraterne? Non solo interrogarci, ma vivere una corrente di simpatia umana, che trasmetta affezione e compassione. La Chiesa è anzitutto comunità, famiglia, dimensione domestica, personale, di relazione, perché solo così sapremo educare i giovani e trovare uno spazio per tutti nella loro diversità”.

E’ un invito a stare nel territorio: “Questa realtà è il centro della nostra cura e del nostro impegno. Sinodalmente: anche se viviamo in prospettive diverse, abbiamo attitudini, responsabilità e storie differenti. Niente e nessuno sono il centro. Nemmeno la parrocchia.

Il centro è Gesù e il prossimo che ci affida: sono gli altri con cui vivere, cui comunicare il Vangelo. Cambia la geografia della Chiesa. Tanti sono i suoi volti su un territorio: la parrocchia, i movimenti, i religiosi e le religiose, gli stessi santuari e quanto lo Spirito ci dona. Tutte risorse per una stessa missione”.

Non ha tralasciato di affrontare il problema della denatalità e del lavoro, che conducono alla precarietà: “Un altro aspetto della precarietà che si vive è quello legato alla denatalità. Occorrono servizi integrati sul territorio a sostegno delle famiglie, non solo aiuti materiali. Molte famiglie rinunciano anche alla cura della propria salute perché i tempi di attesa delle ASL sono lunghi e non tutti possono permettersi di rivolgersi al privato.

Il lavoro ha conosciuto, negli ultimi mesi, una ripresa in termini di occupazione, ma conosce ancora molta sofferenza circa la sua qualità. Lo segnala il fenomeno degli working poor: non è garantito, come in passato, a chi lavora di sentirsi al sicuro fuori dalla soglia di povertà. Incidono la precarietà dei contratti, l’incapacità di adeguamento degli stipendi al costo della vita, lo sfruttamento e la diffusione del lavoro nero in alcuni contesti. Sono tutti fattori che destano preoccupazione. Anche il fenomeno delle dimissioni dal lavoro, soprattutto nei giovani, fa riflettere”.

Ed infine un ripensamento della struttura della Cei: “Riteniamo matura la discussione di un cambiamento anche delle strutture stesse della CEI, del suo snellimento e ripensamento che recepisca le importanti indicazioni contenute nella riforma della Curia Romana e del Vicariato di Roma, della quale la Segreteria Generale si farà carico di presentare un primo progetto per opportuna valutazione del Consiglio Permanente e dell’Assemblea Generale”.

(Foto: Cei)

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