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Papa Francesco infonde coraggio ai fedeli

“E da questa terra così benedetta dal Creatore, vorrei insieme a voi invocare, per intercessione di Maria Santissima, il dono della pace per tutti i popoli. In particolare, lo chiedo per questa grande regione del mondo tra Asia, Oceania e Oceano Pacifico. Pace, pace per le Nazioni e anche per il creato. No al riarmo e allo sfruttamento della casa comune! Sì all’incontro tra i popoli e le culture, sì all’armonia dell’uomo con le creature!”: con queste parole papa Francesco ha terminato la recita dell’Angelus nella celebrazione eucaristica alla presenza di circa 35.000 persone con l’incoraggiamento a non temere.

Infatti sono state le parole del profeta Isaia a non temere a fare da filo conduttore all’omelia del papa: “Questa profezia si realizza in Gesù. Nel racconto di San Marco vengono messe in evidenza soprattutto due cose: la lontananza del sordomuto e la vicinanza di Gesù. La lontananza del sordomuto. Quest’uomo si trova in una zona geografica che, con il linguaggio di oggi, chiameremmo ‘periferia’. Il territorio della Decapoli si trova oltre il Giordano, lontano dal centro religioso che è Gerusalemme.

Ma quell’uomo sordomuto vive anche un altro tipo di lontananza; egli è lontano da Dio, è lontano dagli uomini perché non ha la possibilità di comunicare: è sordo e quindi non può ascoltare gli altri, è muto e quindi non può parlare con gli altri. Quest’uomo è tagliato fuori dal mondo, è isolato, è prigioniero della sua sordità e del suo mutismo e, perciò, non può aprirsi agli altri per comunicare”.

La vicinanza di Dio si mostra anche a chi vuole essere lontano: “A questa lontananza, fratelli e sorelle, Dio risponde con il contrario, con la vicinanza di Gesù. Nel suo Figlio, Dio vuole mostrare anzitutto questo: che Egli è il Dio vicino, il Dio compassionevole, che si prende cura della nostra vita, che supera tutte le distanze”.

E nella sua vicinanza Dio guarisce: “Con la sua vicinanza, Gesù guarisce, guarisce il mutismo e la sordità dell’uomo: quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza (a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi) allora ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo”.

In questo senso la distanza non è separazione: “E voi, fratelli e sorelle, che abitate questa terra così lontana, forse avete l’immaginazione di essere separati, separati dal Signore, separati dagli uomini, e questo non va, no: voi siete uniti, uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore! E il Signore dice ad ognuno di voi: ‘Apriti!’ Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita”.

Quindi l’invito di Gesù è per tutti: “Anche a voi oggi il Signore dice: ‘Coraggio, non temere, popolo papuano! Apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli’. Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito. E in questo cammino vi accompagni il Beato Giovanni Mazzucconi: tra tanti disagi e ostilità, egli ha portato Cristo in mezzo a voi, perché nessuno restasse sordo dinanzi al gioioso Messaggio della salvezza, e a tutti si potesse sciogliere la lingua per cantare l’amore di Dio”.

Al termine della celebrazione eucaristica papa Francesco ha incontrato i fedeli di Vanimo, prendendo spunto dalla bellezza della natura: “Guardandoci attorno, vediamo quanto è dolce lo scenario della natura. Ma rientrando in noi stessi, ci accorgiamo che c’è uno spettacolo ancora più bello: quello di ciò che cresce in noi quando ci amiamo a vicenda, come hanno testimoniato David e Maria, parlando del loro cammino di sposi, nel sacramento del Matrimonio. E la nostra missione è proprio questa: diffondere ovunque, attraverso l’amore di Dio e dei fratelli, la bellezza del Vangelo di Cristo”.

Nel dialogo con i fedeli papa Francesco ha rivolto loro l’esortazione all’amore come missione: “Ricordiamolo: l’amore è più forte di tutto questo e la sua bellezza può guarire il mondo, perché ha le sue radici in Dio. Diffondiamolo, perciò, e difendiamolo, anche quando il farlo può costarci qualche incomprensione, qualche opposizione. Ce lo ha testimoniato, con le parole e con l’esempio, il Beato Pietro To Rot (sposo, padre, catechista e martire di questa terra), che ha donato la sua vita proprio per difendere l’unità della famiglia di fronte a chi voleva minarne le fondamenta”.

E li ha salutati con un pensiero ai bambini: “E’ questo il dono più prezioso che potete condividere e far conoscere a tutti, rendendo Papua Nuova Guinea famosa non solo per la sua varietà di flora e di fauna, per le sue spiagge incantevoli e per il suo mare limpido, ma anche e soprattutto per le persone buone che vi si incontrano; e lo dico specialmente a voi, bambini, con i vostri sorrisi contagiosi e con la vostra gioia prorompente, che sprizza in ogni direzione. Siete l’immagine più bella che chi parte da qui può portare con sé e conservare nel cuore!”

Infine, prima di ritornare a  Port Moresby, il papa ha salutato i missionari, che lo hanno accompagnato nella ‘School & Queen of Paradise Hall’, dove ha assistito ad un breve concerto dell’orchestra degli studenti della scuola.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco consegna tre parole al mondo cattolico in Indonesia

Dopo l’incontro con le autorità civili papa Francesco ha incontrato la Conferenza Episcopale indonesiana, i sacerdoti, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e catechisti nella cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione ed a conclusione delle testimonianze ha invitato a trasmettere la fede: “La Chiesa la portano avanti i catechisti, i catechisti sono coloro che vanno avanti, avanti…poi vengono le suorine, subito dopo i catechisti, poi ci sono i preti, i vescovi.

Ma i catechisti sono al fronte, sono la forza della Chiesa. Una volta in uno di quei viaggi in Africa il Presidente della Repubblica mi ha detto che era stato battezzato dal suo papà catechista, la fede si trasmette a casa, la fede si trasmette in dialetto, e le catechiste insieme alle mamme e alle nonne portano avanti questo tema. I catechisti sono bravi”.

Durante l’incontro ci sono le testimonianze di una suora, di un catechista e di un sacerdote, come quelle di don Maxi Un Bria, presidente della Federazione Indonesiana dei Sacerdoti Diocesani (UNINDO), che, rivolgendosi al papa, ha definito la sua presenza “una benedizione per tutti i sacerdoti, diocesani e religiosi, che cercano di camminare ‘mano nella mano’, servendo insieme i fedeli di tutte le chiese locali in Indonesia”.

Raccontando l’impegno, ‘in questo Paese pluralista’, di una Chiesa cattolica ‘attenta a promuovere il bene comune dei fedeli e della nazione’, il sacerdote ha espresso gratitudine per ‘la cura paterna’ che i papi hanno sempre mostrato ‘come segno della vicinanza di Pietro a noi che siamo così lontani’.

Terminate le testimonianze papa Francesco si è soffermato sulle tre parole dell’incontro (‘Fede, fraternità, compassione’), che sono state il filo conduttore dell’incontro, approfondendo il valore della fede: “L’Indonesia è un grande Paese, con enormi ricchezze naturali, a livello di flora, di fauna, di risorse energetiche e di materie prime, e così via. Una ricchezza così grande potrebbe facilmente trasformarsi, letta con superficialità, in motivo di orgoglio e di presunzione, ma, se considerata con mente e cuore aperti, può essere invece un richiamo a Dio, alla sua presenza nel cosmo e nella nostra vita, come ci insegna la Sacra Scrittura. E’ il Signore, infatti, che dona tutto questo. Non c’è un centimetro del meraviglioso territorio indonesiano, né un istante della vita di ognuno dei suoi milioni di abitanti che non sia dono suo, segno del suo amore gratuito e preveniente di Padre”.

Ma la fede si consolida attraverso la fraternità: “Anche questo è un valore caro alla tradizione della Chiesa indonesiana, che si manifesta nell’apertura con cui essa si relaziona alle varie realtà che la compongono e la circondano, a livello culturale, etnico, sociale e religioso, valorizzando l’apporto di tutti e donando generosamente il suo in ogni contesto.

Questo, fratelli e sorelle, è importante, perché annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, non vuol dire fare proselitismo, vuol dire donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo, sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque… E su questo voglio dirvi una cosa: voi sapete chi è la persona che nel mondo fa la più grandi divisioni? Lo sapete chi è? Il grande divisore, che sempre divide, divide… Gesù unisce e questo divide. E’ il diavolo. State attenti!”

Mentre suor Rina Rosalina, consacrata delle Missionarie Clarisse del Santissimo Sacramento, ha sottolineato l’unità ecclesiale: “Nonostante la vastità dell’Indonesia ci sentiamo uniti nel nostro lavoro, sostenuti dalla Chiesa e dalla Conferenza episcopale… Cerchiamo sempre di imparare da Le, purtroppo, a causa della distanza e delle barriere linguistiche, a volte abbiamo difficoltà ad accedere ai documenti emanati da Roma”.

A lei il papa ha sottolineato l’importanza dell’evangelizzazione: “E’ importante cercare di arrivare a tutti, come ci ha ricordato Suor Rina, con l’auspicio di poter tradurre in Bahasa Indonesia, oltre ai testi della Parola di Dio, anche gli insegnamenti della Chiesa, per renderli accessibili a più persone possibile”.

Di una presenza ‘molto incoraggiante’ per i catechisti che operano ‘in questa terra così ricca di diversità’ ha parlato Nikolas Wijaya, docente di religione cattolica alla ‘Regina Pacis Senior High School’ di Bogor e membro della commissione catechistica della diocesi nel ricordare le parole del papa nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, sottolineando la necessità di essere ‘ponte’, a cui il papa ha aggiunto che questa è la missione del catechista:

“E lo ha evidenziato anche Nicholas, descrivendo la missione del catechista con l’immagine di un ponte che unisce. Questo mi ha colpito, e mi ha fatto pensare allo spettacolo meraviglioso, nel grande arcipelago indonesiano, di migliaia di ponti del cuore che uniscono tutte le isole, e ancora di più a milioni di tali ponti che uniscono tutte le persone che vi abitano! Ecco un’altra bella immagine della fraternità: un ricamo immenso di fili d’amore che attraversano il mare. Il linguaggio del cuore, non dimenticate!”

Il papa ha concluso l’incontro esaminando la parola ‘compassione, legata alla ‘fraternità’ nella condivisone dei sentimenti: “Compassione vuol dire patire con l’altro, condividere i sentimenti: è una bella parola! Come sappiamo, infatti, la compassione non consiste nel dispensare elemosine a fratelli e sorelle bisognosi guardandoli dall’alto in basso, guardandoli dalle proprie sicurezze e dai propri privilegi, ma al contrario, compassione significa farci vicini gli uni agli altri, spogliandoci di tutto ciò che può impedirci di chinarci per entrare davvero in contatto con chi sta a terra, e così sollevarlo e ridargli speranza…

Vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche altri, allargando la “rete” e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità. E questo non vuol dire essere comunista, questo vuol dire carità, vuol dire amore.”.

Terminato l’incontro Papa Francesco ha dedicato un’ora ai giovani di ‘Scholas Occurrentes’ nella Casa della Gioventù ‘Grha Pemuda’ a Giakarta, nel corso della quale è stato presentato il progetto ‘Poliedro del Cuore’ come è raccontato in un comunicato stampa dell’associazione: “Il Progetto Poliedro del Cuore mira a creare una scultura che simboleggi il cuore dell’Indonesia, riflettendo la ricca diversità culturale del paese.

Ogni faccia del poliedro racconta le storie dei suoi partecipanti, combinando educazione, arte e tecnologia per simboleggiare come ogni individuo contribuisca a una comunità globale più vibrante e significativa. Quest’opera simboleggia come ogni individuo contribuisca a una comunità globale più dinamica e significativa. L’opera d’arte, che rappresenta il motto nazionale dell’Indonesia, ‘Bhinneka Tunggal Ika’ (Unità nella Diversità), coinvolge un totale di 1.500 partecipanti.

Ciò include individui del programma educativo a Giacarta, partecipanti ai laboratori a Bali, Lombok e Labuan Bajo, e detenuti di tre strutture carcerarie, comprese quelle per giovani detenuti, donne e uomini”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco ai ministranti: Gesù è ‘con te’

“Piazza San Pietro è sempre bella, ma con voi è ancora più bella! Vielen Dank di essere venuti a Roma; forse per qualcuno di voi è la prima volta. Willkommen! Mi colpisce il tema del vostro pellegrinaggio: ‘Con te’. ‘Mit dir’. ‘With you’. ‘Avec toi’. Sapete perché mi colpisce? Perché dice tutto in due parole. E’ bellissimo, e lascia spazio alla ricerca, a trovare i significati possibili”: con tali parole ieri pomeriggio papa Francesco ha ricevuto in udienza in piazza San Pietro, i partecipanti al XIII Pellegrinaggio dell’Associazione Internazionale dei Ministranti fino al 3 agosto, sul tema: ‘Con te’.

Sono giovani di almeno 88 diocesi in rappresentanza di circa 20 nazionalità, tra cui: Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Svizzera, Ucraina e Ungheria. Dopo un momento di preghiera, il papa ha espresso alcune impressioni sul titolo:

“Con te. E’ un’espressione che racchiude il mistero della nostra vita, il mistero dell’amore. Quando un essere umano viene concepito nel grembo, la mamma gli dice o le dice: ‘Non temere, io sono con te’. Ma misteriosamente anche la mamma sente che quella piccola creatura le dice, alla mamma: ‘Sono con te’. E questo, in modo diverso, vale anche per il papà! Pensando a voi, e adesso guardandovi, questo ‘con te’ si riempie di nuovi significati! Vorrei dirvi quelli che ho trovato più belli e importanti”.

Il titolo del convegno è un chiaro rimando alla celebrazione eucaristica, dove Gesù si manifesta: “La vostra esperienza di servizio nella Liturgia mi fa pensare che il primo soggetto, il protagonista di questo ‘con te’ è Dio. Gesù ha detto: ‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’. E questo si realizza al massimo nella Messa, nell’Eucaristia: lì il ‘con te’ diventa presenza reale, presenza concreta di Dio nel Corpo e nel Sangue di Cristo”.

Tale ‘esperienza’ comunionale permette di fare esperienza di Gesù: “Il sacerdote vede accadere ogni giorno questo mistero tra le sue mani; e anche voi lo vedete, quando servite all’altare. E quando riceviamo la santa Comunione, possiamo sperimentare che Gesù è ‘con noi’ spiritualmente e fisicamente. Lui ti dice: ‘Io sono con te’, ma non a parole, lo dice in quel gesto, in quell’atto d’amore che è l’Eucaristia. E anche tu, nella Comunione, puoi dire al Signore Gesù: ‘Io sono con te’, non a parole, ma col tuo cuore e col tuo corpo, col tuo amore. Proprio grazie al fatto che Lui è con noi, anche noi possiamo essere veramente con Lui”.

In questo modo si realizza anche uno ‘scambio’ con il mondo: “Se tu ministrante custodisci nel tuo cuore e nella tua carne, come Maria, il mistero di Dio che è con te, allora diventi capace di essere con gli altri in modo nuovo. Anche tu (grazie a Gesù, sempre e solo grazie a Lui) anche tu puoi dire al prossimo ‘sono con te’, ma non a parole, ma nei fatti, con i gesti, con il cuore, con la vicinanza concreta (non dimenticate la vicinanza concreta) piangere con chi piange, gioire con chi gioisce, senza giudizi, senza pregiudizi, senza chiusure, senza esclusioni. Anche con te, che non mi sei simpatico; con te, che sei diverso da me; con te, che sei straniero; con te, da cui non mi sento capito; con te, che non vieni mai in chiesa; con te, che dici di non credere in Dio”.

(Foto: Santa Sede)

Da Trieste un invito a stare nelle città secondo la lettera ‘A  Diogneto’

In attesa della visita di papa Francesco a Trieste per la chiusura della 50^ Settimana Sociale,  oggi i delegati hanno riflettuto sul testo di ‘A Diogneto’, grazie all’intervento della prof.ssa  Arianna Rotondo, docente di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Catania, che ha sottolineato che è un documento che “rappresenta la novità rivoluzionaria della fede in Cristo sul piano etico, spirituale e sociale… Appare una nuova mentalità, una verità paradossale. La fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti”.

Infatti il testo, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.

E papa Francesco, ha richiamato la docente, ha rivolto molte volte l’invito ad una partecipazione civica dei cristiani: “Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo. Quindi il posto dei cristiani nel mondo è in prima linea, perché assegnato direttamente da Dio… La cittadinanza celeste non contempla la diserzione da quella terrestre, anzi richiede di essere fecondi proprio nelle vicende del mondo. L’adesione al cristianesimo impegna tutto l’essere umano, tutta la vita, in grado di trovare il terreno per la propria testimonianza secondo il Vangelo”.

Per questo è necessaria una presenza nuova dei cristiani nelle città: “Tutto questo comporta oggi nuove forme di presenza cristiana, linguaggi adeguati, una coscienza consapevole della propria fede per poter essere coscienza nel mondo”.

Ed incontrando i giornalisti per un consuntivo della settimana, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi ha raccontato l’attesa della città per il papa in un luogo dove 32 anni fa venne accolto san Giovanni Paolo II: “C’è gioia perché, dopo 32 anni da quando era venuto Giovanni Paolo II, ritorna a Trieste un Pontefice a celebrare nello stesso luogo, piazza Unità d’Italia; una piazza che è un simbolo, macchiata della storia, ma che invece vuole diventare una piazza di fraternità, che abbraccia tutti. E che domani sarà idealmente aperta a tutti. In realtà, purtroppo, alcune persone hanno fatto la richiesta ma essendo già tutta piena non potranno entrare perché non ci sono più posti”.  

Mentre il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato i giornalisti per la narrazione di queste giornate: “Far conoscere tanta vita vera, tanta gente vera, tante esperienze concrete in cui la dottrina sociale della Chiesa è esperienza di tanti ragazzi, uomini e donne, tante donne come abbiamo visto..Vera partecipazione, il cui tema è stata la persona: sono convinto che produrrà anche tanta consapevolezza e tanta vita… In un momento di tanta disaffezione, di disillusione, non abbiamo fatto la predica: abbiamo raccolto e fatto parlare tutte le nostre comunità”.

Infatti il presidente della Cei ha ricordato che al centro dei lavori c’è stata sempre la dottrina sociale della Chiesa, ma ‘non come giustificazione o come pretesto per qualche altra operazione’, come dimostra la presenza delle 1.200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e altre 80 uomini; mentre sono state circa 70 le ‘buone pratiche’ che hanno animato gli omonimi villaggi in tutta la città.

Ed a proposito delle ‘buone pratiche’ è stata molto interessante la testimonianza di Carla Barbanti, responsabile della Cooperativa Sociale di Comunità ‘Trame di Quartiere’ di Catania: “Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere ‘Trame di un quartiere’.

Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità”.

Inoltre anche a Matera è sorta un’altra buona ‘pratica’, come ha raccontato Simone Ferraiuolo, responsabile della cooperativa sociale ‘Oltre l’Arte’, che trae origine da una frase di mons. Mario Operti: “La cooperativa, che oggi mi onoro di rappresentare in questo contesto, è qui a testimoniare che è possibile investire nel cuore e nell’intelligenza delle persone, facendo in modo che giovani desiderosi di creare da sé stessi un’opportunità di lavoro, possano dare vita ad una impresa sociale capace di sviluppare una progettualità di fruizione del patrimonio culturale su misura di tutti i visitatori perché il diritto alla cultura non abbia limiti”.

Papa Francesco: l’Eucarestia è dono di Dio

“Prese il pane e recitò la benedizione (Mc 14,22). E’ il gesto con cui si apre il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel Vangelo di san Marco. E noi potremmo partire da questo gesto di Gesù (benedire il pane) per riflettere sulle tre dimensioni del Mistero che stiamo celebrando: il ringraziamento, la memoria e la presenza”; dopo 7 anni, papa Francesco nel pomeriggio ha celebrato in san Giovanni in Laterano la solennità del Corpus Domini con la processione fino a Santa Maria Maggiore: partirà dopo la celebrazione e sarà terminata dalla benedizione solenne del Papa impartita con il Santissimo Sacramento, sottolineando tre le dimensioni del sacramento dell’Eucarestia, ringraziamento, memoria e presenza.

Ringraziamento, in quanto è la parola stessa che invita a rendere grazie: “La parola ‘Eucaristia’ vuole proprio dire ‘grazie’: ‘ringraziare’ Dio per i suoi doni, e in questo senso il segno del pane è importante. E’ l’alimento di ogni giorno, con cui portiamo all’Altare tutto ciò che siamo e che abbiamo: vita, opere, successi, e anche fallimenti, come simboleggia la bella usanza di alcune culture di raccogliere e baciare il pane quando cade a terra: per ricordarsi che è troppo prezioso per essere buttato, anche dopo che è caduto. L’Eucaristia, allora, ci insegna a benedire, ad accogliere e baciare, sempre, in rendimento di grazie, i doni di Dio, e questo non solo nella celebrazione: anche nella vita”.

Il ringraziamento a Dio avviene attraverso concrete azioni: “Ad esempio non sprecando le cose e i talenti che il Signore ci ha dato. Ma anche perdonando e risollevando chi sbaglia e cade per debolezza o per errore: perché tutto è dono e nulla può andare perduto, perchè nessuno può rimanere a terra, e tutti devono avere la possibilità di rialzarsi e di riprendere il cammino. E noi possiamo fare questo anche nella vita quotidiana, svolgendo il nostro lavoro con amore, con precisione, con cura, con precisione, come un dono e una missione. E sempre aiutare chi è caduto: una volta soltanto nella vita si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a risollevarsi. E questa è la nostra missione”.

Dopo il ringraziamento segue la benedizione del pane, che è memoria di un avvenimento: “Per l’antico Israele si trattava di ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio dell’esodo verso la terra promessa. Per noi è rivivere la Pasqua di Cristo, la sua Passione e Risurrezione, con cui ci ha liberato dal peccato e dalla morte. Fare memoria della nostra vita, fare memoria dei nostri successi, fare memoria dei nostri sbagli, fare memoria di quella mano tesa del Signore che sempre ci aiuta a sollevarci, fare memoria della presenza del Signore nella nostra vita”.

In questa memoria si gioca la libertà di ciascuna persona: “C’è chi dice che è libero chi pensa solo a sé stesso, chi si gode la vita e chi, con menefreghismo e magari con prepotenza, fa tutto quello che vuole a dispetto degli altri. Questa non è libertà: questa è una schiavitù nascosta, una schiavitù che ci rende più schiavi ancora.

La libertà non si incontra nelle casseforti di chi accumula per sé, né sui divani di chi pigramente si adagia nel disimpegno e nell’individualismo: la libertà si incontra nel cenacolo dove, senza alcun altro motivo che l’amore, ci si china davanti ai fratelli per offrire loro il proprio servizio, la propria vita, come salvati”.

In questo modo l’Eucarestia diventa presenza ‘reale’: “E con questo ci parla di un Dio che non è lontano, che non è geloso, ma vicino e solidale con l’uomo; che non ci abbandona, ma ci cerca, ci aspetta e ci accompagna, sempre, al punto da mettersi, indifeso, nelle nostre mani. E questa sua presenza invita anche noi a farci prossimi ai fratelli là dove l’amore ci chiama…

Vediamo ogni giorno troppe strade, forse una volta odorose di pane sfornato, ridursi a cumuli di macerie a causa della guerra, dell’egoismo e dell’indifferenza! È urgente riportare nel mondo l’aroma buono e fresco del pane dell’amore, per continuare a sperare e ricostruire senza mai stancarsi quello che l’odio distrugge”.

E la processione è un gesto di vicinanza a tutti: “E’ questo anche il significato del gesto che faremo tra poco, con la Processione Eucaristica: partendo dall’Altare, porteremo tra le case della nostra città il Signore. Non lo facciamo per metterci in mostra, e neanche per ostentare la nostra fede, ma per invitare tutti a partecipare, nel Pane dell’Eucaristia, alla vita nuova che Gesù ci ha donato. Facciamo la processione con questo spirito”.

Mentre dopo la recita dell’Angelus di questa mattina papa Francesco ha sottolineato la dimensione del dono eucaristico: “Comprendiamo allora che celebrare l’Eucaristia e cibarci di questo Pane, come facciamo specialmente alla domenica, non è un atto di culto staccato dalla vita o un semplice momento di consolazione personale; sempre dobbiamo ricordarci che Gesù, prendendo il pane, lo spezzò e lo diede loro, perciò, la comunione con Lui ci rende capaci di diventare anche noi pane spezzato per gli altri, capaci di condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo”.

E’ stato un invito a diventare ‘eucaristici’: “Ecco, fratelli e sorelle, a cosa siamo chiamati: a diventare ciò che mangiamo, a diventare ‘eucaristici’, cioè persone che non vivono più per sé stesse, nella logica del possesso e del consumo, ma che sanno fare della propria vita un dono per gli altri. Così, grazie all’Eucaristia, diventiamo profeti e costruttori di un mondo nuovo: quando superiamo l’egoismo e ci apriamo all’amore, quando coltiviamo legami di fraternità, quando partecipiamo alle sofferenze dei fratelli e condividiamo il pane e le risorse con chi è nel bisogno, quando mettiamo a disposizione di tutti i nostri talenti, allora stiamo spezzando il pane della nostra vita come Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: Mama Antula è stata prossima  a chi soffre

“Si celebra oggi, nella memoria della Beata Vergine di Lourdes, la Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno richiama l’attenzione sull’importanza delle relazioni nella malattia. La prima cosa di cui abbiamo bisogno quando siamo malati è la vicinanza delle persone care, degli operatori sanitari e, nel cuore, la vicinanza di Dio. Siamo tutti chiamati a farci prossimo a chi soffre, a visitare i malati, come ci insegna Gesù nel Vangelo. Per questo oggi voglio esprimere a tutte le persone ammalate o più fragili la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza”.

La situazione in Terra Santa attraverso il racconto di Nadine Bahbah

“Si avvicini in Israele e Palestina, dove la guerra scuote la vita di quelle popolazioni. Le abbraccio tutte, in particolare le comunità cristiane di Gaza, la parrocchia di Gaza, e dell’intera Terra Santa. Porto nel cuore il dolore per le vittime dell’esecrabile attacco del 7 ottobre scorso e rinnovo un pressante appello per la liberazione di quanti sono ancora tenuti in ostaggio.

Ma la parrocchia è capace di ‘formare’ i cattolici ?

Alla Facoltà teologica del Triveneto, con indirizzo di Teologia pastorale, dall’anno accademico 2023-2024 è stato attivato un seminario-laboratorio dal titolo ‘Una Chiesa che forma. Oltre la catechesi, prassi e criteri per una formazione possibile in parrocchia’, nato dall’ascolto di due esperienze di comunità cristiane (Piove di Sacco in diocesi di Padova e Borgo Sacco in diocesi di Trento) dove la scelta formativa sta cambiando il volto di parrocchia e sta generando nuove forme di Chiesa; il percorso proporrà approcci di taglio antropologico (Lucia Vantini), catechetico/formativo (Enzo Biemmi) ed ecclesiologico (Livio Tonello).

Chiesa marocchina in cammino sinodale nel racconto del card. Lopez Romero

“Per superare e sradicare le erbacce del clericalismo, dell’autoritarismo e dell’indifferenza, desideriamo generare nuove forme di leadership (siano esse sacerdotali, episcopali, religiose e laiche). Desideriamo formare la famiglia sinodale di Dio nella pratica di una leadership integrale e vivificante, relazionale e collaborativa, capace di generare solidarietà e corresponsabilità. Per raggiungere questo obiettivo, la famiglia sinodale di Dio in Africa si impegna a creare spazi e ad allargare la nostra tenda per il possibile esercizio di varie forme di ministero laicale”.

800 anni delle ‘Sorelle povere di santa Chiara’ a San Severino Marche

“Attraversando la Marca d’Ancona, in compagnia di frate Paolo, frate Francesco incontrò nella campagna un pastore che pascolava il suo gregge di montoni e di capre. In mezzo al numeroso branco c’era una sola pecorella che, tutta quieta e umile, brucava l’erba. Francesco disse al frate che lo accompagnava:

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