Mons. Cevolotto: essere comunità attraverso le relazioni

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Nella festa del patrono della città e della diocesi di Piacenza, sant’Antonino (4 luglio), è stata annunciata la data di beatificazione del martire piacentino riconosciuto dalla Chiesa, don Giuseppe Beotti, che aiutò tanti ebrei a mettersi in salvo e pagò col sangue la decisione di non abbandonare i suoi parrocchiani di Sidolo di Bardi nel pieno delle rappresaglie nazifasciste, come ha ricordato mons. Adriano Cevolotto nell’omelia della Messa per il patrono, ponendo l’accento sull’essere comunità:

 “L’accento oggi è posto sulla città, sull’essere comunità. La città, a motivo di una cultura sempre più pervasiva dell’ ‘io-isolato’, rischia di ridursi ad un puro recipiente che offre dei servizi il più efficienti possibili. Ma un io-isolato è destinato a patire una solitudine inesorabile. In questa cultura l’identità di ciascuno è immaginata oltre, fuori delle relazioni che, al contrario, ci plasmano”.

Ognuno è plasmato dalle relazione, non solo familiari “ma anche dell’ambiente nel quale vive. E della qualità di tali relazioni. Non è affatto un discorso teorico. E’ molto concreto: il modo di comprenderci e la responsabilità di prenderci cura affondano qui le loro radici.

Non qualsiasi contesto familiare, di vicinato, non qualsiasi ambiente scolastico o aggregativo, ecclesiale o ‘politico’ (nel senso che riguarda la polis) produce lo stesso effetto. Ma anche il contesto urbanistico fa la sua parte: vivere in spazi belli non è la stessa cosa che vivere in spazi degradati”.

Riprendendo l’immagine usata da san Paolo riguardo ai ‘vasi di creta’ il vescovo ha evidenziato il valore della relazione: “Un’immagine efficace anche per pensare che la grandezza della nostra convivenza, che è un tesoro che ci arricchisce, è contenuta in qualcosa di fragile, di vulnerabile.

Una tale consapevolezza ci obbliga ad impegnarci tutti a difendere e a custodire la dinamica sociale, civile della nostra città. Soprattutto promuovendo la qualità delle relazioni. A partire dai più deboli”.

Relazione emersa durante la pandemia: “Sono testimone, e oggi colgo l’occasione per metterlo in evidenza, che l’emergenza sanitaria ha avviato una rete tra vari soggetti del nostro territorio che ha permesso, con il progetto ‘Insieme Piacenza’, di creare una rete di solidarietà.

Questo progetto sta diventando una realtà stabile, prova ne sia il fatto che senza particolari difficoltà si è dato vita al progetto ‘Energia in comune’ (riconosciutoci come esemplare a livello nazionale) per venire incontro all’aumento della spesa per le utenze.

Lo stesso sta avvenendo anche per iniziative di promozione culturale. E la cosa interessante è il coinvolgimento alla rete di altri soggetti. Possiamo dire che assistiamo ad un circolo virtuoso a favore di una convergenza sempre maggiore nel voler contribuire a sviluppare questa cultura della cura del con-vivere”.

Ed una sfida è anche quella dell’ospitalità: “Attorno al tema dell’ospitalità potremmo interrogarci tutti. Perché l’accoglienza, che ci fa ospitali, non può essere selettiva. Certamente l’ospitalità verso i profughi ucraini si è espressa in forme molte belle e importanti. Ma devono preoccuparci i segnali che indicano le resistenze all’ospitalità. La cosa sta diventando sempre di più un’emergenza.

Da tempo persone o famiglie immigrate, con regolare permesso di soggiorno e con contratti di lavoro non riescono a trovare casa. La cosa si è poi allargata ai lavoratori precari o alle categorie più fragili. Ora sta raggiungendo gli studenti universitari che faticano a trovare casa e a prezzi sostenibili. Mi chiedo se tra i motivi che spingono molti giovani ad andare all’estero non ci sia anche la percezione che lì è più facile mettere su casa. Magari trovando ospitalità in famiglia”.

Ed ha lanciato la sfida di recuperare spazi ospitali: “Credo sia un’urgenza progettare, in uno sforzo condiviso e trasversale, il recupero di quegli spazi abbandonati, in disuso, occupati fino a tempo fa da caserme. Una città deve essere ospitale anche nella riqualificazione urbanistica. Siamo consapevoli che la soluzione non è semplice, ma dobbiamo avvertire la cosa come necessaria.

Se non c’è motivo, non possono permanere dei ‘limiti invalicabili’. Questi spazi recintati devono essere aperti e abitabili e non solo da attività commerciali. Il concorso deve essere di tutti.

Penso in particolare a quelle realtà che sono approdate nel nostro territorio con gli insediamenti della logistica. Che cosa possiamo chiedere perché il nostro territorio possa ricevere parte del profitto dei loro investimenti?

Sant’Antonino ci consegna la responsabilità della cura di un tesoro nel quale c’è la ricchezza del patrimonio di fede e di cultura civica che riceviamo. Ogni realtà umana, storica è ‘vaso di creta’, ma non si dà tesoro che in questo modo”.

Ed un’ultima considerazione è stata rivolta al riconoscimento del premio ‘Antonino d’Oro’ alle Carmelitane:

“E ritengo una straordinaria coincidenza che l’Antonino d’oro quest’anno sia consegnato alla comunità monastica della Carmelitane. Esse sono a servizio, così come l’altra comunità monastica benedettina, del cuore di ogni esistenza.

E’ il richiamo forte, nel ‘già’ del tempo in cui viviamo, di un ‘non-ancora’ che è una promessa senza la quale l’esistenza collassa su sé stessa. Implode. Perché solo se rimaniamo radicati in Qualcuno che ci trascende possiamo vincere la paura che, come è stato scritto in questi giorni, sembra essere la profonda e vera minaccia alla speranza e perciò alla vita.

La paura è ciò che ci indebolisce, dal di dentro, da dentro di noi. S. Antonino protegga, custodisca e renda ospitale la nostra città. Tutta intera”.

(Foto: Diocesi di Piacenza-Bobbio)

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