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Dall’Assemblea sinodale una Chiesa rinnovata dalla Pentecoste

Domenica scorsa si è chiusa presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma la prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, a cui hanno partecipato 943 persone di cui: 4 Cardinali, 170 Vescovi, 4 Padri Abati, 238 Sacerdoti, 6 Diaconi, 37 Religiose e Religiosi, 210 Laici, 274 Laiche. In totale 641 uomini e 302 donne e prima della chiusura dei lavori tutta l’assemblea sinodale ha inviato un messaggio di ringraziamento a papa Francesco, condividendo ‘le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi’: “Abbiamo colto soprattutto la vivacità, che continua ad abitare le comunità dei nostri territori. Abbiamo avuto cura di non dimenticare gli ultimi, quanti abitano nelle periferie esistenziali, i poveri dei quali oggi celebriamo la Giornata mondiale. Abbiamo pregato con loro e per loro”.

Dalla basilica in cui papa san Giovanni XXIII ha pronunciato il discorso di apertura del Concilio Vaticano II i partecipanti hanno affermato l’impegno di concretizzare la missione della Chiesa: “La nostra gratitudine diventa adesso impegno nel tradurre in decisioni e scelte concrete le riflessioni raccolte nelle fasi di ascolto e discernimento di questi anni di Cammino sinodale e dai lavori di queste giornate… Ci sentiamo in un momento di rinnovata Pentecoste.

E’ il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità, che aveva animato San Paolo. Il libro degli Atti racconta che i primi passi della sua missione sono avvenuti con altri apostoli e discepoli come Barnaba e Giovanni, prendendo letteralmente il largo per fondare e sostenere le comunità cristiane primitive. Sentiamo anche noi questa vocazione ad una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno”.

Mentre nella celebrazione eucaristica conclusiva il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha evidenziato la bellezza della comunione: “Nel giorno del Signore e attorno alla sua mensa, capiamo cosa significa ‘insieme’, essere una cosa sola tra noi, nonostante la nostra umanità, così parziale e contradditoria. Qui siamo come Dio vuole: non tutti la stessa cosa, ma tutti una cosa; non uguali, ma uniti. Con noi ci sono già quei ‘tutti’, la moltitudine, numero indefinito e mai chiuso, per i quali Gesù spezza il pane e versa il vino, e che ci chiede di cercare, di amare”.

Quello che si è aperto domenica scorsa è un cammino da compiere con i ‘compagni di strada’: “Troveremo i modi (alcuni formali, altri aperti e spontanei) per permettere ed esprimere il camminare insieme con i tanti mendicanti di vita che incontriamo, tutti fragili anche se lo dimentichiamo. E’ una fragilità da amare e non da giudicare, fuggire, nascondere, maledire. Da amare, perché diventi forza, ricordando, come l’Apostolo, che è quando siamo deboli che siamo forti”.

Nella particolare giornata dei poveri il cardinale di Bologna ha sottolineato che è possibile scoprire l’essenziale: “I poveri, in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull’altare dei beni materiali, ci insegnano che l’essenziale per la vita è ben altro. La loro preghiera insegna a pregare e viceversa. Non sono assolutamente due dimensioni indipendenti, anzi! Preghiera e amicizia con i poveri si nutrono a vicenda”.

Riprendendo il vangelo della giornata il presidente della Cei ha invitato ad essere persone di ‘speranza’: “Per chi si chiude nelle sicurezze o resta sul divano, questa descrizione può apparire lontana, impossibile, un fastidio per noi pigri e incoscienti. In realtà, ci aiuta a guardare la storia e i segni dei tempi. Siamo uomini di speranza proprio perché affrontiamo il male, il sole che si oscura, come quando si fa buio fuori e dentro il cuore. E quello dentro dura tantissimo”.

Quindi l’invito del card. Zuppi è stato quello di camminare con i poveri: “Ognuno di noi può essere un astro che si accende e dona luce nell’oscurità terribile della vita. Siamo noi la sua parola di amore che non passa, con legami fedeli, perché il Samaritano assicura di tornare, non si compiace di quello che ha fatto lui ma fa quello che serve per l’uomo mezzo morto. Ecco, se camminiamo insieme ai poveri, sapremo camminare tra noi, perché Gesù sarà in mezzo a noi e aiuteremo questa madre (la Chiesa), sempre lieta, che è di tutti, particolarmente dei poveri”.

L’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia è stata chiusa dall’intervento del presidente del comitato nazionale del cammino sinodale, mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, che ha ricordato i 1.700 anni della dedicazione della basilica di san Paolo, avvenuta il 18 novembre del 324:

“In questi tre giorni, ci siamo inseriti in una grande corrente: 17 secoli di ininterrotta vita cristiana che ha trovato qui, sotto la protezione di san Paolo, tutte le sue espressioni: celebrazioni liturgiche e sacramentali, annuncio, predicazione e catechesi, incontri personali e assemblee comunitarie, accoglienza dei poveri e ospitalità dei cercatori di speranza, presenza orante e ministero dei monaci benedettini. Sembra così di rivivere, in questi giorni e in questo luogo, l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, con le loro quattro perseveranze: nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”.

Ha evidenziato alcuni atteggiamenti emersi in questi anni di cammino sinodale: “Prima di tutto lo stile dell’ascolto, che con il metodo della ‘conversazione nello Spirito’ prende avvio dalla Parola di Dio, che dispone all’ascolto degli altri; uno stile che, adattato, potrà connotare il nostro convenire a tutti i livelli: dagli Organismi di partecipazione alle riunioni degli operatori pastorali; questo doppio ascolto all’inizio di ogni riunione permetterà di proseguire con maggiore scioltezza e concretezza nel confronto e nel dialogo tra i partecipanti”.

All’ascolto fa seguito il dialogo: “In secondo luogo, lo stile del dialogo, proposto in modo laboratoriale nei Cantieri di Betania, che sono stati e sono esperienze di incontro anche con i ‘mondi’ non sempre interagenti con quelli ecclesiali: le diverse povertà materiali, relazionali, spirituali; i mondi delle professioni e del lavoro, come artisti, imprenditori, agricoltori, giornalisti, docenti, operai e così via”.

Ed infine la partecipazione: “In terzo luogo, lo stile della partecipazione: in non pochi casi, le sintesi delle nostre Chiese locali hanno registrato la riattivazione dei Consigli pastorali parrocchiali, zonali e diocesani, che, dovendo corrispondere alle richieste provenienti dal Cammino sinodale, si sono nuovamente riuniti e in alcuni casi anche formati ex novo. Rinnovati secondo le indicazioni del Sinodo universale, sono strumenti importanti per la Chiesa sinodale in missione”.

Infine il card. Zuppi ha invitato a ‘gettare il seme’: “Già vediamo i frutti dello Spirito ma questo avviene solo dopo che abbiamo gettato abbondantemente nella terra degli uomini il seme della Parola, anche quando appare inutile. Non affanniamoci per quello che non vale e, pieni della forza del Signore, liberiamoci dalle misure avare, mediocri, suggerite dalla tiepidezza. Ebbrezza è la passione che permette di costruire umilmente relazioni intorno al Signore, case, comunità umane, relazioni di amore. Tutto inizia con il filo d’oro dell’amicizia che è possibile a tutti”.

Per questo ha riproposto la cultura del ‘noi’: “Insieme! Coltiviamo il culto del ‘noi’ in una generazione individualista che, alla fine pensa una soluzione con qualcuno che si imponga e risolva tutto, che non costruisce con pazienza. Costruiamo case dove si impara a pregare, a vivere la dimensione spirituale così importante e desiderata da molti, perché il materialismo pratico ottunde, confonde, dispera. Dialogare con tutti non è cedere al pensiero dominante o dare ragione a tutti, ma misurare la nostra fede, crescere nella comunicazione del Vangelo, spiegare le ragioni di sempre, arrivando al cuore, toccando il cuore”.

(Foto: Cei)

Papa Francesco: i carismi sono doni dello Spirito Santo

“L’altro ieri ho ricevuto una lettera di un ragazzo universitario dell’Ucraina, dice così: ‘Padre, quando mercoledì ricorderà il mio Paese e avrà l’opportunità di parlare al mondo intero nel millesimo giorno di questa terribile guerra, La prego, non parli solo delle nostre sofferenze, ma sia testimone anche della nostra fede: anche se imperfetta, il suo valore non diminuisce, dipinge con pennellate dolorose il quadro del Cristo Risorto.

In questi giorni ci sono stati troppi morti nella mia vita. Vivere in una città dove un missile uccide e ferisce decine di civili, essere testimone di tante lacrime è difficile. Avrei voluto fuggire, avrei voluto tornare a essere un bambino abbracciato dalla mamma, avrei voluto onestamente essere in silenzio e amore, ma ringrazio Dio perché attraverso questo dolore, imparo ad amare di più.

Il dolore non è solo un cammino verso la rabbia e la disperazione; se si fonda sulla fede è un buon maestro di amore. Padre, se il dolore fa male significa che ami; quindi, quando lei parlerà del nostro dolore, quando ricorderà i mille giorni di sofferenza, ricordi anche i mille giorni di amore, perché solo l’amore, la fede e la speranza danno un vero significato alle ferite’. Così ha scritto questo ragazzo universitario ucraino”.

Al termine dell’udienza generale papa Francesco ha letto la lettera che uno studente ucraino gli ha inviato per ricordare i 1000 giorni di guerra nell’est europeo, invitando i fedeli a non ‘abbandonare’ questo popolo: “Una ricorrenza tragica per le vittime e per la distruzione che ha causato, ma allo stesso tempo una sciagura vergognosa per l’intera umanità! Questo, però, non deve dissuaderci dal rimanere accanto al martoriato popolo ucraino, né dall’implorare la pace e dall’operare perché le armi cedano il posto al dialogo e lo scontro all’incontro”.

Mentre la catechesi dell’udienza generale ha sviluppato ‘I carismi, doni dello Spirito per l’utilità comune’, continuando il ciclo di catechesi con lo Spirito Santo ‘protagonista’ nei sacramenti, nella preghiera e nella Madre di Dio: “E’ giunto, perciò, il momento di parlare anche di questo secondo modo di operare dello Spirito Santo che è l’azione carismatica. Una parola un po’ difficile, la spiegherò. Due elementi contribuiscono a definire cos’è il carisma”.

In due punti ha definito il carisma: “Primo, il carisma è il dono dato ‘per l’utilità comune’, per essere utile a tutti. Non è, in altre parole, destinato principalmente e ordinariamente alla santificazione della persona, ma al servizio della comunità. Questo è il primo aspetto. Secondo, il carisma è il dono dato ‘a uno’, od ‘ad alcuni’ in particolare, non a tutti allo stesso modo, e questo è ciò che lo distingue dalla grazia santificante, dalle virtù teologali e dai sacramenti che invece sono gli stessi e comuni per tutti. Il carisma è dato a una persona o a una comunità specifica. E’ un dono che Dio ti dà”.

Con un paragone il papa ha definito il carisma come ‘ornamento’, che rende bello, secondo una definizione della costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “I carismi sono i “monili”, o gli ornamenti, che lo Spirito Santo distribuisce per rendere bella la Sposa di Cristo. Si capisce così perché il testo conciliare termina con l’esortazione seguente. Benedetto XVI ha affermato: ‘Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibile l’inesauribile vivacità della santa Chiesa’. E questo è il carisma dato a un gruppo, tramite una persona”.

Con una citazione di sant’Agostino il papa ha sottolineato che tali ‘carismi’ hanno la propria importanza: “Aggiungiamo un’altra cosa: quando si parla dei carismi bisogna subito dissipare un equivoco: quello di identificarli con doti e capacità spettacolari e straordinarie; essi invece sono doni ordinari (ognuno di noi ha il proprio carisma) che acquistano valore straordinario se ispirati dallo Spirito Santo e incarnati nelle situazioni della vita con amore.

Una tale interpretazione del carisma è importante, perché molti cristiani, sentendo parlare dei carismi, sperimentano tristezza o delusione, in quanto sono convinti di non possederne nessuno e si sentono esclusi o cristiani di serie B. No, non ci sono i cristiani di serie B, no, ognuno ha il proprio carisma personale e anche comunitario”.

(Foto: Santa Sede)

Mons. Battaglia: a Napoli è tempo di cambiare

Nei giorni scorsi un quindicenne, Emanuele Tufano, colpito alle spalle, mentre scappava, inseguito da killer ancora senza un volto, mentre due amici, rimasti feriti, si sono presentati, poco dopo l’accaduto, al pronto soccorso dell’ospedale Cto. Il più grande, 16 anni, aveva ferite da colpi di arma da fuoco. L’altro, appena 14enne, è stato accoltellato alla coscia e al gluteo, e ha anche riportato la lesione di un’arteria. Il 16enne è stato sottoposto a un intervento chirurgico d’urgenza, grazie al quale è stato estratto il proiettile che l’aveva colpito.

Il quindicenne assassinato era uno studente e lavorava anche come meccanico. La sua insegnante Oriana Portoghese ha dedicato al ragazzo un accorato post sulla sua pagina Facebook: “Oggi è una brutta giornata. Oggi abbiamo perso un po’ tutti. Oggi sento ancora più forte il peso del lavoro che faccio. Fuori piove ed io mi sento morire. Leggo la notizia ‘Napoli, 15 enne ucciso a Corso Umberto durante una sparatoria’. Ma lui non era un quindicenne, era un mio alunno… Ti chiedo scusa a nome di tutti, tesoro mio, perché non siamo stati capaci di garantirti un futuro”.

E dopo questo ennesimo omicidio è arrivato l’appello dell’arcivescovo di Napoli, mons. Mimmo Battaglia con l’invito ai cittadini a reagire: “E’ con profondo dolore che apprendo dell’ennesima tragedia che ha colpito la nostra città: la morte di un giovane, appena quindicenne, strappato alla vita dalla violenza criminale. Il mio cuore si stringe attorno alla sua famiglia e a tutta la comunità che oggi piange un’altra vita spezzata. Ogni volta che un giovane viene ucciso, la nostra città perde una parte del suo futuro, e questo non può lasciarci indifferenti. Non possiamo più restare inermi. E’ tempo di un cambio di passo, e lo dico con tutta la forza e l’urgenza che richiede questo momento”.

Per attuare questo cambiamento è necessaria una sinergia tra i ‘corpi’ della società civile: “Prevenzione ed educazione devono essere al centro delle nostre azioni. Le istituzioni, le famiglie, le scuole, le parrocchie, tutti noi siamo chiamati a costruire una rete educativa solida, capace di offrire ai nostri ragazzi un’alternativa alla strada e alla criminalità. Non possiamo permettere che la disperazione e la mancanza di opportunità conducano i nostri giovani nelle mani della violenza.

Chiedo con forza un impegno concreto per creare percorsi educativi che partano dai primi anni di vita, che siano capaci di raggiungere soprattutto le famiglie più fragili. I nostri ragazzi devono poter vedere un futuro diverso, un futuro fatto di speranza e possibilità, e non di armi e violenza. Sono numerose le azioni che in questo tempo, grazie alla sinergia tra la Chiesa, la Prefettura e le Istituzioni comunali e regionali si stanno mettendo in campo: ma l’educazione da sola non basta”.

E’ un invito a condurre una lotta contro la criminalità: “Dobbiamo anche garantire sicurezza e controllo del territorio. Napoli non può essere ostaggio della criminalità e del commercio d’armi. Le nostre periferie, troppo spesso abbandonate a sé stesse, devono essere protette. Non possiamo accettare che le armi circolino con tale facilità, né che la vita umana sia trattata con tanta leggerezza. È necessario un intervento deciso delle autorità per fermare il traffico di armi e per garantire una presenza costante e visibile delle forze dell’ordine nei quartieri più a rischio”.

L’appello di mons. Battaglia è stato un invito a salvare la città: “La nostra città ha bisogno di risorgere. Non possiamo arrenderci a questa spirale di violenza e morte. Napoli ha una storia grande, fatta di bellezza, cultura e solidarietà, ma tutto questo sembra allontanarsi ogni volta che perdiamo un giovane. Oggi più che mai, dobbiamo unirci per salvare la nostra città e soprattutto i nostri figli.

Preghiamo per questo giovane e per la sua famiglia, ma preghiamo anche per Napoli, affinché possa trovare la forza di rialzarsi e di diventare un luogo dove la vita venga rispettata, protetta e valorizzata”.

Tre giovani maceratesi raccontano la loro missione nelle Filippine

Nello scorso luglio tre giovani dell’Azione Cattolica Italiana della diocesi di Camerino – San Severino Marche (Marta Antognozzi di San Severino, Maria Lucia Sargolini e Lorenzo Lucarelli, entrambi di Sarnano), guidati dall’assistente diocesana dell’Azione Cattolica, suor Cinzia Fiorini, appartenente all’ordine delle Sorelle Missionarie dell’Amore di Cristo (S.M.A.C.) hanno trascorso un periodo missionario nella Casa ‘Providence home of Saint Joseph’ di Davao, nelle Filippine, che accoglie bambini disabili od abbandonati.

Alcuni giorni precedenti la ‘missione il card. Edoardo Menichelli ha affidato i ‘missionari’ alla protezione della Madonna dei Lumi, chiedendo loro di vivere l’esperienza in costante atteggiamento di ringraziamento, pronti a riportare nelle proprie comunità il senso profondo di quanto vissuto in quelle terre lontane.

Le suore missionarie a Davao sono impegnate nell’aiuto ai bambini abbandonati od orfani, che vivono nelle strade di quella città, popolata da oltre 1.500.000 di abitanti per un’estensione di più di 2.400 chilometri quadrati. Quest’opera è rivolta a migliorare la qualità della vita di questi minorenni attraverso l’istruzione, ridandogli la loro dignità di esseri umani e offrendogli un tetto sotto il quale vivere sentendo amore e cura. I bambini ricevono anche una formazione spirituale e valoriale che possa rafforzare il loro sviluppo personale.

A questi giovani abbiamo chiesto di raccontarci la ‘nascita’ di questa ‘missione’: “Dobbiamo sicuramente ringraziare suor Cinzia Fiorini, della Congregazione delle Sorelle Missionarie dell’amore di Cristo. Lei è la nostra assistente spirituale in Azione Cattolica dei Ragazzi, nella Diocesi di Camerino. La loro congregazione gestisce due missioni, una in Filippine ed una in Burundi. E’ sempre stata testimone di grande gioia e fede. Dopo nostre numerose domande e curiosità, ha detto che sarebbe ripartita per le Filippine, nell’orfanotrofio ‘Providence Home of Saint Joseph’ a Davao; noi non abbiamo potuto che accettare”.

Lorenzo Lucarelli ha rivelato il suo stato d’animo prima della partenza: “Non so quanta consapevolezza ci fosse. Sicuramente c’era tanta gioia e tanta curiosità, tanta voglia di scoprire un mondo così diverso da quello a cui eravamo abituati. Mi sono interrogato molto prima di partire per il viaggio, su me stesso, sulle mie speranze, aspettative e paure; non sono però mai riuscito ad andare troppo nel profondo, avendo pensieri vaghi e approssimativi. Ora, con il senno del poi, sono contento di non essere partito con preconcetti, perché anche quel poco che avevo ragionato è stato completamente stravolto, ma stravolto in positivo.

Invece Maria Lucia Sargolini ha raccontato la ‘giornata tipo’ a Davao: “Non è facile trovare un aggettivo per la vita dei ragazzi là. Alle difficili condizioni in cui versano i ragazzi non si può non contrapporre l’amore e la devozione delle sorelle che stanno nella struttura.

La vita in Filippine comincia molto presto, alle ore 5 della mattina suona la campana della sveglia. Tempo per prepararsi e poi si va a messa nella vicina chiesa dell’Ordine dei Carmelitani, dove i ragazzi animano con canti diverse volte a settimana. Si torna poi in struttura per fare colazione e si parte poi per andare a scuola. I 29 ragazzi della struttura frequentano quasi tutti la scuola posta nelle vicinanze alla casa, qualcuno è ancora troppo piccolo per andare scuola, qualcun altro sta frequentando già il college in città per fare il lavoro dei loro sogni. Dopo gli impegni quotidiani, nel tardo pomeriggio in struttura tutti i ragazzi pregano insieme un rosario, nelle cui intenzioni non dimenticano i benefattori della struttura.

Nonostante le condizioni di povertà in cui vivono, le suore non fanno mancare nulla a nessun bambino. Secondo le diete filippine, riso e frutta a volontà; un letto dove dormire e quella quota di affetto che purtroppo molti di loro non hanno mai provato. Sicuramente loro ci hanno insegnato a vivere di semplicità e a riderne. Ci hanno trasmesso una gioia rara, una gioia che viene dall’apprezzare le poche cose che si hanno, ma di esserne profondamente grati”.

Ed ha descritto la struttura della Casa: “La struttura ha ormai più di 25 anni e servono dei lavori per costruire il secondo piano, fino ad allora i ragazzi dormono in posti di fortuna, chi in cucina, chi sotto il terrazzo, molti in poche piccole stanze. Abbiamo deciso di far partire una raccolta fondi per velocizzare la fine dei lavori, affinché questi ragazzi possano avere uno spazio tutto loro sicuramente migliore di quello che avevano prima”.

Inoltre Marta Antognozzi ha riflettuto sulle parole ‘consegnate’ dal card. Menichelli (prendere, benedire, dare): “Prima di partire, il Cardinale Edoardo Menichelli ci ha consegnato tre verbi da custodire per il viaggio. Ci ha chiesto di prendere, rendere grazie e dare. Sicuramente abbiamo preso molto, relazioni, approccio alla vita, fede; sicuramente abbiamo reso grazie nella preghiera e nei gesti; ora stiamo cercando di dare qualcosa indietro”.

Ed ha descritto la Casa, che ospita ragazze e ragazzi, con il ‘lancio’ di una raccolta ‘fondi’: “La struttura ha ormai più di 25 anni e servono dei lavori per costruire il secondo piano, fino ad allora i ragazzi dormono in posti di fortuna, chi in cucina, chi sotto il terrazzo, molti in poche piccole stanze. Abbiamo deciso di far partire una raccolta fondi per velocizzare la fine dei lavori, affinché questi ragazzi possano avere uno spazio tutto loro sicuramente migliore di quello che avevano prima”

Nel messaggio per la Giornata missionaria di quest’anno papa Francesco ha invitato tutti al ‘banchetto’: cosa significa per Lorenzo?

“Penso che il papa abbia trovato le parole per spiegare la bellezza dell’andare in missione. Sento di essere un ragazzo che si è regalato una vacanza, che ha partecipato ad un banchetto, per tutto il cibo, non solo materiale, che ho ricevuto. Penso che sia nostro compito dover testimoniare con la nostra vita quello che abbiamo vissuto e dimostrare a tutti il bello del servire, del donarsi per il prossimo. Dobbiamo invitare più persone possibili a questo banchetto, affinché più persone possibili possano provare la gioia e la gratitudine che abbiamo provato noi”.

Maria Lucia: cosa vi ha lasciato questo viaggio?

“Questa esperienza è tra le migliori della nostra vita. Un insieme di meraviglia e gratitudine che ci portiamo nel cuore. Non possiamo non testimoniare la semplicità delle persone che abbiamo incontrato. Una semplicità che si fa accoglienza e condivisione, quando siamo andati nelle comunità in montagna. Lì le persone, pur non avendo nulla, hanno fatto il cibo da festa; molto diverso da noi, che a volte ci facciamo problemi nell’accogliere qualcuno in casa. Una semplicità che si fa genuinità nello stupore dei bambini, che si fa anche risata, e che si fa affidarsi a Dio”.

Marta: cosa avete fatto in quelle settimane?

“La prima settimana abbiamo organizzato attività e giochi che solitamente organizziamo ai campi scuola Acr, per iniziare a conoscere i bambini, e per lasciare che loro conoscessero noi. Abbiamo avuto la bellissima occasione di portarli al mare, un gesto che sembrerebbe scontato, ma a causa della difficoltà di raggiungere il posto con i mezzi e di quelle economiche per loro è un evento raro, ed è impressa nelle nostre menti la loro profonda felicità.

Durante la seconda settimana i bambini sono tornati a scuola, così noi abbiamo fatto visita alle diverse comunità base aiutate dalle Sorelle Smac in montagna nelle quali abbiamo portato i materiali della raccolta fondi effettuata a San Severino Marche prima della nostra partenza. Nella terza settimana siamo stati nella casa-famiglia, trascorrendo la maggior parte del tempo con le Sorelle ed i ragazzi, vivendo giornate tipiche filippine. L’ultima domenica abbiamo partecipato ai sacramenti di battesimo e comunione dei bambini”.

Ora siete nelle vostre città: come pensate di ‘agire’ per aiutare quei bambini?

“Per provare a ricambiare almeno una parte di tutto il bene ricevuto, abbiamo organizzato una raccolta fondi su GoFundMe (link: https://www.gofundme.com/f/providence-home-of-saint-joseph) per finanziare la costruzione della casa dove dormono i 30 ragazzi, ora sistemati in letti di fortuna. Per questo ci appelliamo alla comunità, chiedendo un contributo, che seppur piccolo, può fare una grande differenza”.

(Tratto da Aci Stampa)

Sinodo e Azione Cattolica italiana, ne parla il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano

A metà settembre alla ‘Casa San Girolamo’ di Spello si sono svolte le ‘Conversazioni di Spello’ con il prof. Luigi Alici, docente emerito di ‘Filosofia morale’ e già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Lorenzo Zardi, vicepresidente nazionale per il settore Giovani di Azione Cattolica, la prof.ssa Pina De Simone, ordinaria di ‘Filosofia della religione’ e direttrice di ‘Dialoghi’, con gli intermezzi musicali del violinista Stefano Rimoldi, sul tema ‘Per una cultura del noi. Alle radici del fare cultura e del senso di comunità’, introdotti dal presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, prof. Giuseppe Notarstefano.

Durante l’incontro il prof. Alici ha invitato ad aprire gli ‘orizzonti relazionali’: “Il laico cristiano riconosce e testimonia che in ogni relazione filtra una luce infinita: c’è una mistica anche della vita attiva, che cerca l’unità nelle giunture, la comunione nelle differenze, la prossimità nella distanza; che incontra Dio anche nel cuore dell’uomo e dell’umanità, alla radice degli spazi vissuti e oltre le distanze temporali. Riconoscere e aprire infinitamente questi orizzonti relazionali disegna lo spazio di incontro e dialogo tra credenti e non credenti”.

Al termine dell’incontro con il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica, abbiamo riflettuto sulla necessità della cultura del ‘noi’: “Viviamo in un tempo in cui prevale un senso di individualismo, spesso portato fino all’eccesso, dovuto da tanti fattori, non ultimo da una cultura economicista, che ha pervaso la vita sociale con l’enfatizzazione dei valori dell’utilità e della competizione e mettendo in ombra i valori della cooperazione e dell’amicizia sociale.

Quindi quello della ricostruzione e del legame comunitario è un tema importante; però il ‘noi’ non può essere una chiusura nel gruppo, ma deve essere qualcosa di inclusivo ed aperto. In questo cammino aiuta l’esperienza ecclesiale, che ci fa vivere la comunità non come qualcosa di esclusivo e di chiusura, ma che cresce attraverso il dialogo con l’altro e nell’esperienza dell’accoglienza dell’altro. Questo è un’esperienza che si può vedere nella Chiesa sinodale e nel magistero di papa Francesco. Come associazione crediamo che occorre dare anche una mediazione culturale a quest’esperienza”.

Quindi quanta ‘sinodalità’ si sta sviluppando nella Chiesa?

“E’ un cammino. Credo che il Sinodo abbia introdotto stili e pratiche che, dal basso, stanno animando una  conversione pastorale: penso allo stile della conversione spirituale, che è un modo di ripensare il nostro incontrarci a partire da un ascolto sincero dell’altro. Dobbiamo imparare a costruire insieme le decisioni: questa è la sfida che abbiamo davanti; guardiamo con grande fiducia al cammino dei vescovi, ma guardiamo anche con grande fiducia al cammino delle Chiese italiane, perché le assemblee dei vescovi, che si terranno nel prossimo novembre ed a maggio del prossimo anno possano essere un’esperienza, dove tutti concorrono a scegliere insieme quelle questioni cruciali che riguardano la vita della Chiesa. E’ una sfida che deve essere affrontata con grande speranza, senza dimenticare il monito di papa Francesco, che afferma che questa deve essere soprattutto un’esperienza spirituale: insieme sotto la guida dello Spirito Santo”.

Secondo papa Francesco il processo sinodale è una delle ‘più preziose’ eredità del Concilio Vaticano II: c’è continuità tra queste due esperienze?

“Abbiamo da un lato una partecipazione al Sinodo dei vescovi che ha una prospettiva universale, una dinamica di coinvolgimento che prevede un ascolto dal basso e che mette a tema la Sinodalità come postura essenziale del cammino della Chiesa. Dall’altro tutto ciò si intreccia con il cammino voluto dallo stesso papa Francesco quando, al convegno di Firenze, ha chiesto a tutti di mettersi a servizio nella Chiesa italiana secondo quella conversione pastorale che aveva descritto in quel potentissimo strumento che è l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco, debitore dell’esortazione apostolica ‘Evangelii nuntiandi’ di papa san Paolo VI e che qualcuno ha definito una specie di ‘software di installazione’ del Concilio Vaticano II.

I punti di contatto tra la stagione del Sinodo e quella del Concilio sono molteplici: anzitutto direi la pastoralità voluta da papa san Giovanni XXIII, che aveva in mente un Concilio che non fosse soltanto dogmatico bensì un gesto di amore verso il Signore e verso l’uomo. L’altro aspetto è quello dell’universalità: un progetto ampio, che ci offre il senso di una Chiesa come un popolo che cammina nella storia e che ha una grande diffusione in tutte le parti del pianeta, con intensità e realtà diverse, e una comune dimensione universale”.

Ed in questo ‘tempo’ quali saranno le linee guida dell’Azione Cattolica Italiana?

“L’Azione Cattolica Italiana ha messo a tema per questo triennio la speranza, che è soprattutto giubilare. Quindi vorremmo sviluppare alcune linee di lavoro che riguardano un’associazione, che deve essere capace di aiutare le persone a rimettere al centro della propria vita l’esperienza cristiana attraverso uno stile sinodale. Questo stile si traduce anche nella vita sociale attraverso la costruzione di reti per perseguire impegni per il bene comune.

Abbiamo il desiderio di accompagnare le persone nelle sfide quotidiane, lavorando nel dialogo intergenerazionale e di prenderci cura degli ambienti di vita, quale l’università od il mondo del lavoro e delle professioni, che sono spazi in cui l’associazione è presente con i propri movimenti, che vogliamo rilanciare attraverso proposte per la formazione culturale e spirituale”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco chiede ai Teatini comunione e servizio

Appena rientrato dal viaggio apostolico nel Sud Est asiatico, oggi papa ha incontrato i partecipanti al pellegrinaggio promosso dai Chierici Regolari Teatini, in occasione dei 500 anni di fondazione, iniziata il 14 settembre 1524: Era l’inizio del vostro Istituto religioso, nato per praticare e promuovere “la vita comune e il servizio di Dio verso i fratelli”, e per contribuire alla riforma della Chiesa attraverso la riforma di sé stessi, sul modello della prima comunità apostolica (cfr Mc 3,13-15). Vi ringrazio, e vorrei incoraggiarvi a continuare a camminare in questa triplice direzione, nel rinnovamento, nella comunione e nel servizio. E mi piace farlo prendendo spunto dal luogo in cui ci troviamo e dalle circostanze in cui i vostri Fondatori vi fecero la loro professione”.

Anche in questa occasione Francesco ha proposto nella riflessione tre elementi, comunione, servizio e rinnovamento: “I primi Teatini non hanno professato i Voti solenni in un edificio perfetto, completo, come lo vediamo oggi, ma praticamente in un grande ‘cantiere’. Tale appariva la Basilica Vaticana nel 1524… Eppure ci si è messi all’opera, perché la comunità cresceva e le strutture di prima non bastavano più. Fratelli, questa è un’immagine che ci aiuta a riflettere sulla necessità, per restare fedeli alla nostra missione, di intraprendere cammini coraggiosi di rinnovamento. E’ interessante: la fedeltà va rinnovata.

Non può darsi una fedeltà che non si rinnovi, rimanendo fondati sull’antico, sì, ma al tempo stesso pronti a demolire ciò che non serve più per costruire del nuovo docili allo Spirito e fiduciosi nella Provvidenza. Questo è il rinnovamento”.E per un rinnovamento è necessaria la comunione: “Come sappiamo, in molti hanno lavorato a San Pietro: artisti famosi, abili artigiani e una moltitudine di operai e manovali, uomini e donne, impegnati nelle mansioni più umili, uniti nella stessa fatica per dar vita al nuovo edificio. E anche questo è un segno importante: una casa accogliente, infatti, non si costruisce da soli, ma insieme, in comunità, valorizzando il contributo di tutti”.

La ‘somma’ dei primi due elementi conduce  al servizio:, cioè alla realizzazione di un progetto: “Rinnovamento, comunione e, terzo punto, la ‘fabbrica’, cioè il servizio. I progetti più belli non avrebbero portato a nulla se poi le persone, rimboccandosi le maniche, non si fossero messe al lavoro. I buoni propositi rimangono sterili, se non ci si mette concretamente al servizio gli uni degli altri, con umiltà, buona volontà e spirito di sacrificio”.

I progetti si realizzano con la carità, come dimostra il fondatore di questa congregazione: “Ce lo ha mostrato san Gaetano, con le molte opere di carità che ha promosso, alcune vive fino ad oggi; ma prima di tutto ce lo ha insegnato Gesù, venuto non ad essere servito, ma a servire e dare la vita. Ed è molto significativo che il vostro Istituto sia nato proprio nella festività dell’Esaltazione della Santa Croce”.

Ed ha ammirato la bellezza della basilica, che è ‘specchio’ della comunità: “Poi però guardiamoci l’un l’altro e ricordiamoci che l’edificio in cui ci troviamo è solo un simbolo: la realtà siamo noi, personalmente e in comunità. Cinquecento anni fa i vostri fondatori non hanno consacrato la loro vita a un cantiere di mattoni e di marmi, ma di pietre vive; hanno consacrato la vita alla Chiesa con la ‘C’ maiuscola, la Chiesa sposa di Cristo, popolo di Dio e corpo mistico del Signore. E’ per il suo bene che ciascuno di loro ha speso sé stesso fino alla fine, dando vita a un’opera che, dopo secoli di fedeltà, oggi è affidata a voi”.

San Gaetano Thiene nacque a Vicenza nel 1480 dal conte Gasparo Thiene e da Maria da Porto e studiò diritto all’Università di Padova; il 17 luglio 1504 conseguì la laurea in utroque iure. Nel 1505, animato da grande spirito religioso, Gaetano si fece promotore dell’edificazione della chiesa di Santa Maria Maddalena a Rampazzo nella tenuta di famiglia, tuttora esistente.Nel 1507 si stabilì a Roma, dove prese dimora assieme al futuro cardinale Giovanni Battista Pallavicini, vescovo di Cavaillon, presso la chiesa di San Simeone ai Coronari, iscrivendosi all’Oratorio del Divino Amore e partecipò attivamente alle riunioni che si tenevano nella chiesa di santa Dorotea presso l’Ospedale di San Giacomo degli Incurabili.

Pur non essendo questo il loro proposito, Gaetano e i compagni andarono a costituire un nuovo ordine religioso, il primo degli ordini di chierici regolari sorti durante il periodo della Controriforma; essendo Gian Pietro Carafa vescovo di Chieti (in latino Theate), i membri dell’ordine vennero detti teatini. Tra il 1540 e il 1543 fu preposto della comunità teatina di Venezia, poi tornò a Napoli, dove morì nel 1547.(Foto: Santa Sede)

A Milano mons. Delpini rivolge un invito alla partecipazione della vita cristiana e sociale

Sabato 7 settembre nel duomo di Milano mons. Mario Delpini ha celebrato la messa pontificale, che ha aperto l’anno pastorale della diocesi ambrosiana in occasione della festa della Natività di Maria, patrona della cattedrale con un’omelia in cui ha richiamato alcuni temi della proposta pastorale elaborata nello scorso giugno (‘Basta. L’amore che salva e il male insopportabile’), raccontando una città da abitare:

“Sì, vorremmo una città dove sia bello abitare, una città giovane, una città accogliente, una città con tanti bambini contenti e tante famiglie serene. Ma constatiamo che la città invecchia, le famiglie sono stanche per la frenesia quotidiana e per le tensioni esasperanti che le attraversano.

Sì, ci impegniamo per vivere con coerenza e per annunciare con gioia il vangelo di Gesù, la speranza che offre; sì, ci piacerebbe costruire comunità unite, liete, ricche di futuro. Ma se ci mettiamo a calcolare i risultati, constatiamo il nostro fallimento”.

L’arcivescovo ha riportato allora le raccomandazioni di san Paolo ai cristiani dell’epoca, validi ancora oggi: “Ecco non sono necessari molti esempi per constatare il realismo di quello che Paolo scrive: nella logica della ‘legge’ gli adempimenti sono impossibili, la legge è impotente. Che cosa si può pensare della storia dell’umanità? La storia umana è una storia di fallimenti e di sconfitte del bene.

Eppure lo sguardo credente legge la storia umana come storia della salvezza. Che cosa di buono può venire da questa serie di generazioni di uomini impastati di santità e di peccato? A che serve, quale messaggio può offrire il lungo elenco di nomi di personaggi famosi e sconosciuti, ammirevoli e spregevoli? Ecco, questa storia del male scoraggiante e del bene precario e fragile è la storia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo”.

Però nell’impotenza dell’umanità si realizza l’opera di Dio: “Dunque dentro il destino di impotenza e di sconfitta c’è una rivelazione dell’opera di Dio che salva. Paolo invita condividere la sua fede: Dio ha reso possibile quello che era impossibile alla Legge e ai buoni propositi, mandando il proprio Figlio in una condizione di fragilità, come quella di tutti, perché si apra la via della salvezza, per coloro che camminano non secondo la carne, ma secondo lo Spirito”.

Tale opera di Dio si compie nel Suo Figlio: “L’opera di Dio si compie in Gesù e noi professiamo che proprio in lui incontriamo la verità di Dio e la rivelazione del suo amore, proprio in Gesù, figlio di Davide, figlio di Abramo.Noi desideriamo fissare lo sguardo su Gesù per imparare tutto quello che c’è da sapere e tutto quello che si può dire di Dio. Perciò cerchiamo di correggere l’inclinazione diffusa a immaginare un Dio, senza dipendere dalla rivelazione di Gesù”.

Per questo nell’omelia mons. Delpini ha ‘denunciato’ l’abbandono della frequenza alle celebrazioni eucaristiche. “Il ricordo del concilio di Nicea, che il nostro padre Ambrogio ha predicato con tanto vigore e costanza, può essere per noi un rimprovero: si ha infatti l’impressione che il linguaggio diffuso e anche la pratica ordinaria orientano a dimenticare la mediazione di Gesù, a fare a meno di lui.

Un sintomo preoccupante è la consuetudine di abbandonare la celebrazione del segno che Gesù ha indicato perché si celebri il memoriale della sua opera di salvezza, cioè l’eucaristia. La Messa sembra ridotta a una cerimonia che può piacere o annoiare. Molti dichiarano che non hanno bisogno di partecipare alla celebrazione della Pasqua di Gesù per essere brava gente e per fare tanto bene”.

Questa mancanza può portare i cristiani al disimpegno ‘civile’: “ Forse per questo i buoni propositi sono troppo inconcludenti, forse per questo l’impegno risulta frustrante, forse per questo il cristianesimo si presenta con una sorta di tristezza per l’elenco delle cose che si dovrebbero fare, ignorando la gioia di essere in comunione con Gesù, con la pienezza della sua gioia”.

Inoltre, durante la celebrazione eucaristica si è svolto anche il Rito di ammissione di tre seminaristi della Diocesi al percorso verso il diaconato e l’ordinazione sacerdotale e di otto laici che iniziano il cammino per diventare diaconi, in quanto la vita è una vocazione al servizio:

“L’opera di Dio si compie in Gesù e Gesù entra nella storia umana come la voce amica che chiama alla sequela. La salvezza che Dio opera in Gesù non è in primo luogo un evento cosmico, ma una comunione, una relazione personale, la vocazione…

Il servizio ministeriale non è una scelta di cui ciascuno è il protagonista, con la presunzione di rendersi utile, con la convinzione di avere qualche cosa da dare al Signore e alla Chiesa. E’ piuttosto la risposta alla chiamata della Chiesa, di questa concreta comunità cristiana che sceglie, dopo attento discernimento, persone disponibili a far parte del clero diocesano per continuare la missione della Chiesa”.

Al termine della celebrazione, poi, l’arcivescovo, dopo avere ricordato alcuni appuntamenti che segnano l’inizio del nuovo anno pastorale, si è soffermato sulle ‘tante sofferenze’ che si vivono “anche nella nostra Diocesi: drammi familiari, violenza nelle case, violenza nelle strade, incidenti sui posti di lavoro, carceri che sono troppo spesso luoghi di tragedie e di difficoltà che sembrano intollerabili… Il Signore ci aiuti ad essere seminatori di pace, tessitori di relazioni che aiutino a superare queste forme di violenza. La presenza dei cristiani, l’opera della Chiesa sia un segno della benedizione di Dio”.

(Foto: arcidiocesi di Milano)

La diocesi di Bolzano e Bressanone festeggia 60 anni di vita

Il 6 agosto 1964 a Castel Gandolfo papa Paolo VI firmava tre bolle pontificie, riguardanti le diocesi di Trento e di Bolzano: la bolla ‘Quo aptius’ stabiliva che i territori dell’arcidiocesi di Trento situati nella Provincia di Bolzano fossero uniti alla diocesi di Bressanone, che da allora porta il nome di Bolzano-Bressanone; la bolla ‘Tridentinae Ecclesiae’ fissava Trento sede metropolitana e Bolzano-Bressanone diocesi suffraganea; infine la bolla ‘Sedis Apostolicae’ trasformava l’amministratura apostolica Innsbruck-Feldkirch in diocesi di Innsbruck.

Infatti dal 1964 i confini della diocesi di Bolzano-Bressanone e dell’arcidiocesi di Trento coincidono con i confini delle due Province e Innsbruck e la diocesi è diventata una diocesi autonoma, come ricorda in una lettera mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano e Bressanone:

“Sono passati 60 anni: un motivo per ricordare e riflettere. Ben tre volte la nostra diocesi ha cambiato nome nel corso della sua lunga storia: Sabiona, Bressanone, Bolzano-Bressanone. Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa”.

Nel messaggio mons. Muser invita a non perdere le radici della fede, pur essendo sempre in cammino: “Credere in Dio non inizia mai nello spazio vuoto e non parte mai da zero. Siamo dentro una storia, una storia di benedizione con tutti i suoi fallimenti, le sue crisi e le sue notti, ma anche con la promessa di vita e di salvezza. La fede comprende radici comuni, una comunità viva nel presente e la trasmissione di questa fede alle generazioni future. Penso in particolare ai bambini e ai giovani, che hanno bisogno della fede, dell’esempio e dei racconti di fede degli adulti”.

Quindi la fede è necessaria per offrire un ragionamento il più possibilmente obiettivo: “Questa fede ci protegge dal trionfalismo e dai punti ciechi e acritici, ma anche da giudizi ingiusti e ostentati sulla storia. Questa fede ci dà il coraggio di non giustificare, sorvolare o minimizzare tutto ciò che è accaduto nella storia, ma anche di essere abbastanza umili da non contrapporre con orgoglio e presunzione il presente al passato”.

Ed ha rivolto un ringraziamento ai predecessori: “Con gratitudine ricordo i miei predecessori che hanno contribuito a plasmare il cammino della nostra diocesi di Bolzano-Bressanone: il vescovo Josef Gargitter, il vescovo Wilhelm Egger e il vescovo Karl Golser. Li nomino in rappresentanza di tutti i sacerdoti, di religiose e religiosi, di insegnanti di religione, di donne e uomini, madri e padri, bambini, giovani e anziani che in questi 60 anni hanno dato un volto al Vangelo e al cammino della nostra Chiesa locale. Sono stati tanti e a loro dobbiamo molto!”

Quindi ha ricordato che la Chiesa è immersa nella vita sociale: “Nel corso della sua storia, la Chiesa non è mai stata un’entità statica e fissa. Come la luna, ha fasi crescenti e calanti. La posizione della Chiesa nella società odierna sta conoscendo grandi sconvolgimenti. Anche la società, con la sua dimensione sociale e politica, sta vivendo grandi sfide e tensioni. Le preoccupazioni per la salvaguardia del creato e le domande pressanti sollevate dai focolai di crisi e di guerra nel mondo rendono le persone preoccupate e spesso persino scoraggiate. Alle domande aperte sul piano sociale e antropologico vengono date risposte sempre più divergenti. Forme di ecclesialità finora familiari si stanno sgretolando”.

In questi 60 anni anche la Chiesa ha cambiato ‘aspetto’ ed i credenti diminuiscono: “La domanda di Dio, del Dio biblico, del Dio di Gesù Cristo è diventata nella nostra società una priorità secondaria o di terz’ordine. Abbiamo ancora bisogno di lui, lo cerchiamo ancora, lo amiamo ancora?  Non pochi ritengono che la Chiesa sia sostituibile e non necessaria. Anche le sue due grandi fonti di forza, la Parola di Dio e i sacramenti, hanno perso attrattività e consenso. Le nostre celebrazioni eucaristiche e tutte le altre forme di culto sono molto meno partecipate e apprezzate rispetto a 60 anni fa”.

Però tale situazione potrebbe tramutarsi in speranza: “Come Chiesa siamo diventati più piccoli, meno importanti e meno influenti. Speriamo che questo cambiamento sia caratterizzato dalle parole che il grande Giovanni Battista, precursore di Gesù, poteva dire di se stesso: ‘Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca’. Allora non dobbiamo avere paura. Allora sperimenteremo di nuovo il sollievo e la speranza: si tratta di Lui, non di noi”.

E questo è stato il suo ringraziamento: “Vorrei ringraziare tutti coloro che nella situazione attuale danno un volto alla nostra Chiesa locale. Sono ancora molti! La nostra Chiesa vive della loro fede, della loro speranza, del loro impegno, della loro fedeltà e della loro preghiera. Per questo non ho paura del futuro, nonostante tutto e attraverso tutto. Abbiamo Lui nella nostra barca e Lui, il Crocifisso e Risorto, di certo non la abbandona!”

Ed infine un augurio di vita santa: “La lunga storia della nostra diocesi di Sabiona, Bressanone e Bolzano-Bressanone non ha donato solo grandi momenti, santi e martiri, tra cui vorrei citare Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser a nome di tutti loro. Ci sono anche ore e periodi bui, colpe e fallimenti. Anche questo fa parte della nostra memoria, della nostra identità. Se vogliamo plasmare il futuro, dobbiamo imparare dalla storia e affrontarla senza pregiudizi…

Auguro uno sguardo fedele alla storia della nostra diocesi e uno sguardo fedele dietro questa storia. Allora potrà essere chiaro quanto il nostro Dio si metta in relazione con l’umanità, quanto voglia e abbia bisogno di noi, di quale grandezza siano capaci le persone credenti e quanto Dio possa scrivere dritto anche sulle righe storte degli uomini.

Auguro che alla nostra Chiesa locale, all’arcidiocesi di Trento e alla diocesi di Innsbruck, alle quali siamo legati da una lunga storia, non manchino mai persone pronte a scrivere e a continuare a scrivere il piano di salvezza di Dio per l’umanità”.

(Foto: diocesi di Bolzano – Bressanone)

L’arcivescovo di Milano in Perù per un viaggio missionario

Dal 15 al 26 luglio l’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, sarà in Perù in visita pastorale per incontrare i vescovi e le comunità che accolgono i cinque fidei donum diocesani, tre sacerdoti e una coppia di sposi.

Dopo l’arrivo lunedì nella capitale Lima e l’accoglienza in una struttura dell’Operazione Mato Grosso, movimento che opera in America Latina e in Italia al servizio dei più bisognosi, l’Arcivescovo si sposterà il giorno successivo nell’entroterra raggiungendo Huaycán (Diocesi di Chosica) dove incontrerà il Vescovo, mons. Jorge Izaguirre, e alcuni laici della Comunità Santo Spirito, originari della Diocesi di Milano, che da oltre trent’anni collaborano con le parrocchie della zona e portano avanti progetti sociali in favore delle famiglie più povere.

Mercoledì 17 luglio la partenza verso Pucallpa, dove mons. Delpini si fermerà fino a domenica. Qui l’incontro con quattro fidei donum ambrosiani: don Luca Zanta, in Perù dal 2017, don Tommaso Nava, arrivato nel 2021, e la famiglia Galbiati, composta dai coniugi Kumar e Marta con le loro figlie, Letizia di tre anni e Irene di 3 settimane; dal giugno 2022 la coppia gestisce un centro giovanile a Pucallpa. Sarà l’occasione per conoscere le comunità che accolgono i missionari ambrosiani e il Vescovo del Vicariato apostolico di Pucallpa, Augusto Martín Quijano Rodríguez.

Prima di ripartire l’Arcivescovo avrà modo di incontrare il gruppo di dieci giovani peruviani che l’anno scorso, in occasione della Giornata mondiale della gioventù a Lisbona, sono stati ospitati alcuni giorni nel decanato di Paderno Dugnano per una esperienza di gemellaggio tra le Chiese. Tra i giovani sudamericani e i loro coetanei che li hanno accolti sono nati legami di amicizia e a fine agosto gli italiani di Paderno vivranno un viaggio missionario a Pucallpa per riabbracciare i loro amici.

Seguirà lo spostamento a Chakas, a 3.400 metri di altitudine, dove l’Arcivescovo celebrerà la Messa sulla tomba di padre Ugo De Censi, il salesiano cofondatore dell’Operazione Mato Grosso, nel centenario della sua nascita. Mercoledì 24 luglio l’arrivo a Huacho, dove da 17 anni è impegnato un altro fidei donum ambrosiano, don Antonio Colombo, e l’incontro con il Vescovo della Diocesi locale, mons. Antonio Santarsiero. Il giorno dopo, prima della ripartenza per l’Italia, mons. Delpini sosterà in preghiera sulla tomba di don Vittorio Ferrari, fidei donum deceduto nel 2021 dopo 16 anni di missione in Perù.

Ad accompagnare l’Arcivescovo, che torna in Perù dopo un analogo viaggio nel gennaio del 2020, don Maurizio Zago, responsabile della Pastorale missionaria per la Diocesi di Milano, che spiega: «Anche se già incontrati qualche anno fa, la visita dell’Arcivescovo ai missionari diocesani e alle Chiese che li hanno accolti è sempre un momento di gioia e di conferma.

La gioia di sentirsi parte di una Chiesa di natura sua missionaria e la conferma nel servizio di testimonianza della fede che ogni missionario vive nella propria comunità. Inoltre, il viaggio missionario costituisce un forte stimolo anche per chi va a visitare: l’esperienza di una Chiesa diversa per cultura, tradizione ed esperienza ecclesiale offre sempre spunti per rinnovare la propria missione una volta rientrati».

I fidei donum sono sacerdoti e laici/laiche inviati all’estero come missionari dalle proprie Diocesi. Per quanto riguarda la Chiesa di Milano si contano attualmente 31 missionari – 28 sacerdoti, una laica consacrata e una coppia con figli – distribuiti tra Albania, Argentina, Brasile, Camerun, Colombia, Cuba, Messico, Niger, Perù, Repubblica Democratica del Congo, Turchia e Zambia.

In agosto mons. Delpini sarà impegnato in un altro viaggio missionario: dal 16 al 23 agosto si recherà nella Repubblica Democratica del Congo dove incontrerà due sacerdoti fidei donum ambrosiani, don Francesco Barbieri e don Maurizio Canclini, impegnati come missionari nel tormentato Paese dell’Africa subsahariana.

Da Trieste un invito a stare nelle città secondo la lettera ‘A  Diogneto’

In attesa della visita di papa Francesco a Trieste per la chiusura della 50^ Settimana Sociale,  oggi i delegati hanno riflettuto sul testo di ‘A Diogneto’, grazie all’intervento della prof.ssa  Arianna Rotondo, docente di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Catania, che ha sottolineato che è un documento che “rappresenta la novità rivoluzionaria della fede in Cristo sul piano etico, spirituale e sociale… Appare una nuova mentalità, una verità paradossale. La fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti”.

Infatti il testo, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.

E papa Francesco, ha richiamato la docente, ha rivolto molte volte l’invito ad una partecipazione civica dei cristiani: “Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo. Quindi il posto dei cristiani nel mondo è in prima linea, perché assegnato direttamente da Dio… La cittadinanza celeste non contempla la diserzione da quella terrestre, anzi richiede di essere fecondi proprio nelle vicende del mondo. L’adesione al cristianesimo impegna tutto l’essere umano, tutta la vita, in grado di trovare il terreno per la propria testimonianza secondo il Vangelo”.

Per questo è necessaria una presenza nuova dei cristiani nelle città: “Tutto questo comporta oggi nuove forme di presenza cristiana, linguaggi adeguati, una coscienza consapevole della propria fede per poter essere coscienza nel mondo”.

Ed incontrando i giornalisti per un consuntivo della settimana, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi ha raccontato l’attesa della città per il papa in un luogo dove 32 anni fa venne accolto san Giovanni Paolo II: “C’è gioia perché, dopo 32 anni da quando era venuto Giovanni Paolo II, ritorna a Trieste un Pontefice a celebrare nello stesso luogo, piazza Unità d’Italia; una piazza che è un simbolo, macchiata della storia, ma che invece vuole diventare una piazza di fraternità, che abbraccia tutti. E che domani sarà idealmente aperta a tutti. In realtà, purtroppo, alcune persone hanno fatto la richiesta ma essendo già tutta piena non potranno entrare perché non ci sono più posti”.  

Mentre il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato i giornalisti per la narrazione di queste giornate: “Far conoscere tanta vita vera, tanta gente vera, tante esperienze concrete in cui la dottrina sociale della Chiesa è esperienza di tanti ragazzi, uomini e donne, tante donne come abbiamo visto..Vera partecipazione, il cui tema è stata la persona: sono convinto che produrrà anche tanta consapevolezza e tanta vita… In un momento di tanta disaffezione, di disillusione, non abbiamo fatto la predica: abbiamo raccolto e fatto parlare tutte le nostre comunità”.

Infatti il presidente della Cei ha ricordato che al centro dei lavori c’è stata sempre la dottrina sociale della Chiesa, ma ‘non come giustificazione o come pretesto per qualche altra operazione’, come dimostra la presenza delle 1.200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e altre 80 uomini; mentre sono state circa 70 le ‘buone pratiche’ che hanno animato gli omonimi villaggi in tutta la città.

Ed a proposito delle ‘buone pratiche’ è stata molto interessante la testimonianza di Carla Barbanti, responsabile della Cooperativa Sociale di Comunità ‘Trame di Quartiere’ di Catania: “Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere ‘Trame di un quartiere’.

Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità”.

Inoltre anche a Matera è sorta un’altra buona ‘pratica’, come ha raccontato Simone Ferraiuolo, responsabile della cooperativa sociale ‘Oltre l’Arte’, che trae origine da una frase di mons. Mario Operti: “La cooperativa, che oggi mi onoro di rappresentare in questo contesto, è qui a testimoniare che è possibile investire nel cuore e nell’intelligenza delle persone, facendo in modo che giovani desiderosi di creare da sé stessi un’opportunità di lavoro, possano dare vita ad una impresa sociale capace di sviluppare una progettualità di fruizione del patrimonio culturale su misura di tutti i visitatori perché il diritto alla cultura non abbia limiti”.

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