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Pellegrini 4.0: La ricerca spirituale nell’età secolare
Pellegrino, nomade, migrante, camminatore, cercatore di senso, viandante: sono molte le categorie che provano a inquadrare l’uomo in movimento fin dall’antichità; categorie che non si oppongono ma si inseguono in ognuno di noi e sono spesso compresenti in modo esplicito o implicito.
A quest’ambito, nell’anno del Giubileo, la Facoltà teologica del Triveneto ha posto attenzione già con un convegno, nel marzo scorso, dal titolo In cammino. Pellegrini e pellegrinaggi. Ora, a partire da una lettura integrata delle diverse figure che abitano i camminatori, la rivista Studia patavina affronta la tematica con un Focus che offre sguardi di taglio storico, spirituale, antropologico-liturgico ed estetico-psicologico. L’approfondimento, dal titolo Pellegrini 4.0. la ricerca spirituale nell’età secolare, è pubblicato nel n. 2/2025.
“Il recente ritorno di interesse per i cammini e i pellegrinaggi – spiega Leopoldo Sandonà, docente della Facoltà, che ha coordinato il focus – interroga una dimensione insieme antropologica e religiosa ben radicata nella storia dell’umanità. Del resto, i principali cammini che solcano il continente europeo rimandano a questa storia più che millenaria nella triplice direzione di Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela”.
Andare all’origine significa trovare un riferimento per l’oggi, anche in relazione alla spiritualità, spesso non identificabile in categorie tradizionali: “La spinta del camminatore e del pellegrino – aggiunge – è oggi spesso e volentieri animata da dinamiche che, pur non essendo contrarie alla fede, nascono anzitutto in chiave personale ed extra-istituzionale, alla ricerca però di una comunità perduta e di una condivisione di interessi, ma anche di impegno, che può tramutarsi non di rado nello stesso impegno ecclesiale e pastorale”.
Sotto l’aspetto antropologico e liturgico il pellegrinaggio e l’accesso ai santuari si configurano come “esperienze liminali dell’umano, esperienze di transizione e di passaggio, di penitenza, conversione e trasformazione, non solo nelle forme tradizionali ma anche incarnate in molte espressioni artistiche, letterarie, cinematografiche all’interno della contemporaneità”. Riportate alla loro origine, queste esperienze possono ritornare a essere luoghi di vangelo, da cui sempre nuovamente scaturisce nei credenti il ‘cambiamento di vita che il cammino in sé e come metafora dell’esistenza, consente di sperimentare’.
Il Focus è articolato in cinque contributi: Per una storia del pellegrinaggio nella tradizione cristiana, di Luciano Bertazzo (Centro studi antoniani); Pellegrinaggi contemporanei, tra nuovi paradigmi e nuove spiritualità, di Marzia Ceschia (Facoltà teologica del Triveneto); Il pellegrino postmoderno e la ricerca del sacro, di Alessandro Moro (Ufficio della pastorale del turismo e pellegrinaggi, Diocesi di Concordia-Pordenone); Spazio sacro e architettura del pellegrinaggio, di Francesca Leto (Istituto superiore di Scienze religiose ‘Mons. A. Onisto’, Vicenza); Estetica e psicologia del pellegrinaggio: dimensioni artistiche, letteratura, cinema, di Angelomaria Alessio (Istituto Liturgia Pastorale S. Giustina, Padova).
Oltre al Focus, Studia patavina riporta la lettera scritta da papa Francesco alla Facoltà in occasione del suo ventennale (2005-2025); accanto a questa, si può leggere la prolusione Quale cultura per l’Europa? Ragioni di speranza nel tempo dello smarrimento: interpretare il presente, progettare il futuro, tenuta al Dies academicus dal gran cancelliere, mons. Francesco Moraglia.
La rivista propone inoltre i seguenti articoli: In dialogo con Bruna Bianchi. Note a margine di «Non resistere al male con il male». Obiezione di coscienza e pacifismo nel pensiero di Tolstoj, di Isabella Adinolfi; Joseph Ratzinger e la fede nella Verità, di Antonio Ricupero; La “doppia” attualità del tema della pace in Marsilio da Padova, di Gregorio Piaia; L’enigma di una fede resiliente. Davide Zordan e il futuro della teologia, di Paolo Costa.
La sezione dedicata ai libri si apre con una rassegna bibliografica sul tema La presenza e il ruolo delle donne nella chiesa, curata da Marzia Ceschia e Assunta Steccanella; segue una ricca selezione di recensioni e segnalazioni.
Rinnovo ai vertici del Forum del Terzo Settore: Giancarlo Moretti eletto portavoce nazionale
Si è svolta martedì 21 ottobre a Roma l’Assemblea elettiva del Forum Nazionale del Terzo Settore, l’ente di rappresentanza unitaria del Terzo settore italiano. I soci hanno eletto i nuovi organi direttivi che resteranno in carica per i prossimi quattro anni.
Giancarlo Moretti, attivo sin da giovane nel Movimento Cristiano Lavoratori (MCL), è stato eletto nuovo Portavoce Nazionale del Forum. Moretti, figura di lunga esperienza nel mondo associativo e già impegnato su temi culturali e sociali, succede a Vanessa Pallucchi, alla quale va un sincero ringraziamento per il lavoro svolto.
Contestualmente, è stato eletto anche il nuovo Coordinamento Nazionale, l’organo di direzione e indirizzo politico del Forum. Tra i membri eletti che compongono la nuova squadra di vertice vi è anche Roberto Speziale, presidente di Anffas nazionale e vicepresidente vicario della FISH (Federazione italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie).
“Congratulazioni a Giancarlo Moretti per l’elezione a nuovo Portavoce Nazionale del Forum – ha dichiarato Vincenzo Falabella, presidente della FISH. Le nostre congratulazioni si estendono anche a Roberto Speziale, membro del nuovo Coordinamento Nazionale, che porterà le istanze e le esigenze delle persone con disabilità al Forum.”
La giornata di lavori si è aperta con una sessione pubblica dal titolo “Pace come condizione, giustizia sociale come impegno”, che ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali e stakeholder, confermando la centralità dei valori etici e sociali nell’azione del Terzo settore.
‘Dilexi te’: papa Leone XIV chiede alla Chiesa di servire i poveri
“E’ con grande gioia che ti scrivo, seguendo una pratica iniziata da papa Francesco più di dieci anni fa, che coinvolge l’intero Collegio Episcopale nei momenti importanti del Magistero papale. Possa ‘Dilexi te’ aiutare la Chiesa a servire i poveri e ad avvicinare i poveri a Cristo”: con queste parole papa Leone XIV ha accompagnato la sua prima esortazione apostolica ‘Dilexi te’, presentata ieri.
Infatti il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato il papa per questa esortazione apostolica, in cui si mette in evidenza l’amore verso i poveri, invitando la Chiesa ad una ‘scelta di campo’: “Papa Leone, che si pone in piena continuità con il magistero di Francesco, facendo proprio e proponendo il progetto del testo, ricorda che ‘la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede’ (n. 110) e che, pertanto, non può essere ridotta solo a ‘problema sociale’ (n. 104). I poveri sono ‘dei nostri’ (n. 104) in cui riconoscere il volto di Cristo. Senza paura, senza paternalismi, senza distacco, ma con autenticità e verità”.
Per il presidente della Cei l’esortazione apostolica è uno sprone per l’azione: “E’ tempo di passare dalle analisi alle azioni, dall’indifferenza alla cura, dalla speculazione teorica alla concretezza dell’impegno: solo così potremo rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà, diffondere attraverso i valori radicati nel Vangelo la custodia dell’umanità, ascoltare il grido di interi popoli, denunciare ciò che non va.
E’ tempo di esporsi: se il rischio è quello ‘di sembrare degli stupidi’ (n. 97) vogliamo correrlo; se il sogno è quello di ‘una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare’ (n. 120) vogliamo realizzarlo”.
Infatti nella conferenza stampa di ieri il card. Michael Czerny., prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha sottolineato la valenza di quest’esortazione: “In ‘Dilexi te’, papa Leone si unisce a papa Francesco nel dichiarare: non ci sarà pace finché i poveri ed il pianeta saranno trascurati e maltrattati”.
L’esortazione è una richiesta di considerare la dignità del povero: “La pace cristiana è giustizia riconciliatrice e riconciliata. I poveri, diceva Madre Teresa, ‘non hanno bisogno della nostra pietà, ma del nostro amore rispettoso’. Trattarli con dignità è il primo atto di pace. Solo una società che pone al centro gli emarginati può essere veramente pacifica, e solo un mondo composto da società di questo tipo può essere in pace”.
Insomma quest’esortazione è nel solco del magistero della Chiesa: “Il recente insegnamento della Chiesa comprende chela povertà deriva dalle strutture del peccato. L’egoismo e l’indifferenza si consolidano nei sistemi economici e culturali. L’ ‘economia che uccide’ misura il valore umano in termini di produttività, consumo e profitto. Questa ‘mentalità dominante’ rende accettabile lo scarto dei deboli e degli improduttivi, e merita quindi l’etichetta di ‘peccato sociale’.
Al di là delle donazioni e di altre forme di assistenza, la risposta della Chiesa denuncia la falsa imparzialità del mercato, propone modelli di sviluppo, promuove la giustizia, mira alla conversione delle strutture. Ciò favorisce una forma di pentimento sociale che restituisce dignità agli invisibili e li aiuta a svilupparsi più pienamente”.
Mentre il card. Konrad Krajewski, Prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità, ha ricordato l’epoca della pandemia di Covid-19 che in alcuni quartieri di Roma ha portato la gente alla fame. Gente senza tessera sanitaria che non poteva accedere alla vaccinazione: “Ne abbiamo vaccinati 6.000 in Aula Paolo VI’, senza dimenticare le quasi mille persone al giorno tra migranti e rifugiati alla Stazione Tiburtina, provenienti da Lampedusa: ‘Non avevano bisogno di panini, ma di carte telefoniche per avvisare i parenti’.
Poi la guerra, che ha cambiato gli interventi sul campo, lodando la generosità degli italiani che hanno fatto partire circa 250 tir dalla Basilica di Santa Sofia per l’Ucraina con cibo, magliette termiche, generatori elettrici.
Ugualmente frére Frédéric-Marie Le Méhauté, provinciale dei Frati Minori di Francia/Belgio, ha evidenziato la centralità dell’amore di Dio per i poveri: “Il punto di partenza di ‘Dilexit te’ è l’amore di Dio per una comunità debole, ‘esposta alla violenza e al disprezzo’. Il Santo Padre ricorda che al di là delle definizioni di povertà, ‘i poveri non sono lì per caso né per un destino cieco e amaro’. Sono le ‘strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme’.
La nostra attenzione deve andare a queste persone ‘più deboli, più miserabili e più sofferenti’ ed, in particolare, alle donne, che a volte sono ‘doppiamente povere’. Non si tratta solo di combattere le cause strutturali della povertà, ma anche di raggiungere concretamente coloro che sono spesso lontani dalla nostra attenzione, per vivere con loro e come loro”.
Quest’esortazione ricorda “la necessità di impegnarsi per i poveri, di donare ai poveri, soprattutto attraverso l’elemosina. Ma insiste affinché impariamo ad agire con loro. L’accelerazione dei problemi contemporanei ‘non è stata solo subita, ma anche affrontata e pensata dai poveri’. Dobbiamo insistere su questo termine: i poveri hanno un pensiero. Vale a dire, possono essere attori e non solo ‘oggetti della nostra compassione’ o delle nostre politiche, possono aiutarci ad analizzare i problemi e soprattutto sono portatori di soluzioni reali”.
Insomma in quest’esortazione papa Leone XIV presenta una teologia della misericordia: “In sintesi, ‘Dilexi te’ articola una teologia della rivelazione che scaturisce dalla misericordia verso i più poveri, da un’ecclesiologia della diaconia come criterio di verità e da un’etica sociale che si unisce, con la mano tesa, alla lotta per la giustizia”.
Inoltre la Piccola Sorella di Gesù della Fraternità delle Tre Fontane, Clemence, ha raccontato la vita dei poveri: “Vorrei tanto che in questa occasione al mio posto sedessero Lacri, Pana o un’altra delle donne rom giunte dalla Romania, con le quali abbiamo condiviso la vita per diversi anni in un terreno abbandonato nel sud Italia. Si tratta di donne che, come ci ricorda l’Esortazione, sono ‘doppiamente povere’ a causa della loro situazione di esclusione, ma nelle quali ‘troviamo… i gesti più ammirevoli di eroismo quotidiano nella protezione e nella cura della fragilità delle loro famiglie’…
Assistendo con stupore alla loro offerta, ci siamo commossi per l’attenzione che ci hanno dimostrato, ben conoscendo le difficoltà che incontravano nel guadagnarsi da vivere. Pur essendo poveri materialmente, essi sono ricchi di umanità! Molti di loro non hanno studiato, ma possiedono quella saggezza che si forma dall’esperienza della precarietà, che incoraggia alla condivisione e alla solidarietà. Il Santo Padre ci invita a riconoscere la ‘misteriosa saggezza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro’. Seguendo il loro esempio, noi riscopriamo la solidarietà dato che, nell’ansia di preservare le nostre ricchezze, spesso ce ne dimentichiamo in fretta”.
(Foto: Vatican Media)
Da Assisi una chiamata alla responsabilità per la cura del creato
Sabato 20 settembre in una tavola rotonda tenutasi ad Assisi in occasione dell’evento culturale Cortile di Francesco, è stata lanciata la ‘Chiamata alla responsabilità per la transizione ecologica: Dai dibattiti ai dialoghi, dal dire al fare’, un appello firmato da 40 organizzazioni cattoliche, promosso dal Movimento ‘Laudato Sì’, insieme al Sacro Convento di San Francesco, alle famiglie francescane ed alle diocesi di Assisi e di Gubbio nel 10° anniversario dell’enciclica ‘Laudato Sì’: .
“Oggi, più che mai, siamo chiamati a passare dal dire al fare, dai dibattiti ai dialoghi, dalle dichiarazioni alle scelte quotidiane. Servono gesti concreti, comunità vive per la costruzione di un futuro giusto. Ci sarà vera transizione solo con la partecipazione” è l’appello al cuore del documento.
Nel saluto di benvenuto fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento di Assisi, ha invitato a ‘gustare’ la natura: “Nell’800^ del Cantico delle Creature siamo chiamati a gustare la bellezza della natura e a sentirci parte di essa. Il dialogo nasce per esplorare soluzioni creative e innovative, facendo scelte miti e coraggiose. In un mondo di conflitti, essere forti nella gentilezza e capaci di ascolto è uno stile profetico che costruisce ponti e abbatte muri”.
Il termine ‘dialogo’ è stato sottolineato anche da Cecilia Dall’Oglio, responsabile Italia e Global Movement Advisor del Movimento Laudato Sì, che ha ripreso le parole di papa Leone XIV alla sua prima benedizione Urbi et Orbi: “Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a Papa Francesco!
Sono grata a tutti i presenti al lancio di questa Chiamata, alle realtà della Conferenza episcopale italiana, alle migliaia di Animatori Laudato Si’ e ai Circoli attivi sul tutto il territorio nazionale. Una Chiamata frutto della volontà condivisa di dare slancio all’impegno per la transizione ecologica fuori dai combustibili fossili e verso un sistema energetico rinnovabile e decentralizzato. Dieci anni fa su questi temi non eravamo così attivi e partecipi, ora ci siamo! Laudato Sì”.
La proposta è stata ripresa dal presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Giuseppe Notarstefano, ribadendo l’impegno e la collaborazione: “Per l’Azione cattolica l’impegno e la collaborazione insieme a tante altre realtà ecclesiali e civili all’interno del Movimento Laudato Sì è una scelta assembleare e prioritaria che ci esorta ad una conversione ecologia coraggiosa e ad una nuova responsabilità sociale.
Particolarmente in questo tempo dove l’impegno per la cura del Creato si declina come impegno a costruire una pace giusta e a rigenerare la vita e le istituzioni democratiche. Ce lo chiedono i giovani e il loro desiderio di un futuro migliore, il nostro impegno diventa la forma concreta di quella Speranza che non delude mai e che il Giubileo ci sta aiutando a focalizzare e contemplare in questo passaggio drammatico e violento della storia dell’umanità”.
Anche il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, ha sottolineto l’invito alla giustizia sociale: “Laudato Sì’ lega indissolubilmente la custodia del creato al grido dei poveri e della Terra. Non è solo ecologia, ma giustizia sociale e fraternità globale. Le guerre nascono dall’accaparramento delle risorse e dalle diseguaglianze. Solo insieme, con un pensiero diverso, saremo capaci di costruire amicizia sociale e pace”.
Parole ripetute da Francesco Scoppola e Roberta Vincini, presidenti dell’Agesci: “La nostra Terra è casa, dono e relazione. In un tempo in cui il grido del Creato si fa sempre più forte, sentiamo il dovere di rispondere con speranza –La firma della Chiamata alla responsabilità è un gesto concreto: come guide e scout siamo da sempre parte attiva di quel cambiamento che mette al centro cura, giustizia e pace”.
Dunque, subito una risposta forte da parte del mondo associativo cattolico ma anche da parte di tante altre associazioni che hanno aderito con convinzione ad una chiamata che rilancia in maniera chiara quanto sia fondamentale per il processo di pace iniziare proprio dalla cura della Casa comune:
“Ci sarà pace con la Terra, se impariamo a camminare in pace tra noi. Siamo dentro un tempo favorevole, un kairòs. Rispondiamo insieme a questa chiamata alla responsabilità per la transizione ecologica, con mitezza e determinazione, creatività e perseveranza, ispirati da san Francesco, patrono d’Italia, e dal suo Cantico delle Creature”.
Tali interventi hanno avuto un filo conduttore nel ragionamento della sociologa Marianella Sclavi: “Questa tavola rotonda e la Chiamata alla responsabilità portano l’attenzione sul ‘dialogo’, un modo di comunicare completamente diverso dal ‘dibattito’. Nel dialogo c’è spazio per l’ascolto attivo e per la soluzione creativa dei conflitti. Per passare dai dibattiti ai dialoghi, dal dire al fare, servono facilitatori capaci di ascolto, intelligenza plurale e umorismo”.
Per questo il prof. Marco Marchetti, docente di Pianificazione ecologica del territorio all’Università La Sapienza di Roma, ha invitato ad una responsabilità ‘collettiva’: “Il sistema energetico evolve troppo lentamente, mentre le emissioni continuano a salire.. E’ urgente una responsabilità collettiva per la transizione ecologica, una conversione integrale che, come dice la ‘chiamata’ metta in relazione ambiente, economia, società, politica e spiritualità. E’ necessario sostenere i tanti nuclei coraggiosi e tenaci che oggi possono avere un ruolo simile a quello dei monaci nell’Alto Medioevo”.
All’Appello ha risposto anche il mondo della scienza, come il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana: “Benché i rischi del cambiamento climatico siano noti da decenni, assistiamo a un’ondata di negazione della realtà. Comunicare la crisi climatica significa spiegare la gravità degli scenari ma anche fornire soluzioni concrete per i comportamenti individuali e collettivi. La tecnologia da sola, anche se guidata dall’etica, non sarà sufficiente a garantire una pace duratura con la natura”.
Nel documento si fa appello alla transizione ecologica, che ‘si realizza con processi comunitari, con esercizio di cittadinanza, camminando insieme nel dialogo e nella responsabilità’, con l’attuazione di processi come le Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS), “non solo come progetto tecnico, ma come comunità solidali, capaci di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e di costruire relazioni più forti, una nuova cultura della cura integrale”.
Un altro aspetto fondamentale della ‘chiamata’ è la convinzione che “La dimensione dalla quale è possibile partire per muovere gli animi di ogni donna e uomo di buona volontà è quella della spiritualità ecologica, il cuore della conversione”.
Il documento termina con queste parole: “Coltiviamo semi di speranza, nella certezza che ogni scelta conta, che ogni gesto di cura è un frammento di un mondo nuovo che nasce qui e ora. Il cambiamento comincia da noi. E non finisce con noi. Il cambiamento comincia nel mio cortile…
Oggi, più che mai, siamo chiamati a passare dal dire al fare, dai dibattiti ai dialoghi, dalle dichiarazioni alle scelte quotidiane. Servono gesti concreti, comunità vive per la costruzione di un futuro giusto. Ci sarà vera transizione solo con la partecipazione. Ci sarà pace con la Terra, se impariamo a camminare in pace tra noi. Siamo dentro un tempo favorevole, un kairòs. Rispondiamo insieme a questa chiamata alla responsabilità per la transizione ecologica, con mitezza e determinazione, creatività e perseveranza, ispirati da san Francesco, patrono d’Italia, e dal suo Cantico delle Creature”.
Giuseppe Falanga: la liturgia nutre la speranza
Nel mese di agosto la 75^ Settimana Liturgica Nazionale è stata ospitata dall’arcidiocesi di Napoli con il titolo ‘Tu sei la nostra speranza. Liturgia: dalla contemplazione all’azione’, a cui hanno partecipato quasi 500 studiosi e religiosi, aperta dai Vespri presieduti dal card. Mimmo Battaglia, mentre il segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin, ha fatto la prolusione dal titolo: ‘La liturgia nutre e vivifica la speranza’, in quanto la contemplazione ‘è l’atteggiamento di colui che riconosce il dono di Dio nella liturgia, ossia il Mistero pasquale di Cristo. Ne riconosce la presenza nei sacramenti, in particolare nel sacrificio eucaristico, nella parola, nel ministro, nell’assemblea”.
Nell’omelia che ha iniziato la Settimana Liturgica il card. Mimmo Battaglia aveva sottolineato che il fulcro della liturgia è il silenzio: “Quanto è importante il silenzio, quel silenzio che come un varco misterioso si apre ogni volta che come popolo di Dio ci raduniamo, ogni volta che celebriamo, ogni volta che il tempo dell’uomo si lascia attraversare dalla bellezza dell’Eterno.
Una bellezza che resta dentro, che trasforma il cuore, che si traduce in gesti interiori ed esteriori capaci di dar vigore alla speranza. Quella vera. Quella che non delude. Si, se oggi siamo qui, nel cuore di questo giubileo della Speranza, è proprio perché crediamo che anche la Liturgia è e può esser sempre più culla di speranza! E questo perché la Liturgia non è un orpello antico, non roba da iniziati, non è un rito freddo. Anzi, è un incendio”.
Quindi la Settimana Liturgica ha messo al centro della vita liturgica la speranza, nutrita da essa; a distanza di un mese dalla conclusione di questa settimana ed a pochi mesi dalla conclusione del giubileo abbiamo chiesto al teologo Giuseppe Falanga, consigliere nazionale del CAL (Centro di Azione Liturgica), direttore responsabile della Rivista di Teologia ‘Asprenas’ e docente di Liturgia alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma di raccontarci il motivo per cui la Settimana Liturgica ha riflettuto sulla speranza:
“La Settimana Liturgica Nazionale si è celebrata in quest’Anno Giubilare, e non poteva non trattare della speranza. Il tema, infatti, riprendeva l’espressione dell’antico inno ‘Te Deum’, che proclama ‘Cristo nostra speranza’. Così, lodando Gesù Cristo, riconosciamo che solo in lui ‘non saremo confusi in eterno’. Mi colpisce sempre questo passaggio conclusivo dell’inno, perché ci permette di comprendere che l’opposto della speranza non è la ‘disperazione’, come si potrebbe immaginare, ma la ‘confusione’. Sì, la confusione (ed il conseguente disorientamento) è il vero dramma, perché rappresenta la tendenza insidiosa a ritenere importanti e valevoli stili, atteggiamenti e comportamenti che non sono oggettivamente autentici; purtroppo, anche nelle azioni liturgiche!”
Allora, perché la liturgia ‘nutre’ la speranza?
“Noi cristiani crediamo che la liturgia è e può essere sempre più culla di speranza. E questo perché, come ha detto il mio arcivescovo, il card. Battaglia, all’omelia dei Vespri che hanno aperto i lavori, ‘la liturgia non è un orpello antico, non un rito freddo. Anzi, è un incendio. E’ la memoria viva di un Amore che ha attraversato la morte, che l’ha vinta, e che ogni giorno continua a risorgere nei frammenti della nostra vita’. Sì, la liturgia è il grembo in cui si genera la fede, la mensa su cui si nutre la carità, la casa dove abita la speranza”.
Quanto è importante la liturgia nella vita ecclesiale?
“Semplicemente si tratta di ricomprendere la liturgia come luogo in cui Dio dà forma al cristiano, mantenendo cioè salda la fede nella presenza, manifestazione e comunicazione di Dio nel rito e attraverso il rito. Senza questa fede radicale ogni discorso resterebbe su un piano meramente antropologico e, pur nella sua validità di sapere umano, ben poco aggiungerebbe alla nostra esperienza celebrativa”.
In quale modo la liturgia si fa vita?
“Partecipare alla liturgia significa partecipare alla vita, alla morte e alla risurrezione di Gesù, morire e risorgere veramente con lui, donare veramente la nostra vita. Partecipare significa lasciare che lo Spirito di Dio operi in noi per completare l’opera di Cristo sulla terra. Partecipare significa vivere la vita di Gesù: donarci completamente agli ultimi e ai sofferenti. Partecipare significa ‘non vivere più per noi stessi ma per Dio’. Altrimenti, come potremmo dire ‘Amen’ ad una preghiera?”
Come è possibile passare dalla contemplazione all’azione attraverso la liturgia?
“Il segreto è essere contempl-attivi, come amava dire don Tonino Bello. Il ‘contemplattivo’ unisce la preghiera all’azione e fa dell’azione la sua preghiera. Riesce a equilibrare le parti, perché è mosso dallo Spirito che tutto porta all’unità. Il dramma di oggi è fare sintesi: troppa analisi, poca sintesi personale e di gruppo”.
In quale modo si realizza una Chiesa eucaristica?
“La liturgia cristiana è scandita da parole fortemente orientate all’impegno: ‘Andate ed annunciate il Vangelo’, ‘Glorificate il Signore con la vostra vita’. Il ‘mandatum’ conclusivo della Messa non è un congedo, ma un invio missionario, perché l’Eucaristia plasma comunità di carità attiva. Dunque, la Celebrazione eucaristica, se vissuta autenticamente, educa alla carità effettiva verso tutti, specialmente verso i poveri, quelli che soffrono la fame nel mondo, i prigionieri, i carcerati e gli infermi”.
(Foto: CAL)
Papa Leone XIV: ascoltare il grido dei poveri per la conversione ecologica
“Prima di proseguire con alcuni interventi preparati, vorrei ringraziare i due relatori che mi hanno preceduto. E vorrei aggiungere che c’è davvero un eroe d’azione con noi questo pomeriggio: siete tutti voi, che state lavorando insieme per fare la differenza”: oggi pomeriggio intervenendo al Centro Mariapoli del Movimento dei Focolarini a Castel Gandolfo, nell’ambito della conferenza ‘Raising Hope on Climate Change’, papa Leone XIV ha ricordato l’impatto dell’enciclica ‘Laudato sì’ giunta al decimo anniversario.
Nell’intervento il papa ha ricordato l’importanza dell’enciclica di papa Francesco: “Questa Enciclica ha profondamente ispirato la Chiesa cattolica e molte persone di buona volontà. Si è dimostrata fonte di dialogo. Ha dato vita a gruppi di riflessione, programmi accademici in scuole e università, nonché a partnership e progetti di vario tipo in ogni continente.
Molte diocesi e istituti religiosi si sono sentiti spinti ad agire per prendersi cura della nostra casa comune, contribuendo ancora una volta a dare priorità ai poveri e agli emarginati. Il suo impatto si è esteso anche a vertici internazionali, al dialogo ecumenico e interreligioso, agli ambienti economici e imprenditoriali, nonché agli studi teologici e bioetici. L’espressione ‘cura della nostra casa comune’ è stata inclusa anche in discorsi e interventi accademici, scientifici e politici”.
L’enciclica è stata apprezzata per le raccomandazioni formulate: “Le preoccupazioni e le raccomandazioni di Papa Francesco sono state apprezzate e accolte non solo dai cattolici, ma anche da molte persone esterne alla Chiesa che si sentono comprese, rappresentate e sostenute in questo specifico momento della nostra storia. La sua analisi della situazione, la proposta del paradigma dell’ecologia integrale, l’insistente invito al dialogo e l’appello ad affrontare le cause profonde dei problemi ed a ‘unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale’ hanno suscitato un vasto interesse”.
Per questo dono ha ringraziato Dio: “Rendiamo grazie al Padre celeste per questo dono che abbiamo ereditato da Papa Francesco! Le sfide individuate nella ‘Laudato Sì’ sono infatti ancora più attuali oggi di quanto non lo fossero dieci anni fa. Queste sfide sono di natura sociale e politica, ma prima di tutto di natura spirituale: richiedono conversione”.
Ma celebrare un anniversario significa non solo ricordare, ma anche ascoltare senza la derisione: “Come in ogni anniversario di questo tipo, ricordiamo il passato con gratitudine, ma ci chiediamo anche cosa ci sia ancora da fare. Nel corso degli anni, siamo passati dalla comprensione e dallo studio dell’Enciclica alla sua messa in pratica. Cosa bisogna fare ora per garantire che la cura della nostra casa comune e l’ascolto del grido della terra e dei poveri non appaiano come semplici tendenze passeggere o, peggio ancora, che siano percepiti e percepiti come questioni divisive?
In linea con la ‘Laudato Sì’, l’Esortazione Apostolica ‘Laudate Deum’, pubblicata due anni fa, osservava che ‘alcuni hanno scelto di deridere’ i segni sempre più evidenti del cambiamento climatico, di ‘ridicolizzare coloro che parlano di riscaldamento globale’ e persino di incolpare i poveri proprio per ciò che li colpisce di più”.
Quindi le encicliche di papa Francesco non ‘tradiscono’ la Sacra Scrittura, cuore del pensiero del papa: “Nella Scrittura, il cuore non è solo il centro dei sentimenti e delle emozioni, ma il luogo della libertà. Sebbene il cuore includa la ragione, la trascende e la trasforma, influenzando e integrando tutti gli aspetti della persona e delle sue relazioni fondamentali. Il cuore è il luogo in cui la realtà esterna ha il maggiore impatto, dove avviene la ricerca più profonda, dove si scoprono i desideri più autentici, dove si trova la propria identità ultima e dove si formano le decisioni”.
Il discorso di papa Leone XIV è un invito as una conversione ecologica: “E’ solo tornando al cuore che può avvenire una vera conversione ecologica. Dobbiamo passare dalla raccolta di dati alla cura; e dal discorso ambientale a una conversione ecologica che trasformi gli stili di vita personali e comunitari. Per i credenti, questa conversione non è infatti diversa da quella che ci orienta verso il Dio vivente. Non possiamo amare Dio, che non possiamo vedere, mentre disprezziamo le sue creature. Né possiamo dirci discepoli di Gesù Cristo senza partecipare al suo sguardo sul creato e alla sua cura per tutto ciò che è fragile e ferito”.
E’ stato un invito ad essere ‘portatori’ di speranza come san Francesco: “Cari amici, lasciate che la vostra fede vi ispiri a essere portatori della speranza che nasce dal riconoscere la presenza di Dio già all’opera nella storia. Ricordiamo come papa Francesco ha descritto san Francesco d’Assisi… Che ciascuno di noi cresca in queste quattro relazioni – con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso – attraverso un costante atteggiamento di conversione. L’ecologia integrale prospera su tutte queste relazioni. Attraverso il nostro impegno in esse, possiamo crescere nella speranza vivendo l’approccio interdisciplinare della Laudato si’ e la chiamata all’unità ed alla collaborazione che ne deriva”.
E’ un invito a prendersi cura del creato, in quanto unica famiglia: “Siamo un’unica famiglia, con un solo Padre, che fa sorgere il sole e manda la pioggia su tutti. Abitiamo sullo stesso pianeta e dobbiamo prendercene cura insieme. Rinnovo pertanto il mio forte appello all’unità attorno all’ecologia integrale e alla pace! E’ incoraggiante vedere la varietà di organizzazioni rappresentate a questa conferenza, così come l’ampia gamma di organizzazioni che hanno aderito al Movimento ‘Laudato Sì’ e alla Piattaforma d’azione”.
Riprendendo il pensiero di papa Francesco il papa ha invitato ad esercitare ‘pressione’ sui governi: “Tutti nella società, attraverso organizzazioni non governative e gruppi di pressione, devono fare pressione sui governi affinché sviluppino e attuino normative, procedure e controlli più rigorosi. I cittadini devono assumere un ruolo attivo nel processo decisionale politico a livello nazionale, regionale e locale. Solo allora sarà possibile mitigare i danni arrecati all’ambiente. Anche la legislazione locale sarà più efficace se le comunità vicine sosterranno le stesse politiche ambientali”.
Ed il pensiero va alla prossima Cop30: “Auspico che i prossimi vertici internazionali delle Nazioni Unite (la Conferenza sui cambiamenti climatici del 2025, la 53ª Sessione plenaria del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale e la Conferenza sull’acqua del 2026) ascoltino il grido della Terra e il grido dei poveri, delle famiglie, dei popoli indigeni, dei migranti involontari e dei credenti in tutto il mondo. Allo stesso tempo, incoraggio tutti, in particolare i giovani, i genitori e quanti lavorano nelle amministrazioni e nelle istituzioni locali e nazionali, a fare la loro parte per trovare soluzioni alle ‘sfide culturali, spirituali ed educative’, impegnandosi sempre con tenacia per il bene comune. Non c’è spazio per l’indifferenza o la rassegnazione”.
Mentre questa è stata la conclusione: “Vorrei concludere con una domanda che riguarda ciascuno di noi. Dio ci chiederà se abbiamo coltivato e curato il mondo che ha creato, a beneficio di tutti e delle generazioni future, e se ci siamo presi cura dei nostri fratelli e sorelle. Quale sarà la nostra risposta?”
(Foto: Santa Sede)
Il card. Zuppi invita ad un nuovo sguardo che educhi alla pace
“Carissimi Confratelli, è provvidenziale svolgere qui a Gorizia questa seduta del Consiglio Episcopale Permanente della CEI. Ci consente di riflettere insieme sui drammatici segni dei tempi che tanto ci inquietano, facendo memoria del nostro passato perché, purificata e illuminata dalla Parola di Dio, sappiamo trarne sapienza e visione… San Giovanni Paolo II, nella sua visita pastorale nel 1992, ricordò che, ‘posta all’incrocio di molteplici popoli e tradizioni, Gorizia ha la singolare vocazione di essere segno visibile di unità e di dialogo’. Una missione che resta attuale anche oggi e ha molto da suggerirci”: citando l’omelia pronunciata da papa san Giovanni Paolo II nel maggio 1992 proprio a Gorizia, il presidente dei vescovi italiani, card. Matteo Zuppo, ha aperto ieri la sessione autunnale del Consiglio permanente della CEI.
Nella prolusione introduttiva l’arcivescovo di Bologna ha ripercorso un excursus storico dell’Europa, soprattutto in questa città ospitante: “Gorizia e Nova Gorica sono unite come Capitale Europea della Cultura 2025, prima capitale transfrontaliera. E’ una scelta che si colloca in un cammino di riconciliazione e di comune impegno a servizio della pace che le Chiese di Gorizia e Koper, ormai da tanti decenni, stanno vivendo insieme e che ci verrà testimoniato nella Veglia di preghiera per la pace che vivremo domani sera”.
Una storia comune di città al confine: “Non era solo il confine ben marcato tra Stati, ma tra due blocchi (anche se la Jugoslavia affermò la sua autonomia da quello sovietico), due sistemi politico-economici ben diversi. Nova Gorica e Gorizia furono chiamate la ‘piccola Berlino’, una città divisa in due. Ricaviamo una prima duplice lezione: niente del passato va perduto e nessun confine è invalicabile”.
Da queste ‘pennellate’ storiche uno sguardo sul presente: “Papa Francesco, nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, che è di cinque anni fa, presentiva il grave scenario degli anni a venire: ‘La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante’… Cinque anni dopo, tali presentimenti si sono purtroppo avverati in pieno. La guerra ha già reso peggiore la vita di tanti Paesi e di milioni persone. Come non pensare a Gaza dove, mentre ancora gli ostaggi israeliani sono prigionieri in condizioni inumane, un’intera popolazione, affamata, bombardata, è costretta a un esodo continuo e con sofferenze drammatiche come ogni esodo”.
Ed ecco una Chiesa che si appella alla pace, insieme alle altre religioni: “La Chiesa italiana si unisce al suo forte e accorato appello per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Ci domandiamo con inquietudine: cosa possiamo fare di più per la pace? Chiediamo: cessi il rumore delle armi in nome del rispetto per l’inviolabile dignità della persona umana, di ogni persona; siano protetti i civili da ogni forma di violenza fisica, morale e piscologica; sia garantita a ciascuno la libertà di decidere dove e come vivere nel rispetto dell’altro e in fraternità, perseguendo il principio dei due Stati, unica via per dare un futuro al popolo palestinese preso in ostaggio da Hamas e dall’offensiva militare tuttora in corso”.
Quindi il presidente dei vescovi italiani ha ribadito la necessità di uscire dalla logica della contrapposizione: “La polarizzazione si manifesta quando opinioni, identità e appartenenze diventano muri invalicabili: ‘noi’ contro ‘loro’, amici contro nemici, verità contro menzogna. Il rischio mortale è che ogni interlocutore venga spogliato della sua umanità. Qui inizia l’odio, che poi rende vittime e artefici, allo stesso tempo, se non si combatte per tutti e in ogni situazione”.
Una contrapposizione che conduce allo scontro: “Assistiamo spesso ad un pericoloso scontro continuo e intransigente, dove diventa impossibile immaginare vie alternative: ogni soluzione si irrigidisce, ogni compromesso diventa tradimento. Rimanere intrappolati in questa logica vuol dire rinunciare alla possibilità di una pace creativa, di innovazione morale, di riconoscimento dell’umanità che pulsa nell’altro. Eppure è proprio fuori da quella logica che può nascere qualcosa di nuovo. Quando altre categorie (la compassione, la cura, la vicinanza) vengono rimesse al centro, cessa la fatalità della divisione. Un semplice gesto umano può spezzare la spirale: il perdono, l’abbraccio, il riconoscimento del dolore altrui”.
Da qui la necessità di educare alla pace: “Per evitare questi rischi serve un’educazione che valorizzi la pluralità, il riconoscimento dell’altro, il dialogo e la buona fede, anche quando ciò può apparire ingenuo. Ogni parrocchia e comunità sia una casa di pace e di non violenza che promuova e raccolga le tante e importanti istanze che salgono dalla società civile.
Per i cristiani, l’impegno alla pace non è un’opzione morale fra tante, ma una dimensione costitutiva del Vangelo. Gesù ci ricorda che basta dire pazzo a nostro fratello per essere omicidi! Egli invita ad amare i nemici. Questo impegno si traduce nel promuovere riconciliazione, giustizia, cura dei più vulnerabili, rifiuto di ogni forma di violenza”.
Questo è il compito dei cristiani: “Essere cristiani significa anche denunciare le guerre e le ingiustizie, sostenere la diplomazia, offrire accoglienza a chi fugge da conflitti. E significa pure lavorare perché in tutto il nostro Paese e in tutte le comunità locali si costruisca un dialogo autentico, una reciprocità che superi le paure radicate. Significa testimoniare che la pace non è assenza di conflitto, ma presenza viva di legami di solidarietà, di cura, di ascolto profondo. Educare alla pace oggi significa formare persone che sappiano uscire dai muri della polarizzazione, che comprendano che il cristianesimo chiede fedeltà al comandamento dell’amore”.
Educare alla pace è resistenza: “Persone che riconoscano la pace non come diritto garantito ma come opera quotidiana, fragile, spesso silenziosa, eppure autentica. Se oggi il nostro mondo sembra preferire l’eco dei tamburi di guerra al sussurro della riconciliazione, educare alla pace è un atto di resistenza rivoluzionaria. E’ piantare semi di umanità in terre apparentemente sterili. E’ scommettere che un abbraccio possa valere più di mille discorsi, che una mano tesa possa aprire più porte di ogni negoziato. E’ credere (contro ogni evidenza) che in ogni cuore umano, anche il più indurito, possa ancora risuonare l’eco di quella pace che il mondo non può dare, ma che proprio per questo il mondo non potrà mai togliere. Solo così, forse, in una società lacerata, può rinascere una speranza che non sia più palliativo, ma trasformazione”.
Quindi ripercorrendo alcune fasi di questo anno giubilare il card. Zuppi si è soffermato sull’esperienza sinodale: “Un’ulteriore declinazione di questa ‘amicizia ecclesiale’, di cui abbiamo goduto in questi anni e che tanto è cresciuta, mi pare di poterla cogliere negli ultimi passi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia. Dalla fase dell’ascolto nel 2021 ad oggi abbiamo tessuto trame di amicizia, fatta di confronto leale anche tra opinioni diverse. Come è noto, la seconda Assemblea sinodale (Roma, 31 marzo – 3 aprile 2025) si è chiusa con una mozione unanime, che chiedeva la riscrittura del testo da votare. Da allora tutte le persone coinvolte (delegati e Comitato) hanno lavorato alacremente e con dedizione per riformulare il testo che abbiamo adesso tra le mani. Il prossimo 25 ottobre, questo testo sarà votato dalla terza Assemblea sinodale, per essere poi presentato a noi Vescovi riuniti nell’Assemblea generale di novembre (Assisi, 17 – 20 novembre 2025)”.
Il cammino sinodale richiede uno stile: “Di fronte alle fatiche incontrate nella seconda Assemblea, abbiamo voluto dare e prenderci tempo per far maturare in modo opportuno un testo che fosse davvero espressione fedele del percorso compiuto. D’altra parte, se il Cammino Sinodale finirà verosimilmente tra un mese, come vescovi ci attende un impegno delicato che va ben oltre, e riguarda i prossimi anni delle nostre Chiese: accogliere, discernere e concretizzare quanto ci verrà consegnato dall’Assemblea sinodale. Avremo davanti a noi la sfida di individuare le priorità e conseguentemente gli strumenti adatti per tradurre queste priorità, affinché le nostre Chiese diventino sempre più missionarie e comunionali. La sinodalità infatti non finisce, ma deve diventare uno stile e una serie di scelte operative, coinvolgenti, fraterne e profetiche. La sinodalità ha bisogno di tutti, di una collegialità partecipe e lungimirante e di ascoltare sempre il primato di colui che presiede nella comunione”.
Infine citando Abish Masih il card. Zuppi ha invitato a non perdere la speranza: “Anche in mezzo alle tempeste, di fronte a situazioni apparentemente insolubili, noi crediamo come quel bambino pakistano che si può rendere il mondo migliore con fede e con amore. Non restano, con la loro ingenuità, solo i bambini a sognare e a scrivere sul loro quaderno, ma noi tutti, con fede, non rinunciamo a questo sogno. Vogliamo scriverlo sul quaderno della vita! Il mondo può cambiare in profondità e divenire migliore”.
E’ stato un invito a guardare il mondo con occhi nuovi: “Anche per noi è tempo di alzare lo sguardo con speranza. C’è una gioia che accomuna chi semina e chi miete. Forse a noi spetta il compito di seminare e ad altri di mietere. Quello che è essenziale adesso è non ripiegarsi su sé stessi, ma piuttosto cogliere e valorizzare i piccoli segni che preludono a qualcosa di grande, essere portatori di speranza come i giovani che sanno costruire il loro futuro, diventare costruttori umili e tenaci di una pace giusta e di tanta fraternità tra le persone”.
(Foto: Cei)
Convegno dell’Azione Cattolica Italiana: Frassati, un santo capace di una ‘scelta religiosa’
L’Azione Cattolica Italiana, per la canonizzazione di Pier Giorgio Frassati, prevede un afflusso di 20.000 aderenti all’associazione, come è stato sottolineato durante la conferenza stampa di presentazione delle iniziative in vista di domenica prossima, quando Papa Leone XIV canonizzerà Pier Giorgio Frassati insieme a Carlo Acutis. In piazza san Pietro sarà esposto il reliquiario di Pier Giorgio Frassati: si tratta di uno scrigno che contiene un frammento di indumento da lui usato.
‘Verso l’alto’ è la sintesi della sua vita e filo conduttore dell’iconografia del reliquario, mentre la corona del rosario segna il cammino in cordata verso il Cristo eucaristia sulla sommità della montagna dove Frassati precede e conduce i suoi amici e i suoi poveri. La costante presenza di Maria nella sua vita è raffigurata con l’immagine della Madonna di Oropa, santuario frequentemente visitato per lunghe soste di preghiera.
Inoltre sono presenti le lettere di san Paolo che egli portava con sé come suo prezioso vademecum per ricavarne luce e forza. Otto pietre di lapislazzulo lo ricordano come ‘l’uomo delle 8 beatitudini’, secondo la definizione data dal card. Karol Wojtyla nel 1977. L’alabastro della base e della teca intarsiata a stelle alpine, contenente la reliquia, ricorda le cime innevate e il suo amore per la bellezza della montagna; l’opera è stata eseguita da suor Maria Agar Loche, appartenente alla congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Mentre sabato 6 settembre alle ore 17.00 nell’Aula magna della Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) si svolgerà il convegno ‘Dentro la vita, dentro la storia. La santità di Pier Giorgio Frassati’ con la partecipazione del card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi; del vicepostulatore Roberto Falciola, del giornalista Luca Liverani, della presidente del Sermig Rosanna Tabasso, di Tatiana Giannone, componente dell’ufficio di presidenza di Libera, moderati dal giornalista Gennaro Ferrara, dopo l’introduzione del presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, Giuseppe Notarstefano. La giornata si concluderà con la Veglia di preghiera in preparazione alla canonizzazione, presieduta alle 20.30 dal vescovo Giuliodori nella basilica romana di San Giovanni Battista dei Fiorentini.
Introducendo la conferenza di presentazione della giornata di studio il presidente Notarstefano ha sottolineato la bellezza della sua vita: “C’è una straordinaria attualità nella bellezza di Frassati che, possiamo dire, ha vissuto una vita santa ‘a tutto tondo’. Il giovane torinese ha dimostrato che ci si può prendere cura delle amicizie, fare sport e divertirsi insieme, ma allo stesso tempo immergersi nella preghiera in profondità e dedicarsi ai più poveri, facendolo in maniera nascosta, con dedizione ecclesiale…
Frassati è entrato in profondità nella sua vita di cristiano, sapendo che da lì si anima ogni altra parte dell’esistenza, dall’impegno sociale alla professione, alle relazioni e questo per noi è il senso della ‘scelta religiosa’. La Chiesa con la sua canonizzazione ci dice che questa è la santità di cui il mondo ha bisogno oggi”.
Mentre il card. Marcello Semeraro ha definito Piergiorgio Frassati ‘un alpinista dello spirito’, che ha ispirato anche Giovan Battista Montini, “il quale pur non avendolo conosciuto direttamente lo aveva studiato e poi definito così: ‘E’ un forte’, rimandando alla radice del termine latino ‘vir’, che indica l’uomo…
E poi Pier Giorgio è un santo laico, che ci fa vedere come nell’ordinarietà della vita è possibile essere cristiani, senza ulteriori aggettivi. Fu un vero profeta del Concilio Vaticano II e papa Francesco era entusiasta di Frassati, perché suo padre, quando abitava a Torino, lo aveva conosciuto, anche se erano in due parrocchie diverse. Prima di emigrare in Argentina, volle andare a pregare sulla sua tomba. Otto giorni prima che morisse con papa Francesco abbiamo ancora parlato di Frassati”.
Mentre mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica Italiana e dell’Università Cattolica, ha ribadito la sua capacità di ‘leggere’ il proprio tempo: “Pier Giorgio ha saputo leggere in profondità i suoi tempi, diventando un’icona significativa per ogni tempo”, sottolineando come Frassati eserciti ancora un grande fascino sui giovani, come si è potuto constatare anche durante il recente Giubileo dei giovani, quando il corpo di Frassati è stato esposto nella basilica di Santa Maria sopra Minerva.
La causa di canonizzazione è durata decenni, ma tre anni fa è arrivata la notizia del miracolo che ha accelerato il processo, come ha spiegato la dott.ssa Silvia Correale, postulatrice della causa: “Si tratta di una grazia avvenuta negli Stati Uniti ad un seminarista che si era rotto il tendine. Ha pregato il Signore per intercessione di Frassati ed, a metà della novena, ha sentito calore attorno alla gamba. Poi ha iniziato a camminare senza sentire più dolore. A novembre 2024 poi, con nostra grande gioia, papa Francesco ha autorizzato la canonizzazione che all’inizio doveva essere durante il Giubileo dei giovani”.
Inoltre da un’idea del CAI (Club Alpino Italiano) sono stati dedicati alla sua memoria i ‘Sentieri Frassati’, che sono 22 itinerari alpini di particolare interesse naturalistico, storico e religioso in ogni regione e provincia autonoma italiana, inaugurati a partire dalla beatificazione, che risale al 1990. Ora, per iniziativa dell’Azione cattolica ambrosiana, nasce anche un ‘Sentiero Frassati’ virtuale per far conoscere la sua vicenda personale, umana e cristiana. Aprendo la pagina web (https://sentierofrassati.coopindialogo.it/), sul sito dell’associazione ‘In dialogo’ si possono attivare gli audio per seguire “una sorta di dialogo fra Pier Giorgio e le altre persone del suo tempo o del nostro, che trasmettono il suo stile e le sue attività, il suo pensiero e le sue scelte, la sua umanità e la sua santità.
Un’opportunità nuova per conoscere Pier Giorgio a partire dalle fonti scritte e rivisitate nella forma di un racconto, corredato anche da alcune foto”. Con questo lavoro, l’Azione cattolica ambrosiana contribuisce allo sforzo “non solo interno alla propria associazione e alla chiesa, di diffusione del profilo del giovane Pier Giorgio Frassati, anche a nome delle altre associazioni di cui è stato parte attiva: società di San Vincenzo, Club alpino italiano e Federazione universitaria cattolica italiana”.
Infine proprio per dare un segno concreto dell’impegno di Frassati nella carità, come detto da mons. Giuliodori oggi saranno consegnate al card. Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, 500 kit per l’igiene personale, per altrettanti uomini e donne in condizioni di fragilità. Sul letto di morte, Pier Giorgio scriveva su un biglietto il suo ‘testamento’: “Ecco le iniezioni di Converso, la polizza è di Sappa. L’ho dimenticata, rinnovala a mio conto”.
(Foto: Azione Cattolica Italiana)
Società di San Vincenzo De Paoli: nasce il progetto ‘ScegliAmo Bene’ per educare i giovani alla legalità e alla responsabilità sociale
La Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV lancia ‘ScegliAmo Bene’, un nuovo progetto educativo rivolto agli studenti delle scuole superiori, promosso dal Settore Carcere e Devianza. L’iniziativa mira a sensibilizzare i giovani sul valore della legalità, sulla responsabilità delle proprie scelte e sull’importanza del ruolo attivo nella comunità.
Attraverso laboratori, incontri con formatori di rilievo e attività pratiche, gli studenti avranno l’opportunità di confrontarsi con esperienze concrete e partecipative, sviluppando consapevolezza e autonomia. Il percorso prevede anche la possibilità di mettersi alla prova come volontari, contribuendo direttamente a progetti sociali sul territorio.
Antonella Caldart, Responsabile del Settore Carcere e Devianza, spiega: “Il progetto vuole essere un ponte tra esperienza educativa e impegno civile, offrendo ai giovani strumenti concreti per costruire un futuro più giusto, solidale e responsabile. Crediamo che educare alla legalità significhi anche formare cittadini consapevoli, pronti a partecipare attivamente alla vita della comunità”.
La prima edizione del progetto prenderà avvio a Brescia e si estenderà a livello nazionale, coinvolgendo tutte le scuole superiori che hanno sede in comuni in cui la Società di San Vincenzo De Paoli abbia una propria Conferenza. Le scuole interessate e i partner locali saranno coinvolti nella realizzazione di laboratori interattivi, incontri con esperti e attività creative finalizzate alla riflessione sulla legalità e sulla responsabilità sociale.
Per informazioni e contatti si può scrivere a: carcere.devianza@sanvincenzoitalia.it oppure far riferimento alla Conferenza della Società di San Vincenzo De Paoli presente nel territorio dell’Istituto scolastico che intenderà aderire. La Società di San Vincenzo De Paoli conferma così il suo impegno nella formazione dei giovani e nella promozione della responsabilità sociale, rafforzando valori di solidarietà, legalità e cittadinanza attiva.
(Foto: Società San Vincenzo De’ Paoli)




























