Papa all’ONU: fraternità è via alla pace

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Nei giorni scorsi papa Francesco ha inviato un messaggio ai partecipanti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, letto da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, alla presenza anche del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, e del grande imam di al-Azhar, Muḥammad Aḥmad al-Tayyib, che si sono confrontati sul tema ‘I valori della fraternità umana nel promuovere e sostenere la pace’, in cui ha ribadito ancora che la pace non può ‘soccombere’ alla guerra:

“Stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi che, più passa il tempo, più pare espandersi. Il Consiglio, che ha come mandato quello di vigilare sulla sicurezza e sulla pace nel mondo, agli occhi dei popoli pare a volte impotente e paralizzato.

Ma il vostro lavoro, apprezzato dalla Santa Sede, è essenziale per promuovere la pace e proprio per questo vorrei invitarvi, in modo accorato, ad affrontare i problemi comuni prendendo le distanze da ideologie e particolarismi, da visioni e interessi di parte, e coltivando un unico intento: adoperarvi per il bene dell’umanità intera”.

Nel messaggio il papa ha ribadito la mancanza di una cultura della fraternità, capace di vincere quella dello ‘scarto’: “Nel mondo globalizzato di oggi siamo tutti più vicini, ma non per questo più fratelli. Anzi, soffriamo una carestia di fraternità, che emerge da tante situazioni di ingiustizia, povertà e sperequazione, dalla mancanza di una cultura della solidarietà”.

Questo provoca l’aumento delle guerre: “Ma l’effetto peggiore di questa carestia di fraternità sono i conflitti armati e le guerre, che inimicano non solo le persone, ma popoli interi, e le cui conseguenze negative si ripercuotono per generazioni.

Con la nascita delle Nazioni Unite sembrava che l’umanità avesse imparato, dopo due terribili conflitti mondiali, a dirigersi verso una pace più stabile, a diventare, finalmente, una famiglia di nazioni. Pare invece che si stia tornando nuovamente indietro nella storia, con l’insorgere di nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi, i quali hanno acceso conflitti non solo anacronistici e superati, ma persino più violenti”.

Però il papa crede che la pace è un ‘sogno’ di Dio: “Da uomo di fede credo che la pace sia il sogno di Dio per l’umanità. Ma constato, purtroppo, che a causa della guerra questo sogno meraviglioso si sta tramutando in un incubo.

Certo, dal punto di vista economico, la guerra invoglia spesso più della pace, in quanto favorisce i guadagni, ma sempre di pochi e a scapito del benessere di intere popolazioni; perciò i soldi guadagnati con la vendita delle armi sono soldi sporchi di sangue innocente”.

E’ un invito a non fabbricare e vendere le armi: “Ci vuole più coraggio a rinunciare a facili profitti per custodire la pace che a vendere armi sempre più sofisticate e potenti. Ci vuole più coraggio a cercare la pace che a fare la guerra. Ci vuole più coraggio a favorire l’incontro che lo scontro, a sedersi ai tavoli dei negoziati che a continuare le ostilità”.

E la guerra non è mai legittima: “Per costruire la pace dobbiamo uscire dalla logica della legittimità della guerra: se essa poteva valere nei tempi passati, nei quali i conflitti armati avevano una portata più limitata, oggi, con le armi nucleari e di distruzione di massa, il campo di battaglia è diventato praticamente illimitato e gli effetti potenzialmente catastrofici.

E’ venuto il tempo di dire seriamente ‘no’ alla guerra, di affermare che non le guerre sono giuste, ma che solo la pace è giusta: una pace stabile e duratura, non costruita sull’equilibrio pericolante della deterrenza, ma sulla fraternità che ci accomuna. Siamo infatti in cammino sulla stessa terra, tutti fratelli e sorelle, abitanti dell’unica casa comune, e non possiamo oscurare il cielo sotto il quale viviamo con le nubi dei nazionalismi”.

Il discorso del papa è un invito a promuovere la fraternità: “Dove andremo a finire se ciascuno pensa solo per sé? Perciò quanti si adoperano per la costruzione della pace devono promuovere la fraternità. E’ un lavoro artigianale che richiede passione e pazienza, esperienza e lungimiranza, tenacia e dedizione, dialogo e diplomazia.

Ed ascolto: ascolto del grido di chi soffre a causa dei conflitti, in particolare dei bambini. I loro occhi solcati dalle lacrime ci giudicano; il futuro che prepariamo loro sarà il tribunale delle nostre scelte presenti”.

Il messaggio si è concluso con l’invito a scrivere un ‘nuovo capitolo di pace’, assicurando il proprio sostegno: “Siamo ancora in tempo per scrivere un nuovo capitolo di pace nella storia: possiamo fare in modo che la guerra appartenga al passato e non al futuro. Le discussioni in seno al Consiglio di Sicurezza a questo sono ordinate e a questo servano.

Vorrei sottolineare ancora una volta una parola, che amo ripetere in quanto reputo decisiva: fraternità. Essa non può rimanere un’idea astratta, ma deve diventare il punto di partenza concreto…

Per la pace, per ogni iniziativa e processo di pace assicuro il mio sostegno, la mia preghiera e quella dei fedeli cattolici. Auspico di cuore che non solo il Consiglio di Sicurezza, ma tutta l’Organizzazione della Nazioni Unite, tutti i suoi Stati membri e ciascuno dei suoi funzionari, possano rendere un servizio efficace all’umanità, assumendo la responsabilità di custodire non solo il proprio avvenire, ma quello di tutti, con l’audacia di rinnovare ora, senza paura, ciò che occorre per promuovere la fraternità e la pace dell’intero pianeta”.

Nel discorso pronunciato dall’imam al Tayyeb si è sottolineata l’importanza storica e senza precedenti di poter evidenziare il ruolo dei leader religiosi nel consolidare i valori di amicizia umana e di mutuo supporto. L’imam Al Tayyeb ha affermato che la sua intenzione è quella di sollecitare la fine di guerre insensate, come i conflitti in atto in Asia ed in Africa: Iraq, Afghanistan, Siria, Libia e Yemen, come continua a ribadire dal 2019:

“Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”.

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