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Papa Francesco: Maria Immacolata è una bellezza per noi
“In questa solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, sono vicino in modo particolare ai nicaraguensi. Vi invito ad unirvi in preghiera per la Chiesa e il popolo del Nicaragua, che celebra la Purissima, come Madre e Patrona, e innalza a Lei un grido di fede e di speranza. Che la Madre celeste sia per loro di consolazione nelle difficoltà e nelle incertezze, e apra i cuori di tutti, affinché si cerchi sempre la via di un dialogo rispettoso e costruttivo al fine di promuovere la pace, la fraternità e l’armonia nel Paese. E continuiamo a pregare per la pace, nella martoriata Ucraina, in Medio Oriente (Palestina, Israele, Libano, adesso la Siria), in Myanmar, Sudan e dovunque si soffre per la guerra e le violenze. Faccio appello ai Governanti e alla Comunità internazionale, perché si possa arrivare alla festa del Natale con un cessate-il-fuoco su tutti i fronti di guerra… Oggi, mi viene al cuore chiedere a tutti voi di pregare per i detenuti che negli Stati Uniti sono nel corridoio della morte. Credo che sono 13 o 15. Preghiamo perché la loro pena sia commutata, cambiata. Pensiamo a questi fratelli e sorelle nostri e chiediamo al Signore la grazia di salvarli dalla morte”.
Sono gli appelli di papa Francesco al termine della recita dell’Angelus della festività dell’Immacolata Concezione, che ha concluso la celebrazione eucaristica con i nuovi cardinali, soffermandosi a contemplarLa in tre aspetti: “Maria figlia, Maria sposa e Maria madre. Prima di tutto guardiamo all’Immacolata come figlia. Della sua infanzia i Testi sacri non parlano. Il Vangelo ce la presenta invece, al suo ingresso sulla scena della storia, come una giovane ragazza ricca di fede, umile e semplice. E’ la ‘vergine’, nel cui sguardo si riflette l’amore del Padre e nel cui Cuore puro la gratuità e la riconoscenza sono il colore e il profumo della santità. Qui la Madonna ci appare bella come un fiore cresciuto inosservato e finalmente pronto a sbocciare nel dono di sé. Perché la vita di Maria è un continuo dono di sé”.
Essendo figlia è potuta diventare sposa, come è stata definita dalla costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “Il che ci porta alla seconda dimensione della sua bellezza: quella di sposa, cioè di colei che Dio ha scelto come compagna per il suo progetto di salvezza. ‘Serva’ non nel senso di ‘asservita’ e ‘umiliata’, ma di persona ‘fidata’, ‘stimata’, a cui il Signore affida i tesori più cari e le missioni più importanti. La sua bellezza allora, poliedrica come quella di un diamante, rivela una faccia nuova: quella della fedeltà, della lealtà e della premura che caratterizzano l’amore reciproco degli sposi”.
Mentre la terza dimensione è la bellezza della Madre: “Qual è questa terza dimensione della bellezza di Maria? Quella di madre. E’ il modo più comune in cui la raffiguriamo: con in braccio il Bambino Gesù, oppure nel presepe, chinata sul Figlio di Dio che giace nella mangiatoia. Sempre presente accanto a suo Figlio in tutte le circostanze della vita: vicina nella cura e nascosta nell’umiltà; come a Cana, dove intercede per gli sposi, o a Cafarnao, dove è lodata per il suo ascolto della Parola di Dio o infine ai piedi della croce (la mamma di un condannato), dove Gesù stesso ce la consegna come madre. Qui l’Immacolata è bella nella sua fecondità, cioè nel suo saper morire per dare la vita, nel suo dimenticare sé stessa per prendersi cura di chi, piccolo e indifeso, si stringe a Lei”.
Per il papa tale bellezza non è irraggiungibile: “Il rischio, però, sarebbe di pensare che si tratti di una bellezza lontana, una bellezza troppo alta, irraggiungibile. Non è così. Anche noi infatti la riceviamo in dono, nel Battesimo, quando veniamo liberati dal peccato e fatti figli di Dio. E con essa ci è affidata la chiamata a coltivarla, come la Vergine, con amore filiale, sponsale e materno, grati nel ricevere e generosi nel donare, uomini e donne del ‘grazie’ e del ‘sì’, detti con le parole, ma soprattutto con la vita (è bello trovare uomini e donne che con la vita dicono grazie e dicono ‘sì’); pronti a far posto al Signore nei nostri progetti e ad accogliere con tenerezza materna tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sul nostro cammino”.
Per questo la Madre di Dio è una donna che è a ‘portata’ di tutti: “L’Immacolata allora non è un mito, una dottrina astratta o un ideale impossibile: è la proposta di un progetto bello e concreto, il modello pienamente realizzato della nostra umanità, attraverso cui, per grazia di Dio, possiamo tutti contribuire a cambiare in meglio il nostro mondo. Vediamo purtroppo, attorno a noi, come la pretesa del primo peccato, di voler essere ‘come Dio’, continui a ferire l’umanità, e come questa presunzione di autosufficienza non generi né amore, né felicità.
Chi esalta come conquista il rifiuto di ogni legame stabile e duraturo, infatti, non dona libertà. Chi toglie il rispetto al padre e alla madre, chi non vuole i figli, chi considera gli altri come un oggetto o come un fastidio, chi ritiene la condivisione una perdita e la solidarietà un impoverimento, non diffonde gioia né futuro”.
(Foto: Santa Sede)
Tutelare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
“Il 20 novembre di 35 anni fa, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, trattato internazionale di importanza storica che ha riconosciuto in capo ai bambini la titolarità di diritti specifici, concepiti sui loro bisogni di crescita, protezione e sviluppo”: così è iniziata la dichiarazione del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella in occasione della ratifica della Giornata Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, istituita nel 1989 per commemorare la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959.
Nel messaggio il presidente della Repubblica italiana ha ricordato la necessità di eliminare le discriminazioni nei confronti dell’infanzia: “La ratifica della Convenzione da parte di un numero considerevole di Paesi non ha risolto tuttavia le criticità esistenti. Milioni di bambini e adolescenti nel mondo affrontano ancora povertà, esclusione sociale, disuguaglianza e negazione di diritti fondamentali.
Proteggere i bambini da guerre, violenza, sfruttamento e ogni forma di abuso non è solo un obbligo giuridico: è un dovere morale che chiama tutti a fare della tutela dei giovani una priorità collettiva. Difendere i diritti dei bambini significa fornire loro riferimenti positivi che possano orientarne lo sviluppo; vuol dire trasmettere loro il valore dell’empatia e della solidarietà e l’importanza della responsabilità delle proprie azioni”.
E’ stato un invito ad ascoltare la gioventù: “L’incremento di episodi di violenza tra i giovanissimi impone di mantenere alta l’attenzione sia nell’attività di ascolto sia nella vigilanza, per poter intercettare anche il più piccolo segnale di disagio o sofferenza.
La mancanza di un sostegno adeguato può rendere i bambini e i ragazzi più vulnerabili e inclini a comportamenti violenti, con il rischio di spingerli anche ad avvicinarsi a contesti criminali che offrono una falsa percezione di potere e appartenenza”.
Infine occorre che le Istituzioni facciano ‘rete’: “Per prevenire questi rischi è cruciale che le famiglie, le scuole, le comunità e le istituzioni lavorino insieme al fine di creare contesti in cui i giovani possano sentirsi valorizzati, ascoltati e guidati e in cui possano avere il diritto di sognare, liberi di immaginare un futuro in cui esprimere appieno il proprio potenziale. Tutelare i diritti dei bambini vuol dire dare un futuro alla società, vuol dire rendere i giovani protagonisti delle loro vite”.
In questa giornata ‘Save the Children’ ha sottolineato che molti bambini vivono in zone di guerra:“Conflitti, povertà, fame e crisi climatica stanno spingendo milioni di bambine e bambini sull’orlo del baratro. Nel 2023, circa 473.000.000 bambini, cioè più di 1 su 5, vivevano in una zona di guerra, con una media di 31 bambini mutilati o uccisi ogni giorno e uno su 50 è costretto a fuggire, il doppio rispetto a dieci anni fa. Sempre nel 2023,sono nati più di 17.600.000 bambini destinati a soffrire la fame, un quinto in più rispetto al 2013, mentre si stima che oltre 12.000.000 ragazze si sposino prima dei 18 anni ogni anno”.
Inoltre la fanciullezza è messa in pericolo dalla crisi climatica: “La crisi climatica è una crisi dei diritti dell’infanzia che grava sulle generazioni di oggi e su quelle future. Quest’anno 300.000.000 bambini ed adolescenti (1 su 8 a livello globale) hanno subito i 10 maggiori eventi meteorologici estremi, che ogni anno interrompono l’apprendimento di circa 40.000.000 minori.
Ancora una volta, i dati sottolineano l’importanza di perseguire gli impegni presi e aumentare gli sforzi fatti finora per assicurare la protezione e il rispetto dei diritti dei bambini nel mondo, in un momento in cui questi sono messi particolarmente a rischio”.
‘Save the Children’ ha inoltre sottolineato la diseguaglianza che colpisce l’infanzia in Italia: “Non è un ‘paese per bambini’: da anni si dice che l’Italia non sia un Paese per i più piccoli e, dopo qualche decennio di lento declino, sembra quasi diventato un luogo in cui l’infanzia è ‘a rischio estinzione’.
In Italia la povertà continua a colpire i minori, i più piccoli in particolare: sono 1.295.000 i minori in povertà assoluta, con un’incidenza pari al 13,8% del totale, circa 200.000 di età compresa tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivono in povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni”.
Inoltre, secondo Cesvi, a livello mondiale 148.000.000 bambini soffrono di arresto della crescita, 45.000.000 sono deperiti e quasi 5.000.000 muoiono prima di aver compiuto 5 anni, ovvero l’equivalente dell’intera popolazione italiana di età compresa tra 0 e 10 anni. La situazione peggiora ulteriormente con la crescita: oltre 36.000.000 bambini sotto i 5 anni sono malnutriti e tra questi oltre 9 milioni soffrono di malnutrizione grave. Dall’Indice Globale della Fame di CESVI emerge, inoltre, che in 27 Paesi i livelli di arresto della crescita sono così alti da avere una rilevanza molto preoccupante per la salute pubblica: la situazione più grave si registra in Burundi, Yemen e Niger, dove circa la metà dei bambini subisce un ritardo nel normale sviluppo a causa della malnutrizione. Negli ultimi anni la prevalenza dell’arresto della crescita è aumentata di almeno 4 punti percentuali anche in Afghanistan, Argentina, Mongolia, Niger e Yemen. Il deperimento infantile è particolarmente elevato in India, ed è alto e in aumento in Sudan e Yemen.
La situazione è aggravata da guerre e conflitti armati: quasi 2.000.000.000 bambini vivono in un Paese in guerra e circa 473.000.000 (più di un bambino su sei) vivono entro 50 km da scontri armati. La situazione più grave si registra nel continente africano, dove 181.000.000 bambini vivono in Paesi coinvolti in crisi armate.
In cinque Stati dell’Africa Subsahariana, oltre 1 bambino su 10 muore prima dei cinque anni, ed è l’area che detiene il più alto tasso di mortalità neonatale globale (40%). La situazione è particolarmente critica in Sudan, paese che sta affrontando una tragica emergenza fame e dove CESVI sta intervenendo: qui quasi 9.000.000 bambini vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare e oltre 700.000 bambini al di sotto dei 5 anni sono a rischio di morte.
Papa Francesco: i carismi sono doni dello Spirito Santo
“L’altro ieri ho ricevuto una lettera di un ragazzo universitario dell’Ucraina, dice così: ‘Padre, quando mercoledì ricorderà il mio Paese e avrà l’opportunità di parlare al mondo intero nel millesimo giorno di questa terribile guerra, La prego, non parli solo delle nostre sofferenze, ma sia testimone anche della nostra fede: anche se imperfetta, il suo valore non diminuisce, dipinge con pennellate dolorose il quadro del Cristo Risorto.
In questi giorni ci sono stati troppi morti nella mia vita. Vivere in una città dove un missile uccide e ferisce decine di civili, essere testimone di tante lacrime è difficile. Avrei voluto fuggire, avrei voluto tornare a essere un bambino abbracciato dalla mamma, avrei voluto onestamente essere in silenzio e amore, ma ringrazio Dio perché attraverso questo dolore, imparo ad amare di più.
Il dolore non è solo un cammino verso la rabbia e la disperazione; se si fonda sulla fede è un buon maestro di amore. Padre, se il dolore fa male significa che ami; quindi, quando lei parlerà del nostro dolore, quando ricorderà i mille giorni di sofferenza, ricordi anche i mille giorni di amore, perché solo l’amore, la fede e la speranza danno un vero significato alle ferite’. Così ha scritto questo ragazzo universitario ucraino”.
Al termine dell’udienza generale papa Francesco ha letto la lettera che uno studente ucraino gli ha inviato per ricordare i 1000 giorni di guerra nell’est europeo, invitando i fedeli a non ‘abbandonare’ questo popolo: “Una ricorrenza tragica per le vittime e per la distruzione che ha causato, ma allo stesso tempo una sciagura vergognosa per l’intera umanità! Questo, però, non deve dissuaderci dal rimanere accanto al martoriato popolo ucraino, né dall’implorare la pace e dall’operare perché le armi cedano il posto al dialogo e lo scontro all’incontro”.
Mentre la catechesi dell’udienza generale ha sviluppato ‘I carismi, doni dello Spirito per l’utilità comune’, continuando il ciclo di catechesi con lo Spirito Santo ‘protagonista’ nei sacramenti, nella preghiera e nella Madre di Dio: “E’ giunto, perciò, il momento di parlare anche di questo secondo modo di operare dello Spirito Santo che è l’azione carismatica. Una parola un po’ difficile, la spiegherò. Due elementi contribuiscono a definire cos’è il carisma”.
In due punti ha definito il carisma: “Primo, il carisma è il dono dato ‘per l’utilità comune’, per essere utile a tutti. Non è, in altre parole, destinato principalmente e ordinariamente alla santificazione della persona, ma al servizio della comunità. Questo è il primo aspetto. Secondo, il carisma è il dono dato ‘a uno’, od ‘ad alcuni’ in particolare, non a tutti allo stesso modo, e questo è ciò che lo distingue dalla grazia santificante, dalle virtù teologali e dai sacramenti che invece sono gli stessi e comuni per tutti. Il carisma è dato a una persona o a una comunità specifica. E’ un dono che Dio ti dà”.
Con un paragone il papa ha definito il carisma come ‘ornamento’, che rende bello, secondo una definizione della costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “I carismi sono i “monili”, o gli ornamenti, che lo Spirito Santo distribuisce per rendere bella la Sposa di Cristo. Si capisce così perché il testo conciliare termina con l’esortazione seguente. Benedetto XVI ha affermato: ‘Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibile l’inesauribile vivacità della santa Chiesa’. E questo è il carisma dato a un gruppo, tramite una persona”.
Con una citazione di sant’Agostino il papa ha sottolineato che tali ‘carismi’ hanno la propria importanza: “Aggiungiamo un’altra cosa: quando si parla dei carismi bisogna subito dissipare un equivoco: quello di identificarli con doti e capacità spettacolari e straordinarie; essi invece sono doni ordinari (ognuno di noi ha il proprio carisma) che acquistano valore straordinario se ispirati dallo Spirito Santo e incarnati nelle situazioni della vita con amore.
Una tale interpretazione del carisma è importante, perché molti cristiani, sentendo parlare dei carismi, sperimentano tristezza o delusione, in quanto sono convinti di non possederne nessuno e si sentono esclusi o cristiani di serie B. No, non ci sono i cristiani di serie B, no, ognuno ha il proprio carisma personale e anche comunitario”.
(Foto: Santa Sede)
In aumento la fame nel mondo
Una persona su undici nel mondo, una persona su cinque in Africa: è il numero di quanti soffrono di insicurezza alimentare nel mondo, emergenza che eventi climatici estremi e guerre hanno fatto crescere di oltre il 26% in quattro anni. I progressi mondiali nella lotta alla fame stanno rallentando in modo preoccupante, allontanando sempre più l’obiettivo ‘Fame Zero’ entro il 2030, come ricorda l’Indice globale della Fame 2024 (Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide.
Nel 2023 sono state 733.000.000 persone hanno sofferto la fame; quasi 3.000.000.000 non hanno potuto permettersi una dieta sana a causa dell’aumento dei prezzi alimentari e della crisi del costo della vita. Secondo il GHI (Indice Globale della Fame) di quest’anno la fame risulta ancora allarmante o acuta in 42 Paesi. Quest’anno il punteggio GHI del mondo è di 18.3, ovvero fame a livello moderato. In 6 Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen), nonostante i miglioramenti in alcuni di essi, è stato riscontrato un livello di fame ancora allarmante e in ulteriori 36 un livello di fame grave.
Nello scorso anno si sono verificate 399 catastrofi naturali, più di 1 al giorno. Questi eventi hanno provocato 86.473 morti e colpito 93.100.000 persone, causando 202.700.000.000 di perdite economiche. Gli eventi meteorologici estremi, in particolare, nell’ultimo anno hanno peggiorato i livelli di fame in 18 Paesi, facendo precipitare in condizioni di insicurezza alimentare acuta oltre 72 milioni di persone, 15.000.000 in più rispetto al 2022.
A peggiorare la situazione alimentare mondiale anche le guerre e i conflitti armati, come dimostra il caso emblematico della Striscia di Gaza, che in meno di un anno ha visto il 96% della popolazione (2.015.000 persone) precipitare nell’insicurezza alimentare catastrofica o acuta.
Le operazioni militari hanno rapidamente devastato le infrastrutture agricole e di pesca del territorio e inferto un duro colpo anche all’allevamento in Terra Santa, secondo il racconto degli operatori del CESVI: “Quasi il 68% dei terreni agricoli di Gaza è stato danneggiato, riducendo drasticamente la produzione di cibo. Il 52,5% dei pozzi agricoli (1.188) e 44% delle serre sono stati gravemente compromessi, le attività agricole sono quasi totalmente interrotte e molte aree sono contaminate da ordigni inesplosi: si stima che ci potrebbero volerci fino 14 anni per eliminare tutte le minacce esplosive.
Le attività di pesca sono state gravemente compromesse a causa del blocco navale e degli attacchi alle imbarcazioni, riducendo notevolmente la disponibilità di pesce, una risorsa alimentare cruciale per Gaza. Gravissima anche la situazione degli allevamenti con il 95% del bestiame andato perduto. La distruzione di infrastrutture vitali come le riserve idriche e le strutture di trattamento dell’acqua ha ulteriormente aggravato la crisi: l’accesso limitato all’acqua potabile ha aumentato il rischio di malattie legate alla malnutrizione e alle condizioni igieniche carenti.
Inoltre nell’ultimo anno i conflitti armati hanno peggiorato i livelli di fame in ben 20 Paesi, trascinando quasi 135.000.000 persone nell’insicurezza alimentare acuta a causa della combinazione di scontri prolungati, blocchi economici e distruzione di terreni agricoli: “La situazione è poi particolarmente critica in Sudan, Paese che sta affrontando un’emergenza fame di dimensioni mai viste dai tempi della crisi del Darfur dei primi anni 2000: l’escalation del conflitto, la distruzione deliberata del sistema alimentare del Paese, la perturbazione dei meccanismi di adattamento della popolazione e la difficoltà di accesso degli aiuti umanitari hanno portato il Paese sull’orlo della carestia.
Attualmente sono oltre 20.300.000 le persone che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare acuta, con un aumento di 8.600.000 in un solo anno. Qui CESVI sta intervenendo con l’obiettivo di fornire assistenza salvavita alle popolazioni vulnerabili colpite dal conflitto attivo garantendo sicurezza alimentare, nutrizione, acqua e servizi igienico-sanitari, oltre a fornire una programmazione integrata multisettoriale a lungo termine”.
Il devastante effetto dei conflitti sulla malnutrizione non risparmia l’Europa: anche l’Ucraina a causa della guerra nell’ultimo anno ha visto peggiorare il proprio punteggio GHI sulla malnutrizione.
Papa Francesco: nel matrimonio è necessaria anche una preparazione spirituale
“Fratelli e sorelle preghiamo per la pace. Oggi presto al mattino ho ricevuto le statistiche dei morti in Ucraina; è terribile la guerra, non perdona la guerra è una sconfitta, preghiamo per la pace, che il Signore la dia a tutti noi”: così al termine dell’udienza generale papa Francesco ha ricordato le vittime innocenti uccise nelle guerre, con l’invito a non dimenticare “anche il Myanmar, la Palestina che sta soffrendo attacchi inumani, Israele e non dimentichiamo tutte le nazioni che sono in guerra. C’è una cifra che deve spaventarci, gli investimenti che danno più guadagni sono le armi, guadagnare con la morte, preghiamo per la pace tutti!”
Mentre nei saluti in lingua polacca il papa ha ricordato san Giovanni Paolo II: “Ieri abbiamo ricordato nella liturgia San Giovanni Paolo II. Egli è stato, come ho detto in occasione della sua canonizzazione, il Papa delle famiglie. Ricordava costantemente a voi polacchi che la forza della famiglia deve venire da Dio. Chiediamo la forza dello Spirito Santo per tutte le famiglie, affinché possa far rivivere in loro la capacità di donarsi e la gioia di stare insieme”.
Mentre nella continuazione delle catechesi sullo Spirito Santo papa Francesco ha invitato sul rapporto dello Spirito Santo nel matrimonio: “La riflessione della Chiesa, però, non si è fermata a quella breve professione di fede. Essa è proseguita, sia in Oriente che in Occidente, per opera di grandi Padri e Dottori. Oggi, in particolare, vorremmo raccogliere qualche briciola della dottrina dello Spirito Santo sviluppatasi nella tradizione latina, per vedere come essa illumini tutta la vita cristiana e in modo particolare il sacramento del matrimonio”.
Il principale artefice di questa dottrina è stato sant’Agostino: “L’artefice principale di tale dottrina è sant’Agostino, che ha sviluppato la dottrina sullo Spirito Santo. Egli parte dalla rivelazione che ‘Dio è amore’. Ora l’amore suppone uno che ama, uno che è amato e l’amore stesso che li unisce. Il Padre è, nella Trinità colui che ama, la fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui che è amato, e lo Spirito Santo è l’amore che li unisce”.
Ecco la ‘struttura’ trinitaria di Dio: “Il Dio dei cristiani dunque è un Dio ‘unico’, ma non solitario; la sua è una unità di comunione, di amore. In questa linea, qualcuno ha proposto di chiamare lo Spirito Santo, non ‘la terza persona’ singolare della Trinità, ma piuttosto ‘la prima persona plurale’. Egli, in altre parole, è il Noi, il Noi divino del Padre e del Figlio, il vincolo di unità tra diverse persone, principio stesso dell’unità della Chiesa, che è appunto un “corpo solo” risultante da più persone”.
E la Trinità si riverbera nella famiglia: “La coppia umana è perciò la prima e più elementare realizzazione della comunione d’amore che è la Trinità. Anche gli sposi dovrebbero formare una prima persona plurale, un ‘noi’. Stare l’uno davanti all’altro come un ‘io’ e un ‘tu’, e stare di fronte al resto del mondo, compresi i figli, come un ‘noi’… Quanto bisogno hanno i figli di questa unità – papà e mamma insieme -, unità dei genitori e quanto soffrono quando essa viene meno! Quanto soffrono i figli dei padri che si separano, quanto soffrono!”
Il matrimonio, essendo vocazione, ha la necessità di avere l’abbraccio dello Spirito Santo’: “Per corrispondere a questa vocazione, però, il matrimonio ha bisogno del sostegno di Colui che è il Dono, anzi il donarsi per eccellenza. Dove entra lo Spirito Santo la capacità di donarsi rinasce. Alcuni Padri della Chiesa hanno affermato che, essendo il dono reciproco del Padre e del Figlio nella Trinità, lo Spirito Santo è anche la ragione della gioia che regna tra essi, e non hanno avuto paura di usare, parlandone, l’immagine di gesti propri della vita coniugale, quali il bacio e l’abbraccio”.
Non essendo sempre facile la vita coniugale il matrimonio deve poggiare sulla ‘roccia’: “Nessuno dice che tale unità sia un traguardo facile, meno che meno nel mondo d’oggi; ma questa è la verità delle cose come le ha pensate il Creatore ed è perciò nella loro natura. Certo, può sembrare più facile e più sbrigativo costruire sulla sabbia che non sulla roccia, ma Gesù ci dice qual è il risultato… Lo Spirito Santo è colui che continua a fare, sul piano spirituale, il miracolo che fece Gesù in quella occasione, e cioè cambiare l’acqua dell’abitudine in una nuova gioia di stare insieme. Non è una pia illusione: è ciò che lo Spirito Santo ha fatto in tanti matrimoni, quando gli sposi si sono decisi a invocarlo”.
Concludendo la catechesi il papa ha consigliato anche una ‘preparazione’ spirituale: “Non sarebbe male, perciò se, accanto alle informazioni di natura giuridica, psicologica e morale che si danno, nella preparazione dei fidanzati al matrimonio si approfondisse questa preparazione “spirituale”, lo Spirito Santo che fa l’unità. ‘Tra moglie e marito non mettere il dito’, dice un proverbio italiano. C’è invece un ‘dito’ da mettere tra moglie e marito, ed è proprio il ‘dito di Dio’: cioè lo Spirito Santo!”
(Foto: Santa Sede)
Per la Giornata dell’Alimentazione papa Francesco ha detto che il cibo è un diritto
“La quarantaquattresima Giornata Mondiale dell’Alimentazione ci invita a riflettere sul diritto al cibo per una vita e un futuro migliori. Si tratta di una priorità, poiché soddisfa uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano, cioè quello di nutrirsi per vivere secondo standard qualitativi e quantitativi adeguati, che garantiscano l’esistenza dignitosa della persona umana. Tuttavia, vediamo spesso che questo diritto viene minato e non applicato equamente, con le conseguenze dannose che ciò comporta”: con queste parole è iniziato il messaggio di papa Francesco inviato al direttore generale della FAO, Qu Dongyu, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, svoltasi mercoledì 16 ottobre, letto da mons. Fernando Chica Arellano durante il World Food Forum, svoltosi a Roma.
Nel messaggio il papa ha sottolineato il valore sociale dell’alimentazione, che è un diritto: “Per fare questo è necessario non dimenticare la dimensione sociale e culturale intrinseca all’atto di nutrirsi. A questo proposito, i leader politici ed economici a livello internazionale devono ascoltare le istanze di coloro che stanno alla base della catena alimentare, come i piccoli agricoltori, e delle formazioni sociali intermedie, come la famiglia, che sono direttamente coinvolte nell’alimentazione delle persone”.
E’ un richiamo ai principi di solidarietà e di sussidiarietà: “Questo pensavo quando proponevo di considerare il paradigma dell’ecologia integrale, perché si tenga conto dei bisogni di ogni uomo e di tutti gli uomini, perché sia tutelata la loro dignità nel rapporto con gli altri e in stretta connessione con la cura del creato. Solo se prendiamo l’ideale della giustizia come guida della nostra azione possiamo soddisfare i bisogni delle persone”.
E’ un invito a tutelare le future generazioni: “In questo modo, la tutela delle generazioni future andrà di pari passo con l’ascolto e l’agire in favore delle istanze delle generazioni presenti, attraverso un’alleanza intra e intergenerazionale che chiama tutti alla fraternità e dà un significato nuovo, più autentico, alla cooperazione internazionale, cooperazione che deve favorire questa Organizzazione e l’intero sistema multilaterale”.
Ed ha garantito il sostegno della Chiesa in questa sfida: “In questo cammino, pieno di ostacoli e difficoltà, ma allo stesso tempo appassionante e pieno di sfide, la comunità internazionale avrà l’incoraggiamento della Santa Sede e della Chiesa cattolica, che non cessano di offrire il loro tenace contributo affinché tutti possano avere di cibo in quantità e qualità adeguate per sé e per le proprie famiglie, perché ogni persona possa condurre una vita dignitosa e perché sia definitivamente sconfitto il doloroso flagello della miseria e della fame nel mondo”.
E nella giornata dedicata all’alimentazione l’ong ‘Save the Children’ ha sottolineato che ogni due secondi al mondo nasce un bambino destinato a soffrire la fame e ad avere il piatto desolatamente vuoto, anche a causa dell’aumento dei conflitti: “La malnutrizione acuta infantile è aumentata del 20% tra il 2020 e il 2022 nei 19 Paesi più colpiti da crisi umanitarie, passando da 23.000.000 nel 2020 (pre-pandemia) a 27.700.000 nel 2022.
Il proliferare dei conflitti armati ed il fatto che siano sempre più prolungati nel tempo (basti considerare quelli in Medioriente, Ucraina e Sudan) e gli eventi metereologici estremi sempre più intensi e frequenti, stanno avendo conseguenze devastanti sulla vita dei civili, rischiando di aumentare ulteriormente i livelli di insicurezza alimentare e di malnutrizione infantile. Considerando i trend attuali, si stima che 128,5 milioni di bambini (19,5%) saranno affetti da malnutrizione cronica nel 2030, circa la metà dei quali in Africa occidentale e centrale”.
Il rapporto dell’Organizzazione Non Governativa ha evidenziato come i conflitti siano le principali cause dell’insicurezza alimentare per circa 135.000.000 di persone in 20 Paesi del mondo: “Solo a Gaza, dove si registra il più alto tasso di malnutrizione a livello globale, è colpita quasi l’intera popolazione infantile, pari a 1.100.000 di bambini. Un anno di guerra a Gaza sta evidenziando le conseguenze disastrose della proibizione dell’accesso umanitario: ben il 96% della popolazione della Striscia sta affrontando un’insicurezza alimentare acuta a livelli critici o anche maggiori, con oltre 495.000 persone (22%) che sono approdate allo stadio più alto secondo la classificazione IPC5, e affrontano livelli catastrofici di insicurezza alimentare acuta”.
Ma anche la crisi climatica è tra le principali cause della malnutrizione: “Si stima che gli eventi metereologici estremi, siano stati la causa primaria di alti livelli di insicurezza alimentare per 72.000.000 di persone in 18 Paesi, tra cui 33 milioni di minori. Numero più che raddoppiato dal 2018, quando gli eventi meteorologici estremi erano la causa primaria della fame per 29.000.000 di persone, di cui 13.000.000 di bambini. La maggiore intensità e frequenza dei fenomeni climatici estremi (come le inondazioni in Pakistan, le prolungate siccità nel Sahel e in Somalia e il distruttivo uragano Freddy in Mozambico e Malawi) la siccità e la deforestazione hanno degli impatti profondi sui sistemi alimentari e sulla competizione per le risorse naturali, a sua volta responsabile di conflitti crescenti, come quelli tra agricoltori e popolazioni pastorali”.
Per questo fino al 31 dicembre è possibile sostenere la campagna, per dare cibo terapeutico, acqua e cure mediche a tanti bambini malnutriti, donando 2 euro con un SMS al 45533 dal proprio cellulare personale Wind Tre, Tim, Vodafone, Iliad, Poste Mobile, Coop Voce e Tiscali; 5 o 10 euro chiamando da rete fissa TIM, Vodafone, Wind Tre, Fastweb, Tiscali, TWT Group Unidata, Convergenze e Poste Mobile. Per donare con carta di credito basta chiamare l’800 08 18 18.
Testimonial della campagna di Save the Children quest’anno sono Cesare Bocci, Ambasciatore dell’Organizzazione, Michela Andreozzi, Giada Desideri, Tosca D’Aquino, Caterina Guzzanti, Neva Leoni, Luana Ravegnini, Ema Stokholma, ‘diretti’ e ‘fotografati’ da Fabio Lovino: https://vimeo.com/1018246977/bfef6471b9. Inoltre fino al 20 ottobre è in programma la settimana di raccolta fondi con il sostegno informativo di Rai per la Sostenibilità – ESG, attraverso i canali editoriali Rai, che supporterà lo sviluppo di interventi di contrasto alla malnutrizione in Somalia.
Altri spazi editoriali saranno messi a disposizione daSky per il Sociale, Tv 2000. Nel weekend del 19-20 ottobre, grazie al supporto della Lega serie A, tutte le squadre della Serie A TIM scenderanno in campo per supportare Save the Children invitando tutti i tifosi a contribuire con una semplice donazione. La campagna sull’emergenza fame di Save the Children e i suoi progetti di contrasto alla malnutrizione sono supportati dai nostri partner Fondazione Giorgio Armani, Nexi e OVS.
Al contrario Coldiretti ha evidenziato che gli italiano gettano 1.800.000.000 di chilogrammi di cibo: “Il fenomeno dello spreco nelle case incide per oltre la metà sul totale del valore del cibo gettato, con le abitazioni che rappresentano la prima voce davanti alla grande distribuzione all’industria e alle campagne. Proprio per sensibilizzare i cittadini rispetto a un problema sempre più grave Coldiretti è impegnata con il progetto dei mercati di Campagna Amica, sostenendo le realtà locali, riducendo l’impatto ambientale dei lunghi trasporti e garantendo alle famiglie prodotti più freschi che durano di più”.
E questi sono alcuni consigli forniti da Coldiretti per evitare lo spreco: “Importante fare la lista della spesa, leggere attentamente la scadenza sulle etichette, verificare quotidianamente il frigorifero dove i cibi vanno correttamente posizionati. Meglio poi effettuare acquisti ridotti e ripetuti nel tempo, privilegiare confezioni adeguate, scegliere frutta e verdura con il giusto grado di maturazione, preferire la spesa a km 0 e di stagione che garantisce una maggiore freschezza e durata. Ma lo spreco si batte anche a tavola, riscoprendo le ricette degli avanzi, dalle marmellate di frutta alle polpette fino al pane grattugiato, ma anche chiedendo la doggy bag al ristorante”.
Cei ed Aiuto alla Chiesa che Soffre stanziano € 2.000.000 per il supporto in Libano
La Presidenza della CEI, ha stanziato € 1.000.000 dai fondi dell’8xmille, che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, per far fronte alle necessità della popolazione del Libano. L’erogazione, attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, servirà a fornire accoglienza e assistenza umanitaria alle centinaia di migliaia di profughi e sfollati, assicurando aiuti d’urgenza in ambito alimentare e socio-sanitario, supporto psicosociale e accompagnamento.
In questo modo sarà possibile rispondere alle numerose richieste della Caritas e di altri enti e soggetti ecclesiali locali, già impegnati sul territorio, con i quali negli ultimi 30 anni sono stati realizzati 143 progetti di sviluppo in diversi settori per quasi € 34.000.000, sempre con il sostegno della CEI, come ha affermato l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, presidente della CEI:
“Le Chiese in Italia si uniscono al grido del Santo Padre per esprimere ai fratelli e alle sorelle del Libano e di tutto il Medio Oriente vicinanza e solidarietà: siamo con voi! Mentre continuiamo a invocare il dono della pace, ci rivolgiamo a quanti hanno responsabilità politiche affinché tacciano le armi e si imbocchi la via del dialogo e della diplomazia. Al contempo, ci facciamo prossimi concretamente a quanti vivono sulla propria pelle il dramma della guerra e della violenza”.
Infatti la Chiesa italiana è accanto alla popolazione locale, come racconta il dossier ‘Libano: nel buio della notte’ che, con dati e testimonianze, fa il punto sui 143 progetti finanziati dal 1991 attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli. Con quasi € 34.000.000 provenienti dai fondi 8xmille sono state sostenute iniziative in diversi settori, in particolare istruzione e accompagnamento di bambini e ragazzi, formazione e sensibilizzazione per educare alla pace e alla convivenza, inclusione, sanità, attività per lo sviluppo integrato economico e sociale.
Significativo l’impegno per percorsi di uscita dalla tossicodipendenza e di sostegno e inclusione comunitaria delle persone con disabilità. Pronte anche le risposte a situazioni di emergenza come l’assistenza umanitaria ai profughi e agli sfollati e aiuti d’urgenza, supporto psicosociale, formazione, accompagnamento.
Il dossier traccia un quadro economico e politico, che ha colpito il Libano negli ultimi 5 anni: “Duramente provato da cinque anni di crisi finanziaria e dalla paralisi istituzionale, il Libano è ancora una volta teatro di guerra. Dopo il conflitto del 1982 e quello del 2006, da cui è uscito in ginocchio, il Paese si trova di nuovo al centro di bombardamenti e operazioni militari che hanno causato finora più di 1200 morti e centinaia di migliaia di sfollati.
Gli scontri (intensificatisi a seguito dell’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah) hanno provocato morte e distruzione che vanno ad aggravare le condizioni socioeconomiche già precarie. In un Rapporto di maggio 2024 la Banca Mondiale ha rilevato che negli ultimi dieci anni la popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è passata dal 12 al 44%, con sproporzioni a livello geografico e punte del 70% (come nel distretto settentrionale di Akkar, al confine con la Siria).
Già prima del recente inasprimento del conflitto, gli scontri tra Hezbollah e l’esercito israeliano nel sud del Paese avevano causato 95.000 sfollati e, secondo il Ministero dell’Agricoltura, i bombardamenti avevano distrutto quasi 2.000 ettari di terra, con danni a proprietà e infrastrutture che si aggirano attorno a $ 1.500.000.000.
Da due anni il Libano si trova con un governo dimissionario e senza un Capo di Stato. La paralisi politica ha impedito l’elezione del successore di Michel Aoun, il cui mandato da Presidente della Repubblica è scaduto a ottobre 2022. Gli scontri tra Hezbollah e l’esercito israeliano hanno cristallizzato una polarizzazione tra il partito-milizia ed i suoi rivali politici locali. A ciò si aggiunge la decisione di rinviare, per la terza volta in tre anni, le elezioni municipali.
Oltre ai campi con rifugiati palestinesi, il Libano ospita inoltre circa 2.000.000 di siriani. Nei confronti di questi ultimi, in un clima di crescente tensione, a maggio 2024 si sono inserite nuove misure restrittive. Più di 50.000 libanesi e siriani che vivono in Libano sono già entrati in Siria a causa dell’acuirsi del conflitto”.
Nell’introduzione, riprendendo gli appelli dei papi per il Libano, il dossier chiede un deciso impegno della diplomazia internazionale: “In un Medio Oriente sempre più in fiamme, c’è bisogno dell’impegno deciso della diplomazia e della comunità internazionale, ma anche di un lavoro educativo e solidale nella quotidianità con iniziative concrete nel segno del dialogo, per aiutare la popolazione libanese a rialzarsi e a mantenere sempre accesa la speranza di tornare ad essere un progetto di pace.
Il futuro sarà pacifico solo se comune. Lo sanno bene quanti ogni giorno danno concretezza alla cultura dell’incontro, del vivere insieme nella pace e nella fratellanza tra tutte le tradizioni religiose. In queste pagine vogliamo dar voce a loro, operatori di concordia e di rinnovamento. Occorre attraversare la notte per giungere all’alba, ma attingendo alle radici del vivere insieme nel rispetto e nel pluralismo: il popolo libanese, come il cedro, saprà resistere anche a questa tempesta e ritornare a seminare pace”.
Anche Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha annunciato una campagna di emergenza per raccogliere almeno € 1.000.000 per aiutare la Chiesa in Libano, avendo già contattato le sette diocesi e le cinque congregazioni religiose più direttamente coinvolte nelle operazioni di soccorso e sta raccogliendo i fondi necessari per soddisfare i loro bisogni, che nella maggior parte dei casi includono cibo, prodotti sanitari, materassi e coperte, farmaci e altri beni di prima necessità.
Molti dei cristiani nel sud del Libano sono agricoltori rimasti senza reddito a causa della distruzione dei loro campi e delle loro piantagioni. Anche le scuole cattoliche, la maggior parte delle quali ha aperto le lezioni online, avranno bisogno di assistenza poiché i genitori, nelle regioni più colpite dalla guerra, a causa della mancanza di reddito faranno fatica a pagare le tasse scolastiche.
Sebbene la crisi stia colpendo l’intero Paese, le aree più minacciate si trovano nelle regioni di confine tra Israele e Libano. I cristiani costituiscono una parte significativa della popolazione di quest’area e ne sono direttamente colpiti. Per migliaia di loro salvarsi significa rompere i legami familiari, poiché le madri e i figli cercano rifugio nelle strutture della Chiesa o nelle case dei parenti in zone più sicure, mentre i padri restano nella casa di famiglia per prevenire il furto di proprietà.
Dal Libano il racconto di Save The Children in una guerra che uccide bambini
“Le famiglie in fuga dalla violenza in Libano stanno lottando per trovare sicurezza nei rifugi in tutto il Paese, perché sono almeno 1.000.000 le persone (un quinto della popolazione) ora sfollate e la metà ha abbandonato le proprie case negli ultimi quattro giorni”: è quanto, nei giorni scorsi, ha affermato ‘Save the Children’, l’organizzazione non governativa, che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio, la quale prevede che i numeri aumenteranno in seguito ai nuovi ordini di ricollocazione emessi dalle forze israeliane, che chiedono ai residenti di più di due dozzine di villaggi nel sud del Libano di trasferirsi a nord del fiume Awali, circa 50 km al suo interno.
L’inizio delle operazioni militari di terra è stato ampiamente riportato dai media così come gli attacchi aerei in tutto il Libano, compresi quelli su Ein El Helwe, il più grande campo profughi del Libano, dove secondo quanto riferito sono state uccise sette persone, tra cui quattro bambini. La velocità della crisi sta esercitando un’enorme pressione sugli ospedali, oltre 37 centri sanitari di base sono stati costretti a chiudere per motivi di sicurezza, mentre gli attacchi aerei hanno gravemente danneggiato 25 strutture idriche, lasciando 300.000 persone senza accesso all’acqua pulita.
Oltre 154.000 sfollati sono ospitati in 851 rifugi attivi, incluse scuole pubbliche, di cui il 70% già al completo, e solo alcuni sono dotati di docce adeguate, servizi igienici, acqua calda e riscaldamento. Altri alloggiano presso famiglie ospitanti, spesso in condizioni di sovraffollamento. E dallo scorso 23 settembre, Save the Children ha distribuito generi di prima necessità come coperte, materassi, kit igienici e acqua in bottiglia, ad oltre 27.000 persone, tra cui 11.000 bambini, in 70 rifugi. Le distribuzioni sono in corso nel Nord, nella Bekaa, nella Bekaa occidentale, a Rashaya, sul Monte Libano, a Saida, a Sour e a Beirut.
E dopo aver raccolto molte testimonianze delle famiglie fuggite ai bombardamenti Jennifer Moorehead, direttrice di Save the Children in Libano, ha sottolineato la grave situazione in cui vivono i bambini: “I bambini di tutto il Paese sono colpiti da questa crescente violenza, le loro vite vengono sconvolte quasi da un giorno all’altro mentre perdono la casa e il senso di sicurezza. Ci sono famiglie nei rifugi, ma anche tante ancora nelle loro auto o per le strade di Beirut, alla ricerca di un posto dove andare. Il senso di terrore è palpabile. I nostri team affermano che, più di ogni altra cosa, le famiglie sono paralizzate dalla paura dell’ignoto.
I bambini saranno colpiti in modo sproporzionato da questo conflitto armato. Come in tutti i recenti conflitti armati, ci saranno troppi bambini tra le vittime. Le scuole sono chiuse, i rifugi e gli ospedali in Libano sono sotto pressione crescente e stiamo facendo del nostro meglio per sostenere le famiglie sfollate, ma con il lancio di operazioni militari di terra nel Libano meridionale, vedremo inevitabilmente un numero ancora maggiore di sfollati e distruzione. La vita dei bambini in Libano e nell’intera regione è in bilico. Chiediamo un cessate il fuoco immediato per prevenire ulteriori sofferenze, garantire un accesso umanitario sicuro e impedire che il conflitto si inasprisca ulteriormente in tutta la regione”.
Nel frattempo la popolazione cerca di fuggire: secondo Rasha Muhrez, direttore della ‘risposta umanitaria’ di Save the Children in Siria. sono circa 60.000 bambini, molti dei quali disidratati e stremati, fuggiti in Siria dal Libano, costretti a fuggire dalle loro case sotto la costante minaccia di attacchi e bombardamenti. Il Libano ospita circa 1.500.000 siriani fuggiti dal conflitto.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, dal 24 settembre quando le ostilità si sono intensificate, circa 100.000 persone, di cui il 60% siriane e il 40% libanesi, sono entrate in Siria dal Libano: “Questa situazione non può continuare. Le persone fuggono dal Libano ed entrano in un Paese in cui i servizi sono quasi collassati dopo 14 anni di conflitto… La Siria non è un campo di gioco per gli attacchi, i minori non possono sopportarne altri”.
Papa Francesco: la presenza di cristiani in Terra Santa è speranza
“Cari fratelli e sorelle, penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla”.
In questo giorno, ad un anno dall’attacco di Hamas ad Israele, papa Francesco ha scritto una lettera ai cristiani della Terra Santa in cui ha ribadito che la violenza non conduce alla pace, ringraziandoli della loro testimonianza: “E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio”.
Questa presenza in Terra Santa è un germoglio di speranza: “E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione”.
Con questa lettera il papa si è rivolto specificamente a queste Chiese ‘martiri’, chiedendo di essere testimoni di una pace ‘non armata’: “Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è ‘omicida fin da principio’, ‘menzognero e padre della menzogna’. Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!”
Ed ha espresso ‘vicinanza’ ai popoli del Medio Oriente: “Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi. Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.
Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare. Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco. Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio”.
Infine una richiesta agli altri popoli a non dimenticare chi abita in Terra Santa: “Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane.
Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione. Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”.
In una lettera a ‘Mondo e Missione’ suor Mariolina Cattaneo, missionaria comboniana della comunità di Betania, racconta la vita in Terra Santa: “Vivendo qui a Gerusalemme non possiamo dire di avere paura. I missili dell’altra sera sono stati più una curiosità che vera e propria paura; anche se le sirene della città, le strade completamente vuote, hanno sicuramente avuto un impatto anche su di noi. Ma poi, il giorno dopo la vita è ricominciata come se nulla fosse successo.
Eppure a un centinaio di chilometri da noi, a Gaza, il 95% delle costruzioni sono distrutte, un popolo è costretto a vivere da rifugiato ‘interno’… che poi oramai cosa significa? Vivere sulla spiaggia? Buttarsi direttamente in mare? Eppure nel vicino Libano si fa esperienza dell’incursione di un esercito straniero.
Eppure dall’altra parte del muro, nei territori occupati, i coloni sono sempre più violenti e sempre meno sanzionati dalle autorità. Così villaggi e popolazioni locali vengono minacciate in continuazione, gli ulivi pronti per la raccolta vengono distrutti. Certamente non dimentichiamo la profonda ferita del popolo israeliano che ha vissuto il 7 ottobre come reminiscenza di una possibilità di sterminio, come una ferita al proprio cuore”.
Ed ha raccontato la ‘forza’ di chi ha deciso di restare nella speranza della pace: “Ci sono però altre storie importanti che dobbiamo raccontare: la resilienza di un popolo che vive nell’apartheid ma che ha deciso di non fuggire, di resistere, di continuare a vivere; la forza del popolo di Gaza che continua a vivere malgrado le condizioni sempre più disumane in cui è costretto; l’opposizione ad un’ideologia che nega il diritto all’altro e all’altra di vivere, da qualunque parte ci si trovi.
Siamo qui nella speranza e nella convinzione che ci sarà un dopo, che sarà difficile e doloroso ma l’odio e la violenza non avranno l’ultima parola. Siamo qui nella fede che ci sarà la possibilità di costruire una Terra Santa migliore, un Israele, una Palestina in cui si può vivere in pace e nella mutua accoglienza”.