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‘Sacerdoti Insieme’: il primo meeting sulla ‘Fraternità Sacerdotale’ organizzato dal Centro per l’Evangelizzazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue

«È stata una tre giorni ricca di grazia quella che si è svolta dal 27 al 29 gennaio presso il Collegio del Preziosissimo Sangue di Roma, che ha visto la presenza di oltre 20 sacerdoti provenienti da tutta Italia. Un meeting sulla “Fraternità Sacerdotale”per tutti quei confratelli nel sacerdozio che ho avuto la possibilità di incontrare, nelle varie occasioni di predicazioni e missioni al popolo, su tutto il territorio nazionale» afferma don Flavio Calicchia, Missionario del Preziosissimo Sangue e direttore del Centro per l’Evangelizzazione della Provincia Italiana.

 «Prima di programmare iniziative concretecontinua don Flavio – abbiamo sentito il bisogno di ritrovarci insieme per condividere, in semplicità, la nostra esperienza ministeriale, promuovendo una forma di “spiritualità della comunione”, tanto cara al nostro fondatore San Gaspare del Bufalo. “Nessun presbitero è in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa!” (PO 7). I contatti regolari con il Vescovo e con gli altri sacerdoti, la mutua collaborazione, la vita comune o fraterna tra sacerdoti, sono mezzi molto utili per superare gli effetti negativi della solitudine che alcune volte il sacerdote può sperimentare e per superare una certa sfiducia e scontentezza così diffusa tra i sacerdoti».

Don Ambrogio Monforte, uno dei sacerdoti partecipanti, racconta: «Ci siamo ritrovati in quella concreta fraternità sacerdotale dove le parole e la vita del confratello accanto ci hanno permesso di riprendere la vita di ogni giorno ricaricati, con la grinta di voler donare all’altro qualcosa della propria ricchezza e di incrementare meglio la vocazione propria e dell’amico (cfr. 2 Pt 3, 10). Ecco perché per noi sacerdoti diocesani, vivere la spiritualità del Preziosissimo Sangue significa vivere la spiritualità che riesce a dare luce a ciò che già c’è, ossia il nostro ministero sacerdotale, proprio come il sangue che ha la capacità di ossigenare e rivitalizzare tutto il corpo.

Proprio come lo fu per il Beato Giovanni Merlini che, già da sacerdote, conoscendo san Gaspare si perfezionò nel suo ministero: anche noi sacerdoti diocesani che viviamo questa spiritualità ci sentiamo di scegliere quanto abbiamo già scelto: innamorarci in maniera nuova di ciò che già siamo». «Nella relazione centrale che ci è stata offerta, – continua il presbitero – don Luigi Maria Epicoco, ha voluto sottolineare proprio questo legame tra sacerdoti definendolo a partire da ciò che Gesù dice nel vangelo di Giovanni con la categoria più importante, quella dell’amicizia: “Non vi chiamo più servi ma amici” (cfr. Gv 15, 12-17): nell’amicizia sacerdotale tra i santi cappadoci Basilio e Gregorio ci ha mostrato quella custodia premurosa vicendevole e la bellezza di fare strada all’altro senza farsi strada.

Dopo il pellegrinaggio alla Porta Santa della Basilica Vaticana, abbiamo concelebrato la santa messa pomeridiana con il card. Mauro Gambetti, il quale ci ha ricordato il legame di parentela che noi abbiamo con Gesù: nella misura in cui siamo sempre più servitori e annunciatori instancabili della Parola riusciamo a generarLo negli altri diventando suoi fratelli, sorelle e madri (cfr. Mc 3, 35). E così, forti di questa esperienza, abbiamo concluso le nostre giornate con un giro di condivisione di esperienze e la celebrazione presieduta da don Benedetto Labate, direttore della Provincia Italiana dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Le parole risuonate nella nostra vita diventano una linfa vitale di grazia, ci rafforzano nel ministero, ci invitano a raggiungere e donarci a quanti il Signore mette sul nostro cammino, come il Sangue prezioso di Cristo che dalla Croce scorre come un fiume verso tutti».

Da Tallin un messaggio di speranza per l’Europa

“Da molti anni la comunità ecumenica di Taizé guida il pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, un filo ininterrotto di incontri in molti Paesi che si è fermato più volte in Francia. Così, su iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi e su invito delle Chiese cristiane di Parigi e della sua regione, il prossimo incontro europeo dei giovani si svolgerà nella capitale francese dal 28 dicembre 2025 al 1° gennaio 2026”: questo annuncio è stato dato al termine dell’incontro europeo dei giovani, svoltosi a Tallin, in Estonia, a fine dicembre, in un comunicato congiunto dal metropolita Dimitrios, presidente dei vescovi ortodossi francesi, dal pastore Christian Krieger, presidente della federazione protestante francese, e da mons. Éric de Moulins-Beaufort, presidente della conferenza episcopale francese.

Nell’annuncio i co-presidenti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Francia, hanno dato il loro ‘pieno’ sostegno a questa scelta della comunità di Taizé, che nei mesi precedenti hanno effettuato diversi incontri per pianificare l’incontro annuale, invitando i giovani nella capitale francese: “Questo incontro sarà una grande opportunità per incontrarci in uno spirito di preghiera e di fraternità, di condivisione e di celebrazione, e per stabilire così una testimonianza cristiana di unità nel cuore di un mondo attraversato da tante tragedie e crisi. E’ a nome delle Chiese cristiane presenti in Francia che noi, leader cattolici, ortodossi e protestanti, vi invitiamo a venire a Parigi. In effetti, anche noi parliamo con una sola voce”.

Nel messaggio conclusivo hanno richiamato la lettera di frére Matthew, che è stato il filo conduttore dell’incontro appena terminato, per ‘sperare oltre ogni speranza’: “E crediamo che questo incontro a Parigi ci permetterà di sperimentare in modo molto concreto come l’ospitalità condivisa sia un segno bello e vero di speranza. Cari giovani, ne siamo convinti: sarete accolti con calore dai credenti delle nostre rispettive comunità cristiane, e anche dalle persone di buona volontà che decideranno di aprirvi le loro porte… E fino ad allora, la nostra comunione fraterna ci rafforzi reciprocamente per un migliore servizio a Dio e ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, al servizio dell’annuncio del Vangelo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza”.

Infatti nell’ultima meditazione frére Matthew ha ringraziato i giovani per le loro testimonianze di comunione con l’invito a condividere nei propri Paesi di origine ciò che hanno vissuto in questi giorni: “Ciò che avete condiviso insieme vi preparerà per il viaggio di ritorno, perché sebbene ciò che viviamo in questi giorni qui a Tallinn sia importante, il suo valore aumenta quando influenza la nostra vita quotidiana”.

La sfida è quella di testimoniare Dio, che è speranza, nel mondo: “La sfida per tutti noi è come discernere la presenza di Dio nel mezzo delle nostre lotte. Pur provenendo da situazioni molto diverse, come possiamo restare persone di speranza? Nella lingua kikuyu dell’Africa orientale, uno degli attributi di Dio è che Egli è ‘degno di speranza’, il Dio in cui possiamo riporre la nostra speranza”.

Tale speranza si concretizza nella resurrezione di Cristo: “Ciò si manifesta soprattutto nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Eppure Gesù ha veramente sperimentato la durezza dell’esistenza umana e perfino la morte. Non è scappato da lei. Perché la nostra speranza cresca veramente, significa che dobbiamo affrontare la realtà così com’è, ma vederla alla luce delle promesse di Dio. Niente, nemmeno la morte, può separarci dall’amore fedele di Dio”.

Dopo essere risorto Gesù ha invitato i discepoli ad andare in Galilea, che anche oggi è inizio per testimoniare Gesù nel mondo contemporaneo: “Gesù li precede in Galilea, dove ha avuto inizio il Vangelo. Ciò suggerisce un nuovo inizio, ma anche un ritorno alle origini. Ma le donne fuggono dal sepolcro, prese dal terrore e dallo stupore. Questo è il motivo per cui, ci viene detto, non lo hanno detto a nessuno…

In questi giorni, provenienti da contesti, Paesi, Chiese ed epoche diverse, non abbiamo sperimentato un segno della speranza che ci promette la fiducia in Cristo risorto? Poiché Cristo è la nostra pace e ci dona questa pace, da pellegrini di speranza diventiamo anche pellegrini di pace”.

L’incontro è concluso con l’invito alla preghiera: “La pace senza giustizia non è vera pace, ma esiste anche una libertà interiore che deriva dalla fiducia più semplice, che chiamiamo fede. Mentre lottiamo per una pace giusta ovunque viviamo, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rimanere liberi dentro di noi? Ogni venerdì a Taizé preghiamo in silenzio per la pace nel nostro mondo. Potremmo non avere le risposte che desideriamo, ma stare alla presenza di Dio può far sorgere in noi intuizioni. Alcune di queste intuizioni, condividendole con gli altri, ci porteranno forse ad agire”.

Un invito all’azione come ha fatto Gesù in quanto commosso dalla folla che lo seguiva: “La sua emozione si tradurrà in un’azione gentile ed efficace. Per prima cosa guarì i malati tra la folla. Ma la notte comincia a calare. I suoi amici vogliono mandare via la folla in cerca di cibo. Gesù, invece di essere d’accordo con loro, chiede ai suoi amici di guardare quello che già hanno. Trovarono cinque pani e due pesci, il che sembrò insufficiente data la grandezza del compito.

Ringrazia per quel poco che hanno trovato, spezza il pane e gli amici distribuiscono il cibo alla folla. E ciò che resta va oltre i loro bisogni. Gesù rifiuta di rassegnarsi ad una situazione che sembra impossibile. Il pasto che segue è un assaggio di ciò che avverrà in pieno nel futuro di Dio. La nostra fame e sete saranno soddisfatte ad ogni livello”.

Frère Matthew ha invitato i giovani ad avere fiducia in Gesù ed ad agire nello stesso modo: “Questa storia può plasmare la nostra speranza che, come è scritto nella Lettera, diventa ‘come l’ancora di una barca’. Ci tiene stretti quando infuria la tempesta. Ci permette di sperimentare piccoli segni della nostra fedeltà alla chiamata che abbiamo ricevuto e alle persone che ci sono state affidate”.

Ciò che è stato ascoltato e vissuto nella capitale estone è possibile vivere anche nelle proprie comunità locali: “Inizi a pensare al tuo ritorno a casa. Quanto poco avete da offrire a Gesù affinché la speranza fiorisca nelle vostre comunità locali, nelle vostre Chiese e cappellanie? I segni più piccoli significano molto. Il profeta Geremia aveva acquistato un campo nella sua città, nonostante la minaccia della sua distruzione. Segni di speranza danno coraggio a tutti, speranza per la famiglia umana, speranza per la buona creazione di Dio”.

Il racconto è proseguito con la sua visita natalizia in Libano: “Ho trascorso la settimana scorsa in Libano. Con uno dei miei fratelli di quel Paese abbiamo visitato i cristiani in diversi luoghi per festeggiare con loro il Natale. Sapete che il Medio Oriente è attualmente dilaniato dalla guerra. Abbiamo tanti amici lì e la nostra visita è stata un piccolo segno di solidarietà nei loro confronti”.

Quindi ha raccontato l’accoglienza offerta dal popolo libanese: “La generosità dell’accoglienza in un Paese dove c’è stata tanta distruzione mi ha tolto il fiato. In molte parti del Paese gli edifici sono in rovina, ma le persone stanno dimostrando un’incredibile resilienza. Questa resilienza è un modo per resistere alla violenza che è stata scatenata. C’è tanta incertezza oggi. La guerra potrebbe tornare. Nonostante ciò, le persone che abbiamo incontrato hanno condiviso la gioia del Natale. La loro fede è la luce che splende nelle tenebre”.

Ma nonostante la guerra i giovani libanesi non hanno perso la speranza: “Abbiamo anche incontrato uno sceicco musulmano nel sud del Paese. La sua casa è stata distrutta e alcuni villaggi vicini sono ancora inaccessibili. Le bombe cadevano ancora quando seppellì anche i morti cristiani aspettando che il sacerdote venisse a compiere i riti necessari.

Quando ho parlato con i giovani libanesi durante i recenti bombardamenti, ho potuto percepire la loro speranza per un futuro di pace e giustizia. Il loro coraggio era palpabile, anche se la disperazione non era lontana… Questo è quello che ho sentito molto forte ascoltando questi giovani. Gli incontri della scorsa settimana hanno confermato ciò che avevo sentito in precedenza”.

Però l’invito del priore di Taizè è stato quello di non scoraggiarsi: “Gesù stesso è nato nella povertà, in un tempo in cui nulla era chiaro nel paese in cui avrebbe vissuto. Anche noi possiamo trovarci in situazioni in cui non vediamo la strada da seguire. Potremmo sentirci arrabbiati e impotenti riguardo a certe realtà, ma questo può spingerci all’azione?.. I gesti più semplici possono diventare indicatori del nostro desiderio di speranza”.

A  tale meditazione è seguita la testimonianza di Marta ed Andriana, provenienti da Leopoli: “Sarò sincero, non è sempre facile mantenere la speranza quando vediamo questa ingiustizia che dura da così tanto tempo… Ma ciò che ci aiuta a non perderla è la fede. Crediamo che ciò che non è possibile per gli esseri umani sia possibile per Dio. C’è sempre l’alba dopo una notte buia. Crediamo che Lui sia sempre con chi soffre e che senta anche il nostro dolore. Sappiamo anche che Egli non ci lascia soli in questa difficile situazione”.

Mentre Marta ha chiesto di intensificare la preghiera: “Pregate per tutte le persone che hanno perso la vita a causa di questa guerra crudele e ingiusta, che hanno perso i loro cari e le loro case, per i nostri soldati che ci proteggono ogni giorno a rischio della loro vita. Possa ogni famiglia ritrovarli sani e salvi a casa. Per tutti coloro che sono stati catturati, feriti, dispersi, che provano dolore fisico o mentale, sofferenti e bisognosi. Grazie per le vostre preghiere, le sentiamo tutti!”

Le meditazioni di questo incontro europeo si sono basate sulla lettera scritta dal priore di Taizé, ‘Sperare oltre la speranza’: “In un tempo in cui è facile lasciarsi scoraggiare da ciò che vediamo nel mondo e nella società, siamo disposti ad ascoltarci gli uni gli altri e a scoprire cosa è stato depositato gli uni nei cuori degli altri? Per scrivere questa lettera ho passato molto tempo ad ascoltare i giovani che vivono in zone di guerra. Sono rimasto colpito dal loro coraggio e dalla loro resistenza. Molti dei miei interlocutori mi hanno raccontato l’importanza della loro fede di fronte alla dura realtà della loro esistenza”.

Perciò la riflessione si è concentrata sulla preghiera del Magnificat, in cui la Madre di Dio si trova ad affrontare una situazione, in cui è chiesto di dare una risposta: “Vivendo in un paese occupato, capì l’importanza della fede in Dio e seppe dire ‘sì’ a ciò che Dio le chiedeva. Va a trovare sua cugina Elisabeth, anche lei in attesa di un parto improbabile. Come Maria, ognuno di noi ha bisogno di persone come Elisabetta che confermino ciò che abbiamo capito che Dio ci chiedeva, ma non abbiamo osato credere”.

La Sua risposta è conseguenza di una ‘visione’ della realtà, che permette di vivere la speranza: “La conferma della cugina suscita in Maria il suo canto di lode. Vede che Dio esalterà gli umili e che i potenti saranno rovesciati dai loro troni. La sua visione è quella di un mondo che, sotto il segno dell’amore misericordioso di Dio, sia un mondo di giustizia e di pace dove a nessuno manca nulla. Quando sento queste parole, qualcosa in me osa credere che le situazioni possano cambiare e la mia speranza rinasce”.

Un’ultima sottolineatura; le decorazioni della pista di pattinaggio di Tondiraba, luogo delle preghiere serali, sono state ispirate dal lavoro dell’artista estone Anu Raud: “I formati e i motivi utilizzati per la decorazione ci immergono nell’inverno e nel freddo, riunendo diversi elementi della campagna e della cultura estone. Al centro di tutto c’è una scena semplice: la nascita di Gesù. Nel freddo e nella neve, una casa calda, una mangiatoia accogliente. La culla diventa il centro che ci riunisce per una preghiera comune, il calore che ci avvolge nel cuore dell’inverno. Siamo nel bel mezzo dei giorni bui di novembre in Estonia, e stiamo aspettando la luce, stiamo aspettando la nascita di un re, la nascita di Gesù”.

(Tratto da Aci Stampa)

Da Tallin un messaggio di speranza per l’Europa

“Da molti anni la comunità ecumenica di Taizé guida il pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, un filo ininterrotto di incontri in molti Paesi che si è fermato più volte in Francia. Così, su iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi e su invito delle Chiese cristiane di Parigi e della sua regione, il prossimo incontro europeo dei giovani si svolgerà nella capitale francese dal 28 dicembre 2025 al 1° gennaio 2026”: questo annuncio è stato dato al termine dell’incontro europeo dei giovani, svoltosi a Tallin, in un comunicato congiunto dal metropolita Dimitrios, presidente dei vescovi ortodossi francesi, dal pastore Christian Krieger, presidente della federazione protestante francese, e da mons. Éric de Moulins-Beaufort, presidente della conferenza episcopale francese.

Nell’annuncio i co-presidenti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Francia, hanno dato il loro ‘pieno’ sostegno a questa scelta della comunità di Taizé, che nei mesi precedenti hanno effettuato diversi incontri per pianificare l’incontro annuale, invitando i giovani nella capitale francese:

“Questo incontro sarà una grande opportunità per incontrarci in uno spirito di preghiera e di fraternità, di condivisione e di celebrazione, e per stabilire così una testimonianza cristiana di unità nel cuore di un mondo attraversato da tante tragedie e crisi. E’ a nome delle Chiese cristiane presenti in Francia che noi, leader cattolici, ortodossi e protestanti, vi invitiamo a venire a Parigi. In effetti, anche noi parliamo con una sola voce”.

Nel messaggio conclusivo hanno richiamato la lettera di frére Matthew, che è stato il filo conduttore dell’incontro appena terminato, per ‘sperare oltre ogni speranza’: “E crediamo che questo incontro a Parigi ci permetterà di sperimentare in modo molto concreto come l’ospitalità condivisa sia un segno bello e vero di speranza. Cari giovani, ne siamo convinti: sarete accolti con calore dai credenti delle nostre rispettive comunità cristiane, e anche dalle persone di buona volontà che decideranno di aprirvi le loro porte… E fino ad allora, la nostra comunione fraterna ci rafforzi reciprocamente per un migliore servizio a Dio e ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, al servizio dell’annuncio del Vangelo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza”.

Infatti nell’ultima meditazione frére Matthew ha ringraziato i giovani per le loro testimonianze di comunione con l’invito a condividere nei propri Paesi di origine ciò che hanno vissuto in questi giorni: “Ciò che avete condiviso insieme vi preparerà per il viaggio di ritorno, perché sebbene ciò che viviamo in questi giorni qui a Tallinn sia importante, il suo valore aumenta quando influenza la nostra vita quotidiana”.

La sfida è quella di testimoniare Dio, che è speranza, nel mondo: “La sfida per tutti noi è come discernere la presenza di Dio nel mezzo delle nostre lotte. Pur provenendo da situazioni molto diverse, come possiamo restare persone di speranza? Nella lingua kikuyu dell’Africa orientale, uno degli attributi di Dio è che Egli è ‘degno di speranza’, il Dio in cui possiamo riporre la nostra speranza”.

Tale speranza si concretizza nella resurrezione di Cristo: “Ciò si manifesta soprattutto nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Eppure Gesù ha veramente sperimentato la durezza dell’esistenza umana e perfino la morte. Non è scappato da lei. Perché la nostra speranza cresca veramente, significa che dobbiamo affrontare la realtà così com’è, ma vederla alla luce delle promesse di Dio. Niente, nemmeno la morte, può separarci dall’amore fedele di Dio”.

Dopo essere risorto Gesù ha invitato i discepoli ad andare in Galilea, che anche oggi è inizio per testimoniare Gesù nel mondo contemporaneo: “Gesù li precede in Galilea, dove ha avuto inizio il Vangelo. Ciò suggerisce un nuovo inizio, ma anche un ritorno alle origini. Ma le donne fuggono dal sepolcro, prese dal terrore e dallo stupore. Questo è il motivo per cui, ci viene detto, non lo hanno detto a nessuno…

In questi giorni, provenienti da contesti, Paesi, Chiese ed epoche diverse, non abbiamo sperimentato un segno della speranza che ci promette la fiducia in Cristo risorto? Poiché Cristo è la nostra pace e ci dona questa pace, da pellegrini di speranza diventiamo anche pellegrini di pace”.

L’incontro è concluso con l’invito alla preghiera: “La pace senza giustizia non è vera pace, ma esiste anche una libertà interiore che deriva dalla fiducia più semplice, che chiamiamo fede. Mentre lottiamo per una pace giusta ovunque viviamo, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rimanere liberi dentro di noi? Ogni venerdì a Taizé preghiamo in silenzio per la pace nel nostro mondo. Potremmo non avere le risposte che desideriamo, ma stare alla presenza di Dio può far sorgere in noi intuizioni. Alcune di queste intuizioni, condividendole con gli altri, ci porteranno forse ad agire”.

Un invito all’azione come ha fatto Gesù in quanto commosso dalla folla che lo seguiva: “La sua emozione si tradurrà in un’azione gentile ed efficace. Per prima cosa guarì i malati tra la folla. Ma la notte comincia a calare. I suoi amici vogliono mandare via la folla in cerca di cibo. Gesù, invece di essere d’accordo con loro, chiede ai suoi amici di guardare quello che già hanno. Trovarono cinque pani e due pesci, il che sembrò insufficiente data la grandezza del compito.

Ringrazia per quel poco che hanno trovato, spezza il pane e gli amici distribuiscono il cibo alla folla. E ciò che resta va oltre i loro bisogni. Gesù rifiuta di rassegnarsi ad una situazione che sembra impossibile. Il pasto che segue è un assaggio di ciò che avverrà in pieno nel futuro di Dio. La nostra fame e sete saranno soddisfatte ad ogni livello”.

Frère Matthew ha invitato i giovani ad avere fiducia in Gesù ed ad agire nello stesso modo: “Questa storia può plasmare la nostra speranza che, come è scritto nella Lettera, diventa ‘come l’ancora di una barca’. Ci tiene stretti quando infuria la tempesta. Ci permette di sperimentare piccoli segni della nostra fedeltà alla chiamata che abbiamo ricevuto e alle persone che ci sono state affidate”.

Ciò che è stato ascoltato e vissuto nella capitale estone è possibile vivere anche nelle proprie comunità locali: “Inizi a pensare al tuo ritorno a casa. Quanto poco avete da offrire a Gesù affinché la speranza fiorisca nelle vostre comunità locali, nelle vostre Chiese e cappellanie? I segni più piccoli significano molto. Il profeta Geremia aveva acquistato un campo nella sua città, nonostante la minaccia della sua distruzione. Segni di speranza danno coraggio a tutti, speranza per la famiglia umana, speranza per la buona creazione di Dio”.

Sono le ‘umili’ testimonianze che rendono credibile la fede: “Più che cercare la spettacolarità, non sono forse i gesti umili di ascolto reciproco, di fiducia e di amicizia che comunicano l’essenziale del Vangelo e ci aiutano a entrare sempre più profondamente nel mistero di comunione che è il Corpo di Cristo, la Chiesa?

Da molti anni la nostra comunità di Taizé vive un pellegrinaggio di fiducia. Di tanto in tanto, questo pellegrinaggio diventa visibile, come adesso durante il nostro incontro europeo a Tallin, ma anche nel villaggio di Taizé con gli incontri settimanali dei giovani. E’ un modo per incoraggiarci a vicenda nel nostro cammino quotidiano di fede, un modo per lasciare che Cristo rinnovi la nostra speranza affinché possiamo affrontare le sfide che incontriamo ovunque siamo”.

Per tale ragione all’inizio di tale ‘pellegrinaggio’ europeo il presidente dell’Estonia, Alar Karis per tale ‘raduno’ sul tema della speranza: “Il motto dell’incontro (pellegrinaggio di fiducia) si riferisce a ciò che spesso manca nel mondo di oggi, cioè la fiducia tra persone, paesi e nazioni. Voi giovani potete dare un contributo significativo affinché la fiducia nel futuro sia maggiore di quella odierna.

La fiducia è la base di tutto, quindi è importante non solo parlarne, ma agire di conseguenza, ciascuno secondo le proprie possibilità. La fiducia alimenta anche la fiducia in se stessi e il coraggio di cui hanno bisogno i bambini, i giovani e gli adulti. Confidando gli uni negli altri e lavorando insieme, possiamo anche sperare che l’Europa di domani abbia il vostro volto e sia progettata da voi. Sarà unita e forte”.

(Foto: Taizè)

Da Tallinn i giovani europei di Taizé per ‘sperare oltre ogni speranza’

“Cari giovani, è sulle rive del Baltico, a Tallinn, che vi incontrate quest’anno per il 47° Incontro europeo ospitato dalla comunità di Taizé. Papa Francesco invia i suoi cordiali saluti a voi, così come ai fratelli della comunità, ai leader delle diverse confessioni cristiane in Estonia e a tutte le persone di buona volontà che vi accoglieranno alla fine dell’anno”: così è iniziato il messaggio di papa Francesco inviato dal segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in occasione  del 47° Incontro Europeo guidato dalla Comunità di Taizé a Tallinn.

Nel testo si è fatto riferimento al viaggio apostolico nei tre Stati baltici nel 2018, quando “il Santo Padre ha incontrato i giovani della comunità luterana di Kaarli, a Tallinn, e ha avuto queste parole che  descrivono anche ciò che state vivendo in questi giorni: è sempre bello riunirsi, condividere testimonianze di vita, esprimere ciò che stiamo vivendo testimonianze di vita, per esprimere ciò che pensiamo e ciò che vogliamo; ed è molto bello stare insieme, noi che crediamo in Gesù Cristo”.

Nel messaggio si è sottolineato lo spirito di fraternità dell’incontro: “Ritrovarsi in uno spirito di condivisione e fraternità: questo è tanto più importante nel contesto odierno, quando il nostro mondo sta attraversando sfide gravi. Molti paesi sono segnati dalla violenza e dalla guerra, molte persone sono vittime di trattamenti inumani e altre ancora sono disorientate dalle disuguaglianze nelle nostre società e dai pericoli ecologici”.

Il messaggio ha ripreso la lettera del priore di Taizè, che ha invitato a ‘sperare oltre ogni speranza’: “In questi giorni a Tallinn, però, si vuole ‘sperare oltre ogni speranza’, secondo il titolo della lettera che fratel Matthew, priore di Taizé, ha scritto per il prossimo anno. Questo appello, in sintonia con il tema dell’anno giubilare che segnerà quest’anno 2025, è rivolto anche a ciascuno di voi”.

Ed ha richiamato la fiduci della Chiesa nei giovani: “Cari giovani, il Santo Padre conta su di voi e ribadisce la fiducia che la Chiesa ripone in voi, perché la Chiesa universale ha bisogno di tutti voi per annunciare oggi la buona notizia dell’amore di Dio. Questo è anche il significato dell’approccio sinodale avviato dalla Chiesa cattolica e che ha dato luogo a grandi progressi nell’amicizia ecumenica con i nostri fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane”.

Infine ha affidato i giovani alla Madre di Dio: “Affidando ciascuno di voi e le vostre famiglie al Signore, per intercessione della Vergine Maria, papa Francesco vi concede di tutto cuore la benedizione apostolica e si affida alla vostra preghiera”.

Nella lettera di frére Matthew sono state riprese le riflessioni raccolte durante gli incontri con i giovani nell’anno: “Quando vorremmo confidare nell’amore di Dio, ciò che vediamo e sentiamo intorno a noi molto spesso sembra contraddire quell’amore. Siamo intrappolati tra ciò che è già successo e quanto deve ancora venire. Questa situazione non è sempre molto confortevole, quando però si apre ad una speranza di realizzazione, dentro di noi qualcosa si libera.

La speranza richiede pazienza. ‘Speriamo ciò che non vediamo’, dice l’apostolo Paolo. Orientati verso ciò che verrà in pienezza nel tempo di Dio, ma anche turbati da ‘battaglie all’esterno, conflitti all’interno’, oseremo rimanere in questa situazione scomoda anziché fuggire via?”

Ed ha citato la speranza di Abramo, che ha creduto a Dio: “Abramo, l’antenato dei credenti, osservò la promessa di Dio ben oltre ogni ragionevole speranza. Lui e sua moglie Sara hanno ricevuto ciò che sembrava loro impossibile. Mentre il suo paese era devastato dalla guerra, i suoi abitanti minacciati di esilio e lui stesso in prigione, il profeta Geremia investì nel futuro: comprò un campo, tanto era sicuro che Dio non avrebbe abbandonato il suo popolo”.

Quindi la speranza consente alla fede di essere reale: “Un gesto di speranza così sorprendente rende la fede più reale. E’ una ferma fiducia in ciò che è ancora invisibile e perfino incerto. Possiamo appoggiarci su questa speranza? Alla fine è questo che riapre la fonte della gioia. Anche nelle situazioni umane più complicate, ciò che non abbiamo mai osato sperare può diventare realtà. Oggi, in molti paesi in cui la guerra sta causando il caos, stanno emergendo straordinarie iniziative cariche di speranza”.

Occorre, perciò, ascoltare i testimoni della speranza: “Durante la mia visita in Ucraina con due dei miei fratelli, un responsabile della Chiesa ci ha detto: ‘La preghiera apre uno spazio che permette la guarigione’. Sono rimasto molto colpito da questa osservazione. Confrontandosi costantemente con la sofferenza del suo popolo, vede che proprio nella vita interiore i credenti possono rimanere aperti ad accogliere la novità.

Questo processo non produce necessariamente risultati immediati ma, anche supportato da altri mezzi, apre una porta per superare le ferite e il dolore e risveglia la speranza di un’umanità guarita. La preghiera dà la forza per restare saldi di fronte alle situazioni più complesse. Rompe le onde dello scoraggiamento quando l’oscurità sembra inghiottire tutto”.

Quindi ha chiesto ai giovani di sperare: “Come reagiamo quando i nostri piani vengono vanificati e le nostre speranze deluse? Gesù ci dà una chiave per rimanere persone di speranza. Di fronte a una folla numerosa di affamati, ha avuto per loro ‘compassione’, letteralmente ‘il suo cuore era compassionevole’ per loro. Ed ha trovato il modo di soddisfare i loro bisogni”.

La speranza consente di vivere nel ‘tempo’ di Dio: “Il rifiuto di rassegnarsi alle situazioni di disagio permette alla speranza di prendere forma dentro di noi. E’ il contrario dell’attesa passiva, è una lotta, non c’è altra via. Anche solo il nostro desiderio di speranza può portarci a superare il divario tra ciò che è umanamente possibile e ciò che è possibile per Dio”.

Taizè non si è mai rassegnata alla separazione tra i cristiani: “La Regola di Taizé parla di non rassegnarsi mai allo ‘scandalo della separazione dei cristiani, che confessano tutti così facilmente l’amore per il prossimo, ma restano divisi’. Per frère Roger, l’unità dei cristiani non è mai stata un semplice obiettivo in sé, ma un cammino che conduce alla pace all’interno della famiglia umana…

La natura lotta per sopravvivere, rispecchiando e incoraggiando la nostra lotta per la speranza. La speranza per la creazione e la speranza che riceviamo dalla buona creazione di Dio vanno di pari passo con la speranza per l’umanità”.

E’ stato un invito a rimanere persone di speranza: “Per custodire la speranza, abbiamo bisogno gli uni degli altri. La speranza fiorisce quando siamo attenti ai bisogni degli altri. Possiamo vedere persone che, anche in mezzo alle avversità più grandi, scelgono di vivere, sorridere e offrire ogni giorno quel poco che è possibile”.

Infatti essa è collegata alla verità: “La speranza è legata alla verità ed alla giustizia. E queste sono tutte caratteristiche di Dio. Non vediamo questo legame nella vita, morte e risurrezione di Gesù? Per nutrire la speranza, dobbiamo affrontare la realtà così com’è e vederla alla luce delle promesse di Dio”.

E’ stato un invito a vivere la speranza della Pasqua: “La speranza non si basa sull’analisi della situazione ma su quella che spesso è una vacillante fiamma di fiducia. Benché fragile, essa arde nella notte più profonda. E’ questa l’esperienza che hanno fatto gli amici di Gesù: molti lo avevano abbandonato durante la sua prova più grande ma il suo amore ha permesso loro di tornare…

Risorto dai morti, vivente in Dio, Gesù ci attira a sé. Incontrandoci nel profondo del nostro essere, pieno di tristezza o di gioia, Gesù risorto ci apre alla sua relazione con il Padre e alla comunione nello Spirito Santo. Non siamo più prigionieri della nostra disperazione, una nuova vita è possibile”.

Da tale speranza nascono i pellegrini della pace: “La fede nella risurrezione ha permesso a molte persone di aggrapparsi alla speranza in mezzo a situazioni di angoscia. E’ una fonte che ci porta a superare le nostre stesse impossibilità, ad aprire il nostro cuore agli altri e ad agire. La fede nella risurrezione di Gesù richiede molto coraggio e audacia. Implica lo sforzo per non lasciarci paralizzare dalla presenza di morte e di distruzione che oggi ci circonda”.

Ed è stato Gesù a lasciarci la ‘sua’ pace, che rende liberi: “Questa nuova vita ci aiuta ad alzarci, ci spinge a camminare con gli altri. Diventiamo pellegrini della speranza che portiamo dentro di noi… Come pellegrini di pace, siamo consapevoli che non esiste vera pace senza giustizia. La pace che portiamo dentro di noi, che nasce dalla speranza con cui viviamo, ci rende interiormente liberi. Ci permette di amare la vita e di resistere alle ingiustizie, perseverando sotto l’impulso dello Spirito Santo”.

Papa Francesco: la gente è in attesa di speranza

“La gente chiede a Giovanni il Battista: ‘Che cosa dobbiamo fare?’ Che cosa dobbiamo fare? E’ una domanda da ascoltare con attenzione, perché esprime il desiderio di rinnovare la vita, di cambiarla in meglio. Giovanni sta annunciando l’arrivo del Messia tanto atteso: chi ascolta la predicazione del Battista vuole prepararsi a questo incontro, all’incontro con il Messia, all’incontro con Gesù”: papa Francesco ha concluso il viaggio apostolico in Corsica con la messa nella Place d’Austerlitz.

In questa domenica di Avvento il papa ha sottolineato il desiderio alla conversione: “Chi si ritiene giusto non si rinnova. Coloro invece che venivano considerati pubblici peccatori vogliono passare da una condotta disonesta e violenta a una vita nuova. E i lontani diventano vicini quando il Cristo si fa vicino a noi”.

La conversione ha bisogno di gesti concreti: “Giovanni, infatti, risponde così ai pubblicani e ai soldati: praticate la giustizia; siate retti e onesti. Coinvolgendo specialmente gli ultimi e gli esclusi, l’annuncio del Signore ridesta le coscienze, perché Egli viene a salvare, non a condannare chi è perduto. E il meglio che noi possiamo fare per essere salvati e cercati da Gesù, è dire la verità su noi stessi: ‘Signore, sono peccatore’. Tutti noi lo siamo, qui, tutti. ‘Signore, sono peccatore’. E così ci avviciniamo a Gesù con la verità, non con il maquillage di una giustizia non vera. Perché viene a salvare proprio i peccatori”.

Il papa propone alcuni segni di speranza a questa attesa: “Colui che viene è l’Emmanuele, il Dio con noi, che dona la pace agli uomini amati dal Signore. E mentre ci prepariamo ad accoglierlo, in questo tempo di Avvento, le nostre comunità crescano nella capacità di accompagnare tutti, specialmente i giovani in cammino verso il Battesimo e i Sacramenti; e in un modo speciale anche i vecchietti, gli anziani. Gli anziani sono la saggezza di un popolo. Non lo dimentichiamo!”

Inoltre ha rivolto un pensiero ai giovani: “E pensiamo ai giovani in cammino verso il Battesimo e i Sacramenti. In Corsica, grazie a Dio, ce ne sono tanti! E complimenti! Mai ho visto tanti bambini come qui! È una grazia di Dio! E ho visto solo due cagnolini. Cari fratelli, fate figli, fate figli, che saranno la vostra gioia, la vostra consolazione nel futuro. Questa è la verità: mai ho visto tanti bambini.

Soltanto a Timor-Leste erano tanti così, ma nelle altre città non tanti così. Questa è la vostra gioia e la vostra gloria. Fratelli e sorelle, purtroppo sappiamo bene che non mancano tra le nazioni grandi motivi di dolore: miseria, guerre, corruzione, violenze… Questi bambini non sorridono! Hanno dimenticato il sorriso. Per favore, pensiamo a questi bambini nelle terre di guerre, al dolore di tanti bambini”.

E la Chiesa annuncia questa speranza: “La Parola di Dio, però, ci incoraggia sempre. E davanti alle devastazioni che opprimono i popoli, la Chiesa annuncia una speranza certa, che non delude, perché il Signore viene ad abitare in mezzo a noi. Ed allora il nostro impegno per la pace e la giustizia trova nella sua venuta una forza inesauribile.

Sorelle e fratelli, in ogni tempo e in qualsiasi tribolazione, Cristo è presente, Cristo è la fonte della nostra gioia. È con noi nella tribolazione per portarci avanti e darci la gioia. Teniamo sempre nel cuore questa gioia, questa sicurezza che Cristo è con noi, cammina con noi. Non dimentichiamolo! E così con questa gioia, con questa sicurezza che Gesù è con noi, saremo felici e faremo felici gli altri. Questa dev’essere la nostra testimonianza”.

In precedenza,  nell’incontro con il clero ed le consacrate, aveva sottolineato la necessità della cura spirituale: “Perché la vita sacerdotale o religiosa non è un “sì” che abbiamo pronunciato una volta per tutte. Non si vive di rendita con il Signore! Al contrario, ogni giorno va rinnovata la gioia dell’incontro con Lui, in ogni momento bisogna nuovamente ascoltare la sua voce e decidersi a seguirlo, anche nei momenti delle cadute. Alzati, uno sguardo al Signore: ‘Scusami, aiutami ad andare avanti’. Questa vicinanza fraterna e filiale”.

E’ un invito a non trascurare la preghiera: “Ricordiamoci questo: la nostra vita si esprime nell’offerta di noi stessi, ma più un sacerdote, una religiosa, un religioso si donano, si spendono, lavorano per il Regno di Dio, e più diventa necessario che si prendano cura anche di sé stessi. Un prete, una suora, un diacono che si trascura finirà anche per trascurare coloro che gli sono affidati.

Per questo ci vuole una piccola ‘regola di vita’ (i religiosi già ce l’hanno), che comprenda l’appuntamento quotidiano con la preghiera e l’Eucaristia, il dialogo con il Signore, ciascuno secondo la spiritualità propria e il proprio stile. E vorrei anche aggiungere: conservare qualche momento di solitudine; avere un fratello o una sorella con cui condividere liberamente ciò che portiamo nel cuore (un tempo si chiamava il direttore spirituale, la direttrice spirituale); coltivare qualcosa di cui siamo appassionati, e non per passare il tempo libero, ma per riposarci in modo sano dalle stanchezze del ministero”.

Tale cura conduce alla fraternità: “Impariamo a condividere non soltanto le fatiche e le sfide, ma anche la gioia e l’amicizia tra di noi: il vostro Vescovo dice una cosa che mi piace molto, e cioè che è importante passare dal ‘Libro delle lamentazioni’ al ‘Libro del Cantico dei Cantici’. Lo facciamo poco questo. Ci piacciono le lamentazioni!.. Condividiamo la gioia di essere apostoli e discepoli del Signore! Una gioia va condivisa. Altrimenti, il posto che deve prendere la gioia lo prende l’aceto. E’ una cosa brutta trovare un prete con il cuore amareggiato. È brutto… Chiediamo al Signore di mutare il nostro lamento in danza, di darci il senso dell’umorismo, la semplicità evangelica”.

(Foto: Santa Sede)

‘1914: Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale’ ad Arezzo

Fino al 22 dicembre, presso i locali adiacenti alla chiesa dei Santi Michele e Adriano, in Piazza San Michele 11 ad Arezzo, è ospitata la mostra ‘1914: Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale’. L’esposizione, curata da Antonio Besana, è stata realizzata per il Meeting di Rimini ed è promossa in città dal Centro Culturale di Arezzo. Racconta, attraverso documenti, immagini e testimonianze, l’episodio straordinario della Tregua di Natale del 1914, uno dei momenti più toccanti della Prima Guerra Mondiale.

L’inaugurazione è prevista sabato 14 dicembre alle 11 presso i locali della chiesa di San Michele, alla presenza di mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, del sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli e del dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale Lorenzo Pierazzi.

La mostra è stata inserita tra gli eventi di Arezzo Città del Natale ed è già stata prenotata da oltre 35 classi scolastiche, grazie alla collaborazione dell’Ufficio scolastico provinciale di Arezzo. Sarà arricchita dall’esposizione di cimeli originali della Prima Guerra Mondiale, messi a disposizione dall’associazione Save the Memory.

La mostra vuole essere un’occasione per riflettere partendo dal Natale sul valore universale della pace, unendo giovani e adulti in un percorso di riscoperta di storie di fraternità, anche nelle situazioni più difficili della storia umana.

L’esposizione sarà preceduta oggi alle ore 17.30, da un incontro di presentazione intitolato ‘1914: Quando i nemici diventano amici’. L’evento si terrà nella chiesa di San Michele e vedrà la partecipazione di Antonio Besana, curatore della mostra, esperto di storia militare e giornalista pubblicista; Giampaolo Silvestri, Segretario Generale di AVSI, una fondazione internazionale che realizza progetti di sviluppo e aiuto umanitario in oltre 40 paesi; moderatrice Grazia Sestini, insegnante.

 La mostra ripercorre gli eventi del Natale 1914, sul fronte occidentale nei pressi di Ypres (Belgio), durante una notte apparentemente come tutte le altre, accade l’impensabile. Nonostante il logoramento di una guerra di posizione ormai in corso da cinque mesi, i soldati, ispirati dalle melodie natalizie, decidono di interrompere i combattimenti. Una tregua spontanea si instaura: soldati di fronti opposti escono dalle trincee, si incontrano nella ‘terra di nessuno’, si scambiano auguri e doni, e celebrano insieme una funzione funebre per onorare i caduti.

Questo momento unico, in cui per una notte la guerra fu sospesa dalla pace, non si è mai più ripetuto nella storia. In occasione del 110° anniversario di questa storica Tregua di Natale, la mostra propone un viaggio tra testimonianze dei protagonisti e documentazioni fotografiche, frutto di un’attenta ricerca sui luoghi dell’evento.

Attraverso pannelli ricchi di immagini e testi, la mostra illustra non solo i dettagli di quella notte straordinaria, ma anche il contesto storico e umano che lo rese possibile: il contesto della Prima Guerra Mondiale: un conflitto devastante che coinvolse milioni di soldati, cambiando per sempre il volto dell’Europa. La tregua e i suoi protagonisti: i soldati accumunati dalla stessa tragica esperienza di guerra, spesso costretti a combattere contro uomini che non consideravano veri nemici, trovarono nell’umanità condivisa la forza per fermarsi.

Le testimonianze: lettere e racconti dei protagonisti che mostrano come, anche nel buio della guerra, ci sia spazio per la luce della pace, partendo da un punto che li univa: il Natale: “Penso di aver assistito ad uno dei più straordinari spettacoli che chiunque abbia mai potuto vedere. Verso le 10 di stamattina stavo sbirciando sul parapetto quando ho visto un tedesco agitare le braccia e due di loro sono usciti dalle loro trincee e sono venuti verso i nostri. Stavamo per sparargli quando abbiamo visto che non avevano i fucili quindi uno dei nostri uomini è uscito per incontrarli e in circa due minuti il terreno tra le due linee di trincee era brulicante di uomini e ufficiali di entrambi i lati, che si stringevano le mani e si auguravano un felice Natale”, scrisse Alfred Dougan Chater, tenente inglese, in una lettera alla famiglia.

  • Date: 14-22 dicembre
  • Luogo: Locali adiacenti la chiesa di San Michele, Piazza San Michele 11, Arezzo
  • Orari di apertura:
    • Sabato 14 e domenica 15: 11:00-19:00
    • Da lunedì 16 a venerdì 20: 9:00-13:00 e 16:00-19:00
    • Sabato 21: 9:00-19:00
    • Domenica 22: 11:00-19:00
  • Ingresso libero

Vi invitiamo a visitare la mostra per riscoprire il valore della pace e dell’incontro, proprio nel periodo dell’Avvento. Per prenotazioni gruppi: prenotazione.mostra1914@gmail.com.

(Foto: Diocesi Arezzo-Cortona-SanSepolcro)

Mons. Delpini: non dimenticare l’eredità di sant’Ambrogio

“Come sarà quel giorno in cui si troveranno vicini chi ha bussato alle porte d’Italia e d’Europa e chi ha chiuso la porta; chi ha chiesto di lavorare, di rendersi utile senza morire di fame e di guerra e si è sentito dire: qui non puoi entrare perché non mi fido di te, perché ho paura, vai pure a morire altrove?… Come sarà quel giorno in cui nella luce di Cristo risorto si troveranno vicini l’assassino e la sua vittima, chi ha bombardato e chi è morto sotto i bombardamenti, chi ha subito violenza e chi ha commesso violenza? Signore che cosa sarà quel giorno?”: è stato un monito severo quello che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto ai fedeli che hanno gremito la basilica di sant’Ambrogio per il pontificale nella solennità del santo vescovo della città di Milano e della regione Lombardia.

L’arcivescovo ambrosiano ha comunque sottolineato che tale monito deve rendere anche saggi: “Possiamo ancora accogliere la rivelazione del grande mistero affidato all’apostolo Paolo e predicato a tutte le genti: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a essere partecipi della stessa promessa, per mezzo del Vangelo. Siamo in tempo per convertirci”.

E’ stato un invito a riscoprire il pensiero di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio amò intensamente i poveri e i prigionieri, per i quali donò tutto l’oro e l’argento che possedeva. Sant’Ambrogio accolse nella Chiesa Agostino, l’illustre intellettuale di origine africana, che proprio a Milano ha portato a compimento il suo cammino di conversione e ha ricevuto il battesimo”.

Ecco la nuova visione, sempre attuale, di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio aveva una visione del mondo e dei popoli ispirata dalla universalità cattolica e dalla visione politica dell’impero romano. L’impero romano è finito da un pezzo, ma la coscienza della vocazione alla fraternità universale è irrinunciabile per la coscienza cattolica”.

E’ stato un richiamo a non dimenticare l’eredità del santo vescovo ambrosiano: “Per essere degni dell’eredità di Ambrogio noi siamo chiamati a condividere questa visione cattolica. La radice del nostro desiderio di costruire una comunità unita nella fede e nella carità ha la sua radice e la sua forza nel desiderio di Gesù: ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.

La fraternità universale in cui tutti sono accolti non è una confusione indistinta, ma un superamento della separazione tra le genti che genera la contrapposizione, i nazionalismi e infine persino le guerre (così insegna Paolo nella lettera agli Efesini). Occorre resistere alla divisione che contrappone i fratelli, i popoli. ‘Attenzione al lupo’: c’è un nemico che insidia il gregge, rapisce le pecore e le disperde. La rovina è la divisione, che si conclude con l’essere schiavi di padrone, invece che abitare nella casa della libertà”.

Quindi la fraternità è solidarietà, che pone interrogativi: “La fraternità universale in cui tutti sono accolti, e hanno tutto in comune, non è una forma di comunismo, ma una pratica della solidarietà in cui i ricchi non sono troppo ricchi ed i poveri non sono troppo poveri. Come sarà quel giorno? Come incroceremo lo sguardo degli altri? Come incroceremo lo sguardo di Gesù?”

Anche nel ‘discorso alla città’ mons. Delpini ha invitato a lasciare ‘riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro’, perché la gente è stanca: “La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. E’ stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. E’ stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. E’ stanca perché è stata derubata dell’ ‘oltre’ che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro”.

Ed invita ad una riflessione sul valore del lavoro: “La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti. La gente è stanca della burocrazia, dell’ossessione dei controlli che tratta ogni cittadino come un soggetto da vigilare, piuttosto che come una persona da coinvolgere nella responsabilità per il bene comune”.

Ed ecco la ‘novità’ del Giubileo:  “Non vogliamo e non possiamo, infatti, sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco. Ciò sarà possibile operando tutti insieme attraverso uno sguardo ‘contemplativo’, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali”.

Il Giubileo è un’occasione per riscoprire il ‘principio sabbatico’: “Il Giubileo, che si sta per aprire, deve essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Il Giubileo che il papa ha indetto per l’anno 2025 è un’attuazione storica del ‘principio sabbatico’: se Dio ha sentito l’esigenza di riposare, così occorre lasciare anche agli esseri umani e alla terra la possibilità di farlo.

Il ‘principio sabbatico’ custodisce il mistero del cosmo come dono di benevolenza e creatività. Senza il rispetto di tale principio, non solo non c’è più festa, ma viene a esaurirsi lo spazio dello spirito umano: la stanchezza non trova sollievo, l’umano affaticato non vive le condizioni per una ri-creazione. Il riposo è essenziale agli uomini come alla terra”.

Nel giubileo risiede il significato del riposo: “Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra”.

In questo senso si può ancora sperare, in quanto nasce dalla responsabilità: “La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive. Significa lasciarci guidare da Dio, nel leggere e accogliere tutte le grida e le domande di riparazione che la terra mal coltivata e sfruttata eleva ogni giorno, dentro le nostre vite”.

E’ una benedizione anche per il popolo: “E benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri.

Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere… Che siate tutti benedetti, voi che vi prendete cura della stanchezza della gente, della città, della terra e cercate come offrire riposo nell’anno del Giubileo e in ogni anno a venire. E riposate un po’ anche voi!”

(Foto: Diocesi di Milano)

Marocco: una Chiesa in cammino

Lo spirito del Sinodo ci mette tutti in cammino. La coscienza sempre più viva di far parte di un unico mondo, in particolare nella regione Mediterranea, ancora di più. Siamo ormai vicini di casa, sull’altra sponda. Per questo la Chiesa del Marocco vi invita. Venite in pellegrinaggio da noi!

Da soli, in famiglia o in gruppo, lasciatevi condurre dallo Spirito e dal suo carisma: l’incontro con l’altro. Differente da noi per storia, cultura e religione. È il nostro cammino più difficile, evangelico e sorprendente… La sfida dell’incontro. Della fraternità.

Il monastero sull’altopiano a Midlt dei monaci di Tibhirine e la loro testimonianza – unica al mondo di preghiera, di fraternità e di martirio in terra d’Islam – vi attendono! Il nostro Centro pastorale diocesano “Notre Dame de la Paix” – una vera oasi nel cuore di Rabat – e le tre suore del Mali più che volentieri vi accolgono. Le varie comunità cristiane – per davvero cattoliche, perché di quasi cento nazionalità differenti – vi offriranno la loro testimonianza di servizio fraterno e di universalità.

‘Almowafaqa’, l’Istituto Teologico ecumenico e interreligioso di Rabat, con un corpo docente universitario misto, cioè cattolico, protestante e musulmano – una vera perla, un’autentica originalità di qui –, ha sempre per voi le porte aperte per una visita. La comunità italiana a Casablanca vi vedrà con gioia.

Città antiche e splendide come Fes, Marrakech, Essaouira, El Jadida… e suggestivi villaggi tradizionali, che si mettono in preghiera cinque volte al giorno, vi accoglieranno con entusiasmo: l’ospite qui è sacro.

Il deserto del Sahara vi incanterà per il silenzio, la solitudine, l’assoluto di Dio: vi darà la pace. E vi metterà sui passi di Charles de Foucauld: l’abbandono fiducioso all’Altro e la fraternità verso tutti. In fondo, vi sorprenderà incontrare una Chiesa viva, minoritaria, coraggiosa, a servizio di una società tanto differente in terra d’Islam. Testimone della forza del Vangelo. Ma, soprattutto, dell’amore di Dio per l’umanità che qui vive.

Imparerete il nostro atteggiamento interiore, quasi una regola d’oro: «parlare meno dei migranti, parlare di più con i migranti; parlare meno dei musulmani, parlare di più con i musulmani; parlare meno di Dio, parlare di più con Dio».

Conoscere e incontrare una tradizione, una storia, una fede differenti aiuta a crescere in apertura di mente e di cuore. Indispensabile, oggi, per affrontare le sfide del domani. Conoscere la nostra Chiesa, «sacramento dell’incontro» con l’altro e i suoi valori come la preghiera, la fraternità e l’umiltà, vi trasmetterà un grande dono di Dio: la gioia. Sì, venite e vedete! Vi attendiamo a braccia aperte.

Papa Francesco: la fraternità attraverso un sorriso

In mattinata papa Francesco ha ricevuto un gruppo di volontari e persone senza fissa dimora, provenienti da Vienna, a cui ha chiesto di salutare il card. Schönborn, arcivescovo di Vienna, sottolineando il tema della fraternità, anche se con storie diverse:

“Provenite da Paesi molto diversi, appartenete a confessioni religiose differenti, e ciascuno di voi ha fatto le proprie esperienze di vita, a volte anche gravi vicissitudini. Ma una cosa ci unisce tutti: siamo fratelli e sorelle, siamo figli di un unico Padre. Questo ci unisce tutti. E mi fa molto piacere che questa realtà si faccia concreta nella vostra comunità quando vi aiutate l’un l’altro e, nelle vostre riunioni, condividete quello che ognuno può offrire. Infatti, non è vero che alcuni danno e altri solo ricevono: tutti siamo donatori e riceventi, tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri e siamo chiamati ad arricchirci a vicenda”.

Evidenziando che la fraternità si manifesta anche attraverso ‘un semplice sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito’ il papa ha concluso il breve incontro con l’invito ad essere un ‘dono’ per gli altri:

“Allora, in quel momento, facciamo quello che il Signore ci ha detto di fare, cioè amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato. Ringraziamo Dio per il dono del suo amore, che ci arriva anche attraverso le persone buone che ci circondano. Il Signore ci ama al di là di ogni limite e difficoltà. Ognuno di noi è unico ai suoi occhi e Lui non si dimentica mai di noi. Cerchiamo sempre, come fratelli e sorelle, di fare della nostra vita un dono per gli altri”.

Inoltre domani, sabato 9 novembre, Papa Francesco e Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, celebreranno insieme il trentesimo anniversario della Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira e il quarantesimo della prima visita a Roma di un Patriarca assiro. Ne ha dato comunicazione il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Il Catholicos sarà accompagnato dai membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell’Oriente che, istituita trent’anni fa, ha recentemente avviato una nuova fase di dialogo sulla liturgia nella vita della Chiesa. La Dichiarazione venne firmata nella basilica di San Pietro l’11 novembre 1994 da papa Giovanni Paolo II e dal patriarca assiro Mar Dinkha IV.

(Foto: Santa Sede)

Grande partecipazione per l’inaugurazione delle nuove attrezzature alla mensa ‘Locanda della Fraternità’ di Tricase

La forza delle idee, la rete, la collaborazione, la capacità di guardare alle esigenze dei poveri ma anche dei giovani, delle persone sole, degli ammalati, dei parenti di chi è in ospedale. La “Locanda della fraternità è un luogo per tutti”.

È quanto emerso ieri nell’incontro pubblico che si è svolto in via Galvani 44 a Tricase per l’inaugurazione delle nuove attrezzature della cucina della mensa acquistate con un contributo a fondo perduto del GAL Capo di Leuca, nell’ambito del PSR Puglia 2014/2020 – Misura 19 – Sottomisura 19.2 – Azione 3. Servizi per la popolazione rurale nel Capo di Leuca – Bando Intervento 3.2. “Mense Collettive” – Piano di Azione Locale “il Capo di Leuca e le Serre Salentine”.

Sono intervenuti: il Sindaco di Tricase, Antonio De Donno, Mons. Vito Angiuli, Vescovo della Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, Antonio Ciriolo, Presidente GAL Capo di Leuca, don Lucio Ciardo, direttore della Caritas diocesana, Enzo Chiarello, Presidente l’I.P.A.D. Mediterranean – Cooperativa Sociale e Donato Parisi, Componente del Consiglio Direttivo del Banco delle Opere di Carità Puglia – Onlus, quest’ultimi due sodalizi partener del progetto di ammodernamento.

Mons. Angiuli ha sottolineato “l’importanza dei luoghi d’incontro tra le persone e della relazione tra tutti gli enti che operano nella diocesi”. Antonio Ciriolo ha messo in evidenza “la forza delle idee condivise capaci di realizzare obbiettivi che nascono dal sentirsi parte di un sistema”. 

“E’ un luogo in cui tutti possono venire stare insieme, dialogare. Aperta a pranzo dal lunedì al venerdì, accoglie 30 utenti quotidianamente” ha precisato don Lucio Ciardo. “Abbiamo scelto di chiamarla “Locanda della Fraternità perché diventasse un punto di ritrovo per ogni persona e non solo per chi ha delle difficoltà economiche”. “Chi volesse donare il proprio tempo per il volontariato può fare richiesta inviando un’email all’indirizzo segreteria@caritasugentoleuca.it e le aziende possono sostenere la locanda donando beni alimentari, prodotti per la pulizia, utensili per la cucina e per la sala.”

Enzo Chiarello ha evidenziato che la Cooperativa Sociale, svolgerà” il ruolo di fornitore di prodotti ortofrutticoli alla Locanda della Fraternità. Inoltre, come previsto dallo stesso Bando Intervento 3.2. “Mense Collettive, fornendo anche quelli in eccedenza, dimostrando anche alle altre aziende agricole che il recupero dello spreco può diventare risorsa. In questo modo, invece di smaltire i prodotti in discarica, essi vengono utilizzati per la preparazione di pietanze da distribuire a persone in situazioni di disagio economico. In questo modo l’IPAD Mediterranean cercherà di raggiungere i principi fondanti del movimento cooperativo mondiale quali: la mutualità, la solidarietà, la democraticità, l’impegno, l’equilibrio delle responsabilità rispetto ai ruoli, lo spirito comunitario, il legame con il territorio in un equilibrato rapporto con lo Stato e le Istituzioni Pubbliche.

Il Banco delle Opere di Carità Puglia – Onlus, ente senza fine di lucro che si occupa del recupero dello spreco delle eccedenze alimentari, con lo scopo di farlo diventare risorsa a sostegno degli indigenti, come è stato sottolineato da Donato Parisi, svolge il suo ruolo statutario, sempre al servizio delle opere di carità presenti sul territorio nazionale, andrà ad approvvigionare la Locanda della Fraternità di derrate alimentari, provenienti principalmente dall’AGEA, attraverso il Programma europeo FSE – Fondo Sociale Europeo, svolgendo un’opera sociale e assistenziale su un territorio che ogni anno, purtroppo, evidenzia nuove povertà a quelle già esistenti.

Il Banco, in tutti questi anni, ha dato vita ad una rete di solidarietà che conta sull’adesione di circa 145 enti, ovvero associazioni, Caritas parrocchiali, confraternite, comuni, etc. tutti impegnati nel contrastare la povertà di natura alimentare. Indicativamente, questa rete è in grado di aiutare circa 26.000 persone in condizione di disagio economico.

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