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Papa Leone XIV: Gesù ha tracciato la via della fraternità

“Ieri abbiamo commemorato la fine della ‘inutile strage’ della Prima Guerra Mondiale, dopo la quale per molti popoli, compreso il vostro, è giunta l’alba dell’indipendenza. Siamo grati a Dio per il dono della pace, della quale (come affermava sant’Agostino) ‘nessuna cosa è assolutamente migliore’. Custodiamola con il cuore radicato nel Vangelo, nello spirito di fraternità e di amore per la Patria”: nei saluti ai pellegrini polacchi durante l’udienza generale di oggi, papa Leone XIV ha ricordato l’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale, citando l’espressione di papa Benedetto XV, che aveva invitato i fedeli a difendere la pace con il ‘cuore radicato nel Vangelo’.

Tale saluto è stato approfondito nella catechesi generale, nella quale il papa ha evidenziato che la spiritualità pasquale anima la fraternità: “Credere nella morte e risurrezione di Cristo e vivere la spiritualità pasquale infonde speranza nella vita e incoraggia a investire nel bene. In particolare, ci aiuta ad amare e alimentare la fraternità, che è senza dubbio una delle grandi sfide per l’umanità contemporanea, come ha visto chiaramente papa Francesco”.

Quindi la fraternità è un fattore umano: “La fraternità nasce da un dato profondamente umano. Siamo capaci di relazione e, se lo vogliamo, sappiamo costruire legami autentici tra di noi. Senza relazioni, che ci sostengono e che ci arricchiscono sin dall’inizio della nostra vita, non potremmo sopravvivere, crescere, imparare. Esse sono molteplici, diverse per modalità e profondità”.

Perciò la fraternità si alimenta attraverso ‘legami’: “Ma certo è che la nostra umanità si compie al meglio quando siamo e viviamo insieme, quando riusciamo a sperimentare legami autentici, non formali, con le persone che abbiamo accanto. Se siamo ripiegati su noi stessi, rischiamo di ammalarci di solitudine, e anche di un narcisismo che si preoccupa degli altri solo per interesse. L’altro si riduce allora a qualcuno da cui prendere, senza che siamo mai disposti davvero a dare, a donarci”.

Ed occorre alimentare la fraternità con un ritorno alla radice della parola: “Sappiamo bene che anche oggi la fraternità non appare scontata, non è immediata. Molti conflitti, tante guerre sparse nel mondo, tensioni sociali e sentimenti di odio sembrerebbero anzi dimostrare il contrario. Tuttavia, la fraternità non è un bel sogno impossibile, non è un desiderio di pochi illusi. Ma per superare le ombre che la minacciano, bisogna andare alle fonti, e soprattutto attingere luce e forza dal Colui che solo ci libera dal veleno dell’inimicizia”.

Però ha messo in guardia dall’ambivalenza della parola ‘fratello’: “La parola ‘fratello’ deriva da una radice molto antica, che significa prendersi cura, avere a cuore, sostenere e sostentare. Applicata a ogni persona umana diventa un appello, un invito. Spesso pensiamo che il ruolo di fratello, di sorella, rimandi alla parentela, all’essere consanguinei, al far parte della stessa famiglia. In verità, sappiamo bene quanto il disaccordo, la frattura, talvolta l’odio possano devastare anche le relazioni tra parenti, non soltanto tra estranei”.

E’ un invito a riprendere lo stile di san Francesco: “Questo dimostra la necessità, oggi più che mai urgente, di rimeditare il saluto con cui san Francesco d’Assisi si rivolgeva a tutte e a tutti, indipendentemente da provenienze geografiche e culturali, religiose o dottrinali: omnes fratres era il modo inclusivo con cui san Francesco poneva sullo stesso piano tutti gli esseri umani, proprio perché li riconosceva nel comune destino di dignità, di dialogo, di accoglienza e di salvezza”.

Per questo motivo papa Francesco lo ha riproposto lo spirito dell’assisiate nell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Quel ‘tutti’, che significava per San Francesco il segno accogliente di una fraternità universale, esprime un tratto essenziale del cristianesimo, che sin dall’inizio è stato l’annuncio della Buona Notizia destinata alla salvezza di tutti, mai in forma esclusiva o privata. Questa fraternità si basa sul comandamento di Gesù, che è nuovo in quanto realizzato da Lui stesso, compimento sovrabbondante della volontà del Padre: grazie a Lui, che ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, noi possiamo a nostra volta amarci e dare la vita per gli altri, come figli dell’unico Padre e veri fratelli in Gesù Cristo”.

Tale amore si può vedere nel racconto del vangelo giovanneo: “Gesù ci ha amato sino alla fine, dice il Vangelo di Giovanni. Quando è oramai prossima la passione, il Maestro sa bene che il suo tempo storico sta per concludersi. Teme ciò che sta per accadere, sperimenta il supplizio più terribile e l’abbandono. La sua Risurrezione, al terzo giorno, è l’inizio di una storia nuova. E i discepoli diventano pienamente fratelli, dopo tanto tempo di vita insieme, non solo quando vivono il dolore della morte di Gesù, ma, soprattutto, quando lo riconoscono come il Risorto, ricevono il dono dello Spirito e ne diventano testimoni”.

Quindi la fraternità è una storia ‘nuova’: “I fratelli e le sorelle si sostengono a vicenda nelle prove, non voltano le spalle a chi è nel bisogno: piangono e gioiscono insieme nella prospettiva operosa dell’unità, della fiducia, dell’affidamento reciproco. La dinamica è quella che Gesù stesso ci consegna: ‘Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato’. La fraternità donata da Cristo morto e risorto ci libera dalle logiche negative degli egoismi, delle divisioni, delle prepotenze, e ci restituisce alla nostra vocazione originaria, in nome di un amore e di una speranza che si rinnovano ogni giorno. Il Risorto ci ha indicato la via da percorrere insieme a Lui, per sentirci e per essere fratelli tutti”.

(Foto: Santa Sede)

Dalla Calabria i ‘Panettoni della speranza’

A Reggio Calabria tutti lo conoscono. Padre Thao, giovane missionario scalabriniano, venuto dalle risaie del sud Vietnam, vive da 4 anni in questa città. Unico vietnamita a Reggio Calabria. Dolce, un sorriso che vi conquista, una disponibilità a tutta prova, lavora in prima linea per i migranti. Dirige il ‘Centro di Accoglienza Scalabrini’ a due passi dalla cattedrale.

Alla domenica, celebra l’eucarestia nella nostra chiesa di sant’Agostino, dove con il suo bell’accento orientale si è accattivato la simpatia dei fedeli del quartiere. Padre Thao è il loro idolo. Ma durante la settimana combatte una battaglia intensa e impegnativa.

Sì, al Centro Migranti, dove giovani, mamme e bambini vanno e vengono in continuazione… provenienti dal Marocco, dalla Georgia, dal Pakistan, dai Paesi africani. Il suo impegno è sostenere, coordinare e intervenire nelle varie attività del Centro. Esse sono l’accoglienza, l’alfabetizzazione, l’assistenza amministrativa e legale, gli alimentari, i farmaci, il sostegno scolastico… insomma, un’attività a 360⁰ in favore dei migranti, qui, all’estremità della nostra lunga Italia, nel territorio di Reggio Calabria. Sì, di fronte all’Africa.

Per Natale, padre Thao vi presenta un piccolo progetto originale per il nostro Centro. Quello di poter offrire 400 super-panettoni con dei generi alimentari a tutti i migranti che passeranno nel periodo natalizio… Li abbiamo chiamati ‘panettoni della speranza’. E’ un gesto semplice, ma un grande dono per umanizzare una vita difficile, amara, di tante persone qui in emigrazione… proprio in quel periodo magico, che ci parla apertamente – in nome di Dio – di fraternità. ‘Un panettone della speranza’, in tempo di Giubileo. Sarà per voi, in fondo, come deporlo alla grotta di Betlemme per i pastori. E sarà Natale.

Se desiderate dare una mano al nostro Centro Migranti a Reggio Calabria o al suo progetto ‘Panettoni della speranza’: IBAN IT69F3608105138258674058684 intestato a Thao Nguyen Thanh. Il Bambino di Betlemme vi sorrida e vi ricompensi!

Giubileo dei Movimenti Popolari: ce lo racconta don Mattia Ferrari

In questo fine settimana si sta svolgendo in Vaticano il quinto incontro dei Movimenti Popolari, seguito dal pellegrinaggio giubilare, come ha sottolineato il card. M. Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, riprendendo l’esortazione apostolica ‘Dilexi Te’; “I leader popolari sanno che solidarietà significa anche lottare contro le cause strutturali della povertà e della disuguaglianza; della mancanza di lavoro, di terra e di casa; e della negazione dei diritti sociali e lavorativi. Significa affrontare gli effetti distruttivi dell’impero del denaro… La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è ciò che stanno facendo i movimenti popolari”.

Il coordinatore della piattaforma EMMP (Encuentro Mundial de Movimientos Populares), don Mattia Ferrari, aveva sottolineato l’importanza dei movimenti popolari: “In questo momento storico aumentano le ingiustizie, si intensificano le violenze contro le persone migranti, si aggrava la dittatura di un’economia che uccide, si investe nell’economia di guerra, la crisi ecologica peggiora. I movimenti popolari e la Chiesa costituiscono la speranza di un altro mondo possibile, fondato non sull’individualismo ma sulla giustizia, sulla solidarietà e la fraternità. I movimenti popolari sono chiamati oggi soprattutto a promuovere le relazioni tra di loro, con gli altri attori sociali, e con le Chiese locali”.

Partiamo da queste indicazioni per comprendere da don Mattia Ferrari il motivo per cui i componenti dei movimenti popolari sono portatori di speranza?

“Con le loro vite e le loro storie i componenti dei movimenti popolari sono portatori di speranza che ci aiutano a riscoprire il significato della speranza, che non è mai un sogno individuale, ma è sempre comunitario, perché è il sogno della fraternità, il sogno delle relazioni”.

In quale modo essi possono stimolare all’accoglienza?

“Attraverso le relazioni. Ogni volta che ci relazioniamo con i migranti sentiamo nascere la solidarietà. Quindi ci salviamo attraverso le relazioni con loro?

Nella sua attività pastorale dove ha riscontrato la speranza?

“La speranza che nasce dal salvarsi insieme ed abbiamo il coraggio di aprire il cuore e di creare solidarietà”.

E’ diventato cappellano di bordo sulla nave della ong ‘Mediterranea Saving Humans’: per quale motivo si è sentito ‘salvato dai migranti’?

.” Cosa mi ha insegnato questa storia? Che se apriamo il nostro cuore ai poveri, agli scartati, agli ultimi del mondo, se accettiamo di vivere l’avventura di diventare davvero loro amici e fratelli, allora la vita ci sorprenderà. Perché laddove si permette alla forza dell’amore di sprigionarsi, la vita sorprende e accade quello che mai ci si sarebbe aspettati”.

Ma come è diventato cappellano di bordo?

“Sono diventato cappellano di bordo della Mare Jonio non per scelta mia, ma in risposta alla chiamata ricevuta dell’equipaggio stesso. Infatti tra i fondatori di ‘Mediterranea’ ci sono i ragazzi e le ragazze dei centri sociali bolognesi Tpo e Labas, con cui siamo amici da anni grazie proprio alla comune fraternità con le persone migranti. Hanno voluto avere il cappellano di bordo come segno della presenza della Chiesa, che accompagna questa missione”.

In quale modo la fede ha inciso in questa scelta?

“La fede ha inciso, perché quando i miei compagni mi hanno rivolto l’invito ho subito pensato a Gesù. In loro ho visto il Vangelo: sono ragazzi e ragazze ‘affamati ed assetati di giustizia’, come dice il brano evangelico delle Beatitudini, ragazzi e ragazze che vivono la ‘compassione viscerale’, di cui ci parla la parabola del Buon Samaritano, realizzando quell’accoglienza di Gesù nei suoi fratelli più piccoli di cui parla il capitolo 25 del Vangelo matteano. Dico sempre infatti che non sono tanto io che evangelizzo i miei compagni, ma sono loro che evangelizzano me.

La Chiesa ha sostenuto questa scelta: per partire come cappellano di bordo, abbiamo prima chiesto il consenso dei vescovi competenti. Il riscontro loro, insieme alle altre persone cristiane presenti con me, il segno concreto che la Chiesa è con loro”.

Ma è anche amico di molti disabili: in quale modo si approccia con loro?

“Alcuni tra i miei migliori amici da sempre sono disabili. Le nostre comunità cristiane hanno tanto da imparare dalle persone disabili e dalle loro famiglie. Tante volte perdiamo di vista il vero senso della vita. Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita.

Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita. Non a caso Gesù considera tutte queste persone i Suoi fratelli più piccoli. Dall’ascolto e dalla condivisione con loro possiamo imparare meglio il Vangelo e conoscere meglio Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

A Torino il festival della missione: il Volto Prossimo

Ottobre è mese di missione e quest’anno soffia nello stesso vento del giubileo della Speranza; e nonostante il contesto di guerra e crisi, essa resta seme di fiducia: un invito ad essere, come dice san Paolo, ‘lieti nella speranza’, attraverso una storia che parla ancora e che ha un nome preciso: p. Ezechiele Ramin, che da missionario comboniano, arrivò in Brasile negli anni ’80 per difendere i diritti degli indios Surui e dei contadini senza terra. Il 24 luglio 1985 fu ucciso durante una missione di pace, quando non aveva ancora compiuto 33 anni.

P. Ramin amava disegnare, tantoché nei suoi taccuini trovavano posto volti, mani, alberi, parabole: quei disegni sono diventati la mostra ‘Passione Amazzonia’, ospitata al Sermig di Torino, inaugurata lo scorso 19 settembre in apertura del pre-festival, sul tema ‘Conquistare la pace e organizzare la speranza’.

Dodici pannelli, dodici stazioni: la Passione di Cristo raccontata attraverso la passione dei popoli amazzonici. Una via crucis che non finisce nel dolore, ma si apre alla speranza di una terra che rinasce. La mostra è un invito ad andare oltre, a cogliere la trasfigurazione della realtà e il suo significato più profondo, che solo uno sguardo e un’esperienza di fede rendono accessibile.

Il terzo festival della Missione , intitolato ‘Il Volto Prossimo’, è in programma a Torino da oggi fino a domenica 12 ottobre, promosso dalla Conferenza Episcopale Piemonte-Valle d’Aosta (CEP), da CIMI (Conferenza Istituti Missionari in Italia) e Fondazione ‘MISSIO’ Italia con la direzione artistica della giornalista Lucia Capuzzi e di Alessandro Galassi, regista e documentarista, a cui abbiamo chiesto di spiegarci il motivo di un festival della missione:

“Perché la missione non è un capitolo a margine della vita ecclesiale, ma la sua ragione stessa. Non riguarda soltanto ‘alcuni inviati lontano’, ma interpella ogni battezzato e ogni comunità, chiamati a vivere la gioia del Vangelo nel cuore del mondo. Un Festival diventa allora spazio di incontro, piazza aperta in cui credenti e non credenti, uomini e donne di culture e religioni diverse possono confrontarsi sulle grandi domande del presente: giustizia, pace, ecologia, dialogo. E’ un tempo per ridare voce a chi non ha voce, per portare al centro della città e del dibattito ciò che di solito resta ai margini”.

Per quale motivo ‘Il Volto Prossimo’?

“In continuità con l’ispirazione tematica del Festival della Missione 2022 ‘Vivere perdono’, alla luce del Giubileo ‘Pellegrini di speranza’ proposto da papa Francesco e facendo tesoro delle ‘Piste tematiche’ suggerite dalla Commissione Scientifica per il Festival della Missione 2025, la direzione generale e la direzione artistica hanno scelto come tema ‘il VoltoProssimo’. A chi mi faccio prossimo? Difficile definire cosa si intenda per missione. L’interrogativo, posto dallo stesso Gesù ad ogni donna e uomo del suo e di tutti i tempi, indica, però, l’orizzonte ai discepoli-missionari. La domanda assume drammatica urgenza nel presente spezzato dai muri, ferito dalla terza guerra mondiale a pezzi, minacciato dal riscaldamento globale.

Ma prossimo indica anche l’estrema affinità, l’identità di sostanza fra le creature, le quali racchiudono un frammento del Creatore. Tutti, in questo senso, siamo prossimi. Una consapevolezza che, però, si acquisisce nel movimento di ‘farsi più vicini’ a quanti sarebbero da tenere a distanza, geografica ed esistenziale. Proprio come al sacerdote e al levita, le ‘buone’ ragioni non mancano per discriminare gli esseri umani in base a categorie di censo, passaporto, genere, condizione esistenziale. Il Samaritano, però, le ribalta con il più semplice e il più missionario dei gesti: l’approssimarsi a chi trova per la strada. Un volto tumefatto nelle cui fattezze sfigurate riesce a scorgere il Volto”.

Ma qual è ‘il Volto Prossimo’?

“E’ il tema scelto per questa edizione, che raccoglie il mandato evangelico di farsi vicini. Non un concetto astratto, ma un gesto concreto: accorciare le distanze, guardare nel volto dell’altro e riconoscervi un frammento di Dio. Prossimo è chi ci vive accanto, ma anche chi il mondo considera lontano, diverso, scomodo. Farsi prossimi significa ribaltare categorie di potere, di esclusione e di indifferenza, come fece il Samaritano di fronte all’uomo ferito. In ogni volto incontrato brilla la possibilità di un’umanità nuova”.

In quale modo la missione può conquistare la pace?

“Non con le armi né con la forza, ma con la vicinanza e il dialogo. I missionari e le missionarie percorrono i sentieri del mondo non come conquistatori, ma come artigiani di fraternità. Ogni volta che curano una ferita, condividono un pasto, difendono i diritti di una comunità, si oppongono alle logiche di guerra e di sfruttamento, generano pace. E’ la pace del Vangelo, che nasce dall’incontro e non dall’imposizione, dal coraggio di sedersi accanto e di restare anche quando tutto invita a fuggire.

Non è un caso che il Festival ricordi p. Ezechiele Ramin, missionario comboniano ucciso in Brasile nel 1985 mentre difendeva i senza terra e le popolazioni indigene. La sua vita, spezzata a soli 32 anni, continua a parlare di un Vangelo incarnato fino in fondo, vissuto come dono e responsabilità verso i più poveri”.

Papa Francesco ha scritto nel messaggio per la Giornata mondiale Missionaria, ‘Missionari di speranza tra le genti’: “Esso richiama ai singoli cristiani e alla Chiesa, comunità dei battezzati, la vocazione fondamentale di essere, sulle orme di Cristo, messaggeri e costruttori della speranza… e desidero ricordare alcuni aspetti rilevanti dell’identità missionaria cristiana, affinché possiamo lasciarci guidare dallo Spirito di Dio e ardere di santo zelo per una nuova stagione evangelizzatrice della Chiesa, inviata a rianimare la speranza in un mondo su cui gravano ombre oscure’. Come essere oggi missionari di speranza tra le genti?

“Significa non arrendersi al cinismo e alla rassegnazione. Significa raccontare che un altro mondo è possibile e già germoglia nei piccoli segni di solidarietà, nelle esperienze di comunità che accolgono migranti, che custodiscono la terra, che difendono i diritti violati. La speranza non è illusione, ma forza che si traduce in gesti quotidiani di cura, in alleanze trasversali, in scelte concrete di sobrietà e di giustizia.

Le comunità cristiane, in questo orizzonte, possono essere segni di nuova umanità. Non spazi chiusi o autoreferenziali, ma luoghi di fraternità e di apertura, di ascolto e di dialogo. Comunità che non temono di sporcarsi le mani, che accolgono senza etichette, che testimoniano la bellezza del Vangelo nella gioia e nella condivisione. Una Chiesa che si fa tenda, casa aperta, ospedale da campo: così il Volto di Cristo si riflette nei volti di ogni donna e uomo, e la missione diventa cammino comune verso un futuro di pace”.

Programma sul sito: https://www.festivaldellamissione.it/programma/festival-2025

Papa Leone XIV: cura e dono sono basi di un’economia di fraternità

“Il pianeta è segnato da conflitti e divisioni, e a maggior ragione siete uniti da un forte e coraggioso ‘no’ alla guerra e dal ‘sì’ alla pace e alla fraternità. Come papa Francesco ci ha insegnato, infatti, la guerra non è la via giusta per uscire dai conflitti. ‘Sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo’ è il cammino più sapiente, il cammino dei forti.

La vostra presenza testimonia tale sapienza, che unisce le culture e le religioni, quella forza silenziosa che ci fa riconoscere fratelli e sorelle, nonostante tutte le nostre differenze”: citando l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ papa Leone XIV ha accolto in udienza i partecipanti al ‘World Meeting on Human Fraternity’, in programma a Roma fino a domani con 15 tavoli tematici su argomenti come agricoltura, ambiente, sostenibilità, lavoro, intelligenza artificiale, arte, sport, politica.

Nel dare il benvenuto papa Leone XIV ha proposto il racconto biblico della Genesi: “Secondo il racconto biblico, il primo rapporto fraterno, quella tra Caino e Abele, fu subito drammaticamente conflittuale. Tuttavia, quel primo omicidio non deve indurre a concludere: ‘è sempre andata così’. Per quanto antica, per quanto diffusa, la violenza di Caino non si può tollerare come ‘normale’. Al contrario, la norma risuona nella domanda divina rivolta al colpevole: ‘Dov’è tuo fratello?’ E’ in questa domanda la nostra vocazione, la regola, il canone della giustizia. Dio non si vendica di Abele con Caino, ma gli pone una domanda che accompagna tutto il cammino della storia”.

Quindi tale domanda di Dio è importante rivolgerla oggi all’umanità: “Questa stessa domanda, oggi più che mai, va fatta nostra, come principio di riconciliazione. Interiorizzata, risuonerà così: ‘Fratello, sorella, dove sei?’ Dove sei nel business delle guerre che spezzano le vite dei giovani costretti alle armi, colpiscono i civili, bambini, donne e anziani indifesi, devastano città, campagne e interi ecosistemi, lasciando dietro di sé solo macerie e dolore?

Fratello, sorella, dove sei tra i migranti disprezzati, imprigionati e respinti, tra quelli che cercano salvezza e speranza e trovano muri e indifferenza? Dove sei, fratello, quando i poveri vengono incolpati della loro povertà, dimenticati e scartati, in un mondo che stima più il profitto delle persone? Fratello, sorella, dove sei in una vita iperconnessa ma in cui la solitudine corrode i legami sociali e ci rende estranei anche a noi stessi?”

Di fronte a tali domande non resta che il silenzio: “La risposta non può essere il silenzio. E una risposta siete voi, con la vostra presenza, il vostro impegno e il vostro coraggio. La risposta è la scelta di un’altra direzione di vita, di crescita, di sviluppo”.

La domanda biblica è interessante perché non isola dal mondo: “Riconoscere che l’altro è un fratello, una sorella, significa liberarci dalla finzione di crederci figli unici e anche dalla logica dei soci, che stanno insieme solo per interesse. Non è soltanto l’interesse a farci vivere insieme. Le grandi tradizioni spirituali e anche la maturazione del pensiero critico ci fanno andare oltre i legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è simile e negano chi è diverso”.

Ed ha ripreso il concetto espresso da papa Francesco di ‘amicizia sociale’, che sfocia nella fraternità: “E’ interessante che nella Bibbia, come ci ha fatto scoprire l’esegesi scientifica, sono i testi più recenti e più maturi a narrare una fraternità che supera i confini etnici del popolo di Dio e che si fonda nella comune umanità.

Lo testimoniano i racconti di creazione e le genealogie: una sola è l’origine dei diversi popoli (anche dei nemici) e la Terra, coi suoi beni, è per tutti, non per alcuni… La fraternità è il nome più vero della prossimità. Essa significa ritrovare il volto dell’altro. E nel volto del povero, del rifugiato, anche dell’avversario, riconoscere il Mistero: per chi crede, l’immagine stessa di Dio”.

E’ un’esortazione a trovare nuove modalità di ‘carità sociale’: “Cari amici, vi esorto a individuare percorsi, locali e internazionali, che sviluppino nuove forme di carità sociale, di alleanze tra saperi e di solidarietà tra le generazioni. Siano percorsi popolari, che includano anche i poveri, non come destinatari di aiuto, ma come soggetti di discernimento e di parola. Vi incoraggio a proseguire in questo lavoro di semina silenziosa”.

E da questa ‘semina’ può nascere una nuova vita economica e sociale partecipativa: “Da essa può nascere un processo partecipativo sull’umano e sulla fraternità, che non si limiti a elencare i diritti, ma includa anche azioni e motivazioni concrete che ci rendono diversi nella vita di tutti i giorni. Abbiamo bisogno di una estesa ‘alleanza dell’umano’, fondata non sul potere, ma sulla cura; non sul profitto, ma sul dono; non sul sospetto, ma sulla fiducia. La cura, il dono, la fiducia non sono virtù per il tempo libero: sono pilastri di un’economia che non uccide, ma intensifica e allarga la partecipazione alla vita”.

Inoltre ha ringraziato i partecipanti per la creatività dei messaggi: “Desidero ringraziare gli artisti che, con la loro creatività, lanceranno questo messaggio al mondo, dal magnifico abbraccio del colonnato del Bernini. Un ringraziamento speciale va agli illustri Premi Nobel presenti, sia per aver redatto la Dichiarazione sulla fraternità umana del 10 giugno 2023, sia per la testimonianza che danno nei consessi internazionali”.

Infine ha concluso l’incontro con l’invito del vangelo di san Giovanni: “Continuate a far crescere la spiritualità della fraternità attraverso la cultura, i rapporti di lavoro, l’azione diplomatica. Portate sempre nel cuore le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: ‘Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri’. Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione”.

E domani alle ore 21.00 in piazza san Pietro ci sarà il concerto gratuito ‘Grace for the World’ con artisti di fama internazionale, tra cui Andrea Bocelli, Pharrell Williams, John Legend, Karol G. La serata sarà resa unica da uno spettacolo di 3500 droni che illumineranno il cielo sopra la cupola di san Pietro.

(Foto: Santa Sede)

L’associazionismo cattolico: mai più Hiroshima e Nagasaki

“In modo particolare, esprimo i miei sentimenti di rispetto e affetto per i sopravvissuti di hibakusha, le cui storie di perdita e sofferenza sono un appello tempestivo a tutti noi per costruire un mondo più sicuro e promuovere un clima di pace. Sebbene siano passati molti anni, le due città rimangono ricordi viventi dei profondi orrori causati dalle armi nucleari. Le loro strade, scuole e case portano ancora cicatrici (visibili e spirituali) da quel fatidico agosto del 1945. In questo contesto, mi affretto a ribadire le parole così spesso usate dal mio amato predecessore papa Francesco: La guerra è sempre una sconfitta per l’umanità”.

Così inizia il messaggio che papa Leone XIV ha inviato a mons. Shirahama, vescovo di Hiroshima, per l’80^ anniversario del lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, riprendendo un pensiero  di un sopravvissuto, il dott. Takashi Nagai, che ha lasciato scritto: questa frase: ‘’La persona dell’amore è la persona del ‘bravery’ che non porta le armi’: “In effetti, la vera pace richiede la coraggiosa deposizione di armi, specialmente quelle con il potere di provocare una catastrofe indescrivibile. Le armi nucleari offendono la nostra umanità condivisa e tradiscono anche la dignità del creato, la cui armonia siamo chiamati a salvaguardare”.

Citando ancora papa Francesco nella lettera scritta nel 2023 al vescovo di Hiroshima, papa Leone XIV ha definito Hiroshima e Nagasaki ‘simboli della memoria’: “Nel nostro tempo di crescenti tensioni e conflitti globali, Hiroshima e Nagasaki si ergono come ‘simboli della memoria’, che ci esorta a respingere l’illusione della sicurezza fondata sulla distruzione reciproca assicurata. Dobbiamo invece forgiare un’etica globale radicata nella giustizia, nella fraternità e nel bene comune”.

Oggi, mentre si celebrano gli 80 anni dal primo uso bellico del nucleare, l’atomica non è più un fungo che si leva nel cielo, ma una nuvola invisibile che penetra nel sangue e nella psiche umana, in quanto le guerre odierne (dall’Ucraina al Medio Oriente) rimettono in circolo parole come ‘arma tattica’ e ‘deterrenza’, come hanno sottolineato Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, Matteo Fadda, presidente nazionale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Francesco Scoppola e Roberta Vincini, Presidenti nazionali AGESCI, Cristiana Formosa e Gabriele Bardo, responsabili nazionali del Movimento dei Focolari Italia, e mons Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia, in un messaggio in cui chiedono al Parlamento italiano di prendere posizione contro la ‘corsa’ al riarmo:

“Nel giorno in cui il mondo ricorda con dolore e vergogna il bombardamento atomico di Hiroshima, rilanciamo con forza l’appello al Parlamento e al Governo italiano: si ratifichi il Trattato ONU sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e si prenda una posizione chiara contro la folle corsa al riarmo in atto nel nostro tempo”.

Il Trattato, entrato in vigore il 22 gennaio 2021, è una “svolta storica nella costruzione di un ordine mondiale fondato non sulla deterrenza della distruzione, ma sulla responsabilità condivisa, sul diritto internazionale e sul primato della vita umana”.

Per questo le associazioni richiamano il pensiero di pace di papa Francesco e papa Leone XIV: “Papa Francesco aveva affermato con chiarezza che è immorale non solo l’uso, ma anche il possesso e la produzione delle armi nucleari. Anche papa Leone XIV ha recentemente rimarcato che ‘la prospettiva di una rinnovata corsa agli armamenti e lo sviluppo di nuove armi, incluse quelle nucleari, la scarsa considerazione degli effetti nefasti della crisi climatica in corso e le profonde disuguaglianze economiche rendono sempre più impegnative le sfide del presente e del futuro’”.

E mettono in guardia coloro che ancora ‘gioca’ sulla deterrenza’: “La logica della deterrenza non garantisce la pace, ma perpetua il pericolo. E’ una logica antica, che oggi mostra tutta la sua inadeguatezza di fronte alle sfide globali, alle interdipendenze planetarie, alla necessità di salvare l’umanità dalla distruzione ecologica e nucleare”.

Per questo le associazioni cattoliche chiedono all’Italia di prendere posizione contro il riarmo nucleare: “L’Italia, Paese che ha fatto della pace un principio costituzionale e un tratto distintivo della sua presenza internazionale, faccia una scelta coraggiosa e lungimirante: aderire al TPNW, schierarsi per il disarmo nucleare, investire nella diplomazia, nella cooperazione e nella sicurezza condivisa. L’alternativa si chiama complicità e, di certo, porta ad un mondo meno sicuro, ad un futuro meno rispettoso della dignità umana”.

L’adesione a questo trattato dell’ONU per le associazioni è un chiaro messaggio di pace al mondo: “In un tempo in cui la guerra sta interessando direttamente l’Europa e il vicino Oriente, con la sua scia di orrori e di distruzioni, ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari, come da anni chiediamo in sintonia con la Campagna ‘Italia, ripensaci!’, rappresenterebbe un forte messaggio di pace e un preciso invito, rivolto anche agli altri paesi Nato, ad abbandonare la logica della deterrenza nucleare”.

Il messaggio si chiude con l’invito alla politica alla responsabilità di mettere al bando le armi nucleari: “Questo è il tempo della responsabilità. Questo è il tempo di dire: mai più Hiroshima. Mai più armi nucleari”.

La speranza certa nel buio della storia

Venerdì 20 giugno papa Leone XIV ha approvato il riconoscimento del martirio di un gruppo di Frati Minori, tra cui fr. Louis Paraire, morto il 26 aprile 1945 sull’infernale treno della morte. È il riconoscimento di una testimonianza che ha attraversato l’abisso del male nazista per emergere come luce di fraternità cristiana.

La storia che oggi la Chiesa onora è stata raccontata da Eloi Leclerc, frate minore sopravvissuto ai lager di Buchenwald e Dachau. Durante il trasporto su un treno scoperto che per 28 giorni viaggiò da Buchenwald verso Dachau, accadde qualcosa di miracoloso: alcuni frati, presi da grazia sovrannaturale, iniziarono a intonare con voci quasi impercettibili il Cantico delle Creature di San Francesco.

Tra quei frati agonizzanti c’era fr. Louis Paraire, la cui morte è oggi riconosciuta come martirio. Soprattutto c’era Eloi Leclerc che, sopravvissuto, testimoniò per tutta la vita quella ‘speranza certa’ che li sostenne nelle tenebre. La sua testimonianza vive nel celebre ‘La sapienza di un povero’.

Se ci fu una speranza certa in quell’inferno, allora tutto cambia. La testimonianza di questi frati dimostra che nemmeno la macchina di morte nazista riuscì a spegnere il canto della creazione. Come scrisse Leclerc: ‘Nel mezzo dell’inferno irruppe qualcosa dal cielo’.

La coincidenza temporale rende questo riconoscimento provvidenziale: siamo nel Centenario del Cantico delle Creature – quello stesso cantico che risuonò tra le lamiere del treno della morte – e nel Giubileo della Speranza. Non è forse un segno che Dio scrive la storia anche attraverso le coincidenze?

L’esperienza di Leclerc si è rivelata decisiva per la riscoperta delle fonti francescane. È dimostrato che fu un tassello importante per la redazione delle fonti francescane in francese e da lì in altre lingue. La sofferenza estrema, invece di distruggere la tradizione spirituale francescana, l’ha purificata e rilanciata.

Qual è il valore per noi oggi? In un mondo che precipita verso nuove barbarie (guerre, persecuzioni, schiavitù) la testimonianza di fr. Louis Paraire e degli altri martiri ci ricorda che la speranza cristiana non è vago ottimismo, ma certezza fondata sulla vittoria di Cristo sulla morte.

Quando intonarono il Cantico in quel vagone piombato, non facevano estetica spirituale, ma compivano un atto di resistenza evangelica al male. Affermavano che ‘tutte le creature’ (anche quelle sofferenti, in agonia) partecipano della bellezza di Dio e nessuna ideologia della morte può cancellare questa verità.

Nel Giubileo della Speranza, fr. Louis Paraire e i suoi compagni diventano intercessori per tutti coloro che (sono tanti anche oggi) attraversano prove insuperabili. La loro testimonianza ci assicura che, anche nei momenti più bui, la speranza cristiana rimane ‘certa e affidabile’. Perché è fondata sulla fedeltà di Dio che non abbandona mai i suoi figli, nemmeno sui treni della morte.

La grazia particolare di questo riconoscimento ci ricorda che il cristianesimo non è filosofia facile, ma forza di resurrezione che resiste al male e che nessuna potenza terrena riuscirà mai a spegnere definitivamente.

‘Il canto delle sorgenti’ è un libro che ho letto recentemente, un commento al ‘Cantico di Frate Sole’ di Fra’ Eloie Leclerc  morto nel maggio del 2017 all’età di 95 anni, uno dei più importanti studiosi di San Francesco d’Assisi, autore anche del libro ‘La sapienza di un povero’. Fra’ Eloie Leclerc  nasce il 24 Giugno del 1921 a Landernau, in Bretagna e studia nel collegio francescano di Fontenay-sous-Bois. Entra al noviziato francescano di Amiens nel 1939 dove sceglie il nome di Eloie, (il suo nome di battesimo era Henri) e fa la sua prima professione religiosa nel dicembre del 1940 a Quinper, antica capitale storica della Cornovaglia. Nel giugno del 1940 la Francia viene occupata dai nazisti e fra’ Eloie, nel settembre del 1943 è mandato in Germania, obbligato al lavoro come magazziniere nella stazione ferroviaria di Colonia. La Gestapo lo arresta nel luglio del 1944 insieme ad altri sessanta seminaristi, sacerdoti e religiosi, con l’accusa di propaganda anti-nazista.

E’ mandato nel campo di concentramento di Buchenwald che viene evacuato nell’aprile del 1945 a causa dell’avvicinamento degli eserciti alleati. Dopo averli fatti camminare a piedi fino alla stazione ferroviaria di Weimar, i prigionieri vengono portati a Dachau, fatti salire in un treno merci dove centinaia di prigionieri muoiono per gli stenti e i soprusi dei nazisti. fra’ Eloie sopravvive al viaggio e il giorno dopo il suo arrivo a Dachau, il 29 Aprile 1945, è liberato insieme agli altri sopravvissuti dall’esercito americano.

Queste semplici note biografiche per introdurre alcuni passi del libro ‘Il canto delle sorgenti’, parole che non hanno bisogno di commento ma che ci fanno entrare perfettamente nel cuore di san Francesco, in ciò che viveva nel momento in cui compose, già cieco e prossimo alla morte, ‘Il Cantico di frate sole’ :

“Abbiamo viaggiato tutto il giorno. Stasera il treno si è fermato in una stazioncina… Il ponte della ferrovia sopra il Danubio è stato tagliato. Siamo condannati a restare fermi lì, su un binario morto, per parecchi giorni, sei per la precisione. Giornate lunghe e terribili. Per colmo di sventura, al bel tempo succede la pioggia. Cade fredda ed insistente per tre notti e tre giorni. Siamo intirizziti dal freddo. Non c’è nulla di caldo, naturalmente, da mandar giù. Alcuni di noi, tornando dopo aver portato via i morti, sono riusciti lungo i binari a raccattare qualche pezzo di assi e qualche mattone. Sui mattoni, dentro il vagone accendiamo una specie di fuoco.

E ci stringiamo tutti attorno per asciugarci e scaldarci. Ma la fiamma è troppo esile e gli scheletri non scaldano. I giorni passano per la maggior parte senza mangiare nulla. Dobbiamo accontentarci di qualche foglia di radicchio strappato in fretta sul bordo dei binari al ritorno di aver portato via i morti. I morti! Ce ne sono sempre di più. Molti compagni muoiono di dissenteria, molti di sfinimento. I cadaveri a volte rimangono tutto il giorno nei vagoni bagnati, nelle pozzanghere che si sono formate sul pavimento. L’eccesso di sofferenza ci mette un’angoscia estrema. Siamo migliaia di uomini consegnati alla fame , al freddo, ai vermi e alla morte.

L’uomo è schiacciato fino in fondo, l’uomo che credevamo fatto ad immagine di Dio, ci appare come un essere senza valore, senza alcun appoggio, senza speranza… E davanti a noi si apre un vuoto immenso: quello del non senso dell’uomo e dell’inesistenza di Dio. Fra i cadaveri stesi nelle pozzanghere con gli occhi stravolti c’è un compagno, un amico. Una realtà dalla quale il Padre è assente! E’un’esperienza atroce. Laddove il Padre è assente il Figlio entra in agonia. L’agonia del Figlio è sempre il silenzio del Padre. E dove trovare la minima traccia del Padre in questo inferno? Allora comprendiamo sul serio le parole: ‘La mia anima è triste fino alla morte’. Nell’anima è notte.

Eppure quando la mattina del 26 Aprile, uno di noi frati si trova alla fine e la luce del suo sguardo ci ha già quasi lasciati, non è un grido di disperazione o di  rivolta a salirci dal cuore alle labbra ma un canto e, un canto di lode: il Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi! E non abbiamo neppure bisogno di sforzarci per cantarlo. Il canto sgorga spontaneo dalla notte e dall’annientamento in cui siamo come l’unico linguaggio che sia all’altezza dell’evento. Ma cosa ci spinge, in circostanze del genere a lodare Dio per la grande fraternità cosmica?

Nel nostro smarrimento quello che resta e continua ad avere ai nostri occhi valore inestimabile, è il gesto di pazienza e di amicizia testimoniato da un compagno o dall’altro. Il gesto di qualcuno, sommerso come noi dall’angoscia e dalla sofferenza, è come il raggio di luce che miracolosamente attraversa il fondo tenebroso della nostra miseria. Ti ridà un volto, ti ricrea: d’ un tratto sappiamo di nuovo di essere uomini. E il gesto di cui sei l’oggetto  lo puoi fare tu a tua volta, opponendo così al regno brutale del male una libertà ed un amore testimoni di un’altra realtà. Anche se non del tutto, in questo mondo brilla ancora la carità divina.

L’uomo fraterno è il testimone del Padre, chi lo vede vede il Padre. E poi… c’è un’esperienza stupita del mondo e del sacro nel mondo che può essere fatta soltanto nell’estrema nudità del corpo e dell’anima… E quel vasto cielo terso, così luminoso e puro sopra le nostre teste! Tutte le umili cose che ci restano da contemplare sul fondo del nostro vagone non sono solo un caso…ma parlano dolcemente all’anima. Da dove vengono la limpidezza e la purezza e l’innocenza che, attraverso le cose, ci afferrano all’improvviso? Da dove vengono la limpidezza e lo splendore del mondo che percepiamo solo nella massima povertà? L’innocenza delle cose! Possiamo sorriderne. Si tratta tuttavia di una esperienza innegabile”.

Occorre avere in sè una parte di caos per partorire una stella danzante” come diceva Nietzeche. Quanto al caos non ci manca, è tutto attorno a noi, in noi, tutto è devastato. La storia è passata sulle nostre vite come un ciclone. Ed ecco che sopra questo cumulo di rovine, brilla la grande stella della sera della Povertà…L’uomo nulla può contro la Fonte di purezza e di innocenza, non vengono da noi, affiorano in noi ma non è certo il nostro sguardo a crearle sono invece loro a ricreare in noi lo sguardo del bambino, lo ricreano quando siamo abbastanza poveri per accoglierle.

Il cristiano ritrova lo sguardo del bambino sempre e solo all’ombra della Crocifissione, alla fine del viaggio. Uno sguardo spogliato fino a quel punto, esprime una immensa volontà di pace e di misericordia… e nonostante la potenza apparente del male, quello sguardo è più forte. E’ capace di sconfiggere la più mostruosa fabbrica di barbarie. Nell’infuriare della storia un tale sguardo esprime già l’ultima parola. E non è ancora abbastanza. La canta. Era questo lo sguardo che una mattina di aprile da qualche parte nella Germania ci faceva cantare attorno al nostro fratello agonizzante. Cantare il Sole e le stelle, il vento e l’acqua, il fuoco e la terra e anche ‘quelli Ke perdonano per lo Tuo amore’…

Quando morì leggero, in cielo non ci fu nessun volo di allodole ma una pace soprannaturale aveva preso posto nei nostri cuori. La sera portammo fuori il suo corpo sotto i colpi delle SS che pensavano non facessimo abbastanza in fretta. Fu l’ultimo morto del nostro vagone”.                                            

Da ‘Il canto delle sorgenti’ di Fra’ Eloie Leclerc

Ragazzi con disabilità: Juppiter, la carovana europea ‘Back Home’

Ad inizio giugno ha preso il via da Roma con destinazione Londra, ‘Back Home’, la carovana europea promossa da Juppiter, fondata da Salvatore Regoli, in occasione del Giubileo della speranza. Dopo l’esperienza di ‘Destinazione Capo Nord’, quindi da Londra il gruppo torna in cammino, attraversando l’Europa fino a Roma lungo l’antico tracciato della via Francigena. Un percorso simbolico di oltre 3.000 chilometri che parla di pace, bellezza, fraternità, libertà e uguaglianza.

Scortati da una Lamborghini Urus della Polizia di Stato, con a bordo un medico specializzato e due agenti della Stradale, stanno attraversando il cuore dell’Europa da nord a sud, toccando Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia, con soste significative in 18 città e 3 capitali europee, come ha sottolineato il presidente dell’associazione, Salvatori Regoli: “Abbiamo sempre pensato che fossero i più forti ad aiutare i più fragili. In questo viaggio è vero il contrario: sono proprio le fragilità a diventare la guida per tutti. Il rovesciamento di prospettiva è il cuore di Back Home: non siamo noi a portare loro, ma loro a portare noi. E’ un invito a guardare il mondo con occhi nuovi, dove la diversità non è qualcosa da colmare, ma un dono da accogliere”, ha concluso Salvatore Regoli, presidente dell’Associazione Juppiter.

Due gli ambasciatori italiani che i ragazzi hanno incontrato: a Londra ed a Parigi, grazie alla collaborazione del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale ed al ministro Antonio Tajani, che ha ospitato alla Farnesina la presentazione della carovana. Cinque ragazzi con diverse abilità saranno il cuore pulsante di questo viaggio: in un sorprendente rovesciamento di prospettiva, saranno infatti loro a prendersi cura di quattro adolescenti tra i 12 e i 18 anni.

Un cammino in cui la fragilità non è un limite, ma una risorsa educativa, una chiave per la scoperta e la crescita reciproca. ‘Back Home’ è un pellegrinaggio che vuole parlare ai giovani e alle comunità ed ogni tappa è occasione di incontro, dialogo e riflessione, come ha ricordato don Antonio Mazzi, il fondatore di Exodus, dalla quale l’associazione trae ispirazione: “I giovani hanno bisogno di vivere avventure positive: un cammino che trasforma la fragilità in risorsa e l’esperienza in crescita”. L’iniziativa si svolge sotto l’alto patrocinio del Parlamento europeo e coinvolge numerose istituzioni pubbliche e private. Un viaggio che è molto più di un attraversamento geografico: è un ritorno alle radici, un invito a riscoprire l’Europa della solidarietà e della speranza.

Mentre nelle settimane precedenti era stato presentato il docufilm ‘Nella Tana del Sole – La Carovana di Destinazione Capo Nord’, che ha raccontato un viaggio straordinario: una carovana di 39 persone composta da adolescenti, ragazzi diversamente abili, educatori e comunicatori, autieri ed una equipe medica della polizia di stato ha attraversato l’Europa da Civita di Bagnoregio fino a Capo Nord. Un percorso di 5000 km in auto 100 km a piedi e 190 miglia nautiche, partito da Civita di Bagnoregio.

Al presidente dell’associazione ‘Juppiter’, Salvatore Regoli, abbiamo chiesto di raccontare l’idea di questo docufilm: “Il docufilm nasce con l’intento di raccontare il lungo viaggio dei ragazzi speciali e degli adolescenti di Juppiter da Civita di Bagnoregio a Capo Nord. Con la voglia di dimostrare che, come abbiamo scritto sui titoli di coda ‘Se puoi sognarlo, puoi farlo’. Durante questa avventura, la carovana ha catturato paesaggi, storie e tradizioni locali attraverso fotografie e riprese video, che sono stati poi utilizzati per realizzare il docufilm, che è stato presentato ufficialmente nelle scorse settimane alla Camera dei Deputati, e poi è stato diffuso nelle scuole del Lazio e di alcune città italiane, perché questo messaggio di speranza potesse arrivare ad un alto numero di giovani”.

Per quale motivo si intitola ‘Nella tana del sole’?

“Il titolo richiama il fatto che, in Scandinavia, durante l’estate il sole non tramonta mai, creando

un’atmosfera di luce perenne, strana e suggestiva. Il fatto di essere arrivati lì, nella tana del sole, dove non ci sono distinzioni di età, sesso, nazionalità, estrazione sociale, talenti o disabilità. Per il sole siamo tutti uguali e per noi il sole è uno. L’idea di essere ‘nella tana del sole’ ci ha permesso di attraversare non solo i confini fisici di un territorio, ma anche quelli interiori di ognuno di noi”.

Quale è stato il motivo di attraversare l’Europa fino a Capo Nord?

“Destinazione Capo Nord nasce dal sogno di uno dei nostri ragazzi speciali che un giorno, come fanno i bambini, ci ha chiesto ‘mi porti a Capo Nord?’ Dalla follia iniziale il sogno ha preso forma grazie alla collaborazione dell’associazione ‘Sport e Comunità’, all’Associazione Nazionale Autieri d’Italia che ha accompagnato guidando le vetture, alla concessionaria Audi L’Automobile Roma che ha messo a disposizione i mezzi, alla Polizia di Stato che ha scortato tutta la carovana con un equipaggio medico e una Lamborghini Urus ed ai tanti sostenitori istituzionali e privati…

Così Capo Nord è diventato molto più di una semplice destinazione: un simbolo ricco di significato, un viaggio che va oltre l’esplorazione dei luoghi per diventare un racconto di incontri, scoperte interiori e crescita personale. La strada ci ha cambiati, si è aperta nelle storie e nei volti di coloro che l’hanno vissuta, un percorso fatto di bellezza e fragilità. Un gruppo di persone, animato da coraggio e fragilità, si è messo in cammino verso il Nord per esplorare soprattutto le emozioni ed i mondi interiori di ciascuno”.

Per quale motivo questo viaggio si chiama ‘Back Home’?

“Back Home rappresenta il nostro ritorno a casa, ma anche ritorno alla nostra umanità. Dopo aver

raggiunto Capo Nord, torniamo indietro, per tornare in noi. E’ un viaggio di rientro che diventa anche un’occasione di condivisione e di crescita; nell’anno del Giubileo, ripercorriamo la via Francigena da Canterbury (prima tappa Londra) a Roma, per arrivare il 27 giugno al Quirinale, accolti dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il titolo sottolinea quindi il valore del ritorno, non solo fisico ma anche simbolico, a casa, in noi stessi”.

Allora, cosa vuol dire essere ‘pellegrini di speranza’?

“Pellegrini di speranza richiama il titolo del Giubileo e racchiude diversi significati simbolici e spirituali. Per l’associazione ‘Juppiter’ si collega alla speranza nascosta in ogni ragazzo speciale, in ogni adolescente, di essere testimoni ed ambasciatori di una umanità migliore, che si incontra per strada, si abbraccia, si arricchisce dello scambio reciproco”.

Al termine del colloquio il presidente Regoli ci spiega la scelta del nome ‘Juppiter’: “E’ il nome di una famosa sinfonia di Mozart, la numero 41. Una sinfonia è una composizione musicale per orchestra, solitamente di grandi dimensioni, è un insieme di suoni diversi dunque… Così è ‘Juppiter’, un insieme di persone che da 33 anni si sono succedute, sono cambiate, incontrando altre persone e costruendo sogni che sembravano folli. Partendo dalla musica, visto che io sono un musicista e direttore d’orchestra. Oggi Juppiter conta 15 sedi nel Lazio tra centri giovanili, case

famiglia per ragazzi speciali, scuole di musica, progetti con le scuole, con gli adolescenti, progetti culturali e sociali, declinando l’educazione attraverso quattro linguaggi, che sono le quattro ‘ruote’ di don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus e nostro ispiratore: musica, sport, comunicazione e gratuità”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Leone XIV invita a coltivare la fraternità nella fede

“Carissimi formatori, carissimi fratelli Saveriani, sono contento di incontrarvi al termine di due momenti importanti che avete vissuto qui a Roma: il Corso per formatori nei Seminari, promosso ormai da tanti anni dal Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e il Capitolo Generale, al quale alcuni hanno partecipato come delegati”: con questo inizio papa Leone XIV ha incontrato i formatori del Corso di Formazione organizzato dall’Ateneo pontificio Regina Apostolorum ed i partecipanti al capitolo generale dei fratelli saveriani ed esorta al dinamismo della missione offrendo tre indicazioni: vivere l’intimità con Cristo, sperimentare la fraternità e condividere la missione con tutti i battezzati.

Anche se sono due ‘realtà’ diverse, il papa ha comunque trovato un comune denominatore: “Si tratta certamente di due occasioni diverse tra di loro, eppure possiamo cogliere un filo conduttore che le unisce perché, in modo diverso, siamo chiamati a entrare nel dinamismo della missione e ad affrontare le sfide dell’evangelizzazione. Questa chiamata esige da tutti, ministri ordinati e fedeli laici, una formazione solida e integrale, che non si riduce solo ad alcune competenze conoscitive, ma che deve mirare a trasformare la nostra umanità e la nostra spiritualità perché assumano la forma del Vangelo, e in noi si facciano spazio ‘gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù’.

A voi formatori, a coloro che si prendono cura della formazione dei formatori e a voi fratelli Saveriani impegnati in modo particolare nella missione ad gentes, vorrei allora offrire qualche spunto di riflessione”.

Quindi è stato un invito a coltivare l’amicizia con Gesù: “Questo è il fondamento della casa, che deve essere messo al centro di ogni vocazione e missione apostolica. Occorre vivere in prima persona l’esperienza dell’intimità con il Maestro, l’essere stati guardati, amati e scelti da Lui senza merito e per pura grazia, perché è anzitutto questa nostra esperienza che poi trasmettiamo nel ministero: quando formiamo altri alla vita sacerdotale e quando, nella nostra specifica vocazione, annunciamo il Vangelo nelle terre di missione, per prima cosa trasmettiamo la nostra personale esperienza di amicizia con Cristo, che traspare dal nostro modo di essere, dal nostro stile, dalla nostra umanità, da come siamo capaci di vivere buone relazioni”.

Ed ecco la fraternità vissuta: “Questo implica un continuo cammino di conversione. I formatori e coloro che si occupano di loro non devono dimenticare di essere loro stessi in un cammino di permanente conversione evangelica; i missionari, allo stesso tempo, non devono dimenticare di essere sempre i primi destinatari del Vangelo, i primi a dover essere evangelizzati.

E ciò significa un lavoro costante su se stessi, l’impegno di scendere nel proprio cuore e di guardare anche le zone d’ombra e le ferite che ci segnano, il coraggio di lasciar cadere, coltivando l’intima amicizia con Cristo, le nostre maschere…

In questo senso, è necessario imparare a vivere come fratelli tra sacerdoti, così come nelle Comunità Religiose e con i propri Vescovi e Superiori; bisogna lavorare molto su se stessi per vincere l’individualismo e la smania di superare gli altri, che ci fa diventare concorrenti, per imparare a costruire gradualmente relazioni umane e spirituali buone e fraterne. In linea di principio, penso, sono tutti d’accordo su questo, ma nella realtà c’è ancora tanta strada da fare”.

Infine l’invito a condividere la missione con tutti i battezzati come nei primi secoli della Chiesa: “Oggi sentiamo con forza di dover tornare a questa partecipazione di tutti i battezzati alla testimonianza e all’annuncio del Vangelo. Nelle terre in cui voi fratelli Saveriani, portate avanti la missione, certamente avrete toccato con mano quanto sia importante lavorare insieme alle sorelle e ai fratelli di quelle Comunità cristiane; allo stesso tempo, ai formatori vorrei dire che bisogna formare i presbiteri a questo, a non pensarsi come condottieri solitari, a non assumere il sacerdozio ordinato nella prospettiva del sentirsi superiori.

Abbiamo bisogno di preti capaci di discernere e riconoscere in tutti la grazia del Battesimo e i carismi che ne scaturiscono, magari anche aiutando le persone ad aprirsi a questi doni, per trovare il coraggio e l’entusiasmo di impegnarsi nella vita della Chiesa e nella società. Concretamente ciò significa che la preparazione dei futuri sacerdoti dovrà essere sempre più immersa nella realtà del Popolo di Dio e svolta con l’apporto di tutti i suoi componenti: sacerdoti, laici e consacrati, uomini e donne”.

Ugualmente in un messaggio ai catechisti vietnamiti ha proposto il beato Andrew, protomartire della Chiesa vietnamita e patrono dei catechisti: “In Vietnam, la Chiesa è piena di catechisti devoti (laici e laiche, la maggior parte giovani) che ogni settimana insegnano la fede i bambini e ad adolescenti. Di fatto, ci sono oltre 64.000 catechisti dentro e fuori il vostro Paese. Questo vasto gruppo di educatori della fede è parte fondamentale della vita parrocchiale.

Sono grato per la vostra generosità, a ciascuno di voi. Non sottovalutate mai il dono che siete: con il vostro insegnamento e il vostro esempio, attirate bambini e giovani all’amicizia con Gesù. Siete inviati dalla Chiesa per essere segni viventi dell’amore di Dio: umili servitori come il beato Andrea, colmi di zelo missionario. La Chiesa gioisce in voi e vi incoraggia a camminare con gioia in questa nobile missione”.

Il beato Andrew è stato ucciso per la fedeltà a Gesù: “Si dice che mentre era in prigione, Andrea incoraggiava i suoi compagni cristiani a restare saldi nella loro fede e chiedeva loro di pregare affinché lui potesse rimanere fedele fino alla fine. In effetti, quel momento profondo ci ricorda che la vita cristiana, specialmente il servizio catechetico, non è mai un’impresa solitaria: noi insegniamo e la nostra comunità prega; noi testimoniamo e il Corpo di Cristo ci sostiene nella prova. Questa unità di preghiera e di servizio sottolinea l’unità della Chiesa e la pace che Cristo ci dona”.

(Foto: Santa Sede)

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