Patriarca Pizzaballa: da Gerusalemme un invito a credere alla Resurrezione

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“In questo giorno ti affidiamo, Signore, la città di Gerusalemme, prima testimone della tua Risurrezione. Manifesto viva preoccupazione per gli attacchi di questi ultimi giorni che minacciano l’auspicato clima di fiducia e di rispetto reciproco, necessario per riprendere il dialogo tra Israeliani e Palestinesi, così che la pace regni nella Città Santa e in tutta la Regione”.

Papa Francesco nella benedizione pasquale ‘Urbi et Orbi’ ha pregato per la pace in Medio Oriente e per la Terra Santa, colpita in questi giorni da violenze, come ha affermato nell’omelia odierna il patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Pierbattista Pizzaballa:

“Viviamo in un periodo segnato da violenza e morte, di profonda sfiducia, visibile nei diversi ambiti della vita sociale, politica e religiosa dei nostri Paesi. Le violenze contro i nostri luoghi e simboli cristiani sono solo una delle espressioni della violenza più diffusa che caratterizza questo nostro tempo, che è presente ovunque. Invece di cercare di costruire relazioni, prospettive comuni di crescita e sviluppo, invece di riconoscerci parte di un’unica società, promuoviamo esclusioni e rifiuti”.

Il patriarca ha evidenziato che occorre trovare una via che non sia divisiva: “La politica, anziché sforzarsi di cercare vie di unità e il bene comune, sembra volerci fare precipitare in un vortice di sempre maggiore divisione, su tutto: tra israeliani da una parte e palestinesi dall’altra, ma anche tra israeliani fra loro e palestinesi tra loro, ed è sempre più incapace di una visione che crei prospettive e futuro.

Anche a livello religioso il sospetto, gli stereotipi e i pregiudizi sembrano avere la voce più potente, in questo momento. Credo, insomma, che si possa dire che non sappiamo davvero amarci e proprio per questo stiamo vivendo un tempo alquanto deprimente sotto molti punti di vista”.

Mons. Pizzaballa, ad inizio omelia, ha sottolineato che le donne non avevano del tutto creduto ad una tragica fine di Gesù: “Maria di Magdala, infatti, non attende le luci dell’alba per andare al sepolcro di Gesù. E’ ancora buio, ma si mette in moto per andare da Lui.

Non si rassegna all’assenza del Maestro, vuole trovare un modo per stare ancora con Lui. Anche i discepoli, Pietro e Giovanni, non si sono dispersi. Maria di Magdala corre da loro, perché tra loro c’era ancora un legame. E alla notizia che il corpo di Gesù era stato portato via, corrono anche loro al sepolcro, sconcertati.

Hanno ancora a cuore il destino di Gesù, nonostante la Sua morte. Sono chiusi nel Cenacolo, frustrati e spaventati, ma non se ne sono andati, non si rassegnano a credere che la loro scommessa su Gesù sia davvero fallita. Per quanto tenue, c’è ancora un filo che li tiene uniti a Gesù e tra loro. Non sanno in che cosa sperare, ma allo stesso tempo non si decidono ancora ad abbandonare tutto. Alla notizia della Maddalena, dunque, corrono, sono impazienti di capire”.

Il legame tra Gesù e gli apostoli è l’amore: “L’amore ha una potenza creatrice. E’ il solo baluardo in grado di fermare il potere della paura, della morte e dei suoi pungiglioni e di generare vita. La Pasqua, prima ancora che essere la parola definitiva di vita, che Dio pronuncia sul mondo, è l’annuncio di un amore che salva, che perdona, che ricrea nei nostri cuori aridi e affaticati, nuova vita e che non conosce nessuna morte.

Ma non parliamo qui di un amore solamente umano, bensì dell’amore di Dio. E’ quell’amore che ha risuscitato Gesù con la potenza dello Spirito, quello stesso amore riversato anche nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, e che continua ancora ad operare in noi e nel mondo”.

Quindi in un mondo bisognoso di amore l’invito del patriarca è quello di recarsi al Sepolcro per sperimentare la riconciliazione attraverso il perdono: “Abbiamo bisogno di riascoltare quella Parola che risvegli nel nostro cuore quell’amore che ci ha generati alla vita e alla fede.

Come i discepoli Pietro e Giovanni, abbiamo bisogno di ravvivare in noi quell’amore che ci spinga a correre verso il Sepolcro, ad avere il coraggio di riprendere i fili di relazioni spezzate, di sanare amicizie ferite, di dare fiducia nonostante i tradimenti, di sperimentare la forza risanatrice del perdono, di creare contesti di bellezza e di serenità, di guarire il nostro cuore da sentimenti di odio e rancore, di generare fiducia, desiderio e passione”.

E nella veglia pasquale il patriarca ha sottolineato che il sepolcro ha segnato un’inversione di ‘marcia’: “Ecco, dunque, l’inversione di marcia: se prima le donne erano in cammino verso il sepolcro, ora si lasciano il sepolcro alle spalle, e ritornano alla vita. Se prima l’umanità tutta, insieme alle donne, era in cammino verso la morte, ora è il contrario: da lì, dalla morte sconfitta, l’umanità riparte, in cammino verso la vita.

Il Vangelo, però, indica anche una condizione, un passaggio che renda possibile questa nuova nascita…  Si tratta, cioè, di stare, senza fuggire, nel luogo della morte, sul luogo del fallimento, dell’impossibilità della vita. Ancora di più, si tratta di fare ciò che l’angelo chiede alle donne, ovvero di affacciarsi su quel nulla, su quel sepolcro vuoto, di guardarlo bene, di entrare dentro quell’abisso che decreta il fallimento della vita, della Promessa di Dio”.

(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)

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