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A Rondine Cittadella della Pace la Cappellina del borgo, Chiesa giubilare nel segno dell’accoglienza e della fratellanza

L’ultima porta del Giubileo non si apre, si spalanca di scatto sul mondo. “Quando siamo arrivati in questa chiesa era crollato il tetto e si vedeva il cielo” racconta Franco Vaccari, il presidente di Rondine. Giovedì sera quella navata semplice della Cittadella ha raccolto oltre cento persone, tutte le autorità dal Questore al Prefetto al Consiglio regionale e la Provincia, fino ai vertici delle forze dell’ordine, e ben quattro religioni.

‘Non disperate della misericordia di Allah! In verità, Allah perdona tutti i peccati’: è l’unico Rito giubilare che si apre con un versetto del Corano, a leggerlo è Hamza, bosniaco, laureato in teologia islamica e uno degli studenti di Rondine. Il Rito infatti è stato introdotto da una premessa laica, nell’insegna dell’inclusività, dando voce alle diverse scritture religiose. E nella direzione della speranza portano il loro contributo a ruota Noam per il mondo ebraico, Djordje dalla Bosnia per i cristiano ortodossi, Bernadette dal Mali per i cattolici. Davanti al vescovo Andrea Migliavacca, che prima ascolta i contributi di tutti, poi fa scorrere il tavolo di pietra, che scivolando sui binari diventa un altare.

Rondine è l’ultimo dei luoghi giubilari ad aprire l’Anno Santo: ‘E’ stata la grande scommessa del Vescovo e noi lo ringraziamo di cuore’ ripete Vaccari. La scommessa di una sede giubilare nella quale si incrociano storie e spiritualità diverse. E che trovano in quella chiesa un punto di riferimento. La Chiesa giubilare è la Cappellina a fianco ma la folla si raccoglie nella chiesa. Intorno al ‘tavolo del nemico’, il luogo fisico dove palestinesi e israeliani, russi e ucraini si scoprono amici, che diventa una mensa comune.

Religioni diverse, lo stesso afflato alla spiritualità: nel rito tanti momenti portano all’abbraccio, alla stretta di mano, alla preghiera per il papa ma anche per i patriarchi e i vertici delle varie fedi. Davanti ai rappresentanti della Verna e di Camaldoli. Da La Verna un frate porta la Lampada del Giubileo, custodita fino a quel momento nella Cappella delle Reliquie del Santuario. Una cesta bianca raccoglie le letture, le poesie e le testimonianze dei ragazzi, minuti di silenzio consentono a tutti di pregare secondo la propria tradizione.

‘Abbiamo anche noi cristiani un messaggio da portare al mondo di oggi’ riparte il Vescovo Andrea Migliavacca. Domanda e risponde, mette al centro il messaggio della speranza e della fraternità, sulla linea del Giubileo e sulla linea di quell’ultima Porta santa aperta nella diocesi: ‘Devo sparare

alla persona che ho abbracciato ieri?’. Adelina è kosovara, legge una poesia elaborata insieme agli altri ragazzi, si stringe al colore di quella felpa che accomuna chiunque arrivi dai quattro angoli del mondo. Ora l’ultima porta è aperta, Rondine aspetta quanti vorranno attraversarla, per scoprire o per pregare nelle religioni più diverse.

(Foto: Rondine – Cittadella della Pace)

Papa Francesco ai diaconi: perdono essenziale nella vita

“Cari fratelli Diaconi, voi vi dedicate all’annuncio della Parola e al servizio della carità; svolgete il vostro ministero nella Chiesa con parole e opere, portando l’amore e la misericordia di Dio a tutti. Vi esorto a continuare con gioia il vostro apostolato e, come ci suggerisce il Vangelo di oggi, ad essere segno di un amore che abbraccia tutti, che trasforma il male in bene e genera un mondo fraterno. Non abbiate paura di rischiare l’amore!”: anche oggi è stato pubblicato il testo preparato da papa Francesco per l’Angelus di questa domenica, al termine della celebrazione eucaristica del Giubileo dei Diaconi.

Nel testo papa Francesco ha ringraziato per l’affetto ricevuto in questi giorni di ricovero: “Da parte mia, proseguo fiducioso il ricovero al Policlinico Gemelli, portando avanti le cure necessarie; e anche il riposo fa parte della terapia! Ringrazio di cuore i medici e gli operatori sanitari di questo Ospedale per l’attenzione che mi stanno dimostrando e per la dedizione con cui svolgono il loro servizio tra le persone malate…

In questi giorni mi sono giunti tanti messaggi di affetto e mi hanno particolarmente colpito le lettere e i disegni dei bambini. Grazie per questa vicinanza e per le preghiere di conforto che ho ricevuto da tutto il mondo! Affido tutti all’intercessione di Maria e vi chiedo di pregare per me”.

Ed infine ha chiesto di pregare per la pace nei Paesi in guerra: “Si compie domani il terzo anniversario della guerra su larga scala contro l’Ucraina: una ricorrenza dolorosa e vergognosa per l’intera umanità! Mentre rinnovo la mia vicinanza al martoriato popolo ucraino, vi invito a ricordare le vittime di tutti i conflitti armati e a pregare per il dono della pace in Palestina, in Israele e in tutto il Medio Oriente, in Myanmar, nel Kivu e in Sudan”.

Nella celebrazione eucaristica per il giubileo dei diaconi il Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, mons. Rino Fisichella, ha letto l’omelia del papa, basata su servizio disinteressato, comunione e perdono:

“L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana… Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo.

Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere (ed ad insegnare agli altri a vedere) in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto”.

L’altro punto riguarda il servizio diaconale: “Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: ‘Fate del bene e prestate senza sperarne nulla’. Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, ‘scultore’ e ‘pittore’ del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità”.

E’ stato un invito ad accogliere con la carità: “Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra… Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio”.

Ed infine l’invito ad essere fonte di comunione: “Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: ‘Ecco i nostri tesori!’

E’ così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, colle parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: ‘per noi tu sei importante’, ‘ti vogliamo bene’, ‘ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita’. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete”.

Intanto dopo la crisi di ieri, che sembra superata, il bollettino medico dice che stamattina il papa, pure essendo vigile, è in uno stato maggiore di sofferenza, ma solo i risultati delle analisi e dei controlli diranno come sta davvero.

(Foto: Santa Sede)

Assisi ricorda il Cantico delle Creature

Sabato scorso al Santuario di San Damiano di Assisi si è aperto ufficialmente l’VIII Centenario del Cantico delle creature’ alla presenza dei ministri generali del Primo Ordine e quelli del Terz’Ordine Regolare e Secolare, insieme alla Presidente della Conferenza delle Suore Francescane, presieduto da fra Francesco Piloni, Ministro Provinciale dei Frati Minori di Umbria e Sardegna. E’ seguita la lettura del testo ‘Compilazione di Assisi’ sulla composizione del Cantico al santuario di san Damiano.

La celebrazione è proseguita al Santuario della Spogliazione, dove fra Simone Calvarese, ministro provinciale dei Frati Minori cappuccini del Centro Italia ha guidato la seconda parte della preghiera con la lettura di due stralci della ‘Compilazione di Assisi’ inerenti alle ultime due strofe del Cantico, sul perdono e sulla morte.

E dopo la proclamazione del Cantico delle Creature da parte di Isabella Giovagnoli e fr. Luigi Giacometti, accompagnata dal clarinetto, i ministri Generali hanno commentato i passi del Cantico attraverso le creature che compongono la lode per cui fr. Mssimo Fusarelli, ha invitato a riflettere sulla prima creatura ‘su cui Francesco posa lo sguardo’ sul sole che ‘è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significazione’: “In queste parole troviamo una chiave di lettura che serve a capire tutto il Cantico: il sole e tutte le creature sono segno di Dio, di lui ‘portano significatione’, di lui ci parlano, se sappiamo guardarle con gli occhi giusti, illuminati dalla fede e fissi su Gesù Cristo, che è il sole di giustizia che sorge dall’alto”.

Poi fr. Tibor Kauser, ministro generale OFS ha posto l’accento su ‘sora Acqua’: la prima cosa che viene menzionata nel libro della Genesi, ancora prima della luce: quanto è preziosa, essendo stata scelta per dare spazio in alto allo Spirito di Dio! Questo stesso Spirito di Dio ha scelto noi non solo per librarsi sopra, ma per abitare in noi. Quanto sarebbe bello se potessimo correre insieme a lei e dare la vita”.

Fr. Carlos Alberto Trovarelli, ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali, ha avuto il compito di ricordare ‘ciò che sta sotto il cielo’: “L’aria, l’acqua, la madre terra e il fuoco. Francesco vede nella creazione e nelle creature l’immagine stessa del Creatore. ‘Altissimo, onnipotente, bon Signore’, aiutaci a essere sensibili al respiro della Madre Terra, ai suoi cicli vitali, all’equilibrio tra consumismo e sobrietà. Concedici di riconciliarci, come fratelli e sorelle minori, con Dio e con le creature”.

Suor Frances Marie Duncan, presidente della Conferenza francescana internazionale dei fratelli e delle sorelle del Terzo Ordine regolare, ha offerto una riflessione sulla Madre Terra “della quale Francesco ci dice che è, insieme, sorella e madre: sorella come ogni altra creatura, ma anche madre perché ella ci nutre, producendo ‘diversi frutti con coloriti flori et herba’. Lo sguardo alla terra ci richiama ai problemi della distribuzione equa di quel cibo che la terra produce. Oggi viviamo ancora in situazioni di disuguaglianza che, invece di diminuire, continuano a crescere, con i molti poveri che diventano sempre più poveri e i pochi ricchi che diventano sempre più ricchi”.

Fra Amando Trujillo Cano, ministro generale del Terz’Ordine regolare, ha introdotto la tematica del perdono: “Il Cantico non parla solo della bellezza della Natura, ma anche delle difficoltà della storia umana: se c’è una lode per il perdono, vuol dire che ci sono colpe da perdonare, come pure infermità e tribolazioni”.

Il vicario dei Frati minori Cappuccini, fra Silvio do Socorro de Almeida Pereira, ha infine gettato lo sguardo sulla realtà ultima e per noi definitiva: la morte: “Perfino per la morte Francesco può dire ‘Laudato si’ mi’ Signore’. Che cosa spiega questa attitudine di Francesco, che riesce a lodare sempre? il suo segreto è la fede in un Dio che è ‘il bene, ogni bene, il sommo bene, che solo è buono’: solo tale fede può spiegare questa lode costante, che riconosce che da Dio tutto proviene e che a Lui restituisce ogni bene, nel rendimento di grazie e nella lode”.

Infine il vescovo di Assisi – Nocera Umbra e Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino ha concluso la celebrazione ricordando che le due ultime strofe del Cantico siano state concepite in Episcopio dove Francesco era ospite del vescovo Guido II: “La fatica del perdono: comandamento difficile ma sotto lo sguardo di Francesco, avviene il miracolo. Un vescovo e un podestà che sono in lite, spingendo la città stessa ad una ennesima guerra intestina, si riabbracciano: la grazia di Dio, propiziata da Francesco, fa cose davvero straordinarie. Questo miracolo di pace è anche il grande messaggio che ispira l’intero cantico”.

Commentando la giornata di sabato scorso il ministro della Provincia dei Frati Minori di Umbria e Sardegna, fra Francesco Piloni, ha sottolineato che nel cantico francescano tutto è grazia: “Talvolta nel parlare del Cantico ci dimentichiamo di un dettaglio importantissimo ma che sta alla genesi dello scritto, e che ne svela la potenza: Francesco è cieco quando lo compone. Già malato, la sua vista esteriore ormai è scomparsa, ma la luce interiore gli fa vedere tutto come presenza, come traccia di Dio, e tutto gli rimanda il significato della presenza dell’Altissimo. Francesco vede tutto con gli occhi di Dio”.

E’ stato un invito ad essere figli della lode: “Ogni cristiano che celebra la liturgia delle ore inizia la sua preghiera con le lodi. La preghiera di lode è la preghiera di chi vuole prima di tutto riconoscere la positività della vita, il valore che va oltre ogni afflizione che ci può soffocare. La lode ci ricorda che tutto è un dono, tutto è grazia, tutto è possibilità.

Francesco ce lo dice da una condizione di infermo, in una notte tribolata, in una notte travagliata: lui passa dal travaglio alla lode, perché la lode è la potenza di una relazione da figli di Dio, certi di avere un Padre che è dalla nostra parte, ormai distanti dal veleno della negatività.

La lode ci sintonizza in modo corretto dandoci le giuste coordinate dentro il quale porci. Francesco fino all’ultimo, con tutte le fatiche degli ultimi suoi sei anni, ci racconta che noi siamo i figli della lode, che nasciamo da un Dio che quando ci guarda vede che tutto è molto buono, e loda per quelle creature che sono nate dal suo cuore innamorato”.

(Foto: OFM)

Da Pesaro in cammino per cambiare il mondo in tre azioni: perdono, remissione, pace

Perdono, debito e disarmo: queste sono state le tre tappe che hanno orientato quasi 2.000 persone arrivate a Pesaro l’ultimo giorno dello scorso anno per partecipare alla 57ª edizione della Marcia nazionale per la pace, voluto nella capitale della cultura italiana dall’arcivescovo di Pesaro e di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, mons. Sandro Salvucci, insieme alla Cei, Pax Christi, Agesci, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari, Azione Cattolica Italiana, Acli e Libera, alla presenza delle autorità civili e dei rappresentanti delle altre confessioni che hanno contribuito a questo momento ecumenico, aperto dalla fiaccola del pellegrinaggio Macerata-Loreto e da quella giunta da Betlemme. Ed a conclusione della Marcia della pace l’annuncio della prossima località ospitante la marcia: Catania.

Fra canti e meditazioni i partecipanti hanno raggiunto la cattedrale della città per la celebrazione eucaristica, presieduta da mons. Salvucci e concelebrata dai vescovi e sacerdoti presenti: “Nell’anno del Giubileo vorrei farvi una proposta: scambiamoci gli auguri di un buon anno benedicendoci a vicenda; annunceremo così il sogno di fraternità e pace del Signore. La pace è una responsabilità di tutti soprattutto in questo tempo in cui sembra che la parola guerra abbia riacquistato l’esclusiva; noi non vogliamo rassegnarci ma essere costruttori di pace”.

La marcia della pace si è articolata in tre momenti, di cui il primo ha riguardato il perdono con la testimonianza di Giorgio Pieri, responsabile del ‘Progetto Cec’ (Comunità educanti con i carcerati) dell’associazione ‘Papa Giovanni XXIII’, che ha iniziato con una frase di papa san Giovanni Paolo II (‘Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono’): “Abbiamo capito che bisogna lavorare sulla ferita e che la ferita nasce soprattutto in ambito familiare. Non tutti quelli che hanno problemi familiari vanno a finire in carcere, ma la maggioranza di quelli che sono in carcere hanno avuto problemi familiari. Quindi se si vuole costruire la pace, si deve custodire la famiglia.

Sul perdono abbiamo capito che prima di chiedere perdono alla società, le persone devono imparare a perdonare se stesse e che, come il male fisico può essere curato, così anche il male morale può essere curato. Questa è la bella notizia. Ed allora ci vogliono luoghi, comunità, che sono come ospedali da campo, come diceva il papa, dove il medico è il Signore”.

Poi è seguita la testimonianza di Antonio, un ex carcerato: “Io faccio parte delle persone che sono andate in carcere e hanno sbagliato. Ogni uomo ha una storia e molte volte il reato è solo la punta di un iceberg, perché al di sotto c’è un malessere, una ferita. Questo non giustifica il male che uno fa, ma qual è la differenza tra il carcere e la Casa in cui mi trovo?

Che nella nostra Casa si accende la fiaccola della speranza. Sant’Agostino diceva che la speranza ha due vie: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione è capire quello che non va, il coraggio è cambiarlo. Ma per cambiare occorre la comunità; io da solo non posso farlo. Io posso alzare la mano per chiedere aiuto, ma occorre qualcuno che mi aiuti a sorreggere quella mano”.

Quindi il perdono è un bene non solo per chi lo chiede, ma anche per chi lo concede, come ha raccontato la sorella di Antonio, Evelina: “Perdono non vuol dire dimenticare. Quello che è stato fatto, però, è il passato e magari può continuare a procurare ancora delle ferite, ma il perdono è guardare l’altro ed amarlo così come è.

Per perdonare, bisogna sentirsi perdonati e io mi sono sentita perdonata da Dio, perché anche io mi chiedevo che cosa avessi fatto di male per portare mio fratello a compiere un reato e mi sentivo bisognosa di perdono. Perdonare se stessi è molto più difficile che perdonare l’altro. E’ un cammino. Ma la pace solo così può essere costruita, perché la pace è un ‘per – dono’ è un dono che faccio a me, a lui e agli altri”.

Nella seconda tappa della Marcia è stato affrontato il tema del debito, tema centrale del messaggio del papa per la Giornata della pace con la testimonianza del prof. Gabriele Guzzi, docente di economia all’Università di Cassino: “L’attuale sistema economico capitalistico è il più anticristiano possibile; non punta alla remissione del debito, ma alla sua espansione.

Questo tipo di economia è volto ad accumulare cose, accumulare denaro, che sono surrogati di quel rapporto di fede, di fiducia profonda tra le persone, che non può essere solo un’esperienza spirituale, ma deve governare anche l’economia… Dobbiamo cambiare la logica che sta dietro questa economia, dobbiamo cambiare mentalità, altrimenti rimarremo alla superficie, non riusciremo a colmare il vuoto che si è creato”.

E’ stato un invito a cambiare mentalità ‘economica’, capace di condurre alla pace: “Noi dobbiamo cambiare la gerarchia di valori di questa società. Il denaro non è un elemento aggregante, ma è un elemento individualizzante ontologicamente. Disgrega tutti gli altri valori: il valore del bene, del bello, della giustizia… Io credo che si debba cambiare radicalmente il sistema monetario internazionale… L’economia non deve essere la continuazione della guerra con altri mezzi”.

Ed ecco la testimonianza di John Mpaliza, attivista congolese di ‘Peace Walking Man Foundation’: “Il Congo è il paese da cui provengono quasi tutte le materie prime di cui il mondo ha bisogno e che vengono estratte in condizioni di lavoro disumane. Io, cittadino italiano ed europeo, mi vergogno di questa situazione in cui ho perso anche familiari e che ha fatto 10.000.000 di vittime in 13 anni…

Il papa nell’enciclica ‘Laudato sì’ ha parlato del debito che abbiamo nei confronti della Madre Terra e delle nuove generazioni e dice che bisogna pagare il debito verso i paesi poveri: e quando si parla di Paesi poveri si pensa subito all’Africa. La stessa cosa l’ha detta Giovanni Paolo II nel 2000 e temo che dopo questo giubileo si continuerà a dire la stessa cosa”.

Infine nella terza tappa il tema ha riguardato il disarmo con la testimonianza di don Fabio Corazzina, aderente a ‘Pax Christi’, che ha raccontato le ‘occasioni’ di pace sorte a Brescia, città ‘armata’: “E’ nato l’OPAL (Osservatorio sulla produzione di armi leggere), che cerca di capire come si producono gli alti profitti che la Beretta sta ottenendo in questo periodo. Negli anni ’80 è stata approvata la legge 185 che chiedeva un controllo sulla produzione, su dove venivano vendute queste armi e sui sistemi bancari di pagamento. Ma questa legge è stata pian piano disattesa”.

Ed ecco, al termine di questa marcia della pace, la risonanza della frase di mons. Tonino Bello come incoraggiamento al popolo della pace: “Don Tonino Bello diceva: se vuoi cambiare il mondo, devi saper coniugare tre verbi: denunciare, annunciare, sacrificare”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco ribadisce la necessità della pace

Questa notte si è rinnovato il mistero che non cessa di stupirci e di commuoverci: la Vergine Maria ha dato alla luce Gesù, il Figlio di Dio, lo ha avvolto in fasce e lo ha deposto in una mangiatoia. Così lo hanno trovato i pastori di Betlemme, pieni di gioia, mentre gli angeli cantavano: ‘Gloria a Dio e pace agli uomini’. Pace agli uomini”: nella benedizione natalizia ‘Urbi et Orbi’ papa Francesco ha di nuovo sottolineato la necessità di riconciliazione e di pace, dopo aver aperto, ieri, la Porta santa.

Lo ha fatto ribadendo la necessità del perdono, che si rinnova grazie alla nascita di Gesù: “Sì, questo avvenimento, accaduto più di duemila anni fa, si rinnova per opera dello Spirito Santo, lo stesso Spirito d’Amore e di Vita che fecondò il grembo di Maria e dalla sua carne umana formò Gesù. E così oggi, nel travaglio di questo nostro tempo, si incarna nuovamente e realmente la Parola eterna di salvezza, che dice ad ogni uomo e ogni donna, che dice al mondo intero (questo è il messaggio): ‘Io ti amo, io ti perdono, ritorna a me, la porta del mio cuore è aperta per te!’

Sorelle, fratelli, la porta del cuore di Dio è sempre aperta, ritorniamo a Lui! Ritorniamo al cuore che ci ama e ci perdona! Lasciamoci perdonare da Lui, lasciamoci riconciliare con Lui! Dio perdona sempre! Dio perdona tutto. Lasciamoci perdonare da Lui”.

L’appello è stato quello di non avere paura, quello stesso che ad inizio pontificato ‘gridò’ san Giovanni Paolo II: “Questo significa la Porta Santa del Giubileo, che ieri sera ho aperto qui a San Pietro: rappresenta Gesù, Porta di salvezza aperta per tutti. Gesù è la Porta; è la Porta che il Padre misericordioso ha aperto in mezzo al mondo, in mezzo alla storia, perché tutti possiamo ritornare a Lui. Tutti siamo come pecore smarrite e abbiamo bisogno di un Pastore e di una Porta per ritornare alla casa del Padre. Gesù è il Pastore, Gesù è la Porta. Fratelli, sorelle, non abbiate paura!”

E’ stato un invito a ‘lasciarsi’ riconciliare: “La Porta è aperta, la Porta è spalancata! Non è necessario bussare alla Porta. E’ aperta. Venite! Lasciamoci riconciliare con Dio, e allora saremo riconciliati con noi stessi e potremo riconciliarci tra di noi, anche con i nostri nemici. La misericordia di Dio può tutto, scioglie ogni nodo, abbatte ogni muro di divisione, la misericordia di Dio dissolve l’odio e lo spirito di vendetta. Venite! Gesù è la Porta della pace”.

Chiaramente è stato invito alla pace: “Spesso noi ci fermiamo solo sulla soglia; non abbiamo il coraggio di oltrepassarla, perché ci mette in discussione. Entrare per la Porta richiede il sacrificio di fare un passo (piccolo sacrificio; fare un passo per una cosa così grande), richiede di lasciarsi alle spalle contese e divisioni, per abbandonarsi alle braccia aperte del Bambino che è il Principe della pace. In questo Natale, inizio dell’Anno giubilare, invito ogni persona, ogni popolo e nazione ad avere il coraggio di varcare la Porta, a farsi pellegrini di speranza, a far tacere le armi e a superare le divisioni!”

Ed ha chiesto pace per quei luoghi martoriati dall guerra: “Tacciano le armi nella martoriata Ucraina! Si abbia l’audacia di aprire la porta al negoziato e a gesti di dialogo e d’incontro, per arrivare a una pace giusta e duratura. Tacciano le armi in Medio Oriente! Con gli occhi fissi sulla culla di Betlemme, rivolgo il pensiero alle comunità cristiane in Palestina e in Israele, e in particolare alla cara comunità di Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima”.

Dopo le inutili polemiche dei giorni scorsi papa Francesco ha ribadito la linea del Vaticano per la pace in Medio Oriente, ricordando anche la ‘dimenticata’ Libia: “Cessi il fuoco, si liberino gli ostaggi e si aiuti la popolazione stremata dalla fame e dalla guerra. Sono vicino anche alla comunità cristiana in Libano, soprattutto al sud, e a quella di Siria, in questo momento così delicato. Si aprano le porte del dialogo e della pace in tutta la regione, lacerata dal conflitto. E voglio ricordare qui anche il popolo libico, incoraggiando a cercare soluzioni che consentano la riconciliazione nazionale”.

Ed ha chiesto pace nel continente africano, sempre più terra depredata: “Possa la nascita del Salvatore portare un tempo di speranza alle famiglie di migliaia di bambini che stanno morendo per un’epidemia di morbillo nella Repubblica Democratica del Congo, come pure alle popolazioni dell’Est di quel Paese e a quelle del Burkina Faso, del Mali, del Niger e del Mozambico. La crisi umanitaria che le colpisce è causata principalmente dai conflitti armati e dalla piaga del terrorismo ed è aggravata dagli effetti devastanti del cambiamento climatico, che provocano la perdita di vite umane e lo sfollamento di milioni di persone.

Penso pure alle popolazioni dei Paesi del Corno d’Africa per le quali imploro i doni della pace, della concordia e della fratellanza. Il Figlio dell’Altissimo sostenga l’impegno della comunità internazionale nel favorire l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione civile del Sudan e nell’avviare nuovi negoziati in vista di un cessate-il-fuoco”.

Ha chiesto che si arrivi a soluzione di pace e di giustizia anche nel Myanmar e nell’America centrale: “L’annuncio del Natale rechi conforto agli abitanti del Myanmar, che, a causa dei continui scontri armati, patiscono gravi sofferenze e sono costretti a fuggire dalle proprie case. Il Bambino Gesù ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, affinché si trovino al più presto soluzioni efficaci nella verità e nella giustizia, per promuovere l’armonia sociale, in particolare penso ad Haiti, in Venezuela, Colombia e Nicaragua, e ci si adoperi, specialmente in quest’Anno giubilare, per edificare il bene comune e riscoprire la dignità di ogni persona, superando le divisioni politiche”.

Ha auspicato che il Giubileo possa essere occasione per abbattere i troppi muri ancora esistenti: “Il Giubileo sia l’occasione per abbattere tutti i muri di separazione: quelli ideologici, che tante volte segnano la vita politica, e anche quelli fisici, come la divisione che interessa da ormai 50 anni l’isola di Cipro e che ne ha lacerato il tessuto umano e sociale. Auspico che si possa giungere a una soluzione condivisa, una soluzione che ponga fine alla divisione nel pieno rispetto dei diritti e della dignità di tutte le comunità cipriote”.

Quindi ha ribadito la sacralità della vita con un pensiero ai bambini: “Gesù, il Verbo eterno di Dio fatto uomo, è la Porta spalancata; è la Porta spalancata che siamo invitati ad attraversare per riscoprire il senso della nostra esistenza e la sacralità di ogni vita (ogni vita è sacra), e per recuperare i valori fondanti della famiglia umana. Egli ci attende sulla soglia.

Attende ciascuno di noi, specialmente i più fragili: attende i bambini, tutti i bambini che soffrono per la guerra e soffrono per la fame; attende gli anziani, costretti spesso a vivere in condizioni di solitudine e abbandono; attende quanti hanno perso la propria casa o fuggono dalla propria terra, nel tentativo di trovare un rifugio sicuro; attende quanti hanno perso o non trovano un lavoro; attende i carcerati che, nonostante tutto, rimangono figli di Dio, sempre figli di Dio; attende quanti sono perseguitati per la propria fede. Ce ne sono tanti”.

Inoltre ha ricordato gli operatori della pace: “In questo giorno di festa, non manchi la nostra gratitudine verso chi si prodiga per il bene in modo silenzioso e fedele: penso ai genitori, agli educatori, agli insegnanti, che hanno la grande responsabilità di formare le generazioni future; penso agli operatori sanitari, alle forze dell’ordine, a quanti sono impegnati in opere di carità, specialmente ai missionari sparsi nel mondo, che portano luce e conforto a tante persone in difficoltà. A tutti loro vogliamo dire: grazie!”

Infine ha chiesto la remissione dei debiti: “Fratelli e sorelle, il Giubileo sia l’occasione per rimettere i debiti, specialmente quelli che gravano sui Paesi più poveri. Ciascuno è chiamato a perdonare le offese ricevute, perché il Figlio di Dio, che è nato nel freddo e nel buio della notte, rimette ogni nostro debito. Egli è venuto per guarirci e perdonarci. Pellegrini di speranza, andiamogli incontro! Apriamogli le porte del nostro cuore. Apriamogli le porte del nostro cuore, come Lui ci ha spalancato la porta del suo Cuore”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco prega la Madre di Dio per il giubileo

“Vergine Immacolata, Madre, Madre Immacolata, oggi è la tua festa e noi ci stringiamo intorno a te. I fiori che ti offriamo vogliono esprimere il nostro amore e la nostra gratitudine; ma tu vedi e gradisci soprattutto quei fiori nascosti che sono le preghiere, i sospiri, anche le lacrime, specialmente le lacrime dei piccoli e dei poveri. Guardali, Madre, guardali”: così è iniziata la preghiera di papa Francesco a Maria Immacolata, oggi pomeriggio, nell’omaggio in piazza Mignanelli, alla statua della Vergine posta su una colonna.

Nell’atto di venerazione il papa Le ha domandato di non dimenticare i ‘cantieri dell’anima’ in vista dell’imminente giubileo: “Madre nostra, Roma si prepara a un nuovo Giubileo, che sarà un messaggio di speranza per l’umanità provata dalle crisi e dalle guerre. Per questo in città dappertutto ci sono cantieri: questo (tu lo sai) provoca non pochi disagi, eppure è segno che Roma è viva, che Roma si rinnova, che Roma cerca di adattarsi alle esigenze, per essere più accogliente e più funzionale”.

Per questo ha chiesto che il giubileo sia anche ‘interiore’: “Ma il tuo sguardo di Madre vede oltre. E mi sembra di sentire la tua voce che con saggezza ci dice: ‘Figli miei, vanno bene questi lavori, ma state attenti: non dimenticate i cantieri dell’anima! Il vero Giubileo è dentro: dentro, dentro i vostri cuori – tu dici -, dentro le relazioni famigliari e sociali. ‘E’ dentro che bisogna lavorare per preparare la strada al Signore che viene’. Ed è una buona opportunità per fare una buona Confessione e chiedere il perdono di tutti i peccati. Dio perdona tutto, Dio perdona sempre, sempre”.

Per questo il giubileo deve essere un tempo di liberazione ‘sociale’: “Madre Immacolata, ti ringraziamo! Questa tua raccomandazione ci fa bene, ne abbiamo tanto bisogno, perché, senza volerlo, rischiamo di essere presi totalmente dall’organizzazione, dalle cose da fare, ed allora la grazia dell’Anno Santo, che è tempo di rinascita spirituale,che è tempo di perdono e di liberazione sociale, questa grazia giubilare può non venire bene, essere un po’ soffocata”.

Ed ha pregato la Madre di Dio per la Sua presenza: “Sicuramente, Maria, tu fosti presente nella sinagoga di Nazaret, quel giorno in cui Gesù per la prima volta predicò alla gente del suo paese… E Tu, Madre, Tu eri lì, in mezzo alla gente stupita. Eri fiera di Lui, del Figlio tuo, e nello stesso tempo presagivi il dramma della chiusura e dell’invidia, che genera violenza. Questo dramma tu l’hai attraversato e sempre lo attraversi, col tuo cuore immacolato ricolmo dell’amore del Cuore di Gesù. Madre, liberaci dall’invidia: che siamo fratelli tutti, che ci vogliamo bene. Niente invidia. L’invidia, quel vizio giallo, brutto, che rovina da dentro”.

Ha concluso la preghiera con l’invito ai fedeli di ascoltare Gesù: “Ed anche oggi, Madre, ci ripeti: ‘Ascoltate Gesù, ascoltate Lui! Ascoltatelo, e fate quello che vi dice’ (cfr Gv 2,5). Grazie, Madre Santa! Grazie perché ancora, in questo tempo povero di speranza, ci doni Gesù, nostra Speranza. Grazie Madre”.

Mentre prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha ‘immortalato’ il momento della risposta della Madre di Dio: “Oggi, nella solennità dell’Immacolata Concezione, il Vangelo ci racconta uno dei momenti più importanti, più belli, nella storia dell’umanità: l’Annunciazione, quando il ‘sì’ di Maria all’Arcangelo Gabriele permise l’Incarnazione del Figlio di Dio, Gesù.

E’ una scena che suscita la più grande meraviglia e commozione perché Dio, l’Altissimo, l’Onnipotente, per mezzo dell’Angelo dialoga con una giovane di Nazaret, chiedendone la collaborazione per il suo progetto di salvezza. Se oggi troverete un po’ di tempo, cercate nel Vangelo di san Luca e leggete questa scena. Vi assicuro che vi farà bene, molto bene!”

E’ una scena come quella di Michelangelo nella ‘Cappella Sistina’: “Come nella scena della creazione di Adamo dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina, dove il dito del Padre celeste sfiora quello dell’uomo; così anche qui, l’umano e il divino si incontrano, all’inizio della nostra Redenzione, si incontrano con una delicatezza meravigliosa, nell’istante benedetto in cui la Vergine Maria pronuncia il suo ‘sì’. Lei è una donna di un piccolo paese periferico e viene chiamata per sempre al centro della storia: dalla sua risposta dipendono le sorti dell’umanità, che può tornare a sorridere e a sperare, perché il suo destino è stato posto in buone mani. Sarà Lei a portare il Salvatore, concepito dallo Spirito Santo”.

Infine il papa ha posto alcuni interrogativi: “Fratelli e sorelle, contemplando questo mistero possiamo chiederci: nel nostro tempo, agitato da guerre e concentrato nello sforzo di possedere e dominare, io dove ripongo la mia speranza? Nella forza, nel denaro, negli amici potenti? Ripongo lì la mia speranza? Oppure nella misericordia infinita di Dio? E di fronte ai tanti falsi modelli luccicanti che circolano nei media e in internet, dove cerco io la mia felicità?

Dov’è il tesoro del mio cuore? Sta nel fatto che Dio mi ama gratuitamente, che il suo amore sempre mi precede, ed è pronto a perdonarmi quando ritorno pentito a Lui? In quella speranza filiale nell’amore di Dio? Oppure mi illudo nel cercare di affermare a tutti i costi il mio io e la mia volontà?”

Mentre al termine dell’Angelus ha ricordato che oggi i soci dell’Azione Cattolica Italiana rinnovano la propria adesione, esprimendo anche solidarietà ai lavoratori: “Oggi, nelle parrocchie italiane si rinnova l’adesione all’Azione Cattolica. Auguro a tutti i soci un buon cammino di formazione, di servizio e di impegno apostolico.

Benedico di cuore i fedeli di Rocca di Papa e la fiaccola con cui accenderanno la grande stella sulla Fortezza della loro bella cittadina, in onore di Maria Immacolata. E sono vicino ai lavoratori di Siena, Fabriano e Ascoli Piceno che difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è un diritto alla dignità! Che non sia loro tolto il lavoro per motivi economici o finanziari”.

(Foto: Santa Sede)

Il priore della Provincia d’Italia degli Agostiniani: il Perdono è un ‘giubileo’

Nel mese di settembre a Tolentino si è festeggiato san Nicola ed il sabato successivo alla festa del Santo chi si reca nel Cappellone del Santuario può ‘prendere’ l’indulgenza plenaria concessa da papa Bonifacio IX con la Bolla papale ‘Splendor paternae gloriae’ del 1 gennaio 1390, come è riportato dalle cronache di Gaetano Moroni nel ‘Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica: da S. Pietro sino ai nostri giorni’, edito nel 1856:

“Bonifacio IX con una bolla, concesse l’indulgenza plenaria nella domenica dentro l’ottava della festa del santo (dunque si celebrava prima della canonizzazione di Eugenio IV), indulgenza che veniva anche accordata a chi visitava la Porziuncola, onore confermato anche da altri Papi”.

Ad ‘aprire’ questa ‘festa’ del Perdono è stato il priore della Provincia d’Italia degli Agostiniani (comprendente anche la comunità di ‘Bratia Augustiniani’ a Košice in Slovacchia, ed il Vicariato di Apurìmac in Perù con la parrocchia di santa Rita a Cusco, la parrocchia del Señor de la Exaltación a Chuquibambilla e la parrocchia Virgen Asunta a Tambobamba), p. Gabriele Pedicino, già tesoriere e priore della Basilica di san Nicola da Tolentino, che ha raccontato il perdono come un ‘giubileo’:

“Il perdono è una festa, perché è un incontro con la vita e con la Grazia,che profondamente ci rinnova. Ci rendiamo conto che quando viviamo nella condizione del peccato, cioè quando il peccato prende la nostra vita, ci troviamo anche in una situazione di morte, cioè di rottura dei nostri rapporti con Dio, ma anche con i fratelli.

Allora il perdono di Dio interviene a restituire la vita, cioè a restituire un rapporto di comunione tra noi, Dio ed i fratelli. San Nicola da Tolentino è proprio questo apostolo del perdono; colui che ha fatto della riconciliazione del sacramento della misericordia il segno della vita che vince la morte”.

P. Pedicino ha descritto il motivo per cui san Nicola ha ottenuto dal papa la facoltà di dare il perdono: “La ragione è dovuta all’apparizione che san Nicola ebbe nel convento di Valmanente, situato tra Fano e Pesaro, dove assistette alla visione del Purgatorio, che è una valle con le anime sofferenti, in cui un frate agostiniano, frà Pellegrino, gli chiede preghiere per le anime che soffrono nel Purgatorio.

San Nicola rimane così colpito da tanta sofferenza, che decide per sette giorni di alzarsi nella notte in preghiera, di digiunare e di offrire la Santa Messa per queste anime del Purgatorio. Al settimo giorno, come è raccontato in basilica nel quadro si vede che, celebrando la messa, san Nicola osserva che un Angelo porta l’anima di frà Pellegrino in Paradiso”.

Per sant’Agostino in cosa consisteva la remissione dei peccati?

“Per sant’Agostino la remissione dei peccati è proprio l’incontro con la Grazia di Dio, che ci viene data attraverso la croce di Gesù Cristo. Sant’Agostino ha vissuto per un lungo periodo della sua giovinezza proprio in una condizione di miseria, come dice lui, a causa del rifiuto di Dio. Ma la sua miseria, ad un certo punto, è toccata e raggiunta dalla misericordia di Dio. Noi possiamo pensare così la festa del perdono, anche questo di san Nicola, con questo insegnamento di sant’Agostino: un incontro tra la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo. Queste due parole (misericordia e miseria) sono ‘imparentate’: l’uomo riconosce che ha bisogno di Dio nella sua vita e Dio interviene a colmare questo vuoto, donandogli la vita ed un’occasione di riscatto”

Quale messaggio di sant’Agostino può essere valido per la vita di oggi?

“Tanto della vita del nostro santo padre Agostino e dei suoi insegnamenti parla all’uomo contemporaneo. L’inquietudine e l’essere mendicanti della verità, l’amore per la comunione, ma soprattutto l’esortazione ad essere innamorati della Bellezza spirituale, credo che possa essere l’antidoto dall’edonismo, dalla superficialità e la mancanza di senso  che albergano nel cuore dell’uomo e dalle quali può essere liberato solo dall’incontro con questa Bellezza sempre antica e sempre nuova”.

In quale modo è possibile attrarre i giovani a Cristo?

“Attrarre a Cristo è il compito di ogni cristiano e di ogni comunità, quindi per noi deve essere un cruccio costante quello di rendere attraente, vero, puro il vangelo e bella la nostra vita di fraternità perché chi ci incontra trovi uomini e donne risolti. Attrarre i giovani oggi alla vita ecclesiale e all’incontro con Gesù è possibile se riusciamo come singoli e come Chiesa a far sorgere la domanda: qual è l’amore che li rende gioiosi, che li sostiene, che gli da questa vitalità? E dopo la domanda preoccuparci di far trovare comunità ecclesiali pronte a dare ragione della speranza che è in noi!”

Come viveva la città san Nicola?

“San Nicola, un uomo di Dio e del prossimo, ha speso la sua esistenza nella preghiera e nella penitenza che poi si traducevano in attenzione ai malati, che visitava ogni giorno, ed ai poveri che in lui trovavano sempre un rifugio sicuro. ‘Angelo del conforto’, passava molte ore al confessionale ed a placare conflitti e contrasti tra le famiglie, conosciuto dalla Chiesa universale anche come intercessore per le Anime del Purgatorio”.

Allora, san Nicola può essere un insegnamento per la nostra vita?

“San Nicola è rappresentato con un sole che arde, posto sul petto: è un astro che brucia o che splende per la carità. La carità di Nicola è ciò che lo proietta continuamente verso i più deboli, diffonde l’amore che Dio ha riversato nel suo cuore, diventa esempio di santità e di grazia, ‘insegna al popolo a vincere i vizi e il peccato’.

Il papa ai penitenzieri: far riscoprire Gesù

Oggi nella Sala del Concistoro papa Francesco ha incontrato i componenti del Collegio dei Penitenzieri Vaticani in occasione del 250° anniversario dell’affidamento ai Frati Minori Conventuali del ministero delle Confessioni nella Basilica di San Pietro, istituito da papa Clemente XIV nel 1774, ricordandone sia la storia che la fede del luogo:

“Ogni giorno la Basilica di San Pietro è visitata da più di quarantamila persone, ogni giorno! Molte arrivano da lontano e affrontano viaggi, spese e lunghe code per potervi giungere; altri vengono per turismo, la maggioranza. Ma tra loro tantissimi vengono a pregare sulla tomba del Primo degli Apostoli, per confermare la loro fede e la loro comunione con la Chiesa e affidare al Signore intenzioni care, o per sciogliere voti che hanno fatto.

Altri, anche di fedi diverse, vi entrano ‘da turisti’, attratti dalla bellezza, dalla storia, dal fascino dell’arte. Ma in tutti c’è, consapevole o inconsapevole, un’unica grande ricerca: la ricerca di Dio, Bellezza e Bontà eterna, il cui desiderio vive e pulsa in ogni cuore d’uomo e di donna che vive in questo mondo. Il desiderio di Dio”.

Per questo è importante la presenza dei confessori: “Per i fedeli e i pellegrini, perché permette loro di incontrare il Signore della misericordia nel Sacramento della Riconciliazione. Carissimi, perdonare tutto, tutto, tutto. Fatelo sempre: perdonare tutto! Noi siamo per perdonare, qualcun altro sarà per litigare! E per tutti gli altri, perché testimonia loro che la Chiesa li accoglie prima di tutto come comunità di salvati, di perdonati, che credono, sperano e amano nella luce e con la forza della tenerezza di Dio. Fermiamoci perciò un momento a riflettere sul ministero che svolgete, sottolineandone tre aspetti particolari: l’umiltà, l’ascolto e la misericordia”.

Il primo aspetto importante è l’umiltà: “Ce la insegna l’Apostolo Pietro, discepolo perdonato, che arriva a versare il suo sangue nel martirio solo dopo aver pianto umilmente per i propri peccati. Egli ci ricorda che ogni Apostolo, ed ogni Penitenziere, porta il tesoro di grazia che dispensa in un vaso di creta, ‘affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi’. Perciò, cari fratelli, per essere buoni confessori, facciamoci ‘noi per primi penitenti in cerca di perdono’, diffondendo sotto le volte imponenti della Basilica Vaticana il profumo di una preghiera umile, che implora e impetra pietà”.

Il secondo aspetto da non trascurare è l’ascolto: “E’ la testimonianza di Pietro pastore, che cammina in mezzo al suo gregge e che cresce nell’ascolto dello Spirito attraverso la voce dei fratelli. Ascoltare non è infatti solo stare a sentire ciò che le persone dicono, ma prima di tutto accogliere le loro parole come dono di Dio per la propria conversione, docilmente, come argilla nelle mani del vasaio”.

Quindi il papa ha chiesto un ascolto per la riscoperta di un ‘contatto’ con Gesù: “Ascoltare, non tanto domandare; non fare lo psichiatra, per favore: ascoltare, ascoltare sempre, con mitezza. E quando vedi che c’è un penitente che comincia ad avere un po’ di difficoltà, perché si vergogna, dire ‘ho capito’; non ho capito nulla, ma ho capito; Dio ha capito e quello è importante. Questo me lo ha insegnato un grande Cardinale penitenziere: ‘Ho capito’, il Signore ha capito. Ma per favore non fare lo psichiatra, quanto meno parli meglio è: ascolta, consola e perdona. Tu stai lì per perdonare!”

Ed infine ha chiesto di essere pieni di misericordia, secondo l’insegnamento di san Leopoldo Mandic: “Come dispensatori del perdono di Dio, è importante essere ‘uomini di misericordia’, uomini solari, generosi, pronti a comprendere e a consolare, nelle parole e negli atteggiamenti. Anche qui Pietro ci è di esempio, con i suoi discorsi intrisi di perdono. Il confessore (vaso di argilla, come abbiamo detto) ha un’unica medicina da versare sulle piaghe dei fratelli: la misericordia di Dio. Quei tre aspetti di Dio: vicinanza, misericordia e compassione. Il confessore deve essere vicino, misericordioso e compassionevole. Quando un confessore comincia a chiedere… No, stai facendo lo psichiatra, fermati, per favore”.

(Foto: Santa Sede)

A Monte Sole per non perdere la memoria della malvagità

“Ogni domenica è la vittoria della luce sulle tenebre, perché viviamo l’amore fino alla fine di Gesù, l’alleanza nuova e eterna che stringe il legame di un amore più forte della morte. Questa domenica di memoria così particolare ci immerge ancora di più nel dolore dell’umanità colpita, delle vittime il cui orrore non cambia. L’amore si trasforma e trasforma. Il male è sempre lo stesso”: così è iniziata l’omelia del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna nel ricordare le vittime delle stragi di Monte Sole, avvenute tra il 29 settembre ed il 5 ottobre 1944, nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno che comprendono le pendici del Monte Sole in provincia di Bologna, dove furono trucidate 1830 persone.

Nell’omelia l’arcivescovo di Bologna ha fatto rivivere con la narrazione quei momenti: “Sentiamo oggi il grido disperato, il pianto, l’odore di sangue e di polvere da sparo, lo scherno dei soldati tedeschi che derubavano i morti e la soddisfazione dei collaboratori fascisti per il nemico eliminato. Il nemico erano bambini, vecchi, donne, inermi. La memoria e il tempo di Dio ci aiutano ad entrare dentro il nostro tempo, ci chiedono di non vivere inconsapevoli come se ci fosse sempre tempo, spensierati o disperati, ossessivamente preoccupati della felicità individuale, del personale benessere a tutti i costi”.

Ed ha ricordato don Giovanni Fornasini ed altre vittime di quella strage: “Chi crede nel Risorto ama la vita e combatte il male, ama, ed ama come Gesù fino alla fine. Gesù ha vinto il male, tutto, anche quello che diventa sistema, ideologia, quello banale dell’istinto e dell’egoismo, quello della pandemia di morte, che colpisce tutti e genera tutti i mali. Ci chiede di vincerlo con Lui, fidandosi del suo amore e amando come Lui. Ci aiuta don Giovanni Fornasini, rimasto qui per amare, perché l’amore per la sua gente fu più forte della paura e anche del consiglio prudente del suo Vescovo.

E’ stato così per Antonietta Benni, maestra, consacrata, che aveva aperto la sua casa per accogliere le famiglie di sfollati che giungevano dalla valle. Antonietta continua a dare una lezione cristiana e umana di perdono ma anche di giustizia più forte della vendetta e, proprio per questo, inflessibile nell’esigerla”.

Purtroppo l’uomo è capace di tanta malvagità: “Chi costruisce la croce e chi inchioda ad essa non è Dio, che anzi ci finisce appeso, ma è l’uomo, vittima e complice di quel mistero di iniquità che acceca tanto che l’odio e la violenza arrivano a togliere il diritto fondamentale di vivere. Gesù è sceso all’inferno per aprirlo, per liberare, per divellere le porte aprendo la via della salvezza, dell’amore più forte della morte, della parola vita e non dell’ultima parola morte. Noi, che crediamo nel Risorto scendiamo con Lui dove c’è sofferenza e morte per portare luce dove ci sono le tenebre”.

Per questo non ci si deve assuefarsi al male: “Ecco, da questo luogo di morte e di vita, di tenebre e di luce scendiamo oggi nelle tante Marzabotto che in realtà non sono solo i singoli drammatici episodi, ma è la guerra stessa che è una grande unica strage, inutile, da ripudiare sempre e per tutti, alla quale mai abituarci”.

E’ stato un invito a ritrovare la pace in Europa: “Alle vittime dobbiamo lo sforzo di cercare con maggiore determinazione la pace, non di rassegnarci pigramente alla guerra e al riarmo e dotarci di strumenti capaci di risolvere i conflitti. E’ proprio vero che se non avvertiamo la realtà del pericolo non potremo superarlo.

Davanti al male Gesù chiede di combatterlo anzitutto cambiando noi stessi, tagliando quello che dà scandalo al prossimo, anche se pensiamo assurdamente che sia esibizione di forza. Se fa male al prossimo fa male anche a noi e scandalizza. Siamo noi a perdere la salvezza, ce ne escludiamo. Tagliamo il male per ritrovare la vita. I Padri fondatori dell’Europa seppero immaginare la pace trasformando i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione, tagliando sovranità per una che univa tutti”.    

Infine ha ringraziato i presidenti della Repubblica italiana e tedesca, che nella mattinata avevano reso omaggio alle vittime: “Per questo è importante la visita dei due Presidenti che onorano assieme le vittime della guerra. E’ la riconciliazione che inizia dalle proprie responsabilità e sconfigge le convinzioni di superiorità, le ostilità mute ma radicate, l’ignoranza che facilmente fa crescere l’odio. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Le vittime ci chiedono di riconoscere il male come male e rifiutarlo”.

Nel discoro il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ringraziando della presenza il presidente della Repubblica tedesca, ha invitato a non dimenticare: “In queste terre, tra i fiumi Setta e Reno, si compì l’eccidio di civili più grande e spietato tra quelli commessi nel nostro Paese durante la guerra. Queste terre hanno conosciuto il terrorismo delle SS e dei brigatisti neri fascisti. Non c’erano ragioni militari che potessero giustificare tanta crudeltà. Sui pendii di Monte Sole vennero uccisi anche sacerdoti. Don Ubaldo Marchioni era all’altare di Casaglia di Caprara.

Non si trattava soltanto di disprezzo verso la religione. Era ‘la negazione radicale di ogni umanità’, come scrisse Giuseppe Dossetti, capo partigiano, costituente, dirigente politico di primo piano, che lasciò la politica attiva per fondare, proprio a Casaglia, la sua comunità di monaci, per riposare poi, a pochi passi dalla chiesa distrutta, in quel piccolo cimitero divenuto anch’esso teatro di sterminio”.

Marzabotto e Monte Sole sono ‘simboli’ per non dimenticare: “A ottant’anni da quei tragici giorni oggi avvertiamo più nitidamente che Marzabotto e Monte Sole sono simbolo e fondamenta dell’intera Europa, prova del nostro destino comune che, insieme, caro Frank-Walter, nei giorni scorsi, a Berlino come a Bonn e Colonia, abbiamo confermato di volere scegliere.

Quello di un’Europa che non rinuncia, e anzi vuole sviluppare i suoi valori, la sua civiltà, il suo diritto, fondato sul primato della persona. Così contribuiremo a un’Europa di pace, fondata sui valori che qui vennero negati con immane spargimento di sangue. Quell’Europa dei popoli e non della volontà di potenza e di supremazia di ogni Stato. Quella dell’Unione Europea, grande spazio di libertà nel mondo”.

Mentre il presidente della Repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha espresso la sua difficoltà nel prendere la parola: “A Marzabotto si consumò il più efferato di tutti i crimini commessi da truppe tedesche in Italia durante la seconda guerra mondiale. Signore e Signori, è un cammino difficile venire come Presidente Federale tedesco in questo luogo dell’orrore e parlare a Voi. Ma sono profondamente grato per il Vostro invito, stimate cittadine e stimati cittadini di Marzabotto e dei comuni limitrofi”.

Ed ha chiesto perdono a nome del popolo tedesco: “Cari ospiti, oggi sono qui davanti a Voi come Presidente Federale tedesco e provo solo dolore e vergogna. Mi inchino dinnanzi ai morti. A nome del mio Paese oggi Vi chiedo perdono. Le vittime e Voi, i discendenti e i familiari, avete diritto alla memoria. Nelle Vostre famiglie continuano a vivere il ricordo, il dolore, l’orrore (l’ho appena sentito parlando con alcuni di Voi). Quello che mi avete raccontato mi ha molto commosso”.

Questo è possibile solo attraverso un processo di riconciliazione: “Cari familiari, cari discendenti, che io possa parlare qui oggi è possibile solo perché Voi tutti avete concesso a noi tedeschi la riconciliazione. Che preziosissimo dono! Questa riconciliazione la vivete molto concretamente qui a Marzabotto e nei comuni limitrofi. Nella Vostra Scuola di Pace, in stretto scambio con giovani tedeschi, nel gemellaggio con Brema-Vegesack e nella sua Scuola Internazionale di Pace”.

(Foto: Quirinale)

Papa Francesco: lo Spirito Santo accompagna la Chiesa

“Da quando la Chiesa di Dio è stata convocata in Sinodo, nell’ottobre 2021, abbiamo percorso assieme una parte del lungo cammino al quale Dio Padre chiama da sempre il suo popolo, inviandolo tra tutte le genti a portare il lieto annuncio che Gesù Cristo è la nostra pace e confermandolo nella missione con il Santo Spirito. Questa Assemblea, guidata dallo Spirito Santo, che ‘piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò che è sviato’, dovrà offrire il suo contributo perché si realizzi una Chiesa sinodale in missione, che sappia uscire da sé stessa e abitare le periferie geografiche ed esistenziali avendo cura di stabilire legami con tutti in Cristo nostro Fratello e Signore”.

Dopo la messa celebrata stamane in piazza san Pietro, papa Francesco con queste parole ha dato inizio alla prima congregazione generale della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, davanti a 350 invitati, citando Macario Alessandrino: “La riflessione di questo autore spirituale ci aiuta a comprendere che lo Spirito Santo è guida sicura, e nostro primo compito è imparare a distinguere la sua voce, perché Egli parla in tutti e in tutte le cose e questo processo sinodale ce ne ha fatto fare esperienza”.

Per  questo lo Spirito Santo accompagna la Chiesa nel cammino: “Lo Spirito Santo ci accompagna sempre. E’ consolazione nella tristezza e nel pianto, soprattutto quando (proprio per l’amore che nutriamo per l’umanità) di fronte alle cose che non vanno bene, alle ingiustizie che prevalgono, all’ostinazione con cui ci opponiamo a rispondere con il bene di fronte al male, alla fatica di perdonare, all’assenza di coraggio nel cercare la pace, siamo presi dallo sconforto, ci sembra che non ci sia più niente da fare e ci consegniamo alla disperazione. Così come la speranza è la virtù più umile ma più forte, la disperazione è il peggio, più forte”.

La riflessione del papa è un inno allo Spirito Santo, che accoglie tutti: “Lo Spirito Santo asciuga le lacrime e consola perché comunica la speranza di Dio. Dio non si stanca, perché il Suo amore non si stanca. Lo Spirito Santo penetra in quella parte di noi che spesso è tanto simile alle aule dei tribunali, dove mettiamo gli imputati alla sbarra e formuliamo i nostri giudizi, per lo più di condanna. Proprio questo autore, nella sua omelia, ci dice che lo Spirito Santo accende in quanti lo ricevono un fuoco, il ‘fuoco di tanta gioia e amore, che se fosse possibile prenderebbero nel loro cuore tutti, buoni e cattivi, senza distinzione alcuna’.

Questo perché Dio accoglie tutti, sempre, non dimentichiamo: tutti, tutti, tutti e sempre, e a tutti offre nuove possibilità di vita, fino all’ultimo momento. E’ per questo che noi dobbiamo perdonare tutti e sempre, consapevoli che la disposizione a perdonare nasce dell’esperienza di essere stati perdonati. Soltanto uno può non perdonare: colui che non è stato perdonato”.

Ed ha invitato a meditare sulla Chiesa ‘semper reformanda’: “Infatti, da quando, in principio, Dio trasse dalla terra l’uomo e la donna; da quando Dio chiamò Abramo a essere benedizione per tutti i popoli della terra e chiamò Mosè a condurre attraverso il deserto un popolo liberato dalla schiavitù; da quando la Vergine Maria accolse la Parola che la rese Madre del Figlio di Dio secondo la carne e Madre di ogni discepolo e di ogni discepola di suo Figlio; da quando il Signore Gesù, crocifisso e risorto, effuse il suo Santo Spirito nella Pentecoste: da allora siamo in cammino, come dei ‘misericordiati’, verso il pieno e definitivo compimento dell’amore del Padre. E non dimentichiamo quella parola: siamo misericordiati”.

Ed ha evidenziato la bellezza  e la fatica del cammino: “Lo percorriamo assieme, come popolo che, anche in questo tempo, è segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Lo percorriamo con e per ogni uomo e ogni donna di buona volontà, in ciascuno dei quali lavora invisibilmente la grazia. Lo percorriamo convinti dell’essenza relazionale della Chiesa, vigilando affinché le relazioni che ci sono donate e che sono affidate alla nostra responsabilità e alla nostra creatività siano sempre manifestazione della gratuità della misericordia. Un sedicente cristiano che non entri nella gratuità e nella misericordia di Dio, è semplicemente un ateo travestito da cristiano. La misericordia di Dio ci fa affidabili e responsabili”.

Ed ha chiesto di individuare forme di collegialità: “Si devono individuare, in tempi adeguati, diverse forme di esercizio ‘collegiale’ e ‘sinodale’ del ministero episcopale (nelle Chiese particolari, nei raggruppamenti di Chiese, nella Chiesa tutta), sempre rispettando il deposito della fede e la Tradizione viva, sempre rispondendo a quello che lo Spirito chiede alle Chiese in questo tempo particolare e nei diversi contesti in cui esse vivono. E non dimentichiamo che lo Spirito è l’armonia. Pensiamo a quella mattina di Pentecoste: era un disordine tremendo, ma Lui faceva l’armonia, in quel disordine. Non dimentichiamo che Lui è proprio l’armonia: non è un’armonia sofisticata o intellettuale; è tutto, è un’armonia esistenziale”.

Aprendo i lavori sinodali il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ha espresso preoccupazione per i conflitti: “Mentre celebriamo questa Assemblea, in tante parti del mondo si combattono guerre! Siamo sull’orlo di un allargamento del conflitto… Quante generazioni dovranno passare prima che i popoli in guerra possano tornare a ‘sedersi insieme’ e parlarsi, a edificare insieme un futuro di pace?”

E l’assemblea sinodale è una ‘testimonianza credibile’: “Il fatto che uomini e donne siano convenuti da tutte le parti della terra per ascoltare lo Spirito ascoltandosi gli uni gli altri è un segno di contraddizione per il mondo… Una Chiesa sinodale è una proposta alla società di oggi” e il discernimento è un “ponte attraverso cui credenti e non credenti possono ascoltarsi e comprendersi utilizzando una grammatica comune”.

(Foto: Santa Sede)

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