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L’Amore al tempo dell’intelligenza artificiale, ma ‘Egli ci ha amati per primo’ (1Gv. 4,19)

Il filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, nel 2003 coniava la definizione di ‘amore liquido’, dove indicava ormai lontana quell’idea di amore imperituro e inscalfibile su cui la società si era sempre fondata nelle generazioni precedenti. Amore liquido, perché liquida si è andata modificando la società e la famiglia, dove è andato emergendo l’individualismo sfrenato, sgretolando il buon vivere della comunità, priva del fondamento che è la fede: è l’amore, infatti, la forma della fede!

Mancando questo fondamento d’unità, mancando ‘il cuore’, la società non è più intesa come entità ‘solida’, ma appunto ‘liquida’: non fondandosi più sulla verità che promana da Dio, tutto è divenuto parziale, provvisorio e temporaneo. Esattamente un mese fa, a distanza di circa un ventennio, anche Papa Francesco ha parlato di questo concetto nella sua Lettera Enciclica ‘Dilexit Nos’ (24/10/2024), quando nelle prime battute dice che nell’attuale ‘società liquida’ si rende necessario parlare di cuore, perché è in atto una svalutazione del centro intimo dell’uomo.

L’Enciclica attualizza il concetto dell’amore umano, intrecciandolo in modo spirituale e sentimentale, senza mancare di fare riferimento alla società digitale, dove l’algoritmo è – potremmo dire – in antitesi con il cuore, poiché è il cuore che permette di mettere in comunione le persone (cfr. n. 14). Proprio in questo mondo in cui impera l’Intelligenza Artificiale, dice il Papa, ‘non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore’ (n. 20): caratteristiche che fanno parte dell’estro e dell’essenza umana e non riproducibili con calcoli computazionali.

Se da un lato non possiamo non riconoscere che l’Intelligenza Artificiale sia capace di elaborare dati complessi pressoché istantaneamente e con eccellenti risultati, essa non ha le caratteristiche sensoriali e delle emozioni che sono prettamente umane. L’Intelligenza Artificiale è e dovrà quindi essere uno strumento al servizio dell’umanità, per natura stessa delle macchine rispetto agli esseri umani: aspetti come la tenerezza, l’amore, i ricordi (non la memoria di un dato), sono tratti che identificano l’identità personale che non sono riproducibili dalla logica algoritmica.

Nonostante questi dati siano incontrovertibili, la tecnologia viene sempre più applicata anche per ‘promuovere’ le relazioni: dai siti di incontri agli assistenti virtuali, essa intende aiutare a trovare potenziali partner, a fornire consigli per migliorare le relazioni e comprendere le preferenze dell’altro attraverso l’analisi dei dati, sempre basandosi su algoritmi aventi l’intento di calcolare persino i sentimenti.  

Si avverte, tuttavia, l’urgenza di saper fare interagire quanto di buono viene dagli sviluppi relativi all’Intelligenza Artificiale con la capacità critica dell’essere umano, che pur avverte il desiderio di potenziare il suo pensiero. E’ in quest’orizzonte che si inserisce il ‘Sistema 0’, teorizzato recentemente da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sulla rivista ‘Nature Human Behaviour’, per promuovere l’interazione fra l’intelligenza umana e quella artificiale, quasi in una forma ibrida, al fine di aiutare il pensiero critico, che ha solo nel cuore il centro di discernimento.

In questi termini, si potrebbe dire che l’Intelligenza Artificiale non è del tutto ‘senza cuore’ perché si potrebbe osare affermare che in questa tecnologia si possa riscontrare l’avere ‘a cuore’ le sorti dei deboli e delle persone con disabilità, che attraverso il buon uso di essa, è in grado salvare vite.

Era veramente necessaria in questo tempo una Enciclica che facesse chiarezza sul senso del cuore: ‘il cuore è il luogo della sincerità, dove non si può ingannare né dissimulare’ (n. 5). Continua il Santo Padre: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo” (n. 11).

Potremmo dire in conclusione: ‘Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo’ (1Gv 4, 19). Solo un cuore che è dal cuore di Cristo può amare, e non una ‘macchina autoapprendente’ capace solo di calcoli.

Papa Francesco: i martiri sono i testimoni della bellezza di Dio 

Sono state tante le storie di martiri emerse nel convegno organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi sul tema ‘Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita’, che, iniziato lunedì 11 novembre, all’Istituto Patristico Augustinianum a Roma, si è concluso oggi con l’udienza da papa Francesco. Le conclusioni, ieri pomeriggio, del prefetto del dicastero, il card. Marcello Semeraro, hanno evidenziato che ‘i martiri non sono stati e non sono degli eroi insensibili alla paura, all’angoscia, al panico, al terrore, al dolore fisico e psichico’. Infine il cardinale ha sottolineato che dalle relazioni è emerso che “il numero dei martiri cristiani non corrisponde affatto a quelli beatificati o canonizzati, ma c’è, al contrario, un intero, grande popolo di martiri”.

Nell’udienza papa Francesco ha evidenziato il tema del seminario di studio: “Esso aveva come Parola-guida quella di Gesù nel Vangelo di Giovanni: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici’. E per beatificare un martire non ci vuole il miracolo. Il martirio è sufficiente… così risparmiamo un po’ tempo… e carte e soldi. E questo dare la vita per i propri amici, è una Parola che infonde sempre conforto e speranza.  Infatti, nella sera dell’Ultima Cena il Signore parla del dono di sé che si sarebbe consumato sulla croce. Soltanto l’amore può dare ragione della croce: un amore così grande che si è fatto carico di ogni peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dà la forza di sopportarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci. Nella Croce di Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immensa misericordia”.

Quindi la santità ha bisogno dell’amore di Dio, come è sottolineato nella Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium): “Per essere santi non occorre soltanto lo sforzo umano o l’impegno personale di sacrificio e di rinuncia. Prima di tutto bisogna lasciarsi trasformare dalla potenza dell’amore di Dio, che è più grande di noi e ci rende capaci di amare anche al di là di quanto pensavamo di essere capaci di fare.

Non a caso il Vaticano II, a proposito della vocazione universale alla santità, parla di ‘pienezza della vita cristiana’ e di ‘perfezione della carità’, in grado di promuovere ‘nella stessa società terrena un tenore di vita più umano’. Questa prospettiva illumina anche il vostro lavoro per le cause dei santi, un servizio prezioso che offre la Chiesa, affinché non le venga mai meno il segno della santità vissuta e sempre attuale”.

Ed ha sottolineato alcuni temi emersi dal convegno: “Durante il Convegno avete riflettuto su due forme della santità canonizzata: quella del martirio e quella dell’offerta della vita. Fin dall’antichità i credenti in Gesù hanno tenuto in grande considerazione coloro che avevano pagato di persona, con la vita stessa, il loro amore a Cristo e alla Chiesa. Facevano dei loro sepolcri dei luoghi di culto e di preghiera. Si trovavano insieme, nel giorno della loro nascita al cielo, per rinsaldare i legami di una fraternità che in Cristo Risorto oltrepassa i limiti della morte, per quanto cruenta e sofferta”.

Il martire è colui che segue Gesù, che va bel aldilà della propria confessione religiosa: “Nel martire si trovano i lineamenti del perfetto discepolo, che ha imitato Cristo nel rinnegare sé stesso e prendere la propria croce e, trasformato dalla sua carità, ha mostrato a tutti la potenza salvifica della sua Croce. Mi viene in mente il martirio di quei bravi libici ortodossi: morivano dicendo: ‘Gesù’. ‘Ma padre, erano ortodossi!’ Erano cristiani. Sono martiri e la Chiesa li venera come propri martire… Con il martirio c’è uguaglianza. Lo stesso succede in Uganda con i martiri anglicani. Sono martiri! E la Chiesa li prende come martiri”.

Ed ecco gli elementi che determinano il martirio: “Nell’ambito delle cause dei santi, il sentire comune della Chiesa ha definito tre elementi fondamentali del martirio, che restano sempre validi. Il martire è un cristiano che (primo) pur di non rinnegare la propria fede, subisce consapevolmente una morte violenta e prematura. Anche un cristiano non battezzato, che è cristiano nel cuore, confessa Gesù Cristo con il Battesimo del sangue. Secondo: l’uccisione è perpetrata da un persecutore, mosso dall’odio contro la fede o un’altra virtù ad essa connessa; e terzo: la vittima assume un atteggiamento inatteso di carità, pazienza, mitezza, a imitazione di Gesù crocifisso. Ciò che cambia, nelle diverse epoche, non è il concetto di martirio, ma le modalità concrete con cui, in un determinato contesto storico, esso avviene”.

Infine ha ribadito della commissione ‘Nuovi Martiri – Testimoni della Fede’ in occasione dell’anno giubilare: “Poiché si trattava di definire una nuova via per le cause di beatificazione e canonizzazione, stabilivo che dovesse esserci un nesso fra l’offerta della vita e la morte prematura, che il Servo di Dio avesse esercitato almeno in grado ordinario le virtù cristiane e che, soprattutto dopo la sua morte, fosse circondato da fama di santità e fama di segni.

Ciò che contraddistingue l’offerta della vita, nella quale manca la figura del persecutore, è l’esistenza di una condizione esterna, oggettivamente valutabile, nella quale il discepolo di Cristo si è posto liberamente e che porta alla morte. Anche nella straordinaria testimonianza di questa tipologia di santità risplende la bellezza della vita cristiana, che sa farsi dono senza misura, come Gesù sulla croce”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: il Cuore di Gesù apre alla gioia dell’annuncio

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo, per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’. Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’. Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’. Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo. Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’.

Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.

Con queste parole papa Francesco inizia l’enciclica ‘Dilexit nos. Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo’, pubblicata mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, nel 1673, a Santa Margherita Maria Alacoque, fino al 27 giugno prossimo.

L’invito dell’enciclica è un ritorno al ‘cuore’: “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”.

Ed il cuore non è mai stato al centro del pensiero umano: “Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza.

Probabilmente perché l’incontro con l’altro non si consolida come via per trovare sé stessi, giacché il pensiero sfocia ancora una volta in un individualismo malsano. Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore”.

Però il cuore è importante: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo”.

Il cuore è importante perché è capace di unire i ‘frammenti’ della vita, cioè di custodire: “Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare”.

L’enciclica è un invito ad affidarsi al cuore di Gesù: “Abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. E’ lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”.

Il papa chiede di pregare il cuore di Gesù: “Davanti al Cuore di Cristo, chiedo al Signore di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita, che Lui ha voluto abitare come uno di noi. Che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”.

Per questo è necessaria l’adorazione: “La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore… E’ indispensabile sottolineare che ci relazioniamo con la Persona di Cristo, nell’amicizia e nell’adorazione, attratti dall’amore rappresentato nell’immagine del suo Cuore. Veneriamo tale immagine che lo rappresenta, ma l’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino”.

Si adora il Cuore di Gesù, in quanto è inseparabile da Dio: “Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà ‘veramente e realmente tributato a Cristo stesso’, poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è ‘simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo’.

Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi”.

Ecco il motivo per cui la Chiesa ha scelto il cuore: “Si comprende allora che la Chiesa abbia scelto l’immagine del cuore per rappresentare l’amore umano e divino di Gesù Cristo e il nucleo più intimo della sua Persona. Tuttavia, benché il disegno di un cuore con fiamme di fuoco possa essere un simbolo eloquente che ci ricorda l’amore di Gesù, è conveniente che questo cuore faccia parte di un’immagine di Gesù Cristo. In tal modo risulta ancora più significativa la sua chiamata a una relazione personale, di incontro e di dialogo”.

E’ il cuore l’organo che mette in contatto con Gesù: “Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore. L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità”.

In conclusione il cuore di Gesù invita alla missione: “Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote… Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre.

Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna”.

La missione consiste nell’annuncio dell’amore di Gesù: “In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo… Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria.

Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri”.

(Foto: Vatican News)

Papa Francesco: occorre amare Dio ed il prossimo

“Saluto i donatori di sangue di Coccaglio (Brescia) ed il gruppo di Emergency Roma Sud, impegnato a ricordare l’Articolo 11 della Costituzione Italiana, che dice: ‘L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’. Ricordare questo articolo! Avanti!

E possa questo principio attuarsi in tutto il mondo: la guerra sia bandita e si affrontino le questioni con il diritto e i negoziati. Tacciano le armi e si dia spazio al dialogo. Preghiamo per la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, Myanmar, Sud Sudan. E continuiamo a pregare per Valencia, e le altre comunità della Spagna, che soffrono tanto in questi giorni. Cosa faccio io per la gente di Valencia? Prego? Offro qualcosa? Pensate a questa domanda”.

Al termine della recita dell’Angelus odierno papa Francesco ha ribadito che la guerra non è la risoluzione ai conflitti, ricordando l’art. 11 della Costituzione italiana, mentre ha invitato a pregare per le persone di Valencia.

Mentre prima dell’Angelus il papa aveva sottolineato che l’amore a Dio ed al prossimo non possono essere disgiunti: “Con la sua domanda, lo scriba cerca ‘il primo’ dei comandamenti, cioè un principio che sta alla base di tutti i comandamenti; gli ebrei avevano tanti precetti e cercavano la base di tutti, uno che fosse il fondamentale; cercavano di mettersi d’accordo su uno fondamentale, e c’erano discussioni tra loro, discussioni buone perché cercavano la verità”.

Quindi la domanda posta dallo scriba è essenziale per la vita di ciascuno: “E questa domanda è essenziale anche per noi, per la nostra vita e per il cammino della nostra fede. Anche noi, infatti, a volte ci sentiamo dispersi in tante cose e ci chiediamo: ma, alla fine, qual è la cosa più importante di tutte? Dove posso trovare il centro della mia vita, della mia fede? Gesù ci dà la risposta, unendo questi due comandamenti che sono i principali: ‘Amerai il Signore tuo Dio’ ed ‘amerai il tuo prossimo’. E questo è un po’ il cuore della nostra fede”.

E’ stato un invito a ritornare al cuore, come ha affermato nell’enciclica ‘Dilexit nos’: “Tutti noi (lo sappiamo) abbiamo bisogno di ritornare al cuore della vita e della fede, perché il cuore è ‘la fonte e la radice di tutte le altre forze, convinzioni’. E Gesù ci dice che la fonte di tutto è l’amore, che non dobbiamo mai separare Dio dall’uomo. Al discepolo di ogni tempo il Signore dice: nel tuo cammino ciò che conta non sono le pratiche esteriori, come gli olocausti e i sacrifici, ma la disposizione del cuore con cui tu ti apri a Dio e ai fratelli nell’amore”.

Inoltre oggi è stata diffusa la lettera di papa Francesco inviata a mons. Philippe Jourdan, vescovo di Tallinn, in occasione del 100^ anniversario dell’erezione dell’Amministrazione Apostolica dell’Estonia, da poco elevata al rango di Diocesi, ricordando il suo viaggio nel 2018: “Questa significativa pietra miliare nella vostra storia segna un secolo di incrollabile fedeltà alla fede cattolica, che ha permesso a questa piccola ma vibrante Chiesa di essere una fonte di compassione e nutrimento spirituale per innumerevoli uomini e donne in tutta la nazione. Allo stesso tempo, questo anniversario commemora la speranza e la fiducia incrollabili nel Signore attraverso decenni di sofferenza, occupazione e oppressione”.

Ed ha ricordato la fede di questo popolo: “In modo particolare, penso al Servo di Dio Arcivescovo Eduard Profittlich, la cui testimonianza a Cristo e la fortezza nel rimanere vicino al suo gregge, fino allo spargimento del suo sangue, hanno seminato semi che ancora oggi stanno dando frutto. Possa la sua testimonianza essere sempre una fonte di ispirazione per voi e ricordarvi che anche la più piccola delle piante, il più piccolo dei gesti e la più umile delle offerte possono crescere ben oltre i loro umili inizi per conferire un ricco raccolto”.

E’ un’eredità che deve essere trasmessa ai giovani: “Inoltre, sono fiducioso che questa ammirevole eredità di fede e carità che caratterizza la vostra Diocesi incoraggerà l’attuale generazione di sacerdoti, religiosi e fedeli laici a continuare a crescere in un gioioso discepolato missionario mentre guardano al futuro.

In effetti, possa il presente centenario essere un’opportunità di rinnovamento spirituale nella vostra terra, accendendo un rinnovato senso di zelo per l’evangelizzazione, specialmente tra i giovani. In questo modo, saranno in grado di proclamare più efficacemente il messaggio di amore, misericordia e riconciliazione di Dio e, così, portare la luce di Gesù e il potere liberatorio del Vangelo ai tanti uomini e donne di oggi che non credono nemmeno in Dio”.

E’ un invito a collaborare con persone di altre confessioni cristiane per costruire una società di pace: “Allo stesso modo, spero che mentre i cattolici dell’Estonia cercano di costruire una società radicata nella pace, nella giustizia, nella solidarietà e nella dignità di ogni persona umana, collaborino sempre di più con gli uomini e le donne di altre confessioni cristiane nel rendere una testimonianza unita alle promesse di Dio. Ciò è particolarmente importante nel contesto dell’attuale guerra in Europa, che è fonte di profonda ansia e riecheggia tragicamente i momenti più bui degli anni passati.

Tuttavia, lo Spirito Santo può guidarvi a essere un segno eloquente di continua fiducia nella provvidenza di Dio e a guidare i cristiani estoni, insieme a tutte le persone di buona volontà, a tendere la mano dell’amicizia ai rifugiati e ai più vulnerabili dei nostri fratelli e sorelle. Possa Cristo, il Principe della Pace, benedirvi con i suoi doni di perseveranza, unità fraterna e concordia”.

Presentata l’enciclica di Papa Francesco: il cuore di Gesù salva

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’ (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’ (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’ (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”: lo ha scritto nell’enciclica ‘Dilexit nos sull’amore umano e di divino del cuore di Gesù’ di papa Francesco, presentata oggi, dal teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da suor Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo.

Nell’introdurre l’enciclica mons. Forte ha ricordato l’origine dell’enciclica: “La Lettera Enciclica… nasce dall’esperienza spirituale di papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci”.

L’enciclica papale mette in evidenza l’amore di Dio per l’umanità: “E’ la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù”.

Ecco l’importanza del cuore: “Perciò è importante ritornare al cuore: è il cuore che unisce i frammenti della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade. Tutto ciò che viviamo è ‘unificato nel cuore’: le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne ‘piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile’ è segno di un mondo senza cuore”.

Ed ha spiegato il ruolo della Chiesa: “E’ qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa… In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra ‘nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola’, aiutandoci ad amare meglio e di più”.

In sintesi papa Francesco ha raccontato l’amore di Dio: “Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti”.

Sulla stessa sintonia l’intervento di sorella Antonella Fraccaro: “Papa Francesco ci ricorda che ‘io sono il mio cuore’; dunque, è decisivo che ‘tutte le azioni’ della mia vita ‘siano poste sotto il dominio politico del cuore’, cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare…

Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura”.

Ed infine un accenno al Giubileo: “Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con ‘la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri’. In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che ‘libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità’.

Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza (pellegrini di speranza), ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, ‘la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’.Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità”.

(Foto: Vatican News)

XXVIII Domenica Tempo Ordinario: la vera sapienza è di lasciare che Gesù ci guardi e ci ami!

Scrive san Paolo: gli Ebrei chiedono miracoli; i Pagani invocano la sapienza umana che si chiama ‘filosofia’; per i Cristiani la vera sapienza è Cristo, che è amore ed ha dato la vita per la salvezza di tutti (cfr. 1 Cor. 1, 22-24).  Il brano del Vangelo ci presenta l’incontro di un Giovane con Gesù: Nell’incontro possiamo distinguere tre momenti: a) una domanda del Giovane; b) Gesù aiuta quel giovane a scoprire il volto vero di Dio, che è amore; c) un invito di Gesù: vai, vendi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Gesù invita a conseguire la vera Sapienza che è quella che guida a raggiungere il fine ultimo; la meta per la quale siamo stati creati.

La creazione è il grande atto di amore di Dio nei riguardi dell’uomo: conseguire la vita eterna. Il peccato aveva distolto l’uomo dal suo fine ultimo; ma il cuore dell’uomo è inquieto sino a quando non riposa in Dio.  Per conseguire la vita eterna è necessario camminare nella via tracciata da Gesù, l’unico che poté dire: ‘Io sono la Via, la Verità e la Vita’. Dio ha scritto due libri. la natura con la molteplicità delle cose create, la Bibbia o sacra scrittura: Antino e Nuovo Testamento; se impariamo a leggere questi libri, se camminiamo nella via tracciata da Dio si arriva alla vita eterna. A causa del peccato l’uomo intravede solo la speranza terrena, frutto della sapienza terrena limitata e fragile.

Nella pienezza dei tempi Dio interviene con la rivelazione: dà all’uomo i dieci comandamenti  e lo invita a guardare avanti , all’opera redentrice di Cristo Gesù. Il giovane, che si era presentato a Gesù, aveva osservato i dieci comandamenti amando Dio e i fratelli ma il suo cuore era rimasto sempre sulla terra e per la terra. Aveva accumulato molti beni sulla terra e il suo cuore era legato ad essi. Si era ora presentato a Gesù per conoscere la sua vera identità e cosa fare per assicurarsi la vita eterna. 

Gesù amò subito questo giovane e gli addita i veri valori, la vita eterna; Gesù evidenzia che per seguirlo non basta l’osservanza dei dieci comandamenti, ma occorre dargli il cuore amandolo più dei beni terreni, dei parenti, della stessa vita perchè solo Dio è il Bene sommo. Lo invita perciò: vai, vendi tutto, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo;  poi ‘vieni e seguimi’! Il giovane se ne partì triste: era legato ai suoi beni terreni. Da qui il messaggio di Gesù: ‘Beati i poveri di spirito perchè di essi è il regno dei cieli” infatti dove c’è il tuo tesoro, là c’è il tuo cuore’!

Non dimenticare, amico che leggi, che i beni terreni hanno sempre un limite, viceversa il desiderio dell’uomo è sempre inappagato, non ha limiti: se hai poco non sei beato perchè cerchi ancora; se hai molto  non sei beato perchè vuoi di più e temi di perdere quello che hai. Se sei ricco la tua vita è solo una bolgia ansiosa. Finché sei insoddisfatto non sei ricco ma solo povero e vivi nell’angoscia che presto dovrai lasciare tutto.

Ricordati non sei mai quello che credi di essere, nè  quello che la gente pensa di te o quello che appari davanti al pubblico; sei solo quello che ami; ma amare è servire incondizionatamente. Non vali per i titoli che possiedi, per i tuoi anni o per le tue forze: tu vali solo per quello che effettivamente ami: se il tuo amore è fango, rimani infangato; se ami Dio e vedi l’immagine di Dio nei fratelli, diventerai simile a Dio. Scegli cosa ti conviene fare; la risposta non dovrebbe essere difficile.

Seguire Gesù è la vera sapienza; è la cosa più importante ma comporta rinnegare se stesso e prendere la croce ogni giorno. Conoscere  Gesù e seguirlo è la vera sapienza: non è un atto di intelligenza ma del cuore, di tutta la persona, come ci insegna il Padre. Amare il Regno di Dio più della salute e della bellezza fisica è lasciare che Gesù ci guardi e ci ami.

Cristiano vero non è colui che si affanna per i beni terreni ma chi riscopre se stesso e la meta verso la quale è diretto; cristiano vero è chi ha veramente fede, speranza e carità e sperimenta ogni giorno la presenza di Gesù nella propria vita.  Questa è la vera sapienza. Fare esperienza di Gesù significa fare esperienza della sapienza divina che non è un atto dell’intelletto ma del cuore, di tutta la persona. 

Dio è amore e ti insegna solo ad amare nella duplice dimensione orizzontale e verticale: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore , con tutte le forze; amerai il prossimo tuo come te stesso. Ama e sarai veramente sapiente e saggio. La Vergine Maria, che ha detto il suo “Sì” al Signore, Lei, madre di Gesù e nostra , ci aiuti a scoprire il vero senso della vita, ci aiuti ad amare e a scoprire la bellezza di fare della vita un dono prezioso a Dio, creatore e padre.

XXVI Domenica Tempo Ordinario: Dio ama tutti! Vivere è amare, diffondere il bene!

Gesù invita a stimare il bene da qualunque parte esso provenga. Il vangelo è contro ogni meschinità di spirito, apre il cuore al generoso soccorso, la mente al rispetto degli altri. Gli Apostoli,  ancora ingenui, dicono a Gesù: abbiamo visto un tale non dei nostri che  scacciava  i demoni nel nome tuo e glielo abbiamo proibito; gli Apostoli forse si aspettavano una lode da Gesù ma questi deplora la loro iniziativa dicendo: ‘non c’è nessuno  che faccia un miracolo nel nome mio e subito parla male di me’ ed afferma: ‘chi non è contro di noi è per noi’.

L’uomo spesso è esclusivista e manicheo; Dio invece è il padre di tutti e anche noi in ogni uomo siamo chiamati a riconoscere il volto stesso di Gesù senza richiedere certificato di Battesimo; la tentazione porta spesso a dividere e suddividere gli altri in caste chiuse; la Chiesa in nome di Dio nulla rigetta di quello che trova di valido, di bello, di vero negli altri. Dio vuole tutti salvi e in ognuno c’è sempre un anelito alla verità, alla ricerca di Dio.

Lo Spirito santo soffia sempre  dove e quando vuole: non esistono privilegiati ed esclusi, anzi Gesù si presenta come il buon Pastore che cerca la pecorella smarrita.  Nella storia della Chiesa i Padri (filosofi e teologi) rivalutarono anche la filosofia antica e quanto proveniva dal paganesimo, sicuri che la verità è unica e quanti cercano la verità e si sforzano di perseguirla sono solo da ammirare.  La mente umana è sempre limitata e circoscritta, non riesce a cogliere la verità  nella sua interezza perchè la Verità è Dio; da qui la necessità della rivelazione operata da Gesù perchè solo la verità ci rende liberi. 

Il seme della parola di Dio si deve diffondere e quanti sono nella verità non devono essere gelosi quando lo Spirito Santo coinvolge  anche gli altri: nè gelosi nè dare scandalo. Il cristiano deve essere l’uomo del dialogo, sempre pronto ad ascoltare gli altri e riconoscere il bene che c’è in ciascuno. Non esistono buoni e cattivi, Dio ha creato l’uomo con la sua capacità di conoscere e amare. Compito del discepolo di Gesù è apprezzare l’uomo, creato ad immagine di Dio, e i talenti e i carismi che lo stesso Dio  ha conferito  ad ognuno di essi.

Non estinguere mai l’azione dello Spirito santo che opera negli altri fratelli; collaborare anzi con l’esempio, la predicazione, l’annuncio della verità di Dio. Da qui la parole di Gesù: guai a chi darà scandalo a quanti non sono consolidati nella verità di Dio.  Il termine ‘scandalo’ nel linguaggio biblico ha due significati fondamentali: inciampo e ostacolo: lo scandalo porta sempre fuori strada  e conduce solo al peccato e alla geenna eterna (inferno); scandalo è anche ostacolo o muro che impedisce di andare avanti, di crescere nella fede e nell’amore e, come conseguenza, chiude la porta del Regno dei cieli.

Da qui le parole drastiche di Gesù riguardo a chi dà scandalo: ‘E’ meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e  sia gettato nel mare’. Guai, dirà Gesù,  al mondo  per gli scandali. Se ti è cara un’amicizia che mette in pericolo la tua fede, troncala! Il cristianesimo non è una religione per i pavidi, per i deboli, per i poveri di spirito ma è la religione dei forti: vincere un avversario è una cosa che alletta; vincere se stesso  è da eroe: sei chiamato ad essere un vero eroe per il Regno dei cieli.

Finché rimani un indeciso, non sarai mai un vero cristiano, vero discepolo di Cristo Gesù che è salito a Gerusalemme ed è morto in croce per salvare l’uomo. Vivere nella luce di Cristo, realizzare il messaggio di amore offerto da Cristo Gesù non significa rinunciare a vivere ma liberarsi dalle ombre; non è rinnegare la propria intelligenza, la volontà, l’azione, l’abilità ma accumulare ed accrescere le vere ricchezze che ci accompagnano nell’eternità.

L’umiltà del servizio rimane la via valida indicata da Cristo Gesù per essere nel mondo lievito buono che fa fermentare l’umanità e la fraternità. Forse è il momento di porci una domanda: che cosa concretamente Gesù vuole che io tagli nella mia vita perchè contrasta con il Vangelo? La Santissima Vergine Immacolata, madre nostra cara, ci  aiuti ad essere sempre accoglienti verso gli altri e vigilanti su noi stessi.

Papa Francesco: l’Amore è edificante

Con una celebrazione eucaristica davanti a 50.000 fedeli papa Francesco ha concluso la giornata a Singapore, prendendo spunto dalle parole dell’apostolo Paolo, secondo cui solo l’Amore edifica: “Proprio per questo, vorrei commentare le stesse parole prendendo spunto dalla bellezza di questa città, e dalle grandi e ardite architetture che contribuiscono a renderla così famosa e affascinante, cominciando dall’impressionante complesso del National Stadium, in cui ci troviamo.

E vorrei farlo ricordando che, in ultima analisi, anche all’origine di queste imponenti costruzioni, come di ogni altra impresa che lasci un segno positivo in questo mondo, non ci sono, come molti pensano, prima di tutto i soldi, né la tecnica e nemmeno l’ingegneria (tutti mezzi utili, molto utili), ma c’è l’amore: ‘l’amore che edifica’, appunto”.

Perciò ha sottolineato che la frase paolina non è banale: “Non c’è opera buona, infatti, dietro cui non ci siano delle persone magari geniali, forti, ricche, creative, ma pur sempre donne e uomini fragili, come noi, per i quali senza l’amore non c’è vita, né slancio, né motivo per agire, né forza per costruire.

Cari fratelli e sorelle, se qualcosa di buono c’è e rimane in questo mondo, è solo perché, in infinite e varie circostanze, l’amore ha prevalso sull’odio, la solidarietà sull’indifferenza, la generosità sull’egoismo. Senza questo, anche qui nessuno avrebbe potuto far crescere una metropoli così grande, gli architetti non avrebbero progettato, gli operai non avrebbero lavorato e nulla si sarebbe potuto realizzare”.

E’ stato un invito a leggere queste storie d’amore, perché senza esso non c’è vitalità: “Allora ciò che noi vediamo è un segno, e dietro ciascuna delle opere che ci stanno di fronte ci sono tante storie d’amore da scoprire: di uomini e donne uniti gli uni agli altri in una comunità, di cittadini dediti al loro Paese, di madri e padri solleciti per le loro famiglie, di professionisti e lavoratori di ogni genere e grado, onestamente impegnati nei loro diversi ruoli e mansioni.

E ci fa bene imparare a leggerle, queste storie, scritte sulle facciate delle nostre case e sui tracciati delle nostre strade, e tramandarne la memoria, per ricordarci che nulla di duraturo nasce e cresce senza l’amore. A volte succede che la grandezza e l’imponenza dei nostri progetti possono farcelo dimenticare, illudendoci di potere, da soli, essere gli autori di noi stessi, della nostra ricchezza, del nostro benessere, della nostra felicità, ma alla fine la vita ci riporta sempre ad un’unica realtà: senza amore non siamo nulla”.

Ma è la fede che illumina l’amore: “La fede, poi, ci conferma e ci illumina ancora di più circa questa certezza, perché ci dice che alla radice della nostra capacità di amare e di essere amati c’è Dio stesso, che con cuore di Padre ci ha desiderati e portati all’esistenza in modo totalmente gratuito e che in modo altrettanto gratuito ci ha redenti e liberati dal peccato e dalla morte, con la morte e risurrezione del suo Figlio Unigenito. E’ in Lui, in Gesù, che ha origine e compimento tutto ciò che siamo e che possiamo diventare”.

Ed ha ripreso l’omelia che papa san Giovanni Paolo II fece nel 1986 proprio in quello stadio: “Fratelli e sorelle, questa è una parola importante per noi perché, al di là dello stupore che proviamo davanti alle opere fatte dall’uomo, ci ricorda che c’è una meraviglia ancora più grande, da abbracciare con ancora maggiore ammirazione e rispetto: e cioè i fratelli e le sorelle che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, senza preferenze e senza differenze, come ben testimoniano la società e la Chiesa singaporiane, etnicamente così varie e al tempo stesso così unite e solidali!”

L’amore di Dio è stato già sperimentato dalla Madonna: “La prima è Maria, del cui Nome Santissimo oggi celebriamo la memoria. A quante persone hanno dato e danno speranza il suo sostegno e la sua presenza, su quante labbra è apparso e appare il suo Nome in momenti di gioia e anche di dolore! E questo perché in Lei, in Maria, noi vediamo l’amore del Padre manifestarsi in uno dei modi più belli e totali: quello della tenerezza (non dimentichiamo la tenerezza!) la tenerezza di una mamma, che tutto comprende, che tutto perdona e che non ci abbandona mai. Per questo ci rivolgiamo a Lei!”

Concludendo l’omelia ha citato anche l’ardore missionario di san Francesco Saverio: “Il secondo è un santo caro a questa terra, che qui ha trovato ospitalità tante volte durante i suoi viaggi missionari. Parlo di San Francesco Saverio, accolto in questa terra in molte occasioni, l’ultima il 21 luglio 1552.

Di lui ci è rimasta una bellissima lettera indirizzata a Sant’Ignazio e ai primi compagni, in cui manifesta il suo desiderio di andare in tutte le università del suo tempo… perché si sentano spinti a farsi missionari per amore dei fratelli”.

(Foto: Santa Sede)

A Dili papa Francesco invita a diffondere il profumo dell’amore di Dio

Dopo l’incontro con le autorità oggi papa Francesco ha aperto la giornata incontrando i bambini affetti da gravi malattie nella ‘Casa Irmãs Alma’ che garantisce cure e assistenza a minori, indicando l’esempio di Silvano, 7 anni, affetto da una malattia neuro-degenerativa: ‘Ci insegna a lasciarsi curare’, secondo l’ammonimento di Gesù:

“Quando Gesù parla del Giudizio finale, dice ad alcuni: ‘Venite con me’. Ma non dice: ‘Venite con me perché siete stati battezzati, perché siete stati cresimati, perché siete stati sposati in Chiesa, perché non hanno mentito, perché non hanno rubato…’. No! Dice: Venite con me perché mi vi siete presi cura di me. Vi siete presi cura di me’”.

L’amore ‘è quello che si trova qui’, ha sottolineato il papa nel breve discorso, preceduto dal saluto della superiora suor Gertrudis Bidi, nella sala dedicata a san Vincenzo de Paoli: “Senza amore, questo non si capisce. Non possiamo comprendere l’amore di Gesù se non iniziamo a praticare l’amore. Condividere la vita con le persone più bisognose è un programma, il vostro programma, è il programma di ogni cristiano… Sono loro che insegnano a noi come dobbiamo lasciarci accudire da Dio. Lasciarci accudire da Dio e non da tante idee o progetti o capricci. Lasciarci accudire da Dio. E loro sono i nostri maestri. Grazie a voi per questo”.

Infine ha preso a sé Silvano, un bambino focomelico: “Sto guardando questo bambino: come si chiama? Cosa ci insegna Silvano? Ci insegna a prenderci cura: prendendoci cura di lui, impariamo a prenderci cura. E se guardiamo il suo volto, è tranquillo, sereno, dorme in pace. E così come lui si lascia accudire, anche noi dobbiamo imparare a lasciarci accudire: lasciarci accudire da Dio che ci ama tanto, lasciarci accudire dalla Vergine, che è nostra Madre”.

Ed ha concluso affermando che in questo si manifesta l’amore di Dio: “E Questo io lo chiamo il sacramento dei poveri. Un amore che incoraggia, costruisce e rafforza. E questo è ciò che troviamo qui: l’amore. Senza amore questo non può essere compreso. Ed è così che comprendiamo l’amore di Gesù che ha dato la sua vita per noi. Non possiamo capire l’amore di Gesù se non entriamo nella pratica dell’amore”.

Terminata la visita papa Francesco ha incontrato nella cattedrale di Dili i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate ed i catechisti e catechiste con l’invito ad essere vicino alla gente per sentirne il profumo: “Una Chiesa che non è capace di arrivare ai confini e che si nasconde nel centro, è una Chiesa molto malata… Significa essere consapevoli del dono ricevuto, ricordarci che il profumo non serve per noi stessi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo e servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato”.

Un profumo evangelico che deve essere custodito con cura, perchè “significa essere consapevoli del dono ricevuto, ricordarci che il profumo non serve per noi stessi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo e servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato”.

Un profumo che rende necessaria la pacificazione dei conflitti: “Un profumo di riconciliazione e di pace dopo gli anni sofferti della guerra; un profumo di compassione, che aiuti i poveri a rialzarsi e susciti l’impegno per risollevare le sorti economiche e sociali del Paese; un profumo di giustizia contro la corruzione. E, in particolare, il profumo del Vangelo bisogna diffonderlo contro tutto ciò che umilia, deturpa e addirittura distrugge la vita umana, contro quelle piaghe che generano vuoto interiore e sofferenza come l’alcolismo, la violenza, la mancanza di rispetto per la dignità delle donne. Il Vangelo di Gesù ha la forza di trasformare queste realtà oscure e di generare una società nuova”.

Per questo è necessaria un’azione di inculturazione attraverso la Dottrina Sociale della Chiesa: “Se siete una Chiesa che non è capace di inculturare la fede, che non è capace di esprimere la fede nei valori propri di questa terra, sarà una Chiesa eticista e non feconda…

Non trascurate di approfondire la dottrina cristiana, di maturare nella formazione spirituale, catechetica e teologica; perché tutto questo serve ad annunciare il Vangelo nella vostra cultura e, nello stesso tempo, a purificarla da forme e tradizioni arcaiche e talvolta superstiziose. Ci sono tante cose belle nella vostra cultura, penso specialmente alla fede nella risurrezione e nella presenza delle anime dei defunti; però tutto questo va sempre purificato alla luce del Vangelo e della dottrina della Chiesa”.

L’evangelizzazione avviene solo se si riesce ad espandere il profumo dell’Amore: “L’evangelizzazione avviene quando abbiamo il coraggio di ‘rompere’ il vaso che contiene il profumo, rompere il ‘guscio’ che spesso ci chiude in noi stessi e uscire da una religiosità pigra, comoda, vissuta soltanto per un bisogno personale”.

Ed ha ‘assegnato’ ai cristiani del Paese il ‘compito’ di diffondere questo profumo di riconciliazione e di pace: “Un profumo di compassione, che aiuti i poveri a rialzarsi e susciti l’impegno per risollevare le sorti economiche e sociali del Paese; un profumo di giustizia contro la corruzione. State attenti: spesso la corruzione entra nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie.

Ed, in particolare, il profumo del Vangelo bisogna diffonderlo contro tutto ciò che umilia, deturpa e addirittura distrugge la vita umana, contro quelle piaghe che generano vuoto interiore e sofferenza come l’alcolismo, la violenza, la mancanza di rispetto per la dignità delle donne. Il Vangelo di Gesù ha la forza di trasformare queste realtà oscure e di generare una società nuova”.

(Foto: Santa Sede)

Il papa ai giovani: parlate il linguaggio dell’Amore

Prima di partire per Dili, capitale di Timor Leste, papa Francesco ha incontrato nello stadio di Port Moresby i giovani con l’invito a prendersi cura degli altri, rispondendo alle loro domande con l’indicazione di parlare attraverso il linguaggio dell’amore: “La vostra lingua comune è quella del cuore, dell’amore, della vicinanza e del servizio” con l’augurio che “tutti parliate questa lingua e siate Wantok dell’amore!”, perché “l’indifferenza è una cosa brutta, tu lasci gli altri per strada, non ti interessi degli altri, l’indifferenza ha radice dell’egoismo.  Nella vita dovete avere inquietudine del cuore, l’inquietudine di prendersi cura degli altri dovete fare amicizia tra voi e avere vicinanza ai nonni”.

Inoltre papa Francesco ha esortato i giovani a riconoscere uno sbaglio: “Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. E dobbiamo sempre correggerci. “Un giovane può sbagliare, un adulto può sbagliare, tutti possiamo sbagliare, ma l’importante è rendersi conto noi non siamo superman, noi possiamo sbagliare, questo ci dà una certezza: che  dobbiamo sempre correggerci.

Nella vita tutti possiamo cadere. L’importante è non rimanere caduti,  e se vedi un amico che è caduto tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preparato questo bell’incontro… E se vedete un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa dovete fare? Ridere di quello?”.

Alla risposta negativa il papa ha esortato i giovani all’aiuto: “Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi… Quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, per tanti problemi, cosa dove fare, dare una botta?”.

Ai ragazzi e ragazze del Paese, che sono ‘la speranza per il futuro’, papa Francesco ha chiesto di riflettere ‘su come si costruisce il futuro’ attraverso l’episodio biblico della Torre di Babele, dove si scontrano due modi opposti di vivere e di costruire la società: “uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli”.

Prima di dialogare con i giovani il papa si è messo in ascolto delle loro testimonianze: Patricia Harricknen-Korpok, che fa parte dell’Associazione dei professionisti cattolici ed ha parlato della difficoltà di testimoniare la fede e la morale cattolica in una società che subisce l’influenza negativa ‘delle industrie dello sport e del divertimento, dei social media e della tecnologia’, molto attrattive.

Poi è stata la volta di Ryan Vulum che ha raccontato la difficile infanzia in una famiglia divisa, e che la Chiesa ‘è diventata il mio rifugio’; mentre Bernadette Turmoni, quarta e ultima figlia di una famiglia numerosa, ha raccontato il dramma degli abusi in famiglia: “Chi ne è vittima si sente non amato e non rispettato. Perde la speranza e può suicidarsi o lasciare la famiglia”.

(Foto: Santa Sede)

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