La sinodalità in parrocchia passa attraverso la famiglia

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Nasce l’era della sinodalità, in cui anche i pilastri del Concilio Vaticano II diventano concreti: l’invito fatto a tutta la Chiesa da papa Francesco a camminare oscillando tra sinodalità e missione richiede un cambiamento di metodo evangelizzativo. Sono necessarie oggi una svolta e una preparazione della vita ecclesiale protese verso nuove prospettive in uno stile nuovo: lo stile sinodale.

Uno stile dove il soggetto è la Chiesa fatta comunità. E’ la Chiesa delle porte aperte la grande sfida. Non basta credere, bisogna ricredere e ricredersi: questo è il centro del libro ‘Sinodalità e missione. Per una nuova evangelizzazione’ di don Antonio Ruccia, parroco alla parrocchia ‘San Giovanni Battista’ di Bari e docente di Teologia Pastorale presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari.

La recezione della sinodalità delle Chiese locali significherà rinnovare la vita ecclesiale attraverso un nuovo modo di procedere ecclesiale che si ispiri in quella prassi di raccolta di orientamenti e discernimento, e in quella costruzione del consenso riassunta nell’antico principio canonistico medievale che afferma: ‘Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti’; partendo da questo spunto abbiamo chiesto a don Antonio Ruccia di spiegarci il rapporto tra sinodalità e missione:

“La Chiesa è una comunità. Si fa presto a dirlo e si fa presto ad identificarla con la parrocchia. Per tanti, infatti, la parrocchia è la Chiesa che ‘naviga a vista’ tra sacramenti e funzioni rituali. Con estrema difficoltà si parla di persone. Persone vere… quelle che vagiscono, quelle che scappano nel pieno delle celebrazioni rincorse dai genitori, quelle che si affacciano per la prima volta ai sacramenti, quelle che restano dopo aver ricevuto i sacramenti, quelle che cominciano ad impegnarsi con l’irruenza dell’età giovanile, quelle che vivono il loro cammino con fermezza, quelle che ‘sanno di santità’.

Questa è la Chiesa! Ha un’esigenza importante per questo tempo: compattarsi per evangelizzare. E’ questo il punto d’unione tra sinodalità e missione. Nessuna missione può realizzarsi se non attraverso un’evangelizzazione nuova e soprattutto dinamica al fine di oltrepassare i recinti consolidati che oscillano tra rigidità e blindature e di progettare incontri nuovi e itinerari di fede coinvolgenti ‘dalla culla alla tomba’”.

Allora, quale stile adottare per una nuova evangelizzazione?

“Non si tratta di una questione di stile. Nessuna azione pastorale può essere tale se non inserita nell’ambito biblico-teologico. La nuova evangelizzazione è una proposta sinodale. In essa è richiesta una formulazione di progettazione che parta dalla realtà e s’incentri nuovamente sul ‘kerygma’.

E’ la riproposta del Cristo morto e risorto che deve ridirsi negli ambienti. La nuova evangelizzazione è la proposta della ‘parrocchia di fuori’ sullo stile della Chiesa antica, quella delle case  e dei testimoni. E’ la Chiesa degli ‘schiodanti’ e dei ‘motivanti’, che non si arrendono mai e che sanno che la dimensione della corresponsabilità richiede cooperazione e rinnovamento con il passo della misericordia”.

Qual è la sfida per l’incontro della Chiesa con il mondo giovanile?

“La crisi demografica che la nostra Italia sta vivendo, e che solo oggi appare evidente, è il risultato della crisi giovanile che da anni serpeggia nel substrato della cultura in essere. Una cultura che spesso ha condotto ad una dicotomia tra il mondo dei giovani e la comunità ecclesiale. Di qui la grande fuga verso il nulla e la conseguenziale chiusura fatta di lamenti e pianti che non è riuscita a formare nuove generazioni pronte a impegnarsi in ambito ecclesiale.

D’altro canto, però, si assiste anche all’impegno di una parte del mondo giovanile che si carica di antropomorfismo e spesso raggiunge esperienze inaspettate come l’anno di volontariato all’estero o addirittura il diventare operatori-trici di pace anche in zone di guerra. Forse sarebbe il caso di raccontare il Cristo con il cuore dell’amore. Un amore nuovo fatto di mani e piedi bucati come quelli del Risorto e soprattutto di gesti che mostrano una Chiesa-comunità dal volto materno”.

Esiste una pastorale per  evangelizzare la città?

“La città è il cuore della nuova evangelizzazione del terzo millennio. E’ proprio sulla città, quella fatta di palazzi ma anche di periferie nate come funghi, che la Chiesa è chiamata a ridire il Cristo. RidirLo con percorsi affidati a nuove figure ministeriali come i catechisti del territorio, gli animatori del web e i nuovi operatori culturali che sappiano animare il territorio senza fare una pastorale ‘del quieto vivere’.

Il Vangelo è pro-vocazione ed è servizio. Il territorio è un luogo teologico in cui si costruisce il regno di Dio attraverso amore e misericordia. D’altronde i cristiani non sono cittadini del mondo e stretti collaboratori dell’amore di Dio-Padre?”

Quale pastorale sinodale dopo il lockdown? 

“Il lockdown ci ha insegnato a passare dalla capanna al villaggio, a non pensare che il piccolo potesse essere il mondo. L’inaspettato e poco gradito ospite ha ribaltato anche la prassi consolidata della pastorale ecclesiale. Di qui l’esigenza di reinventarsi come Chiesa-comunità in missione.

Un’urgenza per un vero cammino sinodale attraverso una programmazione di itinerari di fede in cui i ragazzi siano chiamati a diventare pro-vocatori di amore, i giovani a realizzare le profezie del futuro, gli adulti a concretizzare fraternità evangeliche con forme di evangelizzazione che superino gli schematismi di famiglie tutte chiuse in se stesse e poco inclini a gettarsi nelle realtà storiche.

Una pastorale dallo sguardo kerygmatico che si ponga in relazione con il mondo attraverso ulteriori cammini sui temi sociali per mostrare l’attenzione verso gli assenti e quel mondo ‘sociale’, spesso tenuto a distanza e temuto per le idee di progresso.

Una Chiesa chiamata a dare un senso alla sua vita e a domandarsi come agire eticamente rispetto ai temi dell’arco esistenziale che vanno dalla prenatalità all’ultimo respiro.

Una Chiesa della nuova Pentecoste formata da laici e presbiteri che riparta dagli ultimi, progetti schemi di interculturalità, oltrepassi i suoi stessi confini indicando la lettura del Vangelo e sia in missione permanente riconducendo tanti all’incontro con il Signore”.

A Roma si terrà l’incontro delle famiglie: attraverso quali percorsi sinodali la Chiesa le accoglie?

“Una Chiesa sinodale non può non avere nella famiglia il suo punto di partenza. L’esperienza di una Chiesa che si ritrova in cammino a contare ‘passo dopo passo’ i centimetri del suo perimetro stenta ad essere una comunità che riempie di amore il suo territorio.

Eppure … proprio all’interno dei suoi perimetri la Chiesa, composta da tante famiglie, oggi necessita di una svolta che non può essere marginale, che chiede la radicalità e il suo fondarsi sul Vangelo.

Affinché i perimetri possano diventare volumi, è necessario immergersi nella nuova evangelizzazione, uscendo e portando annunci evangelici che non solo siano nuovi, ma soprattutto siano incidenti all’interno delle famiglie e che abbiano i giovani come primi interlocutori senza ritenerli oggetto, ma soggetti attivi per realizzare nuovi e diversi modi con cui poter far conoscere e successivamente attualizzare il Vangelo.

Non una famiglia costruita sui sogni e sulle ipotesi, ma una famiglia giovane che non esclude né gli anziani né chi vive il senso della famiglia ferita, ma chiedendo che ognuno compia il proprio itinerario di fede in cui nessuno si senta esentato nel portare il Vangelo dentro e fuori di sé.

Nessun progetto di nuova evangelizzazione, attraverso itinerari di fede per famiglie e giovani, può esser realizzato se non a partire dal Vangelo. E’ il Vangelo l’illustre sconosciuto nelle famiglie. Ed è proprio il Cristo l’amico da riportare in famiglia. L’esperienza di Roma mi auguro possa farlo emergere a trecentosessanta gradi”.

(Tratto da Aci Stampa)

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