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Festa di santa Rita da Cascia: spiritualità e solidarietà insieme per costruire la speranza a Cuzco

Coniugare spiritualità e solidarietà, per costruire oggi un domani di speranza, partendo dall’ascolto dei bisogni dei più fragili. E’ questo l’obiettivo con cui, a un mese dalla Festa della Santa degli Impossibili del 22 maggio, la Fondazione Santa Rita da Cascia ets, che ancora una volta si fa portavoce del suo messaggio, secondo il volere delle monache agostiniane, ha avviato una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi, quest’anno in particolare con destinazione Perù.

Si vuole sostenere il completamento dei lavori dell’Auditorium ‘Beata Maria Teresa Fasce’ dell’Istituto educativo ‘San Agustin de Hipona’, fondato dai missionari agostiniani nel 2012 nel distretto di San Jeronimo, a Cuzco, come ha dichiarato ha dichiarato Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero e Presidente della Fondazione Santa Rita da Cascia:

“Siamo nel pieno dei preparativi della festa e, come Santa Rita ci ha insegnato, mentre viviamo uno stato di caos mondiale preoccupante, noi continuiamo a fare la nostra parte, aiutando chi ha bisogno, ets. Per noi monache spiritualità e solidarietà sono intrecciate e si sostengono a vicenda, per cui ogni anno, con la nostra Fondazione sosteniamo in particolare un progetto di solidarietà. La richiesta di aiuto, questa volta, ci è arrivata dai confratelli agostiniani di Cuzco. Vorremmo portare a termine i lavori del loro Auditorium, uno spazio in cui gli studenti, le loro famiglie e tutta la comunità locale possa ritrovarsi, superando traumi e difficoltà, per costruire un futuro più dignitoso per tutti loro”. 

L’Auditorium, incompiuto a causa delle difficoltà post-pandemiche, sarà uno spazio polifunzionale dove organizzare seminari, laboratori, incontri di formazione e gruppi di mutuo aiuto, per supportare il diritto all’educazione e all’integrazione sociale degli oltre 300 alunni, delle loro famiglie e dei 32.000 rappresentanti della comunità locale, che vivono in un contesto caratterizzato da difficili condizioni: povertà, abuso di alcol e droga, violenza sulle donne, favoreggiamento della prostituzione, tratta dei minori, disabilità, elaborazione di gravi lutti familiari.

Chiunque vorrà sostenere la raccolta fondi, riceverà l’Ovunque di Santa Rita: il ciondolo a forma di cuore, su cui è incisa una rosa, e che conserva al suo interno l’immagine dell’amata Santa e la preghiera ‘Ovunque proteggimi’. Per maggiori informazioni www.festadisantarita.org.   

Inoltre dopo tanta attesa da parte dei devoti di tutta Italia, sabato 18 e domenica 19 maggio, nel weekend precedente la Festa, tornano finalmente nelle piazze di tutte le regioni d’Italia le Rose di Santa Rita, altro evento di sensibilizzazione e raccolta fondi promosso dalla Fondazione per sostenere l’infanzia, con una donazione minima di € 15. Saranno 300 i punti di distribuzione, dove saranno attivi i tantissimi volontari, cuore dell’organizzazione ritiana. I progetti sostenuti vanno dall’Alveare, che a Cascia accoglie minori con situazioni familiari di disagio, fino agli stessi studenti di Cuzco.

Le rose sono il simbolo per eccellenza della santa più venerata in tutto il mondo. Questo fiore rappresenta l’amore di Santa Rita, che diffonde il suo profumo ovunque e in ogni tempo: come la rosa, la taumaturga umbra ha saputo fiorire nonostante le spine della vita, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il gelido inverno di tanti cuori.

Per avere maggiori informazioni sui punti di distribuzione e cercare il volontario più vicino, si può consultare la mappa al link rosedisantarita.org Allo stesso link, per chi non potrà andare in piazza, fin d’ora e anche dopo l’evento, è già disponibile la piantina, con una donazione minima di € 25.

Parlando degli eventi della Festa, dal 12 al 20 maggio alle ore 11.50, per il secondo anno, si potrà seguire, in via esclusiva solo online, il Rosario che le monache reciteranno dal Coro del Monastero, luogo di clausura, in occasione della Novena di Santa Rita. Sarà possibile seguire tutte le celebrazioni più importanti della Festa, promossa dalle comunità agostiniane e dall’amministrazione comunale, in diretta streaming sui canali social del monastero agostiniano di Cascia. Per saperne di più www.santaritadacascia.org.

La Festa entrerà poi nel vivo lunedì 20 maggio, alle ore 10, quando saranno presentate le donne insignite del Riconoscimento Internazionale Santa Rita da Cascia 2024: Cristina Fazzi, Virginia Campanile, Anna Jabbour, presentate dal noto conduttore televisivo e giornalista Roberto Giacobbo. Si tratta di un premio unico nel suo genere che, dal 1988, viene conferito alle donne di ogni Paese e religione che incarnano i valori ritiani.

Sabato 21 maggio, intorno alle ore 17.30, si svolgerà la consegna del premio, accompagnata dal messaggio della Priora, e, infine, il Solenne Transito di Santa Rita. In serata, alle ore 21.30, la Fiaccola della Pace e del Perdono farà ritorno a Cascia, quest’anno da Enna, seguirà l’accensione del tripode votivo e l’avvio ufficiale dei festeggiamenti 2024.

Nel giorno solenne della Santa del 22 maggio, tutta la famiglia ritiana sarà in preghiera durante il Solenne Pontificale delle ore 11.00, presso la Sala della Pace, presieduto dal Cardinale Robert F. Prevost osa, Prefetto del Dicastero dei Vescovi. Al termine della Messa, la Processione, il tradizionale Corteo storico e la Statua proseguiranno fino al Sagrato della Basilica, dove si svolgeranno la Supplica a Santa Rita e la Benedizione delle Rose.

(Foto: Monastero Santa Rita da Cascia)

Vocazioni e speranza, la testimonianza di Suor Angelita Guerriero

“Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un’ideale religioso, è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo”: nel messaggio, intitolato ‘Chiamati a seminare la speranza e costruire la pace’, per la giornata per le vocazioni, che si celebra oggi, papa Francesco invita a creare ambienti adeguati nei quali sperimentare il miracolo di una nuova nascita.

Partendo dall’incipit del messaggio papale a suor Angelita Guerriero, madre generale della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Rivalba, fondata da don Giuseppe Marchisio,  abbiamo chiesto di spiegarci in quale modo si può seminare la speranza e costruire la pace: “Prima di tutto mi piace molto questo titolo. Sono colpita dal verbo ‘seminare’. Anche noi due anni fa, dedicando il nostro anno alle Vocazioni abbiamo deciso di utilizzare questo verbo così: seminando il futuro. Il logo che accompagnava questa frase era la figura di Gesù seminatore su un campo che lasciava intravvedere il castello di Rivalba, in provincia di Torino, da dove inizia tutto e parte l’intuizione carismatica del nostro Fondatore, il parroco di questo paese, il Beato Clemente Marchisio. Condivido moltissimo anche i due termini: Speranza e Pace.

Due parole che desidero fortemente scrivere con la lettera maiuscola iniziale, perché mi piace sottolineare che la speranza e la pace sono ispirate da Dio. Tutti noi siamo chiamati in prima linea ad essere seminatori di questo campo molto tormentato, in questo mondo che non sa più far crescere frutti copiosi per il bene dell’umanità. La speranza di pace è un’emergenza prioritaria oggi, in questo 2024 pieno di conflitti, di odio, di bombe e di distruzione. La soluzione a tutto questo è cambiare il nostro atteggiamento quotidiano. Ognuno di noi deve sentirsi investito da grande responsabilità, deve avvertire il ruolo fondamentale di operatore di speranza e di pace.

Non tocca sempre agli altri l’onere di cambiare il mondo. Dobbiamo sentirci protagonisti di questo miracolo di Bene ispirato da Dio. E la conseguenza più bella di questo cambiamento del cuore sta proprio nel far nascere una nuova domanda nelle giovani generazioni, un desiderio di vita ispirata al Vangelo, un’attrazione nei confronti del messaggio di Gesù Cristo. Solo così possiamo contagiare le persone e far nascere nuove vocazioni. I giovani ci seguiranno e doneranno la propria vita solo se saremo credibili e totalmente impegnate a regalare speranza e pace nelle nostre comunità e sulle nostre strade quotidiane”.

Perché la vocazione fa diventare ‘pellegrine di speranza’?

“Questa è una questione fondamentale che deve interrogarci nel profondo. Avverto spesso un po’ di rassegnazione rispetto ai discorsi che si fanno intorno alla pastorale vocazionale. Questo atteggiamento purtroppo non aiuta le tante belle iniziative che possono essere messe sul campo e che possono attrarre l’attenzione dei giovani. Siamo spesso tanto indaffarate nel nostro pellegrinaggio quotidiano.

Gli impegni si moltiplicano e il lavoro a cui siamo chiamate rischia di schiacciarci in un’operatività che travolge completamente i diversi momenti delle nostre giornate. Corriamo tanto e rischiamo di disperdere la Luce che ci guida e che dobbiamo trasmettere alle persone che incontriamo sulla nostra strada.

Questo è il punto nodale: siamo chiamate a rinnovare il nostro pellegrinaggio. Un cammino che, pur restando intenso, deve contenere in sé anche l’attenzione al cuore delle persone che entrano in relazione con noi. Sono convinta che la Speranza si comunica attraverso uno sguardo nuovo, più attento e riflessivo, che inneschi un dialogo personale profondo. Le nostre giovani non ci chiedono di fare tante cose… ma al contrario desiderano essere qualcosa di più. Hanno sete di Dio che si manifesta attraverso un dialogo intenso, frutto di un incontro di cuori e di tempo dedicato. Solo così può nascere una domanda sul senso della propria vita e delle scelte da affrontare.

In questo modo il nostro pellegrinaggio ha le premesse per diventare fecondo. E la Speranza può innescare una scintilla provvidenziale che può cambiare i cuori. Sono convinta che il desiderio di donare sè stesse continui ad esserci ma spesso manca una sintonia, un richiamo efficace che possa smuovere le coscienze tanto distratte e profondamente stordite da una realtà confusa e spesso solo attenta ai bisogni primari”.

Nel messaggio il papa ha parlato di carisma: ed il vostro?

“Il nostro carisma mette al centro di tutto il Mistero Eucaristico. Gesù Sacramentato è il motore della nostra vita che doniamo per darne testimonianza. Il nostro fondatore, il beato Clemente Marchisio, ci ha indicato un comandamento essenziale: amare e far amare, onorare e far onorare, servire e far servire Dio nel Sacramento dell’Altare. La ‘Figlia di San Giuseppe di Rivalba’ dona la sua vita in totale umiltà e disponibilità al Padre per i fratelli.  L’impegno quotidiano è richiamare tutti a dirigere lo sguardo verso il Tabernacolo che assume una centralità non teorica ma fattiva, pratica, che deve risuonare in ogni gesto. Da qui parte tutto.

Il nostro lavoro quotidiano nel produrre le particole che diventeranno il Corpo di Cristo. La nostra cura per i paramenti e la mensa eucaristica nella ricerca del bello non come fatto estetico ma come risonanza di una sacralità che si esprime nell’attenzione di ogni dettaglio nelle celebrazioni eucaristiche. La formazione in parrocchia per condividere e far conoscere la nostra missione tesa a servire il sacerdote celebrante. L’attività parrocchiale nella catechesi e nella animazione di momenti di preghiera e di adorazione eucaristica.

L’accoglienza e la formazione di laici e famiglie che si vogliono consacrare come oblati che affiancano il nostro cammino carismatico nella Chiesa. Una lunga storia che ha radici italiane e che ora crescono anche in Africa (Nigeria) e in America Latina (Brasile, Messico e Argentina). Mi piace ancora ricordare il servizio che si svolge nella Città del Vaticano, dove da 100 anni siamo al servizio della sacrestia di san Pietro. Un lavoro silenzioso che non s’interrompe mai e che svolgiamo con tanta cura e amore per la Chiesa”.

Quanto è importante nella quotidianità l’Eucarestia?

“L’Eucarestia è il vero e unico nutrimento che può cambiare il mondo. Vogliamo comunicarlo a tutti, perché ci si renda conto che l’uomo non può salvare questo pianeta senza il sostegno provvidenziale di Dio. E’ inutile preoccuparci, dobbiamo affidarci! Per questa ragione l’Eucarestia è il richiamo fortissimo ad entrare in una nuova visione della vita che non ci veda al centro dell’universo ma ci regali la consapevolezza di essere creature ad immagine e somiglianza del Creatore. In definitiva dobbiamo passare da io a Dio”.

Nel mese scorso si è aperto un anno dedicato al fondatore: perché è l’Anno del Marchisio?

“L’Anno del Marchisio chiude un triennio molto importante per la nostra congregazione. Siamo partiti con l’Anno Vocazionale avente per slogan ‘Seminando il futuro’. Siamo passati all’Anno dedicato all’Eucarestia: ‘Illuminando il presente’. Lo scorso 19 marzo è iniziato l’Anno dedicato al fondatore, il beato Clemente Marchisio, con la frase che completa il triennio: ‘Rivivendo il passato’.

Desideriamo ritornare alle nostre radici, senza inutili nostalgie, ma con l’impegno di recuperare l’ardore carismatico iniziale che sfida il tempo, i secoli e i cambiamenti di costume. Il Vangelo è l’unica vera notizia che non conosce il passare del tempo. E’ sempre nuova per ciò che stiamo vivendo! Tutto questo ci porterà al 2025 in cui ci saranno le celebrazioni per i 150 anni di fondazione della Congregazione”.

Per quale motivo egli fonda la famiglia delle Figlie di san Giuseppe di Rivalba?

“Il Beato Clemente Marchisio è il parroco di Rivalba, un piccolo paese poco lontano da Torino. E’ un pastore di anime che vive nel cuore dell’Ottocento. Si rende conto della condizione delle donne nella sua comunità di Rivalba e nello stesso tempo vuole contribuire a tenere viva la cura della liturgia in tutti i suoi aspetti. Mette insieme queste due esigenze e fonda una nuova famiglia religiosa femminile che possa avere come centro di vita l’Eucarestia, come valore assoluto a cui riferirsi.

La cura quotidiana di tutto ciò che riguarda il tabernacolo e l’altare (produzione di particole, vino, paramenti religiosi ed ogni aspetto della liturgia e della formazione delle persone che desiderano vivere le diverse celebrazioni nella Chiesa) è il centro della vita di questa congregazione. 150 anni fa coinvolge un primo gruppo di donne a cui affida questi servizi, coinvolgendole, formandole per consacrarle ad un nuovo stile di vita che ancora oggi prosegue il cammino nell’Italia e nel mondo”.

(Tratto da Aci Stampa)

La storia di Sophia

Sophia è morta di tumore cerebrale all’età di 8 anni. I genitori non si aspettavano una cosa del genere. Prima pensavano si trattasse di una influenza perché, appena si svegliava e si sedeva sul letto, la bambina vomitava sempre. La sua malattia toglieva i sentimenti dal cuore, a detta della madre, Maria. Dopo aver affrontato diversi ricoveri all’ospedale Bambin Gesù di Roma, i medici avevano prospettato una possibile cefalea infantile.

Simone Riccioni racconta una storia di bullismo con ‘Neve’

Una bambina di 10 anni vittima di bullismo. Un attore in piena crisi artistica. Nasce dal loro incontro ‘Neve’ (prodotto da Linfa Crowd 2.0. NVP), ultimo film (dal 7 marzo nelle sale cinematografiche) del regista ed attore marchigiano Simone Riccioni, nato in Uganda ma cresciuto a Corridonia, in provincia di Macerata nelle Marche. La protagonista, Neve, è Azzurra Lo Pipero, 12 anni, di Lido di Fermo, al suo primo film, ‘che spero non sarà l’ultimo’, ha affermato con un sorriso.

Il film, interpretato dallo stesso Simone Riccioni, con Azzurra Lo Pipero, Margherita Tiesi, Simone Montedoro, Alessandro Sanguigni, è girato tra Treia, Sefro, Sarnano, Macerata, Civitanova Marche e Moresco, come racconta Simone Riccioni: “E’ il sesto film che ambiento nelle Marche, ma a questo tengo particolarmente perché viene da una mia storia personale. Quando tornai dall’Africa in Italia, fui vittima di bullismo. E’ una storia che pensavo di aver dimenticato e che invece è riaffiorata durante la pandemia. Da lì la necessità di portarla al cinema”.

Quindi Neve deve affrontare i compagni di scuola che la prendono in giro e la isolano per motivazioni stupide, si chiude in se stessa finché la madre Marta (Margherita Tiesi) decide di iscriverla ad un workshop teatrale tenuto dall’attore Leonardo Morino (Simone Riccioni). Leonardo ha 35 anni, ha sempre solo pensato a se stesso e si trova in un momento discendente della sua carriera: durante il workshop, affrontando Neve e nel rapportarsi con lei, dà il via ad una storia emozionante che trasformerà entrambi. A fare da mediatore, don Carlo (Simone Montedoro), un sacerdote umano che gestisce una casa famiglia e che saprà accompagnare Simone nella sua crescita.

Al termine delle anteprime al multiplex ‘Giometti’ di Tolentino, a conclusione di una giornata ‘sold out’, che ha visto la presenza di 980 spettatori, mentre nelle sale cinematografiche il film sta riscuotendo successo da parte delle giovani generazioni, abbiamo chiesto al regista Simone Riccioni di raccontarci il significato del film: “Neve è un film del rapporto bellissimo che ha questa bambina con sua mamma Marta. Invece Leo è un ragazzo abbastanza egoista, che fa l’attore, ma è caduto un po’ in disgrazia e quindi si arrabatta a fare il presentatore. ‘Neve’ è un film che affronta la tematica del bullismo e del rapporto tra genitori e figli”.

Perché è stato affrontato proprio il tema del bullismo?

“Questo tema nasce da una mia storia personale, perché sono stato bullizzato dall’età di 8 anni fino a 12 anni. Questa ferita è riemersa nel periodo del Covid. Da qui ho deciso di intraprendere questa strada e di portare al cinema un film che potesse toccare il cuore delle persone attraverso una storia, che con semplicità toccasse questo tema”.

Quindi il film è una tua storia personale?

“Io sono nato e cresciuto, come i miei due fratelli, in Uganda da due genitori missionari, mio padre faceva parte dell’Avsi. Quando tornammo in Italia, a Macerata, a scuola mi chiamavano ‘brutto negro’ e ‘mangiabanane’. Essere considerato diverso in Italia mi fece rimanere molto male”.

Come se ne viene fuori dal bullismo?

“Si viene fuori dal bullismo, per la mia esperienza, perché si è circondato da persone che ti vogliono bene, dove ci sono amici ed una famiglia che ti sostiene. Quindi occorre spostare la propria attenzione sulla bellezza della vita”.

In sintesi quale è il ‘messaggio’ del film?

“Nella realtà ci sarà sempre chi ti tratta male; noi dobbiamo essere bravi a cambiare prospettiva! Siamo responsabili non solo per quello che facciamo, ma per quello che non facciamo, il bullismo finirà quando non ci gireremo dall’altra parte. Con il film vogliamo dare occasione ai genitori ed ai ragazzi di mettersi in discussione, ed invitare gli insegnanti ad una maggiore attenzione nelle scuole per non soprassedere sulle cose apparentemente insignificanti”.

Ad Azzurra Lo Pipero (‘Neve’), la più piccola del cast, invece abbiamo chiesto di raccontarci le sue sensazioni di protagonista nel film di Simone Riccioni: “Bellissimo! E’ stata un’esperienza unica e spettacolare. Dietro le ‘quinte’ ho fatto amicizia con tutti gli attori: è stata un po’ un’altra famiglia. Poi ho scoperto tutto il lavoro, che c’è dietro ad un film, dal trucco e parrucco alle luci, alla scenografia, alla segreteria di produzione”.

Come hai coniugato il tuo impegno scolastico con quello cinematografico?

“Abbiamo ‘girato’ il film nel periodo estivo; quindi non ho avuto la scuola. Per quanto riguarda la promozione del film ho ottenuto un permesso scolastico dalla preside, che rientra nelle norme della legge scolastica?

Infine a Margherita Tiesi, madre ‘filmica’ di Neve, abbiamo chiesto di raccontarci questo rapporto tra madre e figlia: “E’ un rapporto che sembra quasi alla pari, in quanto c’è anche poca differenza di età tra i due personaggi (ed anche tra noi attrici interpreti dei ruoli femminili), perché Marta è una ragazza madre che scopre di essere incinta da una relazione, che non era molto stabile. Nonostante ciò decide di partorire e di crescerla da sola. Così è e si vede che si crea un rapporto anche di gioco, vista la poca differenza di età tra le due protagoniste.

Però Neve è costretta dalle difficoltà in cui vivono a crescere velocemente, diventando molto indipendente. Nonostante questo, gli episodi di bullismo che riceve la abbattono moralmente e lei si chiude in un silenzio, smettendo di parlare anche con la madre. Ma la madre cerca di entrare nel suo silenzio e di far emergere i suoi problemi, ascoltandola non solo attraverso le sue parole non dette, ma anche attraverso i suoi atteggiamenti ed i suoi comportamenti, invitando i genitori di ascoltare attentamente i propri figli”.     

‘Non possiamo lasciarlo solo’: papà rimasto orfano dei figli accolto dal suo capo di lavoro

Chi è l’Uomo? Potremmo rispondere che è un fratricida indefesso, violento e vendicativo, incapace di amare i suoi simili, perché troppo preso a soddisfare i suoi desideri egoistici. Oppure potremmo pensare a coloro che, nel dolore più dilaniante, tendono una mano, si fanno prossimi, hanno parole di conforto e compiono gesti che ricordano la tenerezza di Dio.

L’incendio di Bologna, nel quale hanno perso la vita una donna romena di trentadue anni e i suoi tre figli, ha mietuto un’altra vittima, seppur rimasta in vita: il papà George Panaite Birta, che non abitava con loro (era infatti separato dalla mamma dei suoi figli) e ora piange per quei pezzi di cuore che se ne sono andati troppo presto.

Si avvicina la Pasqua e da cristiani siamo autorizzati a non disperare nemmeno di fronte a queste tragedie immani: siamo autorizzati a pensare che la morte sia già stata distrutta e che, un giorno, quel padre rivedrà i suoi cuccioli. Gesù è stato sempre molto chiaro su questo: prima ancora di morire e risorgere lui stesso, nella sua predicazione e attraverso tutta la sua missione terrena ha annunciato senza sosta che siamo stati creati per la Vita eterna.

Prima che questo papà possa ricongiungersi ai suoi cari, però, a noi è chiesto di accompagnare questo papà chiamato ad un fardello così grande, è chiesto di supportarlo. A noi spetta condividere il suo calvario. Il dolore che prova quest’uomo non si può esprimere a parole e infatti non ne ha usate molte George. Solo una candela e una foto per ricordare la sua famiglia, poi il silenzio. 

Chi lo conosce dice che i bambini (Giorgia Alejandra, Mattia Stefano e Giulia Maria) erano la sua vita. Il Corriere scrive, tuttavia, che colleghi e amici gli si sono stretti attorno, e questo abbraccio ha visto il suo culmine nella richiesta del suo capoufficio, il responsabile della sede bolognese di 

Mitsafetrans, di stare in casa da lui, perché non si abbandonasse alla solitudine. ‘Non possiamo lasciarlo solo’, ha detto.

L’intera comunità, con piccoli gesti, messaggi, disponibilità ha condiviso il dolore di questa famiglia, che sabato mattina si è riunita davanti alla camera mortuaria in attesa dei funerali di mamma e figli. Tra loro anche il sindaco Matteo Lepore e il capo di gabinetto Matilde Madrid. E poi padre Trandafir, referente spirituale della famiglia che era ben nota nella comunità romena.

Il fratello di Stefania Nistor, Razvy, ha intanto lanciato una raccolta fondi, per il trasporto delle salme dei familiari in Romania, e i membri della comunità si sono già detti pronti a stare vicini alla famiglia con tutto quello che serve. Una comunità segnata da un grande dolore ma che sta rispondendo con un grande amore. Perché l’uomo è anche questo. E anche questo merita di far notizia.

A Roma la Giornata mondiale dei Bambini e delle Bambine

“Si avvicina la vostra prima Giornata Mondiale: sarà a Roma il 25 e 26 maggio prossimo. Per
questo ho pensato di mandarvi un messaggio, sono felice che possiate riceverlo e ringrazio tutti
coloro che si adopereranno per farvelo avere. Lo rivolgo prima di tutto a ciascuno personalmente, a
te, cara bambina, a te, caro bambino, perché ‘sei prezioso’ agli occhi di Dio, come ci insegna la
Bibbia e come Gesù tante volte ha dimostrato.

Allo stesso tempo questo messaggio lo invio a tutti, perché tutti siete importanti, e perché insieme, vicini e lontani, manifestate il desiderio di ognuno di noi di crescere e rinnovarsi. Ci ricordate che siamo tutti figli e fratelli, e che nessuno può esistere senza qualcuno che lo metta al mondo, né crescere senza avere altri a cui donare amore e da cui ricevere amore”.

Con questa lettera papa Francesco ha invitato bambini e bambine a Roma sabato 25 e domenica 26
maggio per l’incontro internazionale organizzato dal Dicastero per la cultura e l’educazione, in cui
sono attesi più di 100.000 bambini e ragazzi da più di 100 Paesi, come ha detto p. Enzo Fortunato,
coordinatore della prima Giornata mondiale dei bambini (Gmb):

“Ad oggi abbiamo già 57.555 iscritti. E’ un dato sorprendente, che crescerà. Vorrei ringraziare il Papa per il Messaggio che ci ha donato per la Giornata, che porta dentro il segreto della felicità: l’incontro con Gesù. Sarà un messaggio per il mondo”.

Mentre Stella Cervogni, responsabile delle delegazioni estere della Gmb, ha spiegato che saranno
invitati anche i bambini di altre religioni: “Ci saranno bimbi musulmani e buddisti, presenze che
saranno testimonianza visibile del mondo di pace che vorremmo”.


Nel messaggio papa Francesco ha sottolineato che i bambini e le bambine sono la ‘gioia’ anche
della Chiesa: “Così tutti voi, bambine e bambini, gioia dei vostri genitori e delle vostre famiglie,
siete anche gioia dell’umanità e della Chiesa, in cui ciascuno è come un anello di una lunghissima
catena, che va dal passato al futuro e che copre tutta la terra”.

E’ stato anche un invito ad ascoltare i propri familiari ed a non dimenticare chi ‘soffre’: “Per questo
vi raccomando di ascoltare sempre con attenzione i racconti dei grandi: delle vostre mamme, dei
papà, dei nonni e dei bisnonni!


E nello stesso tempo di non dimenticare chi di voi, ancora così piccolo, già si trova a lottare contro
malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la
fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato
dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre
forme di schiavitù, degli abusi.


Insomma, tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia. Ascoltateli, anzi
ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle
lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è
brutto il male”.

‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’, brano dell’Apocalisse scelto come titolo dal papa per questa
giornata: “Queste parole ci invitano a diventare agili come bambini nel cogliere le novità suscitate
dallo Spirito in noi e intorno a noi. Con Gesù possiamo sognare un’umanità nuova e impegnarci per
una società più fraterna e attenta alla nostra casa comune, cominciando dalle cose semplici, come
salutare gli altri, chiedere permesso, chiedere scusa, dire grazie.

Il mondo si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi. Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo”.


Inoltre ha ricordato che la felicità deve essere condivisa: “E c’è di più. Infatti, care bambine e cari
bambini, da soli non si può neppure essere felici, perché la gioia cresce nella misura in cui la si condivide: nasce con la gratitudine per i doni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta partecipiamo agli altri.

Quando quello che abbiamo ricevuto lo teniamo solo per noi, o addirittura facciamo i capricci per avere questo o quel regalo, in realtà ci dimentichiamo che il dono più grande siamo noi stessi, gli uni per gli altri: siamo noi il ‘regalo di Dio’. Gli altri doni servono, sì, ma solo per stare insieme. Se non li usiamo per questo saremo sempre insoddisfatti e non ci basteranno mai”.


Ed ha elencato alcuni luoghi in cui si può stare insieme felicemente: “Pensate ai vostri amici: com’è
bello stare con loro, a casa, a scuola, in parrocchia, all’oratorio, dappertutto; giocare, cantare,
scoprire cose nuove, divertirsi, tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno. L’amicizia è
bellissima e cresce solo così, nella condivisione e nel perdono, con pazienza, coraggio, creatività e
fantasia, senza paura e senza pregiudizi”.

Infine in preparazione di questa giornata mondiale papa Francesco ha invitato a non dimenticare la
preghiera: “E adesso voglio confidarvi un segreto importante: per essere davvero felici bisogna
pregare, pregare tanto, tutti i giorni, perché la preghiera ci collega direttamente a Dio, ci riempie il
cuore di luce e di calore e ci aiuta a fare tutto con fiducia e serenità.

Anche Gesù pregava sempre il Padre. E sapete come lo chiamava? Nella sua lingua lo chiamava semplicemente Abbà, che significa Papà. Facciamolo anche noi! Lo sentiremo sempre vicino”.

In particolare la preghiera del Padre nostro: “Care bambine e cari bambini, sapete che a maggio ci
troveremo in tantissimi a Roma, proprio con voi, che verrete da tutto il mondo! E allora, per
prepararci bene, vi raccomando di pregare usando le stesse parole che Gesù ci ha insegnato: il Padre
nostro.

Recitatelo ogni mattina e ogni sera, e poi anche in famiglia, con i vostri genitori, fratelli, sorelle e nonni. Ma non come una formula, no! Pensando alle parole che Gesù ci ha insegnato. Gesù ci chiama e ci vuole protagonisti con Lui di questa Giornata Mondiale, costruttori di un mondo nuovo, più umano, giusto e pacifico”.

A Londra serata benefica dell’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’ per l’Orfanotrofio ‘Oasi della Pietà’

Una serata di Fundraising per la raccolta fondi destinata alla realizzazione della ‘Cucina Scuola Francesco Mazzei’ dell’Orfanotrofio ‘Oasi della Pietà’, con sede a Il Cairo, è stata organizzata ieri dalla ‘Associazione Bambino Gesù del Cairo Onlus, il cui presidente è mons. Yoannis Lahzi Gaid, già segretario personale di Sua Santità Papa Francesco, presso l’Ambasciata d’Italia a Londra, con la partecipazione e il sostegno di Sua Eccellenza Inigo Lambertini, Ambasciatore d’Italia presso il Regno Unito, alla quale hanno partecipato più di cento illustri personaggi. La notizia è stata diffusa in Italia dal Direttore della Comunicazione dell’Associazione Biagio Maimone.

La ‘Cucina Scuola Francesco Mazzei’ è il risultato dell’accordo sottoscritto tra l’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’ e lo Chef Francesco Mazzei,  che si qualifica come iniziativa finalizzata a trasformare la cucina dell’ ‘Oasi della Pietà’ in scuola cucina per garantire il futuro professionale degli ospiti della Casa di Accoglienza, la cui denominazione fa riferimento al prezioso dono che Sua Santità Papa Francesco ha benevolmente voluto destinare a questo progetto, che è una copia della Pietà di Michelangelo.

Le altre iniziative in essere dell’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’ sono l’ospedale pediatrico e materno ‘Bambino Gesù del Cairo’, la catena di ristoranti ‘Fratello’,  volta a offrire gratuitamente cibo alle famiglie povere e la Scuola della Fratellanza Umana. Lo Chef Francesco Mazzei ha voluto organizzare questa iniziativa per coinvolgere un significativo numero di persone. Nel suo discorso Mazzei ha incoraggiato i partecipanti a sostenere tale iniziativa ringraziando tutti per aver accettato l’invito e per la loro partecipazione. Mazzei, inoltre, ha ringraziato gli sponsor che hanno contributo  alla realizzazione di questo importante evento benefico.

Sua Eccellenza Inigo Lambertini ha dato il benvenuto a tutti i presenti sottolineando l’importanza di questo genere di iniziative, che dimostrano il volto umano della nostra società e la bontà dei cuori generosi che rendono il mondo un posto migliore. Mons. Yoannis Lahzi Gaid ha ringraziato per l’opportunità ricevuta di poter parlare dell’Orfanotrofio ‘Oasi della Pietà’, che l’associazione, insieme a tanti benefattori, sta portando avanti:

“E’ una Casa di Accoglienza in cui saranno accolti tanti bambini orfani o abbandonati dalle proprie famiglie per diversi motivi. E’ una ‘Casa’ ed è una ‘Famiglia’ in cui i bambini vivranno in famiglia. Ogni gruppo sarà di sei bambini e verrà affidato a una coppia di giovani volontari. In tal modo essi potranno vivere insieme in un appartamento. Studieranno insieme, giocheranno insieme e così sperimenteranno l’abbraccio di una vera famiglia. La casa offrirà ai suoi piccoli ospiti tutto ciò che vogliamo dare ai nostri bambini”.

Mons. Gaid ha sottolineato altresì: “L’Oasi della Pietà è un progetto completo, studiato bene per poter dare a questi bambini tutto ciò che la vita  ha tolto loro. La Casa di Accoglienza ‘Oasi della Pietà’ è stata concepita per dare la possibilità a questi bambini di avere una casa in cui poter crescere serenamente e ricevere educazione, formazione, cure mediche, opportunità di crescita e imparare un lavoro.

Ogni bambino, pertanto, che entrerà nella casa sarà accolto, accompagnato sia durante il tempo di permanenza, sia successivamente quando raggiungerà l’età della maturità. L’iniziativa ‘Cucina, Suola Francesco Mazzei’ risponde all’intento di trasformare la cucina in scuola per insegnare ai giovani e a tutte le persone interessate l’arte della cucina e poter lavorare  negli  alberghi e nei  ristoranti”. La maestosità della Sede diplomatica e la generosità delle persone hanno reso la serata un momento di serena e vera umanità e fratellanza.

Testimone di fede: Principessa Mafalda di Savoia

Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia, principessa d’Assia, secondogenita di re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena del Montenegro, nacque a Roma il 19 novembre 1902. Il nome era stato scelto da Vittorio Emanuele, ricordando Mafalda promessa ad Alfonso II d’Aragona.

Anche in Emilia-Romagna braccio di ferro sul suicidio medicalmente assistito

“Nascere, vivere, morire: tre verbi che disegnano la traiettoria dell’esistenza. La persona li attraversa, forte della sua dignità che l’accompagna per tutta la vita: quando nasce, cresce, come quando invecchia e si ammala. Sperimenta forza e vulnerabilità, intimità e vita sociale, libertà e condizionamenti. Gli sviluppi della medicina e del benessere consentono oggi cure nuove e un significativo prolungamento dell’esistenza. Si profila così la necessità di modalità di accompagnamento e di assistenza permanente verso le persone anziane e ammalate, anche quando non c’è più la possibilità di guarigione, continuando e incrementando l’ampio orizzonte delle “cure”, cioè di forme di prossimità relazionale e mediche”.

Così inizia il giudizio della Conferenza episcopale dell’Emilia- Romagna sulle ‘Istruzioni tecnico-operative’ con le quali la giunta regionale aveva tracciato lo scorso 9 febbraio il percorso per ottenere il suicidio medicalmente assistito. Nella nota i vescovi hanno sottolineato che procurare la morte contrasta con il valore della vita:

“Alla base di questa esigenza ci sono il valore della vita umana, condizione per usufruire di ogni altro valore, che costruisce la storia e si apre al mistero che la abita, e la dignità della persona, in intrinseca relazione con gli altri e con il mondo che la circonda”.

Per questo il valore della vita impone la difesa delle persone fragili: “Il valore della vita umana si impone da sé in ogni sua fase, specialmente nella fragilità della vecchiaia e della malattia. Proprio lì la società è chiamata ad esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative. Impegno, questo, che qualifica come giusta e democratica la società. Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica”,

Per i vescovi dell’Emilia-Romagna la proposta del ‘suicidio medicalmente assistito’ è sconcertante, proponendo un loro contributo: “Esprimiamo con chiarezza la nostra preoccupazione e il nostro netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia, ben consapevoli delle dolorose condizioni delle persone ammalate e sofferenti e di quanti sono loro legati da sincero affetto.

Ma la soluzione non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione, e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso di inutilità o di peso a quanti soffrono”.

Tali ragioni possono trovarsi nell’umanità del cristianesimo, che si fonda sulla vita: “Tale prossimità e le ragioni che la generano hanno radici nell’umanità condivisa, nel valore unico della vita, nella dignità della persona, e trovano sorgente, luce e forza ulteriore in Gesù di Nazareth che, proprio sulla Croce, nella fase terminale della esistenza, ci ha redenti e ci ha donato sua madre, scambiando con Lei, con il discepolo amato e con chi condivideva la pena, parole e un testamento di vita unico, irrinunciabile, non dissimili a quelle confidenze che tanti cari ci hanno lasciato sul letto di morte”.

A tale giudizio il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, è disponibile ad ogni approfondimento, affermando che “le sentenze della Corte Costituzionale si applicano, come prescrive la Costituzione italiana. Possono certamente essere discusse e non condivise, ma non disattese, in ossequio al principio di legalità.

Come noto, la Corte Costituzionale si è pronunciata per colmare un vuoto sulla materia prodotto dall’inerzia prolungata del Parlamento. E lo ha fatto, ancora una volta, chiedendo alle Camere di legiferare, di discutere e approvare una legge nazionale. E questo è anche il mio auspicio”.

Nel frattempo la regione ha disposto  le modalità di accesso all’istituto del suicidio medicalmente assistito: “E lo ha fatto perché ciò è dovuto in uno Stato di diritto, scongiurando viceversa quanto altrove già accaduto e ancora rischia di accadere: che un paziente, peraltro in condizioni drammatiche, debba ricorrere al giudice ordinario per vedersi riconosciuto quello che, va ribadito, è un diritto ora sancito dalla Corte costituzionale. Sono certo che sul principio di legalità anche la Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna non possa che convenire”.

Acli: l’inflazione impoverisce la famiglia

Confrontando i dati dei 730 dal 2020 al 2023, dalla ricerca condotta dalle Acli su 602.566 famiglie, ‘Povere famiglie. L’impatto dell’inflazione sui redditi degli italiani’, realizzata dall’Osservatorio nazionale dei redditi e delle famiglie in collaborazione con il Caf Acli e l’Iref, è emerso che l’inflazione ha eroso i redditi del ceto medio più del Covid, causando alle famiglie italiane una perdita di € 240 al mese, come ha sintetizzato il presidente nazionale delle Acli:

“Bisogna guardare al tema della famiglia in maniera positiva. La famiglia è il luogo della solidarietà. Anche l’individualismo può essere battuto attraverso il sostegno a politiche familiari adatte. Inoltre è necessario dare la giusta dignità al lavoro, così come è previsto dalla Costituzione. Serve infine una legge strutturata anche sulla questione della cura alle persone anziane”.

Adriano Bordignon, presidente nazionale del Forum delle Famiglie, ha sottolineato la necessità di rendere il costo della vita più ‘accessibile’: “Il costo della vita è aumentato, i carrelli disponibili sono calati. Le spese obbligate hanno eroso parte sempre più significativa dei redditi delle famiglie. Un altro problema è quello dei mutui con tassi sempre più crescenti.

Una famiglia si costruisce sul lavoro e sull’abitare. Questo segna anche il loro presente e anche il loro futuro. Poi ci sono gli anziani: la solitudine sta impattando sulla qualità delle persone in modo enorme. Gli anziani non godono di una rete relazionale. Le famiglie sono sempre più ridotte”.

Analizzando il loro reddito (attraverso il modello 730) la ricerca ha evidenziato che dal 2020 al 2023 il reddito delle famiglie con dichiaranti donne hanno perso in media € 2.767 a fronte di una perdita di € 2.518 degli uomini, quasi € 250 in più rispetto a quest’ultimi.

Gli uomini hanno visto erodere il 10% del loro reddito complessivo ai fini Irpef dal mod.730/2020 al mod.730/2023; nel medesimo periodo, il reddito equivalente delle famiglie con dichiarante donna è sceso del 14%. Inoltre, il 90% delle dichiaranti donna in povertà relativa non risulta coniugata: è vedova, single o separata e il 34% delle restanti donne vive con almeno un figlio a carico.

La perdita di potere d’acquisto, misurata in ‘carrelli di spesa’ per beni primari alimentari (ipotizzando che un carrello di spesa costi all’incirca € 90), le famiglie bireddito senza carichi hanno perso circa 8 carrelli annuali (pari ad € 700); i separati/divorziati senza carichi 6 carrelli, come 6 sono i carrelli persi da single/unioni di fatto; fino a toccare 4 carrelli di spesa persi delle famiglie monoreddito e dei vedovi.

La perdita di potere d’acquisto in rapporto ai redditi equivalenti varia in base alla struttura familiare e si va da una perdita del 10% circa sul reddito complessivo delle famiglie di reddito senza carichi e dei vedovi senza carichi; al 4,5% dei separati/divorziati con carichi e dei vedovi con carichi. L’incidenza della perdita sul reddito del totale del panel si attesta intorno all’8,7%.

Ed è in aumento il numero di famiglie che sono entrate in soglia di povertà relativa a causa dell’inflazione a doppia cifra: nel mod.730/2020 costituivano l’8,2% del panel, dato in flessione nel mod.730/2021, quando tale percentuale scese al 7,6%, calo dovuto in parte alla deflazione degli anni del covid e in parte alle politiche di salvaguardia dei redditi dagli esiti del lockdown.

Tassa invisibile e regressiva, l’inflazione ha eroso questo leggero recupero di potere di acquisto facendo perdere centinaia di euro annui alle famiglie del panel. Nella dichiarazione dei redditi del 2023, le famiglie in soglia di povertà sono passate dall’8,2% al 9,8%.

Anche le famiglie di anziani soli in povertà relativa costituiscono l’11% del panel, a fronte del 9,4% di dichiaranti in povertà più giovani: di questo sottogruppo il 40% sono settantenni ed il 60% sono ultra ottantenni. La perdita di reddito è stata di circa € 2.800 su un reddito familiare medio equivalente di € 20.000. Ancora una volta ad essere più penalizzate sono le donne: il rapporto tra numero di famiglie unipersonali di dichiaranti uomini rispetto al numero di famiglie di dichiaranti donne over 70 in povertà relativa è di uno a sei, 14% contro l’86%.

Inoltre l’inflazione a doppia cifra e l’aumento del costo del denaro hanno inciso anche sugli interessi sui mutui per acquisto delle abitazioni, per cui la media dell’aumento degli interessi sul mutuo per acquisto di abitazioni è stata di circa € 340 annuali. Però se si considera soltanto i mutui accesi dal 2020 in poi, l’aumento degli interessi ha riguardato il 98% dei mutuatari ed è stato in media di oltre € 1060 tra il 2020 e il 2022. Infine solo il 20% delle famiglie con figli ha detratto spese per le attività sportive dei figli, per un importo mediano di € 210.

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