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Le condizioni umanitarie a Gaza sono in peggioramento
“Il Patriarcato Latino di Gerusalemme segue con grave preoccupazione la notizia dei raid, apparentemente lanciati dall’esercito israeliano, contro la Scuola della Sacra Famiglia a Gaza questa mattina. I filmati e i resoconti dei media provenienti dal luogo includono scene di vittime civili e di distruzione del complesso. Di proprietà del Patriarcato latino di Gerusalemme, la scuola della Sacra Famiglia è stata, fin dall’inizio della guerra, un luogo di rifugio per centinaia di civili. Nella scuola non risiede personale religioso”: così il Patriarcato latino di Gerusalemme, nella scorsa settimana, ha condannato l’attacco ai civili senza garanzia che gli stessi non rimangano coinvolti nei combattimenti.
Inoltre sono trascorsi 9 mesi dallo scorso 7 ottobre e p. Carlos Ferrero, superiore provinciale dell’Istituto del Verbo Incarnato, ha raccontato al portale del Patriarcato di Gerusalemme la vita a Gaza, che nei giorni scorsi ha riaccolto p. Gabriel Romanelli: “Dal 2019 ho visitato molte volte la parrocchia di Gaza, essendo un superiore provinciale, ma con mia grande sorpresa la mia presenza qui a quest’ora ha avuto un suo impatto. Me ne sono reso conto quando la gente ha cominciato a chiedermi se sarei andato via quando il Patriarca sarebbe dovuto rientrare. ‘Te ne vai? Rimarrai per qualche tempo? Quanto tempo ti fermerai?’
Quando ho detto loro che ero venuto per restare fino a quando Dio mi avesse permesso di stare qui, sono diventati molto felici e ho capito che questo dava loro la speranza che fosse successo qualcosa di buono. Anche se non ho fatto nulla per creare aspettative o alimentare speranze. E’ solo il fatto di essere qui con loro, di condividere le loro paure e sofferenze quotidiane, di pregare insieme ogni giorno in mezzo a un grande rumore”.
Inoltre ha raccontato in quale modo stanno vivendo questa guerra: “La gente è molto stanca, ma deve sopportare la situazione. Hanno perso interesse nello sviluppo del processo per ovvie ragioni. L’unica cosa che sperimentano è la sofferenza. Sentono una buona parola e subito dopo è tutto il contrario. Sono stanchi di questo! Facciamo del nostro meglio per essere vicini a tutti. A volte solo per ascoltare ciò che hanno da dire, condividendo con loro parole di conforto, aiutandoli come possiamo.
Poiché non c’è scuola, p. Gabriel ha organizzato delle classi di sostegno, insegnando ai bambini le principali materie scolastiche. Hanno incluso l’inglese e mi hanno chiesto di aiutarli. Ora insegno ai bambini dalla prima alla quarta elementare. I bambini sono molto colpiti da questi nove mesi di guerra e di assenza di scuola. Hanno i nervi a fior di pelle.
A poco a poco stanno diventando più interessati e stanno imparando le basi. Tra di noi c’è una brava insegnante, la signora Sherin, una vera educatrice, che li ha aiutati con la traduzione e le metodologie. Poiché sono giovani, non capiscono se parlo solo in inglese. E’ allora che la signora Sherin dà un grande contributo e aiuta tutti noi. Tuttavia, cerchiamo il più possibile di rendere lo studio un’attività divertente. Ci proviamo!”
Mentre Amnesty International è ‘profondamente preoccupata’ per la situazione di Gaza, anche per le denunce di sparizioni forzate di massa, per l’assenza di informazioni su palestinesi della Striscia di Gaza arrestati dalle forze israeliane: “Il 16 dicembre l’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite sui diritti umani ha affermato di aver ricevuto ‘numerose inquietanti denunce’ dal nord della Striscia di Gaza circa ‘arresti di massa, maltrattamenti e sparizioni forzate’, che potrebbero riguardare migliaia di palestinesi, minorenni inclusi.
Nelle fotografie e nei filmati verificati dal Crisis Evidence Lab di Amnesty International si vedono le forze israeliane sottoporre a trattamenti inumani e degradanti palestinesi arrestati a Beit Lahia, nella Striscia di Gaza settentrionale. La sorte di molti di questi detenuti rimane sconosciuta. Altri palestinesi di Gaza, compresi lavoratori e altre persone con permesso d’ingresso in Israele, restano in sparizione forzata. Le autorità israeliane hanno confermato le morti in custodia di almeno sei palestinesi in loro custodia, a ottobre e a novembre, tra cui due lavoratori di Gaza”.
Le preoccupazioni di Amnesty International per la sorte dei detenuti di Gaza sono ancora più forti alla luce delle immagini, diffuse recentemente e verificate dal Crisis Evidence Lab di Amnesty International, che mostrano uomini palestinesi costretti a stare in ginocchio sul pavimento, in mutande e con le mani bendate, coi soldati israeliani sopra di loro: “Le scene angoscianti provenienti da Gaza dovrebbero portare a una condanna internazionale e necessitano un’indagine urgente e di misure per prevenire ulteriori atti di tortura, sparizioni forzate e altri crimini di diritto internazionale. Il mondo deve assicurare che tali azioni non vengano normalizzate, bensì riconosciute come un oltraggio all’umanità”.
Ed allo stesso tempo Amnesty International ha ribadito il suo appello ad Hamas e ad altri gruppi armati di Gaza, affinché liberino immediatamente e senza condizioni tutti gli ostaggi civili, trattino umanamente tutte le persone che hanno catturato e permettano al Comitato internazionale della Croce rossa l’accesso agli ostaggi e ai prigionieri: “Il sequestro di ostaggi e il rapimento di civili sono crimini di guerra. Riprendere con le telecamere e diffondere testimonianze degli ostaggi, come nel video di tre uomini anziani ostaggi civili, pubblicato dal braccio armato di Hamas il 18 dicembre, costituiscono trattamenti inumani e degradante”.
COP: ripensare la parrocchia nella grande città
“Abbiamo sempre chiamato settimana del COP questo nostro incontrarci ogni anno a riflettere sulla pastorale italiana e quest’anno non potevano non partire dalla sinodalità, come esperienza che ha caratterizzato tutte le diocesi italiane, per acquisire il lavoro fatto e per fare un passo ulteriore: declinare la categoria sinodalità dentro le nuove comunità parrocchiali che si stanno formando in molte regioni italiane, perché il termine “sinodalità” non risuoni come un vuoto refrain, ma apra a ricadute concrete, attraverso una profonda conversione. L’altro elemento che abbiamo voluto approfondire è la missione: una comunità vera non può non essere comunità missionaria, con un movimento ‘in uscita’, quindi”.
Il presidente del Centro Orientamento Pastorale (COP), mons. Domenico Sigalini, ha concluso la 73^ Settimana di aggiornamento sociale, invitando a riflettere sul tema della parrocchia sinodale e missionaria, ‘sempre vicina alla gente’, svoltosi a Seveso, in cui teologi, pastoralisti, liturgisti, ma anche esperti di nuove tecnologie e rappresentati dell’associazionismo hanno tentato di declinare le prospettive di una trasformazione magmatica e impetuosa che obbliga a rivedere certezze e abitudini rassicuranti: “La preoccupazione e l’obbligo di abitare le trasformazioni che stiamo conoscendo come Chiesa: ci fa porre qualche domanda: Cosa fare? Cosa stiamo diventando? Missionari dentro una città che non abbiamo generato, anzi che ci genera, allo stesso tempo capaci di ritrovare le tracce dello Spirito, che ci rende protagonisti in questa storia di piena trasformazione. Milano come Ninive è una grande metafora”.
Ed ha ricordato la lettera pastorale del card. Martini rivolta alla città di Milano agli inizi degli anni ’90: “E’ una metafora d’invito ad imparare a guardare la città come Giona guardava Ninive, ovvero una città che ci può sembrare estranea ma che è già abitata da Dio. Vogliamo ritrovare le tracce di Dio che abita in questa città, in un momento in cui abbiamo la sensazione che la trasformazione invece ci ‘espella’ dalla città. Lo possiamo fare accettando un metodo, che è il rovesciamento di prospettiva, ovvero non guardare sempre a chi siamo noi dentro la città ma a guardare a chi è la città, e come ci guarda. Un metodo che possiamo eseguire in tre tappe”.
Il presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, Gianni Borsa, ha invitato ad incontrare le ‘città’ nella città: “Ci riferiamo peraltro alla città riconoscendo di essere sempre meno radicati in un luogo fisico (la città appunto). Tra pendolarismo per studio o lavoro, delocalizzazioni, mobilità e viaggi, internet e social media, tra reale e virtuale… diventiamo sempre più residenti non abitanti di infiniti non-luoghi. I nonluoghi descritti da Marc Augè, spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli (treni e metropolitane, supermercati, parcheggi, stadi).
Le piazze oggi sono virtuali, gli incontri avvengono spesso on line e sui social, le chiacchiere uozzappate… Siamo al contempo, qui e altrove grazie al digitale. Siamo vicini – in metropolitana – eppure distanti. Così gli spazi fisici tendono a perdere o dilatare i confini: pensiamo solo al profilo della parrocchia, che non a caso è stata definita liquida”.
E’ stato un invito ad ‘uscire’ da casa: “Per capire davvero le città, per capire dalla città, occorre “perdersi” nella città. Viverla intensamente. Necessario uscire da casa (uscire dalla chiesa, andare oltre il sagrato). Charles Dickens, cantore della Londra vittoriana, racconta di essersi smarrito da piccolo nella City londinese: così comincia ad apprezzare e amare la città.
Il Renzo dei ‘Promessi sposi’ apprende grandi lezioni di vita dopo essersi immerso, fra tante peripezie, nella Milano della peste, per lui città ‘straniera’. La stessa Milano è oggi segnata, sul piano urbanistico, da nuovi quartieri pensati e costruiti per essere frequentati solo alcune ore al giorno (quartieri degli orari ‘feriali’), per il resto svuotati di gente, di vita. Diventando periferie silenziose, a tempo, di lusso”.
Mentre don Mattia Colombo, docente di teologia pastorale al Seminario di Milano, prendendo spunto da una serie di interviste a donne e uomini diversamente impegnati a livello parrocchiale e sociale, più o meno assidui nella frequentazione dei sacramenti, ha fornito alcune indicazioni: “Come questo contesto interpella la parrocchia urbana (che è nella regione postmetropolitana)? Occorre collocarsi nella lettura del contesto, piuttosto che applicare modelli. Quali sono le trasformazioni da mettere a tema? Alcune provocazioni. 1) Ri-strutturare, dare una nuova struttura alla fede rispetto al tempo. Come la parrocchia può garantire una certa comodità temporale specie per ristrutturare il ‘precetto’ festivo? La sola pratica sacramentale (insuperabile) non diventa l’assoluto dell’analisi.
2) Accogliere una logica affinitaria, senza canonizzarla. La gente sempre più sceglie oltre il criterio di appartenenza territoriale, ad esempio con il criterio del tempo. Nonostante questa dimensione affinitaria-elettiva occorre vigilare perché non si passi da una forma popolare ad una forma di scelta. 3) Formare a scelte consapevoli. Pur non vivendo all’ombra del campanile ogni battezzato è discepolo missionario. In parrocchie sempre più ‘attraversate’ piuttosto che abitate, occorre rendere proficue esperienze pastorali. 4) Superare una logica di ‘specializzazione’. Non esiste una evangelizzazione da effettuarsi con logiche pure. Il contesto urbano, ricorda alla Chiesa la complessità dell’azione pastorale, un’azione che ha peso simbolico specie nella città”.
In apertura del convegno mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano, ha introdotto il tema della ‘settimana’: “Il cristianesimo ha cambiato la storia introducendo un argomento nuovo, quello della resurrezione. Come torniamo oggi a quello che una volta chiamavamo ‘precetto festivo’? E’ tramontato perché lo abbiamo ridotto alla sua sola dimensione morale, facendo venir meno dimensioni fondamentali come l’aggregazione, la costruzione di dinamiche simboliche, riconoscersi come comunità, capire il senso della storia, generare un noi; solo alla fine è diventato un principio etico. Oggi dobbiamo rifare tutto questo in modo nuovo, ed è quello che ci viene consegnato, per scoprire che in realtà ne abbiamo già tanti di spazi rigeneratori del precetto festivo. Per rigenerare un cristianesimo anche nel XXI secolo”.
In conclusione nella lettera alla parrocchia mons. Sigalini ha sottolineato il dono dell’accoglienza da parte della parrocchia: “Proprio qui sta la prima accoglienza che ci è chiesta di vivere: la povertà del nostro tempo. Accogliere la povertà delle nostre chiese vuote. Siamo invitati a essere prossimi a tutte le nuove forme di povertà e fragilità, sentendo viva anche per la tua piccola o grande comunità l’esortazione «ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità della tua vecchia parrocchia sia capace di creare nuove ospitalità per dare bellezza alle nostre comunità”.
(Foto: COP)
Voltare pagina, che difficile!
‘Voilà, ecco la tua parrocchia, ormai ho fatto i miei 75 anni!’: con fare deciso, père Robert si presenta così al vescovo, per rinunciare alla conduzione del suo gregge. E ne spiega anche il motivo: “Ormai, in pensione, voglio camminare, contemplare, passeggiare… allenarmi per i prati del paradiso!” Bella questa libertà, ancor di più il suo programma. E, se volete, pure questo spirito deciso, nel saper voltar pagina del libro della vita. Dicendosi, tuttavia, sempre disponibile a dare una mano se serve, ma una sola…
E’ vero, continuare a essere leader non è sano per sè, nè per gli altri. Tempi nuovi avanzano al galoppo. Restare sulla cresta dell’onda, allora, non si rivela salutare. Necessitano, a volte, in una comunità, una sensibilità differente, delle energie nuove o uno sguardo diverso. E sarà sempre – non bisogna preoccuparsene – un arricchimento, un completamento di quello che si è fatto fino allora…
Sarà pure seguire la ‘regola d’oro dell’alternanza’, come recita un bel passaggio della Bibbia, in quel procedere a due tempi: “C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli.. E si potrebbe aggiungere al testo sacro: un tempo per essere leader e un tempo solamente per consigliare…”.
Perchè il consiglio serve spesso ad anticipare le cose. Sì, si è così presi dal presente, o fissati al passato che non si ha il tempo di scrutare sufficientemente il futuro, i segni dei tempi. Come si scruta il cielo, per vedere che tempo farà, come ricorda il Vangelo. Inoltre, ‘i tuoi figli e figlie profetizzeranno, i tuoi vecchi sogneranno e i tuoi giovani avranno visioni’ (cfr Gl 3,1). Dare, così, spazio al sogno, oltre al fare.
Ricordo il vescovo di Ginevra di anni fa, città dove mi trovavo in missione: “Le unità pastorali sono il futuro della nostra diocesi? – si interrogava, rivolgendosi ai suoi collaboratori – Sì, allora lo anticipiamo!” E ne fissava subito l’entrata in vigore per decreto, cioè l’accorpamento di tutte le parrocchie di città o di campagna tre a tre. Per imparare da subito a condividere ricchezze e fragilità, sfide e difficoltà. Questo quando si preferisce anticipare i tempi. E si comprende teologicamente come il Regno di Dio avanza con i suoi passi verso di voi, più che l’inverso.
Preferendo, così, non vedere sfilacciarsi le situazioni, logorarsi gli animi od irrigidirsi le dinamiche, presi da quell’ansia di trattenere nelle nostre mani il passato. Aprirle per accogliere i segni del Regno, il clima di tempi nuovi, sa sempre di miracolo. Penso ancora all’enorme sorpresa che provavo, quando tempo fa, recandomi per l’ennesima volta al monastero benedettino di St Benoit s/Loire, in Francia, dove apprezzare un abate dallo stile paterno, dolce ed equilibrato, di un’autorevolezza naturale, che traspariva dai pori della pelle.
Lo ritrovavo, invece quella volta, in piedi alle mie spalle, alla mensa degli ospiti, con due bottiglie in mano, una di acqua e una di vino, per servire durante il pranzo e versare quando necessario ai commensali. Un giovane abate, invece, troneggiava al centro del grande refettorio… Plastica immagine, allora, per me delle parole del Cristo,venuto per servire, non per essere servito e che Benedetto identificava nel forestiero stesso, che bussa alla porta.
Così ricordo le raccomandazioni del nostro vescovo di Versailles, quando rivolgendosi al presbyterium, a tutti i preti riuniti, suggeriva di coltivare degli interessi, degli hobbies, delle passioni, come il giardinaggio, uno strumento musicale, la lettura di un libro, un collezionismo… ‘Quando vi toglierò la parrocchia,- concludeva così – non vi sentirete perduti o in depressione…’.
Voltare pagina per un leader è spesso una sfida, un gesto di coraggio e un grande atto di fiducia in Dio, che accompagna il nostro cammino in tutte le stagioni dell’esistenza. Allora sì che si avrà il tempo di seguire il consiglio di un vicario episcopale francese, che raccomandava ai preti di coltivare sempre tra i tanti impegni e programmi anche degli incontri liberi, spontanei e casuali. Dio è, per davvero, sorpresa!
La presidente di Azione Cattolica di Macerata, Stefania Sagripanti: abbracciare il territorio
A fine maggio Giuseppe Notarstefano è stato confermato presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana per il triennio 2024-27, che ha espresso gratitudine per la riconferma nel ricordo dell’incontro svoltosi il 25 aprile scorso con papa Francesco: “In questo cammino ci sia sempre di sostegno l’insegnamento e l’esempio di papa Francesco. E’ vivissimo nel cuore di tutti i ragazzi, i giovani e gli adulti di Ac il ricordo del bellissimo Incontro nazionale dello scorso 25 aprile in piazza san Pietro, che ha visto decine di migliaia di soci e amici dell’Ac cingere in un unico grande abbraccio il Santo Padre. La nostra casa è una casa aperta a tutti; è la casa dell’Evangelii gaudium e della Fratelli tutti”.
Ed ha richiamato la vocazione dell’associazione nella vita sociale: “Mentre muove i primi passi questo nuovo triennio della vita associativa, nel solco di quanto indicato dai lavori della XVIII Assemblea nazionale dell’Ac, l’Associazione vuole essere ancora di più uno spazio di amicizia e di condivisione della vita di tutti. Per promuovere stili e pratiche di vita di cura e per contribuire nella tessitura di alleanze per il bene di tutti, attraverso l’educazione alla responsabilità personale, all’impegno pubblico, al senso delle istituzioni, alla partecipazione, alla democrazia e, mi piace sottolinearlo nell’anniversario della strage di Capaci, alla legalità.
Come amava dire Vittorio Bachelet, l’Azione cattolica vuole aiutare tutti ad amare Dio e gli uomini, vivendo responsabilmente la vita della Chiesa, delle nostre comunità, ricucendo le ferite del vivere, dentro una complessità che non manca mai di rivelare la Speranza”.
Partendo dalle parole del prof. Notarstefano abbiamo incontrato la neo presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Macerata, Stefania Sagripanti, che racconta le giornate ‘romane’:
“Tutto è cominciato la mattina del 25 aprile, quando, insieme a 120 giovani e adulti della nostra diocesi, siamo partiti per l’incontro nazionale ‘A braccia aperte’, in piazza San Pietro, sostenuti dalla preghiera degli altrettanti che ci seguivano da casa.
Una mattinata densa di racconti, testimonianze, musica, insieme a circa altri ottanta mila aderenti all’AC. Preghiera, ricordo dei tanti studenti e lavoratori, laici e religiosi, di AC e FUCI, caduti nella Resistenza contro il fascismo. Sorrisi e, come ci ha ricordato papa Francesco, tanti abbracci”.
Quale ‘stimolo’ è scaturito dall’assemblea?
“Il presidente Notarstefano ci ha stimolato a ‘scegliere la strada, non facile, del pensare e della sana dialettica argomentativa, per cercare e trovare soluzioni altre ed alte. Come cristiani e come aderenti all’Azione Cattolica siamo chiamati a trovare la capacità di affrontare insieme le difficoltà recuperando uno stile contemplativo delle iniziative e una promozione evangelica dell’altro’.
L’adempimento burocratico è stato quello di modificare e approvare, insieme ai centinaia di delegati da tutta Italia, il nuovo documento assembleare, che traccia la linea per i prossimi tre anni. Come ci ha detto il papa, non un adempimento formale, ma un vero e proprio segno come laici cristiani, e come molte volte è stato sottolineato, una scuola di democrazia e di corresponsabilità”.
In quale modo l’Azione Cattolica può abbracciare il territorio?
“Ci siamo sentiti dire che l’Azione Cattolica è la rete che tesse dialoghi nelle parrocchie, nelle diocesi, come cammino sinodale, in ogni realtà. Forse, il messaggio più importante da non dimenticare mai e poi mai è proprio l’abbraccio che salva di cui ci ha parlato papa Francesco. La Parola scelta per questa assemblea nazionale, tratta dagli Atti degli Apostoli, dice così: ‘Sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone. Egli è il Signore di tutti. E noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui compiute’.
Torniamo nella nostra diocesi dopo quest’Assemblea con la meraviglia nel cuore per la bellezza di fede testimoniata da tanti laici e sacerdoti incontrati e con il desiderio di poter camminare in questo triennio proprio con questo stile di accoglienza attiva, facendo circolare talenti e competenze e consentendo a tutti di dare il meglio di sé: Coraggio, riprendiamo il largo!”
Pier Giorgio Frassati sarà proclamato santo nel prossimo anno: in quale modo può essere proposto ai giovani?
“Pier Giorgio è stato un giovane ‘come tutti gli altri’, e come tutti i giovani amava la vita; anzi era, come lo definisce un suo amico, ‘una valanga di vita’, di una vitalità prorompente, tanto che era soprannominato ‘Fracassati’, proprio per la sua risata fragorosa che scoppiava all’improvviso nei corridoi del Politecnico, annunciandone l’arrivo, con il suo seguito di goliardia sfrenata.
Pier Giorgio Frassati era un giovane che ‘non voleva vivacchiare ma vivere’! Oggi si direbbe, citando l’espressione di papa Francesco, non voleva essere un ‘giovane-divano’, ma vivere in pienezza la propria esistenza! Vivere in pienezza voleva dire per lui assumersi prima di tutto le proprie responsabilità di cittadino.
Pier Giorgio Frassati ci ricorda che l’amore profondo per Cristo muove verso le altezze, non in un cammino solitario, improvvisato, occasionale, ma comunitario, costante, perseverante con i fratelli, nel rispetto dei diversi passi di ciascuno. Le opere silenziose di Pier Giorgio Frassati sono state semi produttivi in ogni terreno della sua vita e di quella degli altri e la sua testimonianza ha aiutato a moltiplicare azioni volte verso il bene”.
Chiese in festa per il Corpus Domini
Domenica 2 giugno ricorrerà la festa del Corpus Domini. Nella notte tra sabato 1 e domenica 2, la comunità patuense si riverserà nelle stradine del borgo dando ufficialmente inizio alla IX edizione dell’Infiorata di Patù, ormai conosciuta e apprezzata in tutta la Puglia e non solo. Alle ore 21 del sabato il Vescovo della diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, monsignor Vito Angiuli, benedirà l’inizio dei lavori insieme al parroco don Carmine Peluso.
Il Vescovo parteciperà alla cerimonia di posa dei primi petali, dando così il via alla realizzazione dell’Infiorata che quest’anno ha come tema la simbologia dell’albero nella Sacra Scrittura. Questo momento segna l’inizio di un processo creativo-collettivo che vede coinvolta l’intera comunità inclusi i giovani ospiti dei centri SAI di Patù e Castrignano del Capo (anche di religione musulmana), gestiti dall’ARCI Lecce solidarietà cooperativa sociale.
Realizzando in tal modo un forte segno di inclusione sociale e di pace tra i popoli di cui oggi si avverte un forte bisogno. Domenica 2 giugno alle ore 8 il Vescovo sarà di nuovo presente per benedire i quadri artistici a conclusione dei lavori. Alle 9, la comunità si riunirà per la Santa Messa in Piazza Indipendenza, seguita da una seconda celebrazione alle ore 10:30 nella Chiesa di San Michele. Il tappeto ‘fiorito’ coprirà via Principe di Napoli per una lunghezza di circa 250 metri dove passerà la processione del Corpus Domini prevista subito dopo la Messa delle 18.30 con partenza dalla Chiesa dell’Immacolata. I quadri artistici potranno essere ammirati per tutta la serata.
Come ogni anno sono poche le indiscrezioni che trapelano sui quadri e sui personaggi che animeranno la colorata manifestazione ma i protagonisti di questa edizione saranno ‘gli alberi biblici’. L’albero, per sua natura, suscita sempre grande attenzione e mai come in questo tempo la scelta della piccola comunità appare più pertinente.
La parrocchia ‘Santissimo Corpo e Sangue di Cristo’, presente nel quartiere Appio Tuscolano, è affidata alla cura pastorale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. All’interno della comunità parrocchiale si riscontrano diverse realtà, quali i gruppi Neocatecumenali, i giovani del Centro Oratori Romani (che si occupano sia della pastorale sacramentaria che dell’oratorio domenicale), il gruppo ‘Unione Sanguis Christi’ (USC), il Rinnovamento dello Spirito, la Confraternita della Misericordia e i gruppi famiglie (di cui uno di questi è dedicato esclusivamente a persone che vivono la difficoltà della separazione o una seconda unione).
Oltre a queste realtà, vi è tutta la pastorale ordinaria, come i gruppi post cresima o il prezioso servizio che fa la Caritas parrocchiale, per finire con l’iniziativa delle ‘docce solidali’ rivolta ai senzatetto che non hanno possibilità di lavarsi. Don Benedetto Labate, parroco uscente, afferma: “Da qualche anno la Parrocchia, intitolata al Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, ha deciso di vivere la propria festa comunitaria seguendo le indicazioni di papa Francesco di ‘una Chiesa in uscita’, che possa raggiungere anche quelle persone che sono lontane.
Perciò, abbiamo organizzato per venerdì 31 maggio, su via Nocera Umbra, una Celebrazione Eucaristica su strada, seguita poi da un momento prolungato di Adorazione del Santissimo Sacramento. Con questo evento desideriamo ricordare la vicinanza di Dio verso ciascuno di noi, facendoci più vicini al quartiere e alle persone che vi abitano”.
Quindi domenica 2 giugno alle ore 18:00 si terrà in Parrocchia la recita della Coroncina del Preziosissimo Sangue, seguirà la Celebrazione Eucaristica e, alle ore 20:30, si terrà un momento conviviale di festa organizzato ed animato dai diversi gruppi della comunità parrocchiale.
25 aprile: il contributo dei cattolici alla liberazione dell’Italia
Dopo l’8 settembre e fino al termine della guerra (e magari anche oltre, considerando gli strascichi di violenza successivi al 25 aprile), una scelta si impose a moltissimi italiani ‘servire’ nelle file della Repubblica sociale italiana (Rsi) oppure ‘passare’ in montagna; si impose a un grande numero di preti, sul se e sul come accettare e coprire le decisioni dei propri fedeli oppure ottemperare o meno alle esigenti richieste delle parti in campo; si impose ancora a molte donne e molte religiose, e in tal caso maturò un autentico volontariato resistenziale (o viceversa fascista repubblicano).
Alla luce delle nuove sensibilità e delle più recenti ricerche risulta elevato il numero dei cristiani che operarono per salvare tutti coloro che si trovavano in pericolo, senza badare troppo alle appartenenze religiose o politiche. Al panorama organizzativo e solidale già noto si sono aggiunti i recuperi di figure finora trascurate: da Odoardo Focherini a padre Placido Cortese e a Giovanni Palatucci (per citare solo tre tra le tante vittime cristiane della propria generosità verso i perseguitati), o di nuovi ‘Giusti tra le nazioni’ come l’ex podestà di Cagliari Vittorio Tredici.
Lo stesso Giuseppe Dossetti nell’immediato dopoguerra si rivolgerà al suo maestro di spiritualità, don Dino Torreggiani, contestandogli amichevolmente: ‘Ci avete fatto lavorare molto, ma non ci avete educato a capire il fascismo’. Anche Giuseppe Lazzati lasciò trasparire la sua critica temporalmente successiva verso chi ‘insegnava la indifferenza della chiesa per i regimi politici’.
Con la Resistenza i cattolici maturano un nuovo progetto democratico, che può essere sintetizzato nella solenne affermazione di Teresio Olivelli ne ‘Il ribelle’: “Siamo dei ribelli: la nostra è anzitutto una rivolta morale. Contro il putridume in cui è immersa l’Italia svirilizzata, asservita, sgovernata, depredata, straziata, prostituita nei suoi valori e nei suoi uomini… La nostra rivolta non data da questo a quel momento, non va contro questo o quell’uomo, non mira a questo o quest’altro punto del programma: è rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione del mondo. Mai ci sentimmo così liberi come quando ritrovammo nel fondo della nostra coscienza la capacità di ribellarci alla passiva accettazione del fatto brutale”.
L’apporto dei cattolici alla Resistenza è stato molto importante, come ha sottolineato lo storico Vittorio Emanuele Giuntella: “La presenza dei cattolici militanti nella Resistenza è… assai più frantumata e sfugge ad una rilevazione numerica, o a una sistematica classificazione, come si è tentato di fare da più parti, con intenti denigratori o apologetici, nella polemica successiva. Nella condizione storica e geografica della Resistenza non si avrà mai abbastanza attenzione alla casualità dell’adesione a una formazione, o all’altra, per la vicinanza topografica, il prestigio goduto, la omogeneità (ex alpini, paesani della stessa valle, ceti sociali identici), l’urgenza della scelta, prescindendo dall’assunzione o meno dell’ideologia, che ispirava la formazione nella quale si entrava”.
Quindi la rete capillare delle parrocchie fu fondamentale; ed i sacerdoti pagarono questo schierarsi: più di 200 furono uccisi dai nazifascisti, in rappresaglie ed in esecuzioni sommarie, per punire, in maniera esemplare, la loro collaborazione con i partigiani. Durante i mesi della Resistenza, pur nell’unità d’intenti per raggiungere l’obiettivo della fine della guerra e dell’oppressione nazifascista e lavorare per un futuro di progresso e di democrazia, emersero alcune fondamentali differenze tra i cattolici e i comunisti, sul comportamento durante la guerra ma anche sul dopo.
Per questo l’Azione Cattolica Italiana ha ‘lanciato’ nel 2020 un portale intitolato ‘Biografie Resistenti’, un progetto curato dall’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI. Il lavoro, in continua opera di aggiornamento, ha previsto una prima fase di censimento di soci, socie e assistenti di Azione cattolica che hanno partecipato attivamente e in vario modo alla lotta di liberazione nazionale e, successivamente, la schedatura dei nominativi individuati attraverso la descrizione dei dati biografici essenziali.
Come dimostrano cifre e testimonianze raccolte nella documentazione archivistica dell’Isacem, i tesserati dell’Azione Cattolica morti nella Resistenza (tra laici e ecclesiastici) furono 1.481: tra essi si contano 112 medaglie d’oro, 384 medaglie d’argento, 358 medaglie di bronzo, alle quali bisogna aggiungere un numero non definito di altre onorificenze militari e il titolo di ‘giusto fra le nazioni’. A questi vanno inoltre sommati tutti quelli che, pur non ottenendo un’onorificenza, parteciparono alla lotta contro l’occupante come combattenti, staffette, cappellani militari o membri dei Comitati di liberazione nazionale locali.
Sottolineando il contributo dei cattolici alla Resistenza il prof. Paolo Trionfini, direttore dell’Isacem e docente incaricato di Geopolitica contemporanea alla Lumsa di Roma, ha ribadito che l’incontro dei soci dell’Azione Cattolica con papa Francesco nel giorno della Liberazione è una data che invita a riflettere sul significato di Resistenza: “Come potevano i cattolici che avevano deciso di imbracciare un’arma sentirsi sicuri nella loro scelta, quando anche la condanna della violenza continuava a essere il tratto distintivo, tanto più che iniziava una guerra civile? In effetti, su questo punto, si aprì uno dei casi di coscienza più angoscianti e tormentati per i cattolici, perché chi era convinto della necessità e della giustezza della causa resistenziale rimaneva, tuttavia, perplesso sull’uso della violenza che necessariamente la guerra partigiana implicava.
Le risposte a tali interrogativi e dubbi non furono univoche all’interno del mondo resistenziale. Per rimanere a esponenti dell’Ac, Giuseppe Dossetti, ad esempio, fin dal settembre del 1943, si dichiarò personalmente contrario all’uso delle armi, senza per questo voler condizionare altri tipi di scelta. Il riminese Alberto Marvelli, beatificato nel 2004, fu contrario non solo alla violenza ma anche alla partecipazione alla Resistenza, prodigandosi per alleviare le sofferenze materiali e morali della popolazione. La maggior parte dei cattolici che fece la scelta dì militare nelle formazioni partigiane si convinse, comunque, dell’inevitabilità dell’uso delle armi, cercando, per quanto possibile, come avrebbe ricordato Ermanno Gorrieri, di umanizzare gli aspetti più crudi della guerra partigiana”.
Infine l’Associazione Nazionale Partigiani Cattolici ANPC) ha ricordato che la Costituzione Italiana nasce dalla Resistenza: “La Resistenza ha fondato la Costituzione, baluardo di diritti e di doveri per una nazione capace di autodeterminarsi e dedicare la propria sovranità per ripudiare la guerra e ogni discriminazione. L’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani è ancora qui e sempre ci sarà per continuare una battaglia pacifica a difesa dei valori della libertà e della democrazia e quindi contro ogni forma di razzismo, antisemitismo e apologia di regimi illiberali e criminali”.
Per tale associazione la Resistenza non potrà essere dimenticata dalla storia: “Esprimiamo solidarietà agli ebrei italiani e in particolare agli ebrei romani che continuano a essere offesi dopo le atrocità subite dal regime fascista delle leggi razziali. La ‘Resistenza ora è sempre’ è il manifesto di un impegno che non potrà mai venire meno e al quale educare le giovani generazioni che, lontane dai fatti storici, devono sentirsi protagoniste di un futuro costruito per dire mai più alla guerra.
Il 25 aprile 2024 è alla vigilia di una importante convocazione elettorale per eleggere il Parlamento europeo. I nostri martiri hanno combattuto e sognato patrie in pace in una Europa in pace: a loro forti del loro esempio e della loro eredità tocca il destino di dobbiamo essere non pacifisti ma operatori di pace”.
(Foto: Azione Cattolica Italiana)
La spiritualità nei giovani? Una ricerca continua e poca conoscenza
La secolarizzazione avanza in Occidente e non solo, ma la situazione potrebbe essere un po’ più complessa e meno univoca di quanto si potrebbe pensare, secondo lo studio presentato a fine febbraio alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma, dove sono stati illustrati i risultati di un’indagine internazionale su giovani, valori e religione promossa dal gruppo di ricerca ‘Footprints. Young People: Expectations, Ideals, Beliefs’ dello stesso ateneo insieme ad altre sette università nel mondo e col supporto dell’agenzia di sondaggi spagnola Gad3.
Uno dei risultati che si può osservare dai dati raccolti è che nonostante quel processo di secolarizzazione avanzi, esso corre parallelamente ad una minore ma significativa tendenza opposta: un aumento della fede vissuta per convinzione, che si sostituisce alla religione ‘socioculturale’, quella cioè vissuta per mera tradizione.
L’inchiesta si è svolta nei mesi di novembre e dicembre dello scorso anno in otto Paesi (Argentina, Brasile, Italia, Kenya, Messico, Filippine, Spagna e Regno Unito) su un campione di 4.889 giovani tra i 18 e 29 anni di età. Una indagine attenta alle differenze culturali tra i vari Paesi, dove alcune tendenza sono più marcate (ad esempio in Kenya, Filippine e Brasile, dove tra l’82% e il 92% dei giovani si identifica come ‘credente’) rispetto ad altre realtà (Argentina, Spagna e Italia tra il 48% e il 52%), e qualche sorpresa (il 63% dei giovani inglesi si definisce ‘credente’).
In questa ricerca emerge anche la forza della componente femminile tra i credenti con una grande percentuale di donne che dichiarano la propria fede in Paesi come Kenya (93%), Filippine (83%) e Brasile (81%), e in generale il numero di donne cattoliche è più alto anche a livello globale (52%).
In questa ricerca il dato più interessante è che l’Italia sia l’unico Paese in cui alla domanda ‘Credi in Dio?’ risponde in maniera consistente (ben il 32%) indicando l’opzione: ‘Sono in ricerca’, come ha sottolineato Cecilia Galatolo, dottoranda presso la stessa Pontificia Università e parte del team che ha partecipato alla ricerca.
Per la dott.ssa Galatolo “a livello nazionale la fede cattolica è molto radicata e tutti ricevono una infarinata di educazione religiosa, quindi in qualche modo anche tra coloro che lasciano si nota una sorta di nostalgia”. La rottura tra giovani e parrocchia avviene proprio ‘tra gli 11 e i 14 anni, in cui ci si allontana pur conservando spesso un buon ricordo’ ed è anche dovuto a questo quel dato relativo all’essere in ‘ricerca’.
Nella fascia 18-29 anni i giovani italiani si dichiarano credenti per il 35% del totale degli intervistati e uno su due cattolico, anche se poi soltanto una minoranza va a messa almeno una volta al mese. Ugualmente il 53% crede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, e percentuali analoghe sull’efficacia dei Sacramenti. Eppure solo il 6% dichiara di fermarsi a pregare davanti al Santissimo Sacramento.
A lei abbiamo chiesto di spiegarci cosa si evince da questa ricerca: “Per quanto riguarda l’Italia, emerge che la maggioranza dei giovani ha interesse per il tema religioso. Si è dichiarato indifferente alla spiritualità neanche un giovane su dieci (9%), mentre il 35% ha dichiarato di credere in Dio, contro un 11% che ha ‘smesso di credere’ e un 9% che dice di non aver mai creduto. Un dato rilevante, che vediamo solo nel nostro Paese è la grande presenza di ‘dubbiosi’ o ‘speranzosi’ nell’esistenza di Dio. ci riferiamo a colore che provano a credere in Dio (16%) o non sanno se possono credere in Dio oppure no (16%).
Gli incerti sono quindi un buon 32% (dato nettamente superiore rispetto a tutti gli altri paesi coinvolti nell’indagine). Dunque, possiamo affermare che la maggior parte dei giovani italiani o hanno fede o la stanno cercando. Questo è dovuto al fatto che l’Italia si trova in un momento delicato: da un lato il richiamo alla fede e alla spiritualità è ancora forte nel Paese. Quasi tutti i giovani hanno ricevuto il battesimo e una prima formazione cristiana. La cultura, però, li spinge a guardare oltre Dio, a ‘secolarizzarsi’ come gran parte del resto d’Europa. Il giovane italiano è quindi spesso diviso, scisso”.
Chi sono i giovani intervistati?
“Una ditta di sondaggi particolarmente rilevante in Spagna, GAD3 ha preso in carico il lavoro di somministrare un questionario (formulato dal team di ricercatori delle università degli otto paesi coinvolti) e di elaborare percentuali per ciascuna delle domande poste ai ragazzi. Nel caso italiano, i giovani intervistati sono ragazzi tra i 18 e i 29 anni, di tutto il Paese e di ogni estrazione sociale. Tuttavia, all’interno del questionario c’erano domande rivolte solo ai cattolici (per capire quale idea hanno sulla Chiesa e sui sacramenti) e domande rivolte solo agli atei (per capire se rimanesse in loro nostalgia del sacro)”.
Per quale motivo i giovani sono alla ricerca di spiritualità?
“Per quel motivo per cui la fede dà senso alla vita, la rende più bella. Secondo i giovani intervistati, inoltre, la fede si associa alla capacità di perdonare e di essere solidali gli uni con gli altri. Alla domanda rivolta solo agli atei se, nonostante non credano in Dio, a volte sia capitato loro di pregare o se lo facciano nei momenti particolari della vita, più di uno su due (52%) ha risposto di sì”.
I giovani come vivono la realtà parrocchiale?
“La religione maggioritaria è quella cattolica, sebbene non con una maggioranza schiacciante (50%). Il dato non è molto alto, se si considera il numero dei battezzati; ma in Spagna, altro Paese di tradizione cattolica, è emerso che solo il 35% dei giovani credenti in una qualche religione si dichiara cattolico. Alla domanda su quando i giovani hanno smesso di credere in Dio, l’età che viene segnalata sia in Italia che in Spagna, per esempio, è tra gli 11 e i 14 anni.
Anche confrontando i nostri dati con altre ricerche si può evincere che la Chiesa (nello specifico le parrocchie) potrebbero fare di più per avvicinarsi al mondo dei giovani, che spesso percepiscono ‘noia e formalità’ negli ambienti parrocchiali. Ciò non toglie che tra gli intervistati cattolici la Chiesa sia percepita nella maggioranza dei casi (64%) come un’istituzione umana e divina voluta da Gesù per il bene degli uomini. Questo ci dice che, tra coloro che restano o che ritornano alla Chiesa dopo i 18 anni, l’immagine della Chiesa è sostanzialmente positiva e che il rapporto con essa sia significativo nella loro vita”.
Quale rapporto hanno con la preghiera?
“Un dato interessante è che, se viene chiesto quale immagine associno di più a Dio (a prescindere che credano o no), per i giovani coinvolti nella ricerca di tutti i Paesi della ricerca la risposta più gettonata è ‘Qualcuno che ci ama e ha misericordia’, mentre la meno dichiarata è ‘un giudice che mi controlla’. Quindi i giovani, quando si rivolgono a Dio – i più con preghiere già formulate da altri, ma molti anche a parole proprie – si rivolgono ad un Dio-amore.
Tuttavia, tra i cattolici manca ancora una piena consapevolezza sul fatto che Dio sia “Qualcuno” con cui entrare in una relazione intima e confidenziale, ad esempio attraverso i sacramenti. Un dato che fa riflettere è che il 53 % dei cattolici (quindi uno su due) è convinto che Gesù sia realmente non simbolicamente presente nell’Eucaristia (il 26% non sa rispondere e il 21% – dei cattolici – afferma che non c’è presenza reale). Nonostante circa un cattolico su due creda nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, solo il 6% (meno di un cristiano su 10) afferma di pregare davanti al Santissimo Sacramento. Tra i giovani dichiaratamente cattolici, il 35% frequenta la messa settimanalmente.
Un dato molto utile per fotografare la situazione della fede tra i giovani italiani è quello sulla confessione. Il 67% dei cattolici ne riconosce l’importanza (tra loro, il 17% dichiara che è un aspetto fondamentale). Tra coloro che non vanno a confessarsi, è interessante notare che solo il 14% di dichiara di ‘non avere peccati da farsi perdonare’. Il 51% riconosce di avere bisogno di perdono e lo chiede direttamente a Dio. Insomma, i giovani cattolici, nella maggior parte dei casi, non hanno smarrito l’idea di aver bisogno del perdono di Dio”.
In quale modo i conciliano fede e sessualità?
“Parlando del campione dei cattolici, solo il 13% dei giovani entro i 29 anni sono sposati sacramentalmente, cioè in Chiesa, tuttavia, il 66% di loro, quindi sei cattolici su dieci, riconoscono l’importanza del matrimonio in Chiesa e vorrebbero vivere questo passo. L’aspetto su cui i giovani italiani prendono maggiormente le distanze dall’insegnamento della Chiesa è però quello sulla sessualità.
E’ evidente come in Spagna ed in Italia ci sia una maggiore apertura alla pornografia (metà degli intervistati dichiara che non danneggia la vita affettiva) e si vede con favore la pratica dell’utero in affitto (59% degli intervistati).
Più del 60% dei giovani italiani non riconosce l’esistenza di un modo buono ed un modo cattivo di vivere la sessualità: tutto è lecito, perché è il soggetto a stabilire ciò che è bene e ciò che è male per sé. Su questo punto, la maggior parte dei giovani si discosta da ciò che la religione cristiana propone”.
(Tratto da Aci Stampa)
La parrocchia ‘San Gregorio VII’ riscopre il Concilio Vaticano II
“Riscopriamo il Concilio Vaticano II per ridare il primato a Dio e a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da lui amati; una Chiesa ricca di Gesù e povera di mezzi; una Chiesa libera e liberante. Il Concilio indica questa rotta: la fa tornare, come Pietro, alle sorgenti del primo amore, per riscoprire nelle sue povertà la santità di Dio, per ritrovare nello sguardo del Signore crocifisso e risorto la gioia smarrita, per concentrarsi su Gesù”: lo aveva detto papa Francesco in occasione della celebrazione del 60^ anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II nella memoria liturgica di san Giovanni XXIII, che confidò di aver seguito ‘una voce dall’Alto’.
Ed aveva soggiunto l’esigenza di ‘studiare’ i documenti del Concilio Vaticano II per evitare rischi ‘pelagiani’: “Chiediamoci se nella Chiesa partiamo da Dio e dal suo sguardo innamorato su di noi. Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro. Il progressismo che si accoda al mondo e il tradizionalismo o ‘indietrismo’ che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà. Sono egoismi pelagiani che antepongono i propri gusti e piani all’amore che piace a Dio”.
Sollecitata da queste parole del papa la parrocchia ‘San Gregorio VII’ a Roma ha organizzato un ciclo di incontri, ‘In ascolto del Concilio Vaticano II’, le cui relazioni sono svolte dai Frati Minori dell’Umbria, sulle quattro Costituzioni della Chiesa: ‘Sacrosanctum Concilium’, sulla Sacra Liturgia, in compagnia del prof. Angelo Lameri, docente di Liturgia e Sacramentaria alla Pontificia Università Lateranense e decano della Facoltà di Teologia della medesima Università; sulla Costituzione sulla Chiesa, ‘Lumen Gentium’, in compagnia del prof. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia alla Pontificia Università Antonianum, all’Istituto Teologico di Assisi ed assistente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, a cui seguono la relazione del prof. Giuseppe Pulcinelli, Rettore del Pontificio Collegio Lateranense, che oggi introduce la Costituzione sulla Divina Rivelazione ‘Dei Verbum’; mentre la chiusura sarà affidata al prof. Nicola Ciola, docente di Cristologia alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, che giovedì 9 maggio esaminerà la Costituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo ‘Gaudium et Spes’.
A conclusione dell’incontro sulla Costituzione ‘Lumen Gentium’ abbiamo chiesto al vicario parrocchiale, p. Fabio Nardelli, di spiegarci il motivo per cui la parrocchia organizza incontri sulle Costituzioni del Concilio Vaticano II: “In ascolto delle indicazioni di papa Francesco, in preparazione al Giubileo del 2025, e riprendendo le ‘Linee Guida per il cammino pastorale 2023-2024’, che sottolineano l’importanza di riprenderegli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in particolare delle quattro Costituzioni, la Parrocchia di San Gregorio VII ha organizzato quattro incontri di formazione per tutto il ‘santo Popolo fedele di Dio’”.
Quanto sono importanti queste quattro Costituzioni per la Chiesa?
“Le Costituzioni conciliari possono essere considerati i pilastri di una casa fondata sulla roccia, che è Cristo. I testi, ricchi e densi di valore teologico-pastorale, hanno contribuito al rinnovamento della Chiesa nei suoi diversi aspetti. In maniera puntuale, le Costituzioni illuminano la missione della Chiesa e costituiscono una “bussola” per il cammino della Chiesa universale e particolare”.
Cosa significa per una parrocchia mettersi in ascolto del Concilio Vaticano II?
“Il Concilio Vaticano II rappresenta, nell’ottica magisteriale e teologica, un punto di riferimento e di ‘non ritorno’ da cui ‘ripartire’. Come è noto, utilizzando l’espressione ‘aggiornamento’, il Concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la Chiesa, per compiere un concreto ‘balzo innanzi’. Pertanto, come ha affermato di recente papa Francesco, ‘si tratta di un lavoro di rinnovamento spirituale, pastorale, ecumenico e missionario’”.
Per quale motivo i cristiani sono chiamati alla santità?
“Il Concilio Vaticano II ha rilanciato in maniera decisa la ‘vocazione universale’ alla santità per tutta la Chiesa. Essa è un dono originario del Signore continuamente rinnovato dallo Spirito e nella Chiesa sono stati depositati i doni della fede e dei sacramenti, i doni gerarchici e carismatici che la rendono segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini. Come ha ripetuto anche papa Francesco, ‘la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano’”.
Qual è la missione dei laici nella Chiesa?
“Il Concilio Vaticano II, oltre ad essere il ‘primo’ Concilio che si è occupato dell’identità e della missione dei laici, ha contribuito anche a chiarire la posizione del laico nella Chiesa. Ha dedicato, infatti, quantitativamente una buona riflessione al tema, valorizzando la dignità battesimale, applicando il ‘triplex munus’e individuando una linea specifica nell’indole secolare. I laici evangelizzano nella ferialità della loro vita cristiana a partire dal loro stato di vita, nel lavoro e nella famiglia, incarnando la relazione Chiesa-mondo. Come ha ribadito la Relazione di sintesi della prima sessione del Sinodo ‘il loro contributo è indispensabile per la missione della Chiesa’”.
Quest’anno verso il Giubileo è dedicato alla preghiera: perché è importante intensificarla?
“Per vivere al meglio questo evento di grazia, nello scorso gennaio si è aperto l’Anno della preghiera, ‘un anno dedicato a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita personale, nella vitadella Chiesa e del mondo’. La preghiera permette a ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi all’unico Dio, per esprimergli quanto è riposto nel segreto del cuore. Un intenso anno di preghiera, come via maestra verso la santità, che conduce a vivere la vita cristiana da ‘contemplattivi’, in ascolto di Dio e degli altri”.
(Tratto da Aci Stampa)
La parrocchia che cambia nel romanzo di Gianni Di Santo
A San Zenobio, nella diocesi di Ecclesia, la parrocchia vive giorni tesi. Il parroco, più che il pastore d’anime, si atteggia a funzionario di Dio. Disfa, comanda, organizza finti consigli pastorali, trasforma la messa domenicale in un enorme suk, dove chiunque fa un pò quello che gli pare. Pensando che la parrocchia sia di sua proprietà. Intanto, tra i catechisti gira di nascosto un foglio dove sono scritte le dieci regole per abbindolare il parroco, qualche discussione va oltre la soglia della chiesa, le associazioni non riescono a trovare pace e la battaglia per il Triduo santo sembra l’unica cosa che conti davvero, nella parcellizzazione dei servizi ecclesiali, che il manuale ‘Cencelli’ in salsa parrocchiale impartisce e benedice. Mentre, con disinvoltura, la comunità aspetta l’arrivo del nuovo parroco.
Con il romanzo ‘Finalmente è cambiato il parroco’ Gianni Di Santo, giornalista, scrittore e musicista, racconta la vita di una tranquilla comunità ecclesiale di periferia: cosa succede quando il parroco cambia?
“Le parrocchie dovrebbero vivere con ‘normalità’ il cambio del parroco. Spesso, purtroppo, non accade. Le comunità parrocchiali si irrigidiscono di fronte alle possibili (ed inevitabili) novità à pastorali e liturgiche che il cambio di parroco comporta. Chi si è sentito magari escluso da parte del parroco uscente, accoglie con gioia la nuova nomina. Diversamente, chi si trovava a suo agio nella precedente gestione pastorale, resta un po’ guardingo sperando che nulla cambi”.
La parrocchia è ancora la culla della ‘nostra’ fede?
“Non potrebbe essere altrimenti. Il Vangelo si incarna nella vita delle persone, nei luoghi dove esse vivono e lavorano. Non basta solo il tempio. Però è anche vero che la parrocchia, oggi, è ancorata, soprattutto sotto il profilo giuridico, a regole e consuetudini create nel Concilio di Trento. Il parroco è il responsabile giuridico, economico e pastorale della parrocchia.
Purtroppo, spesso, più che guida d’anime del popolo di Dio, che ce ne sarebbe molto bisogno, diventa un tuttofare, una sorta di amministratore delegato dell’azienda parrocchia e dispensatore di sacramenti a richiesta. Dimenticando, gioco forza, quello che dovrebbe essere il suo ruolo: una guida spirituale”.
Nella parrocchia quale ‘compito’ hanno i laici?
“I laici, come scritto nei documenti del Concilio Vaticano II, hanno il diritto e il dovere di essere corresponsabili con il parroco della vita pastorale e liturgica della parrocchia. Persino della sostenibilità economica. Ma la parola ‘corresponsabilità’ è una parola ancora molto temuta dalla gerarchia e dai nostri amati pastori. Spero che il Sinodo, che guarda caso si è espresso proprio sulla parola ‘sinodalità’, possa portare un cambiamento in tal senso”.
La parrocchia è capace di comunicare la fede ai giovani?
“Gli ultimi dati statistici riguardanti la presenza alla messa della domenica sono allarmanti. Specie dopo la pandemia, si è avuto un crollo in tutte le Chiese europee, ed anche in Italia, peraltro prevedibile. Vediamo raramente i giovani assistere alla liturgia domenicale. Accorrono in tanti alle Gmg, ma le Chiese sono vuote. Perché? E’ una domanda che la Chiesa universale dovrebbe cominciare sul serio a porsi”.
Quale chiesa sta tracciando papa Francesco?
“Una Chiesa in uscita. E’ il motto che lo ha accompagnato fin dalla sua elezione al soglio pontificio. Che non significa apriamo le porte e poi tutti scappano. Al contrario: è una Chiesa che vuole annunciare il Vangelo sulle strade del mondo. Abbracciando ogni uomo e ogni donna di ogni latitudine e periferie lontane”.
E’ la Chiesa sognata da fratel Carlo Carretto?
“Fratel Carlo Carretto non era solo un sognatore. Sapeva contemplare il creato, e allo stesso tempo lavorare la terra. Chi si recava al convento di San Girolamo a Spello (migliaia e migliaia di persone, soprattutto giovani, tra gli anni ‘70 ed inizio anni ’80 del secolo scorso), ascoltava la Parola e poi dava una mano in cucina. Oppure zappava l’orto. Carlo Carretto stava con il popolo di Dio. Nulla di più”.
Quindi il vento soffia dove vuole?
“Sappiamo che il vento dello Spirito soffia dove vuole. E delle volte ci fa pure delle sorprese gradite. Quando papa Giovanni XXIII convocò i cardinali per dire loro che avrebbe convocato il Concilio Vaticano II, il vento dello Spirito ci ha messo del suo.
Allo stesso tempo, da inguaribili sognatori della porta accanto e del cielo che sa sorridere alla terra, ogni tanto anche noi laici dovremmo allenarci a spingere questo vento impetuoso che c’è sempre nella Chiesa di Gesù, con le nostre preghiere e i nostri atti concreti, in direzione ‘ostinata e contraria’, direbbe Fabrizio de André. In favore degli ultimi, dei disagiati, dei fragili, di chi scappa da guerre e fame. Un vento, insomma, che ci faccia respirare tutto il bello di un Vangelo che abbraccia l’umanità”.
Mons. Sigalini: quale Chiesa per le aree interne?
“Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie. Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia”.