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25 aprile: il contributo dei cattolici alla liberazione dell’Italia

Dopo l’8 settembre e fino al termine della guerra (e magari anche oltre, considerando gli strascichi di violenza successivi al 25 aprile), una scelta si impose a moltissimi italiani ‘servire’ nelle file della Repubblica sociale italiana (Rsi) oppure ‘passare’ in montagna; si impose a un grande numero di preti, sul se e sul come accettare e coprire le decisioni dei propri fedeli oppure ottemperare o meno alle esigenti richieste delle parti in campo; si impose ancora a molte donne e molte religiose, e in tal caso maturò un autentico volontariato resistenziale (o viceversa fascista repubblicano).

Alla luce delle nuove sensibilità e delle più recenti ricerche risulta elevato il numero dei cristiani che operarono per salvare tutti coloro che si trovavano in pericolo, senza badare troppo alle appartenenze religiose o politiche. Al panorama organizzativo e solidale già noto si sono aggiunti i recuperi di figure finora trascurate: da Odoardo Focherini a padre Placido Cortese e a Giovanni Palatucci (per citare solo tre tra le tante vittime cristiane della propria generosità verso i perseguitati), o di nuovi ‘Giusti tra le nazioni’ come l’ex podestà di Cagliari Vittorio Tredici.

Lo stesso Giuseppe Dossetti nell’immediato dopoguerra si rivolgerà al suo maestro di spiritualità, don Dino Torreggiani, contestandogli amichevolmente: ‘Ci avete fatto lavorare molto, ma non ci avete educato a capire il fascismo’. Anche Giuseppe Lazzati lasciò trasparire la sua critica temporalmente successiva verso chi ‘insegnava la indifferenza della chiesa per i regimi politici’.

Con la Resistenza i cattolici maturano un nuovo progetto democratico, che può essere sintetizzato nella solenne affermazione di Teresio Olivelli ne ‘Il ribelle’: “Siamo dei ribelli: la nostra è anzitutto una rivolta morale. Contro il putridume in cui è immersa l’Italia svirilizzata, asservita, sgovernata, depredata, straziata, prostituita nei suoi valori e nei suoi uomini… La nostra rivolta non data da questo a quel momento, non va contro questo o quell’uomo, non mira a questo o quest’altro punto del programma: è rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione del mondo. Mai ci sentimmo così liberi come quando ritrovammo nel fondo della nostra coscienza la capacità di ribellarci alla passiva accettazione del fatto brutale”.

L’apporto dei cattolici alla Resistenza è stato molto importante, come ha sottolineato lo storico Vittorio Emanuele Giuntella: “La presenza dei cattolici militanti nella Resistenza è… assai più frantumata e sfugge ad una rilevazione numerica, o a una sistematica classificazione, come si è tentato di fare da più parti, con intenti denigratori o apologetici, nella polemica successiva. Nella condizione storica e geografica della Resistenza non si avrà mai abbastanza attenzione alla casualità dell’adesione a una formazione, o all’altra, per la vicinanza topografica, il prestigio goduto, la omogeneità (ex alpini, paesani della stessa valle, ceti sociali identici), l’urgenza della scelta, prescindendo dall’assunzione o meno dell’ideologia, che ispirava la formazione nella quale si entrava”.

Quindi la rete capillare delle parrocchie fu fondamentale; ed i sacerdoti pagarono questo schierarsi: più di 200 furono uccisi dai nazifascisti, in rappresaglie ed in esecuzioni sommarie, per punire, in maniera esemplare, la loro collaborazione con i partigiani. Durante i mesi della Resistenza, pur nell’unità d’intenti per raggiungere l’obiettivo della fine della guerra e dell’oppressione nazifascista e lavorare per un futuro di progresso e di democrazia, emersero alcune fondamentali differenze tra i cattolici e i comunisti, sul comportamento durante la guerra ma anche sul dopo.

Per questo l’Azione Cattolica Italiana ha ‘lanciato’ nel 2020 un portale intitolato ‘Biografie Resistenti’, un progetto curato dall’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI. Il lavoro, in continua opera di aggiornamento, ha previsto una prima fase di censimento di soci, socie e assistenti di Azione cattolica che hanno partecipato attivamente e in vario modo alla lotta di liberazione nazionale e, successivamente, la schedatura dei nominativi individuati attraverso la descrizione dei dati biografici essenziali.

Come dimostrano cifre e testimonianze raccolte nella documentazione archivistica dell’Isacem, i tesserati dell’Azione Cattolica morti nella Resistenza (tra laici e ecclesiastici) furono 1.481: tra essi si contano 112 medaglie d’oro, 384 medaglie d’argento, 358 medaglie di bronzo, alle quali bisogna aggiungere un numero non definito di altre onorificenze militari e il titolo di ‘giusto fra le nazioni’. A questi vanno inoltre sommati tutti quelli che, pur non ottenendo un’onorificenza, parteciparono alla lotta contro l’occupante come combattenti, staffette, cappellani militari o membri dei Comitati di liberazione nazionale locali.

Sottolineando il contributo dei cattolici alla Resistenza il prof. Paolo Trionfini, direttore dell’Isacem e docente incaricato di Geopolitica contemporanea alla Lumsa di Roma, ha ribadito che l’incontro dei soci dell’Azione Cattolica con papa Francesco nel giorno della Liberazione è una data che invita a riflettere sul significato di Resistenza: “Come potevano i cattolici che avevano deciso di imbracciare un’arma sentirsi sicuri nella loro scelta, quando anche la condanna della violenza continuava a essere il tratto distintivo, tanto più che iniziava una guerra civile? In effetti, su questo punto, si aprì uno dei casi di coscienza più angoscianti e tormentati per i cattolici, perché chi era convinto della necessità e della giu­stezza della causa resistenziale rimaneva, tuttavia, perplesso sull’uso della violenza che necessariamente la guerra partigiana implicava.

Le risposte a tali interrogativi e dubbi non furono univoche all’interno del mondo resistenziale. Per rimanere a esponenti dell’Ac, Giuseppe Dossetti, ad esempio, fin dal settembre del 1943, si dichiarò personalmente contrario all’uso delle armi, senza per questo voler condizionare altri tipi di scelta. Il riminese Alberto Marvelli, beatificato nel 2004, fu contrario non solo alla violenza ma anche alla partecipazione alla Resistenza, prodigandosi per alleviare le sofferenze materiali e morali della popolazione. La maggior parte dei cattolici che fece la scelta dì militare nelle formazioni partigiane si convinse, comunque, dell’inevitabilità dell’uso delle armi, cercando, per quanto possibile, come avrebbe ricordato Ermanno Gorrieri, di umanizzare gli aspetti più crudi della guerra partigiana”.

Infine l’Associazione Nazionale Partigiani Cattolici ANPC) ha ricordato che la Costituzione Italiana nasce dalla Resistenza: “La Resistenza ha fondato la Costituzione, baluardo di diritti e di doveri per una nazione capace di autodeterminarsi e dedicare la propria sovranità per ripudiare la guerra e ogni discriminazione. L’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani è ancora qui e sempre ci sarà per continuare una battaglia pacifica a difesa dei valori della libertà e della democrazia e quindi contro ogni forma di razzismo, antisemitismo e apologia di regimi illiberali e criminali”.

Per tale associazione la Resistenza non potrà essere dimenticata dalla storia: “Esprimiamo solidarietà agli ebrei italiani e in particolare agli ebrei romani che continuano a essere offesi dopo le atrocità subite dal regime fascista delle leggi razziali. La ‘Resistenza ora è sempre’ è il manifesto di un impegno che non potrà mai venire meno e al quale educare le giovani generazioni che, lontane dai fatti storici, devono sentirsi protagoniste di un futuro costruito per dire mai più alla guerra.

Il 25 aprile 2024 è alla vigilia di una importante convocazione elettorale per eleggere il Parlamento europeo. I nostri martiri hanno combattuto e sognato patrie in pace in una Europa in pace: a loro forti del loro esempio e della loro eredità tocca il destino di dobbiamo essere non pacifisti ma operatori di pace”.

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

La spiritualità nei giovani? Una ricerca continua e poca conoscenza

La secolarizzazione avanza in Occidente e non solo, ma la situazione potrebbe essere un po’ più complessa e meno univoca di quanto si potrebbe pensare, secondo lo studio presentato a fine febbraio alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma, dove sono stati illustrati i risultati di un’indagine internazionale su giovani, valori e religione promossa dal gruppo di ricerca ‘Footprints. Young People: Expectations, Ideals, Beliefs’ dello stesso ateneo insieme ad altre sette università nel mondo e col supporto dell’agenzia di sondaggi spagnola Gad3.

Uno dei risultati che si può osservare dai dati raccolti è che nonostante quel processo di secolarizzazione avanzi, esso corre parallelamente ad una minore ma significativa tendenza opposta: un aumento della fede vissuta per convinzione, che si sostituisce alla religione ‘socioculturale’, quella cioè vissuta per mera tradizione.

L’inchiesta si è svolta nei mesi di novembre e dicembre dello scorso anno in otto Paesi (Argentina, Brasile, Italia, Kenya, Messico, Filippine, Spagna e Regno Unito) su un campione di 4.889 giovani tra i 18 e 29 anni di età. Una indagine attenta alle differenze culturali tra i vari Paesi, dove alcune tendenza sono più marcate (ad esempio in Kenya, Filippine e Brasile, dove tra l’82% e il 92% dei giovani si identifica come ‘credente’) rispetto ad altre realtà (Argentina, Spagna e Italia tra il 48% e il 52%), e qualche sorpresa (il 63% dei giovani inglesi si definisce ‘credente’).

In questa ricerca emerge anche la forza della componente femminile tra i credenti con una grande percentuale di donne che dichiarano la propria fede in Paesi come Kenya (93%), Filippine (83%) e Brasile (81%), e in generale il numero di donne cattoliche è più alto anche a livello globale (52%).

In questa ricerca il dato più interessante è che l’Italia sia l’unico Paese in cui alla domanda ‘Credi in Dio?’ risponde in maniera consistente (ben il 32%) indicando l’opzione: ‘Sono in ricerca’, come ha sottolineato Cecilia Galatolo, dottoranda presso la stessa Pontificia Università e parte del team che ha partecipato alla ricerca.

Per la dott.ssa Galatolo “a livello nazionale la fede cattolica è molto radicata e tutti ricevono una infarinata di educazione religiosa, quindi in qualche modo anche tra coloro che lasciano si nota una sorta di nostalgia”. La rottura tra giovani e parrocchia avviene proprio ‘tra gli 11 e i 14 anni, in cui ci si allontana pur conservando spesso un buon ricordo’ ed è anche dovuto a questo quel dato relativo all’essere in ‘ricerca’.

Nella fascia 18-29 anni i giovani italiani si dichiarano credenti per il 35% del totale degli intervistati e uno su due cattolico, anche se poi soltanto una minoranza va a messa almeno una volta al mese. Ugualmente il 53% crede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, e percentuali analoghe sull’efficacia dei Sacramenti. Eppure solo il 6% dichiara di fermarsi a pregare davanti al Santissimo Sacramento.

A lei abbiamo chiesto di spiegarci cosa si evince da questa ricerca: “Per quanto riguarda l’Italia, emerge che la maggioranza dei giovani ha interesse per il tema religioso. Si è dichiarato indifferente alla spiritualità neanche un giovane su dieci (9%), mentre il 35% ha dichiarato di credere in Dio, contro un 11% che ha ‘smesso di credere’ e un 9% che dice di non aver mai creduto. Un dato rilevante, che vediamo solo nel nostro Paese è la grande presenza di ‘dubbiosi’ o ‘speranzosi’ nell’esistenza di Dio. ci riferiamo a colore che provano a credere in Dio (16%) o non sanno se possono credere in Dio oppure no (16%).

Gli incerti sono quindi un buon 32% (dato nettamente superiore rispetto a tutti gli altri paesi coinvolti nell’indagine). Dunque, possiamo affermare che la maggior parte dei giovani italiani o hanno fede o la stanno cercando. Questo è dovuto al fatto che l’Italia si trova in un momento delicato: da un lato il richiamo alla fede e alla spiritualità è ancora forte nel Paese. Quasi tutti i giovani hanno ricevuto il battesimo e una prima formazione cristiana. La cultura, però, li spinge a guardare oltre Dio, a ‘secolarizzarsi’ come gran parte del resto d’Europa. Il giovane italiano è quindi spesso diviso, scisso”.

Chi sono i giovani intervistati?

“Una ditta di sondaggi particolarmente rilevante in Spagna, GAD3 ha preso in carico il lavoro di somministrare un questionario (formulato dal team di ricercatori delle università degli otto paesi coinvolti) e di elaborare percentuali per ciascuna delle domande poste ai ragazzi. Nel caso italiano, i giovani intervistati sono ragazzi tra i 18 e i 29 anni, di tutto il Paese e di ogni estrazione sociale. Tuttavia, all’interno del questionario c’erano domande rivolte solo ai cattolici (per capire quale idea hanno sulla Chiesa e sui sacramenti) e domande rivolte solo agli atei (per capire se rimanesse in loro nostalgia del sacro)”.

Per quale motivo i giovani sono alla ricerca di spiritualità?

“Per quel motivo per cui la fede dà senso alla vita, la rende più bella. Secondo i giovani intervistati, inoltre, la fede si associa alla capacità di perdonare e di essere solidali gli uni con gli altri.  Alla domanda rivolta solo agli atei se, nonostante non credano in Dio, a volte sia capitato loro di pregare o se lo facciano nei momenti particolari della vita, più di uno su due (52%) ha risposto di sì”.

I giovani come vivono la realtà parrocchiale?

“La religione maggioritaria è quella cattolica, sebbene non con una maggioranza schiacciante (50%). Il dato non è molto alto, se si considera il numero dei battezzati; ma in Spagna, altro Paese di tradizione cattolica, è emerso che solo il 35% dei giovani credenti in una qualche religione si dichiara cattolico. Alla domanda su quando i giovani hanno smesso di credere in Dio, l’età che viene segnalata sia in Italia che in Spagna, per esempio, è tra gli 11 e i 14 anni.

Anche confrontando i nostri dati con altre ricerche si può evincere che la Chiesa (nello specifico le parrocchie) potrebbero fare di più per avvicinarsi al mondo dei giovani, che spesso percepiscono ‘noia e formalità’ negli ambienti parrocchiali. Ciò non toglie che tra gli intervistati cattolici la Chiesa sia percepita nella maggioranza dei casi (64%) come un’istituzione umana e divina voluta da Gesù per il bene degli uomini. Questo ci dice che, tra coloro che restano o che ritornano alla Chiesa dopo i 18 anni, l’immagine della Chiesa è sostanzialmente positiva e che il rapporto con essa sia significativo nella loro vita”.

Quale rapporto hanno con la preghiera?

“Un dato interessante è che, se viene chiesto quale immagine associno di più a Dio (a prescindere che credano o no), per i giovani coinvolti nella ricerca di tutti i Paesi della ricerca la risposta più gettonata è ‘Qualcuno che ci ama e ha misericordia’, mentre la meno dichiarata è ‘un giudice che mi controlla’. Quindi i giovani, quando si rivolgono a Dio – i più con preghiere già formulate da altri, ma molti anche a parole proprie – si rivolgono ad un Dio-amore.

Tuttavia, tra i cattolici manca ancora una piena consapevolezza sul fatto che Dio sia “Qualcuno” con cui entrare in una relazione intima e confidenziale, ad esempio attraverso i sacramenti. Un dato che fa riflettere è che il 53 % dei cattolici (quindi uno su due) è convinto che Gesù sia realmente non simbolicamente presente nell’Eucaristia (il 26% non sa rispondere e il 21% – dei cattolici – afferma che non c’è presenza reale). Nonostante circa un cattolico su due creda nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, solo il 6% (meno di un cristiano su 10) afferma di pregare davanti al Santissimo Sacramento. Tra i giovani dichiaratamente cattolici, il 35% frequenta la messa settimanalmente.

Un dato molto utile per fotografare la situazione della fede tra i giovani italiani è quello sulla confessione. Il 67% dei cattolici ne riconosce l’importanza (tra loro, il 17% dichiara che è un aspetto fondamentale). Tra coloro che non vanno a confessarsi, è interessante notare che solo il 14% di dichiara di ‘non avere peccati da farsi perdonare’. Il 51% riconosce di avere bisogno di perdono e lo chiede direttamente a Dio. Insomma, i giovani cattolici, nella maggior parte dei casi, non hanno smarrito l’idea di aver bisogno del perdono di Dio”.

In quale modo i conciliano fede e sessualità?

Parlando del campione dei cattolici, solo il 13% dei giovani entro i 29 anni sono sposati sacramentalmente, cioè in Chiesa, tuttavia, il 66% di loro, quindi sei cattolici su dieci, riconoscono l’importanza del matrimonio in Chiesa e vorrebbero vivere questo passo. L’aspetto su cui i giovani italiani prendono maggiormente le distanze dall’insegnamento della Chiesa è però quello sulla sessualità.

E’ evidente come in Spagna ed in Italia ci sia una maggiore apertura alla pornografia (metà degli intervistati dichiara che non danneggia la vita affettiva) e si vede con favore la pratica dell’utero in affitto (59% degli intervistati).

Più del 60% dei giovani italiani non riconosce l’esistenza di un modo buono ed un modo cattivo di vivere la sessualità: tutto è lecito, perché è il soggetto a stabilire ciò che è bene e ciò che è male per sé. Su questo punto, la maggior parte dei giovani si discosta da ciò che la religione cristiana propone”.

(Tratto da Aci Stampa)

La parrocchia ‘San Gregorio VII’ riscopre il Concilio Vaticano II

“Riscopriamo il Concilio Vaticano II per ridare il primato a Dio e a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da lui amati; una Chiesa ricca di Gesù e povera di mezzi; una Chiesa libera e liberante. Il Concilio indica  questa rotta: la fa tornare, come Pietro, alle sorgenti del primo amore, per riscoprire nelle sue povertà la santità di Dio, per ritrovare nello sguardo del Signore crocifisso e risorto la gioia smarrita, per concentrarsi su Gesù”: lo aveva detto papa Francesco in occasione della celebrazione del 60^ anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II nella memoria liturgica di san Giovanni XXIII, che confidò di aver seguito ‘una voce dall’Alto’.

Ed aveva soggiunto l’esigenza di ‘studiare’ i documenti del Concilio Vaticano II per evitare rischi ‘pelagiani’: “Chiediamoci se nella Chiesa partiamo da Dio e dal suo sguardo innamorato su di noi. Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro. Il progressismo che si accoda al mondo e il tradizionalismo o ‘indietrismo’ che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà. Sono egoismi pelagiani che antepongono i propri gusti e piani all’amore che piace a Dio”.

Sollecitata da queste parole del papa la parrocchia ‘San Gregorio VII’ a Roma ha organizzato un ciclo di incontri, ‘In ascolto del Concilio Vaticano II’, le cui relazioni sono svolte dai Frati Minori dell’Umbria, sulle quattro Costituzioni della Chiesa: ‘Sacrosanctum Concilium’, sulla Sacra Liturgia, in compagnia del prof. Angelo Lameri, docente di Liturgia e Sacramentaria alla Pontificia Università Lateranense e decano della Facoltà di Teologia della medesima Università; sulla Costituzione sulla Chiesa, ‘Lumen Gentium’, in compagnia del prof. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia alla Pontificia Università Antonianum, all’Istituto Teologico di Assisi ed assistente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, a cui seguono la relazione del prof. Giuseppe Pulcinelli, Rettore del Pontificio Collegio Lateranense, che oggi introduce la Costituzione sulla Divina Rivelazione ‘Dei Verbum’; mentre la chiusura sarà affidata al prof. Nicola Ciola, docente di Cristologia alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, che giovedì 9 maggio esaminerà la Costituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo ‘Gaudium et Spes’.

A conclusione dell’incontro sulla Costituzione ‘Lumen Gentium’ abbiamo chiesto al vicario parrocchiale, p. Fabio Nardelli, di spiegarci il motivo per cui la parrocchia organizza incontri sulle Costituzioni del Concilio Vaticano II: “In ascolto delle indicazioni di papa Francesco, in preparazione al Giubileo del 2025, e riprendendo le ‘Linee Guida per il cammino pastorale 2023-2024’, che sottolineano l’importanza di riprenderegli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in particolare delle quattro Costituzioni, la Parrocchia di San Gregorio VII ha organizzato quattro incontri di formazione per tutto il ‘santo Popolo fedele di Dio’”.

Quanto sono importanti queste quattro Costituzioni per la Chiesa?

“Le Costituzioni conciliari possono essere considerati i pilastri di una casa fondata sulla roccia, che è Cristo. I testi, ricchi e densi di valore teologico-pastorale, hanno contribuito al rinnovamento della Chiesa nei suoi diversi aspetti. In maniera puntuale, le Costituzioni illuminano la missione della Chiesa e costituiscono una “bussola” per il cammino della Chiesa universale e particolare”.

Cosa significa per una parrocchia mettersi in ascolto del Concilio Vaticano II?

“Il Concilio Vaticano II rappresenta, nell’ottica magisteriale e teologica, un punto di riferimento e di ‘non ritorno’ da cui ‘ripartire’. Come è noto, utilizzando l’espressione ‘aggiornamento’, il Concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la Chiesa, per compiere un concreto ‘balzo innanzi’. Pertanto, come ha affermato di recente papa Francesco, ‘si tratta di un lavoro di rinnovamento spirituale, pastorale, ecumenico e missionario’”.

Per quale motivo i cristiani sono chiamati alla santità?

“Il Concilio Vaticano II ha rilanciato in maniera decisa la ‘vocazione universale’ alla santità per tutta la Chiesa. Essa è un dono originario del Signore continuamente rinnovato dallo Spirito e nella Chiesa sono stati depositati i doni della fede e dei sacramenti, i doni gerarchici e carismatici che la rendono segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini. Come ha ripetuto anche papa Francesco, ‘la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano’”.

Qual è la missione dei laici nella Chiesa?

“Il Concilio Vaticano II, oltre ad essere il ‘primo’ Concilio che si è occupato dell’identità e della missione dei laici, ha contribuito anche a chiarire la posizione del laico nella Chiesa. Ha dedicato, infatti, quantitativamente una buona riflessione al tema, valorizzando la dignità battesimale, applicando il ‘triplex munus’e individuando una linea specifica nell’indole secolare. I laici evangelizzano nella ferialità della loro vita cristiana a partire dal loro stato di vita, nel lavoro e nella famiglia, incarnando la relazione Chiesa-mondo. Come ha ribadito la Relazione di sintesi della prima sessione del Sinodo ‘il loro contributo è indispensabile per la missione della Chiesa’”.

Quest’anno verso il Giubileo è dedicato alla preghiera: perché è importante intensificarla?

“Per vivere al meglio questo evento di grazia, nello scorso gennaio si è aperto l’Anno della preghiera, ‘un anno dedicato a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita personale, nella vitadella Chiesa e del mondo’. La preghiera permette a ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi all’unico Dio, per esprimergli quanto è riposto nel segreto del cuore. Un intenso anno di preghiera, come via maestra verso la santità, che conduce a vivere la vita cristiana da ‘contemplattivi’, in ascolto di Dio e degli altri”.

(Tratto da Aci Stampa)

La parrocchia che cambia nel romanzo di Gianni Di Santo

A San Zenobio, nella diocesi di Ecclesia, la parrocchia vive giorni tesi. Il parroco, più che il pastore d’anime, si atteggia a funzionario di Dio. Disfa, comanda, organizza finti consigli pastorali, trasforma la messa domenicale in un enorme suk, dove chiunque fa un pò quello che gli pare. Pensando che la parrocchia sia di sua proprietà. Intanto, tra i catechisti gira di nascosto un foglio dove sono scritte le dieci regole per abbindolare il parroco, qualche discussione va oltre la soglia della chiesa, le associazioni non riescono a trovare pace e la battaglia per il Triduo santo sembra l’unica cosa che conti davvero, nella parcellizzazione dei servizi ecclesiali, che il manuale ‘Cencelli’ in salsa parrocchiale impartisce e benedice. Mentre, con disinvoltura, la comunità aspetta l’arrivo del nuovo parroco.

Con il romanzo ‘Finalmente è cambiato il parroco’ Gianni Di Santo, giornalista, scrittore e musicista, racconta la vita di una tranquilla comunità ecclesiale di periferia: cosa succede quando il parroco cambia?

“Le parrocchie dovrebbero vivere con ‘normalità’ il cambio del parroco. Spesso, purtroppo, non accade. Le comunità parrocchiali si irrigidiscono di fronte alle possibili (ed inevitabili) novità à pastorali e liturgiche che il cambio di parroco comporta. Chi si è sentito magari escluso da parte del parroco uscente, accoglie con gioia la nuova nomina. Diversamente, chi si trovava a suo agio nella precedente gestione pastorale, resta un po’ guardingo sperando che nulla cambi”.

La parrocchia è ancora la culla della ‘nostra’ fede?

“Non potrebbe essere altrimenti. Il Vangelo si incarna nella vita delle persone, nei luoghi dove esse vivono e lavorano. Non basta solo il tempio. Però è anche vero che la parrocchia, oggi, è ancorata, soprattutto sotto il profilo giuridico, a regole e consuetudini create nel Concilio di Trento. Il parroco è il responsabile giuridico, economico e pastorale della parrocchia.

Purtroppo, spesso, più che guida d’anime del popolo di Dio, che ce ne sarebbe molto bisogno, diventa un tuttofare, una sorta di amministratore delegato dell’azienda parrocchia e dispensatore di sacramenti a richiesta. Dimenticando, gioco forza, quello che dovrebbe essere il suo ruolo: una guida spirituale”.

Nella parrocchia quale ‘compito’ hanno i laici?

“I laici, come scritto nei documenti del Concilio Vaticano II, hanno il diritto e il dovere di essere corresponsabili con il parroco della vita pastorale e liturgica della parrocchia. Persino della sostenibilità economica. Ma la parola ‘corresponsabilità’ è una parola ancora molto temuta dalla gerarchia e dai nostri amati pastori. Spero che il Sinodo, che guarda caso si è espresso proprio sulla parola ‘sinodalità’, possa portare un cambiamento in tal senso”.

La parrocchia è capace di comunicare la fede ai giovani?

“Gli ultimi dati statistici riguardanti la presenza alla messa della domenica sono allarmanti. Specie dopo la pandemia, si è avuto un crollo in tutte le Chiese europee, ed anche in Italia, peraltro prevedibile. Vediamo raramente i giovani assistere alla liturgia domenicale. Accorrono in tanti alle Gmg, ma le Chiese sono vuote. Perché? E’ una domanda che la Chiesa universale dovrebbe cominciare sul serio a porsi”.

Quale chiesa sta tracciando papa Francesco?

“Una Chiesa in uscita. E’ il motto che lo ha accompagnato fin dalla sua elezione al soglio pontificio. Che non significa apriamo le porte e poi tutti scappano. Al contrario: è una Chiesa che vuole annunciare il Vangelo sulle strade del mondo. Abbracciando ogni uomo e ogni donna di ogni latitudine e periferie lontane”.

E’ la Chiesa sognata da fratel Carlo Carretto?

“Fratel Carlo Carretto non era solo un sognatore. Sapeva contemplare il creato, e allo stesso tempo lavorare la terra. Chi si recava al convento di San Girolamo a Spello (migliaia e migliaia di persone, soprattutto giovani, tra gli anni ‘70 ed inizio anni ’80 del secolo scorso), ascoltava la Parola e poi dava una mano in cucina. Oppure zappava l’orto. Carlo Carretto stava con il popolo di Dio. Nulla di più”.

Quindi il vento soffia dove vuole?

“Sappiamo che il vento dello Spirito soffia dove vuole. E delle volte ci fa pure delle sorprese gradite. Quando papa Giovanni XXIII convocò i cardinali per dire loro che avrebbe convocato il Concilio Vaticano II, il vento dello Spirito ci ha messo del suo.

Allo stesso tempo, da inguaribili sognatori della porta accanto e del cielo che sa sorridere alla terra, ogni tanto anche noi laici dovremmo allenarci a spingere questo vento impetuoso che c’è sempre nella Chiesa di Gesù, con le nostre preghiere e i nostri atti concreti, in direzione ‘ostinata e contraria’, direbbe Fabrizio de André. In favore degli ultimi, dei disagiati, dei fragili, di chi scappa da guerre e fame. Un vento, insomma, che ci faccia respirare tutto il bello di un Vangelo che abbraccia l’umanità”.

Mons. Sigalini: quale Chiesa per le aree interne?

“Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie. Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia”.

Diocesi di Macerata: un modo di vivere la parrocchia

“Il senso di questa festa, che unisce due apostoli umanamente così diversi, ci aiuta a comprendere l’identità della Chiesa ed il ruolo del magistero nella Chiesa. Due temi importanti per comprendere il senso della consegna a voi ed a tutti della nuova Lettera Pastorale”: nel giorno della festa dei santi Pietro e Paolo mons. Nazzareno Marconi, vescovo della diocesi di Macerata, ha consegnato ai fedeli la lettera pastorale,  ‘Parrocchie… Ma come?’, scaturita da un lungo confronto con tutte le realtà del territorio maceratese.

Povertà: sempre più si rivolgono alla Caritas

Stamattina nella sede romana della Caritas Italiana si è svolta la presentazione del Bilancio Sociale 2022 e del primo Report statistico nazionale sulle povertà dal titolo ‘La povertà in Italia secondo i dati della rete Caritas’:

Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene i cattolici

Nello scorso anno ‘Aiuto Alla Chiesa che Soffre’ ha ricevuto e distribuito € 145.995.491, 13.000.000 più del 2021, che derivano dalla generosità di oltre 364.000 privati benefattori, a cui si sono aggiunti €  2.700.00000 di precedenti riserve, che hanno portato a finanziare € 148.700.000 di progetti.

La ‘comunicazione cordiale’ come si esprime in parrocchia?

‘Parrocchie, tecnologie, cultura digitale’ sono le parole chiave di un articolo che la prof.ssa Alessandra Carenzio, docente di ‘Didattica e Pedagogia speciale’ all’Università Cattolica di Milano, e don Marco Rondonotti, ricercatore al CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia) dell’Università Cattolica di Milano, hanno pubblicato nel primo numero del 2023 di ‘Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo’, rivista trimestrale online dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa) edita da ‘Vita e Pensiero’.

Parrocchie e cultura digitale: il punto della situazione

‘Parrocchie, tecnologie, cultura digitale’ sono le parole chiave di un articolo che Alessandra Carenzio e Marco Rondonotti hanno pubblicato nel primo numero del 2023 di ‘Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo’, rivista trimestrale online dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa) edita da Vita e Pensiero, come ha scritto Guido Mocellin nella rubrica ‘WikiChiesa’ del 26 aprile scorso su Avvenire:

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