A L’Aquila tornano le fiaccole per ricordare il terremoto

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Anche quest’anno a L’Aquila sono state ricordate le 309 vittime con i rintocchi di campana nella notte di piazza Duomo a 13 anni di distanza dal quel giorno del 2009 con l’arcivescovo della città, card. Giuseppe Petrocchi, che i deceduti ‘restano a pieno titolo parte integrante della nostra comunità ecclesiale e civile’.

E dopo due anni in cui il Covid ha imposto commemorazioni in forma statica si torna ad illuminare le vie del centro con le fiaccole con una marcia che riparte da via XX Settembre, diventata tristemente famosa per i palazzi ecatombe, con una sosta all’ex Casa dello Studente in cui persero la vita 8 universitari e l’arrivo nel Parco della Memoria, in cui l’accensione del braciere della memoria da parte di due ciclisti della Nazionale ucraina segna il legame tra due città martiri, L’Aquila e Kiev, come ha sottolineato l’arcivescovo:

“Per questo il popolo aquilano, che ben conosce il patire ma testimonia anche una tenace volontà di ricostruzione, prega per la pace, unito a Papa Francesco”.

Nell’omelia notturna il card. Petrocchi ha sottolineato che la fiaccolata è una testimonianza di ‘amore’: “Non si commemorano soltanto una tragedia sismica e le vittime che ha provocato, ma si testimonia la Vita che non soccombe e si erge indomita: sfida la morte e nel duello esce vittoriosa. L’amore, infatti, ha la meglio sulla morte: non viene meno, non diminuisce col passare degli anni, ma si rafforza ogni giorno di più. La vostra presenza, carissime Sorelle e Fratelli, attesta efficacemente questo prodigio: è l’amore che ha l’ultima parola”.

La luce delle torce squarcia il buio della notte: “Sono profezia del Sole che sorge. Nel Rito della Pasqua, la Risurrezione di Cristo è annunciata con l’accensione del Cero: la Chiesa proclama la ‘notte luminosa’ in cui è uccisa la morte e trionfa la Vita.

Proprio per questo, nelle pagine della storia di persone che si amano, la comparsa della morte non segna mai un ‘punto e basta’, ma un ‘punto e a capo’… La logica della Pasqua, modifica la grammatica con cui è pensato l’evento della morte: quando si parla di una persona che è passata dal tempo all’eternità, non è giusto dire che ‘è scomparso’, ma doveroso affermare: continua ad essere presente’; e l’espressione stridente: ‘estinto’ o ‘non c’è più’, va sostituita con l’altra: rimane ancora, anche se in modo diverso”.

E le campane, nel ricordo di quel giorno, hanno suonato a festa: “I tocchi delle campane non suonano a morto, ma diffondono la voce della risurrezione. Oggi, nella nostra preghiera, commemoriamo non solo quanti sono deceduti ‘sotto’ la violenza devastante del sisma, ma anche le altre ‘vittime’, quelle del ‘dopo’terremoto: coloro, cioè, che sono deceduti a causa di patologie provocate da ‘traumi’ postumi, connessi al sisma”.

Quindi la Pasqua non toglie il dolore, ma lo trasforma, citando papa Leone XIII: “La certezza della Pasqua non toglie il dolore su cui è impresso il sigillo del vincolo famigliare: ed è bene che sia così. Perché quel dolore è sacro. Testimonia un amore che sbaraglia morte, perché non si arrende e si spinge in avanti, nell’attesa del ricongiungimento. La separazione, infatti, è solo temporanea: costituisce una ‘pausa’ che prepara l’abbraccio definitivo”.

Il cardinale ha specificato che la consolazione fa assaporare il Paradiso: “La consolazione, che viene dallo Spirito, diventa ‘con-piangere’, ma anche ‘con-credere’: conduce a ‘collegarsi’, per grazia, con il Cielo, pur avanzando nel pellegrinaggio sulla terra.

Come tanti chicchi di grano formano un solo pane, nella mensa eucaristica, così tanti cuori, raccolti in Gesù, il crocifisso risorto, formano una sola offerta al Padre celeste, che assume questo dono fatto-Chiesa e lo colma con l’effusione del Suo Spirito: Spirito di Verità, di Amore, di Unità, di Letizia e di Pace”.

Ed il pensiero è rivolto ai profughi ucraini: “Le donne e gli uomini, i giovani e bambini della nostra gente, che hanno visto morire i loro cari, e hanno dovuto lasciare angosciati le loro case distrutte dal terremoto, ben capiscono il dramma dei profughi ucraini costretti dalla furia insensata e omicida della guerra ad abbandonare le loro abitazioni e a cercare rifugio in altre nazioni.

In questo dolore lacerante l’Aquila, Città-Martire, si sente Città-Sorella con Kiev, Mariupol, Kharkiv, Bucha, Irpin, Odessa, e con tutti i centri urbani o i villaggi colpiti dalla violenza sacrilega e devastante delle bombe”.

E’ un invito a creare mobilitazione per la pace: “In questi giorni sentiamo parlare, con accenti concitati, di allerta e di mobilitazione bellica: vogliamo rispondere alla brutalità barbara e feroce della guerra con l’ ‘allerta’ e la ‘mobilitazione’ della solidarietà e della ‘com-passione’, creando una stretta catena di accoglienza, di amicizia e di condivisione. Siamo fiduciosi che dopo la bufera, tornerà a splendere il sole della riconciliazione e della fraternità: più luminoso e caldo di prima”.

Intanto la ricostruzione a L’Aquila è al 73% per quella privata con € 6.100.000.000 di finanziamenti concessi, mentre nel cratere si è al 38% con € 2.100.000.000 concessi. Sul fronte della rinascita dei palazzi pubblici ci si ferma al 50% in città (i fondi concessi sono € 2.200.000.000) e al 40% nei 56 Comuni del cratere (€ 75.000.000).

(Foto: Arcidiocesi de L’Aquila)

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