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Maimone: il messaggio cristiano diffuso da papa Francesco con il documento sulla Fratellanza Umana sia veicolo di pace

“Nessuno può uccidere indisturbato, qualsiasi motivo lo animi. Niente giustifica l’odio fratricida. Non vi sono ideali che possono giustificare il massacro di esseri umani, seppur rivolti a fini sublimi. La vita è un dono di Dio. E’ una verità che non può essere compresa dai terroristi, perché offuscati dalla ‘non verità’ rigida, schematica e perentoria, mai pronta al confronto. Assistiamo nuovamente allo sterminio di vite innocenti nei luoghi in cui è nato e vissuto Gesù, in cui Egli ha predicato l’Amore. Una nuova strage di vite innocenti. La storia si ripete? No, è l’odio fratricida che si rinnova e semina morte.

Il pianto di Dio accompagna il pianto di coloro che vedono morire i propri affetti per il folle egoismo legato alla sete di  affermazione politica e, pertanto, per il potere che ne scaturisce. Il fondamentalismo dimostra che è vivo, che vuole governare la vita del popolo islamico. Non accetta confronti con altre concezioni della vita e della religione, non ascolta la voce di nessuno. L’Islam aspira fortemente a dimostrare di non essere fondamentalista ed  afferma vigorosamente di essere aperto al dialogo” ha dichiarato Biagio Maimone, direttore dell’ufficio stampa dell’associazione Bambino Gesù del Cairo Onlus, il cui presidente è mons. Gaid Yoannis Lahzi, già segretario personale di papa Francesco e autore del libro ‘La Comunicazione Creativa per lo sviluppo socio-umanitario’ che ha ricevuto la benedizione Apostolica del papa, il quale ha aggiunto:

“Una parte dell’islam rimarca di voler  essere fondamentalista, non aperto al confronto con altre religioni, con altre filosofie della vita, con chi vuole un mondo governato dall’amore e non dalla violenza, con chi vuole un mondo governato dallo stato di diritto e non dalla legge che nega la libertà di pensiero, che nega il valore della persona e i suoi diritti fondamentali. Scende la notte sulle terre afflitte e spaventate di Israele e della Palestina, ritorna la barbarie.

Non c’è pace sotto gli ulivi. In qualità di membro dell’Associazione Bambino Gesù del Cairo ho avuto modo di seguire, sotto il profilo giornalistico, l’impegno del Documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace  Mondiale e la Convivenza Comune’ e la realizzazione della Casa della Famiglia Abramitica a cui esso ha dato vita, che mi ha consentito di verificare come realmente e fattivamente papa Francesco sia il ‘Papa della Pace’.

Il Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, sottoscritto da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi, ha sancito un’alleanza tra tre religioni il cui Dio è unico, che sono la religione islamica sunnita, la religione ebraica e la religione cattolica.

E’ sorta la Casa della Famiglia Abramitica in seguito a tale sottoscrizione, che può dirsi un suo frutto prezioso, che racchiude in un unico sito una Moschea, una Chiesa e una Sinagoga, edificate per vivere accanto, nel rispetto reciproco delle proprie differenze religiose.  Essa dimostra come tre religioni diverse, pur mantenendo il loro credo religioso e, pertanto, la propria identità, possano vivere su un unico spazio, ossia su un unico territorio, facendo del dialogo il fulcro della loro coesistenza pacifica.

La Casa della Famiglia Abramitica rappresenta un simbolo di pace, con cui papa Francesco ha voluto dimostrare al mondo intero la coesistenza pacifica delle differenze, le quali hanno la possibilità di interagire, in modo costruttivo, attraverso il dialogo. La Casa della Famiglia Abramitica insegna, altresì, che i territori le cui differenze saranno valorizzate e valorizzabili mediante il dialogo incessante, aprono orizzonti  insospettabili per il miglioramento della condizione umana, sociale e politica dei popoli, in quanto pervasi dalla pace e dall’armonia.

Lo strazio del popolo di Israele e del popolo palestinese, colpiti dal fondamentalismo di Hamas, non impedirà al documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’ di diffondere il suo messaggio per le strade del mondo. Non si lascerà certo scoraggiare da chi non sa amare. Odiano il dialogo coloro che hanno fatto del fondamentalismo religioso la ragione della propria affermazione politica. Ma soprattutto essi non hanno compreso cosa significa la parola ‘essere umano’. Nel cuore della persona pulsa un’anima che lo fa essere una creatura divina. In nome di Dio non si può uccidere la sua creatura.

I fondamentalisti dimostrano di  rinnegare la più sublime verità divina. Essi dimostrano di credere unicamente  solo nel potere fine a se stesso. Il Cattolicesimo e il Cristianesimo insegnano che il dialogo costruisce accordi che non moriranno mai perché condivisi pienamente in quanto guidati dal principio dell’amore fraterno. L’idea di sottomettere attraverso la violenza è radicata nelle menti di coloro che sono accecati dall’odio fratricida, dal desiderio di sopraffazione. Il fine non giustifica il mezzo. La logica della violenza ha dominato la storia umana e continua a dominarla. Fino a quando? E’ noto che i dittatori sono soggetti al tribunale della storia. La storia è foriera di verità e giustizia.

Siamo di nuovo di fronte a molteplici conflitti che non creeranno certo ordine, ma solo disordine, in quanto sorretti dalla menzogna e dall’istinto di morte. Dare attuazione concreta all’anelito alla libertà non può significare in alcun modo uccidere la libertà degli altri, ma significa far ricorso agli strumenti del dialogo che le menti veramente evolute sono in grado di realizzare. La libertà è figlia della verità e non della crudeltà che il cieco fondamentalismo fa vivere, chiuso nel buio del pregiudizio. 

Gli insegnamenti del Cristianesimo e del pacifismo costituiscono il vero  cammino da percorrere per ridare dignità ai popoli ai quali essa non è riconosciuta. Nella terra in cui è nato Gesù deve rinascere la pace attraverso l’instaurazione di una relazione fondata sulla fratellanza umana, come chiede, con umiltà e con accorato vigore, il Documento Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune”.

La Chiesa festeggia san Massimiliano Maria Kolbe

“Da oggi la Chiesa desidera chiamare “santo” un uomo al quale è stato concesso di adempiere in maniera assolutamente letterale le suddette parole del Redentore. Ecco infatti, verso la fine di luglio del 1941, quando per ordine del capo del campo si fecero mettere in fila i prigionieri destinati a morire di fame, quest’uomo, Massimiliano Maria Kolbe, si presentò spontaneamente, dichiarandosi pronto ad andare alla morte in sostituzione di uno di loro. Questa disponibilità fu accolta, e al padre Massimiliano, dopo oltre due settimane di tormenti a causa della fame, fu infine tolta la vita con un’iniezione mortale, il 14 agosto 1941”.

Così iniziava l’omelia di san Giovanni Paolo II per la canonizzazione di p. Massimiliano Kolbe, celebrata in piazza san Pietro il 10 ottobre 1982, che ‘diede la vita… per il fratello’, ricorrenza che si celebra oggi, nel giorno della sua morte, avvenuta il 14 agosto 1941, mentre recitava la preghiera dell’Ave Maria.

Nell’omelia san Giovanni Paolo II ha ricordato che con quel gesto si rese simile a Gesù: “Dando la sua vita per un fratello, padre Massimiliano, che la Chiesa già sin dal 1971 venera come ‘beato’, in modo particolare si è reso simile a Cristo.

Noi, dunque, che oggi, domenica 10 ottobre, siamo riuniti davanti alla Basilica di san Pietro in Roma, desideriamo esprimere il valore speciale che ha agli occhi di Dio la morte per martirio del padre Massimiliano Kolbe: ‘Preziosa agli occhi del Signore / è la morte dei suoi fedeli’, così abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale.

Veramente è preziosa ed inestimabile! Mediante la morte, che Cristo ha subìto sulla Croce, si è compiuta la redenzione del mondo, poiché questa morte ha il valore dell’amore supremo. Mediante la morte, subìta dal padre Massimiliano Kolbe, un limpido segno di tale amore si è rinnovato nel nostro secolo, che in grado tanto alto e in molteplici modi è minacciato dal peccato e dalla morte”.

Ma quest’imitazione di Gesù fu sempre presente nella sua vita: “A questo definitivo sacrificio Massimiliano si preparò seguendo Cristo sin dai primi anni della sua vita in Polonia. Da quegli anni proviene l’arcano sogno di due corone: una bianca e una rossa, fra le quali il nostro santo non sceglie, ma le accetta entrambe. Sin dagli anni della giovinezza, infatti, lo permeava un grande amore verso Cristo e il desiderio del martirio.

Quest’amore e questo desiderio l’accompagnarono sulla via della vocazione francescana e sacerdotale, alla quale si preparava sia in Polonia che a Roma. Quest’amore e questo desiderio lo seguirono attraverso tutti i luoghi del servizio sacerdotale e francescano in Polonia, ed anche del servizio missionario nel Giappone”.

Ciò avvenne perché si affidò completamente alla Madre di Dio: “L’ispirazione di tutta la sua vita fu l’Immacolata, alla quale affidava il suo amore per Cristo e il suo desiderio di martirio. Nel mistero dell’Immacolata Concezione si svelava davanti agli occhi della sua anima quel mondo meraviglioso e soprannaturale della Grazia di Dio offerta all’uomo.

La fede e le opere di tutta la vita di padre Massimiliano indicano che egli concepiva la sua collaborazione con la Grazia divina come una milizia sotto il segno dell’Immacolata Concezione. La caratteristica mariana è particolarmente espressiva nella vita e nella santità di padre Kolbe. Con questo contrassegno è stato marcato anche tutto il suo apostolato, sia nella patria come nelle missioni. Sia in Polonia come nel Giappone furono centro di quest’apostolato le speciali città dell’Immacolata”.

Spontaneamente p. Kolbe offrì la sua vita per la vita di un altro: “V’era in questa morte, terribile dal punto di vista umano, tutta la definitiva grandezza dell’atto umano e della scelta umana: egli da sé si offrì alla morte per amore. Ed in questa sua morte umana c’era la trasparente testimonianza data a Cristo: la testimonianza data in Cristo alla dignità dell’uomo, alla santità della sua vita e alla forza salvifica della morte, nella quale si manifesta la potenza dell’amore.

Proprio per questo la morte di Massimiliano Kolbe divenne un segno di vittoria. E’ stata questa la vittoria riportata su tutto il sistema del disprezzo e dell’odio verso l’uomo e verso ciò che è divino nell’uomo, vittoria simile a quella che ha riportato il nostro Signore Gesù Cristo sul Calvario”.

Mentre nell’omelia per la sua beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971, papa san Paolo II ha spiegato il motivo per cui p. Kolbe era beato: “Chi non ricorda l’episodio incomparabile? ‘Sono un sacerdote cattolico’, egli disse offrendo la propria vita alla morte (e quale morte!) per risparmiare alla sopravvivenza uno sconosciuto compagno di sventura, già designato per la cieca vendetta. Fu un momento grande: l’offerta era accettata. Essa nasceva dal cuore allenato al dono di sé, come naturale e spontanea quasi come una conseguenza logica del proprio Sacerdozio.

Non è un Sacerdote un ‘altro Cristo’? Non è stato Cristo Sacerdote la vittima redentrice del genere umano? Quale gloria, quale esempio per noi Sacerdoti ravvisare in questo nuovo Beato un interprete della nostra consacrazione e della nostra missione! Quale ammonimento in quest’ora d’incertezza nella quale la natura umana vorrebbe tal volta far prevalere i suoi diritti sopra la vocazione soprannaturale al dono totale a Cristo in chi è chiamato alla sua sequela!”

Inoltre ha spiegato il suo culto per l’Immacolata Concezione: “Massimiliano Kolbe è stato un apostolo del culto alla Madonna, vista nel suo primo, originario, privilegiato splendore, quello della sua definizione di Lourdes: l’Immacolata Concezione. Impossibile disgiungere il nome, l’attività, la missione del Beato Kolbe da quello di Maria Immacolata. E’ lui che istituì la Milizia dell’Immacolata, qui a Roma, ancora prima d’essere ordinato Sacerdote, il 16 ottobre 1917…

Nessuna competizione. Cristo, nel pensiero del Kolbe, conserva non solo il primo posto, ma l’unico posto necessario e sufficiente, assolutamente parlando, nell’economia della salvezza; né l’amore alla Chiesa e alla sua missione è dimenticato nella concezione dottrinale o nella finalità apostolica del nuovo Beato. Anzi proprio dalla complementarietà subordinata della Madonna, rispetto al disegno cosmologico, antropologico, soteriologico di Cristo, Ella deriva ogni sua prerogativa, ogni sua grandezza”.

La Corte Costituzionale: non esiste un diritto alla morte

La decisione della Corte Costituzionale n. 135 della scorsa settimana in tema di suicidio assistito ribadisce quanto già affermato nel 2019 con la sentenza n. 242 e, in questo senso, per quanto la sentenza n. 242 fosse per certi aspetti discutibile, ribadisce che i più fragili vanno comunque tutelati anche rispetto ai possibili abusi e strumentalizzazioni, primo tra i quali la spinta sociale a sentirsi un peso per gli altri con la conseguenza di indurre a optare per la richiesta di morire, come ha sottolineato la presidente del Movimento per la Vita, prof.ssa Marina Casini:

“Fondamentale dunque l’importanza delle cure palliative da assicurare a tutti senza eccezioni. Sono questi i due aspetti, protezione dei fragili e cure palliative, su cui bisogna lavorare molto a livello culturale, operativo e legislativo”.

Al legislatore spetta, quindi, il compito di mettere mano alla materia in maniera assolutamente coerente con i quattro paletti indicati dalla Corte Costituzionale, senza allentamenti, allargamenti, smagliature, scappatoie, inganni semantici, ambiguità, ha specificato Marina Casini: “Deve restare chiaro che le persone colpite dalla malattia e dalla disabilità sono persone da proteggere, che l’ordinamento giuridico non si piega a logiche di morte, che l’assistenza al suicidio deve restare una eccezione circoscritta in presenza dei cinque requisiti, i quattro più il quinto che riguarda le cure palliative, rigorosamente circoscritti, interpretati e intesi”.

Per la presidente del Movimento per la Vita occorre evitare la situazione creatasi con la legge sull’aborto: “Bisogna evitare di ripetere quanto accaduto con la legge sull’aborto, anch’essa preceduta da una sentenza costituzionale, la n. 25 del 1975: la Legge 194 nella disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza nei primi tre mesi di gravidanza è andata ben oltre i criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale. “Al di là dell’aspetto legislativo va assolutamente dato spazio e promozione a un’autentica cultura della vita affinché ogni persona si senta, e sappia di esserlo davvero, accolta e amata”.

Sulla decisione della Corte Costituzionale è intervenuti anche il prof. Alberto Gambino, presidente Centro studi ‘Scienza&Vita’, componente Comitato nazionale per la bioetica:“Per la Corte costituzionale non c’è un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza. Si tratta di un’affermazione importante. Il suicidio assistito resta un’eccezione e, dunque, non si realizza alcuna disparità di trattamento tra pazienti che dipendono da trattamenti di sostegno vitale e pazienti che non vi dipendano”.

Ed ha affermato la ‘oggettività’ della sentenza: “Anzi la Corte ritiene, giustamente, che il requisito ‘oggettivo’ dell’essere sottoposti ad un presidio sanitario eviti che si finisca per creare una ‘pressione sociale indiretta’ su persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali (sono parole della Corte) ‘potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società, e di decidere così di farsi anzitempo da parte’.

La via italiana, secondo la Corte, è dunque legittima e corrisponde a quanto già recentemente ha ritenuto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte sembra però sposare una posizione per la quale il sostegno vitale non coincide necessariamente con una completa sostituzione di funzioni vitali ma possa esserlo anche il trattamento che si riveli in concreto necessario ‘ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”.

Infatti, intervenendo sui confini di non punibilità dell’aiuto al suicidio, la Corte costituzionale ha ribadito un punto fermo della sua giurisprudenza recente in materia: non esiste né è invocabile un ‘diritto di morire’ nel nostro ordinamento, al centro del quale c’è invece la ‘tutela della vita umana’, un bene che ‘si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona’, come ricorda l’articolo 2 della Costituzione Italiana.

Anche il prof. Marco Ronco, presidente del Centro Studi Livatino, docente universitario emerito di Diritto penale e vicepresidente del Comitato nazionale per la Bioetica, ha ritenuto fondamentale la sentenza della Corte Costituzionale: “La Corte Costituzionale, con sentenza n. 135/2024, impone un chiaro stop alle istanze di estensione dei casi di non punibilità dell’aiuto al suicidio…

La sentenza ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, che punisce chi aiuta un’altra persona a togliersi la vita. Di conseguenza non ha creato nessuna nuova estensione, rispetto a quelle riconosciute con le pronunce del 2018 e 2019, del diritto di accedere al suicidio assistito. Per questo, sono piuttosto soddisfatto”.

Ed ha sottolineato che non esiste nella legislazione il ‘diritto’ a morire: “Appare di assoluto rilievo che la Corte abbia evidenziato, con tanta chiarezza, il rischio della ‘pressione sociale indiretta’ che una legislazione sul suicidio assistito si presta a generare, rischio già più volte posto in evidenza dal Centro Studi Livatino.

Sotto altro profilo la Corte, nel ribadire che non esiste un ‘diritto a morire’, ha richiamato (par. 7.3.) l’attenzione sul fatto che, ‘dal punto di vista dell’ordinamento, ogni vita è portatrice di una inalienabile dignità, indipendentemente dalle concrete condizioni in cui essa si svolga’. Sicché, come sottolineato anche da vari amici curiae (fra cui il Centro Studi Livatino), certamente non potrebbe affermarsi che il divieto penalmente sanzionato di cui all’art. 580 cod. pen. costringa il paziente a vivere una vita, oggettivamente, ‘non degna’ di essere vissuta”.

Tale sentenza non contrasta la giurisprudenza fin qui espressa: “La sentenza si pone, dunque, in continuità con la giurisprudenza precedente, nulla concedendo alle istanze di (ulteriori) balzi perorate dall’ordinanza di rimessione e, anzi, per alcuni profili mostrando sviluppi argomentativi di particolare pregio. Ciò non significa, naturalmente, che la stessa giurisprudenza precedente, cui la Corte si conforma, andasse esente da critiche.

Come ricordato anche di recente dalla CEDU, infatti, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non impone di escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio neppure nei casi in cui la Corte Costituzionale Italiana aveva ritenuto, invece, nel 2019, che la punizione dell’aiuto al suicidio fosse da considerarsi contraria a Costituzione”.

In Italia si muore ancora per il lavoro

Un’altra morte sul lavoro scuote la diocesi di Roma, e dovrebbe interrogare l’Italia, invitando a non cedere all’indifferenza di fronte alla morte per il lavoro, che dovrebbe essere un diritto: Maurizio Di Pasquale, impiegato dell’Atac è deceduto, nella scorsa settimana, dopo la caduta in un ponte a fossa nel deposito di Tor Vergata, portando solo in questi primi cinque mesi dell’anno a 369 decessi (il 3,1% in più rispetto all’anno precedente).

Un numero molto elevato al punto che mons. Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio per la Pastorale Sociale, del Lavoro e della Custodia del Creato della Diocesi di Roma, ha affermato che ogni morte per il lavoro è inaccettabile: “La morte è il segno più eloquente della fragilità della nostra vita davanti alla quale curviamo il capo ed eleviamo lo Spirito. Morire sul luogo di lavoro è sempre inaccettabile e ci richiama a sempre più urgente corresponsabilità, non solo a livello istituzionale ma prima ancora sociale, come cittadini costruttori di morale sociale”.

E’ un invito a rendere indifferenti queste tragedie: “Non cada nella indifferenza questa ennesima tragedia. L’indifferenza è un problema culturale, e la cultura dell’indifferenza è l’opposto dell’amore di Dio e nessuno di noi può essere sicuro di rimanere immune da questa malattia morale e spirituale. L’indifferenza è un demone molto insidioso perché come un serpente si insinua a poco a poco, giorno dopo giorno, spesso si maschera anche di bene, e ti fa dire: io non c’entro, non mi riguarda, non è colpa mia. L’indifferenza ci ruba l’anima, ci disumanizza e ci trasforma da cittadini, ad egoistiche ed egocentriche maschere”.

Anche le Acli di Roma, attraverso la presidente Lidia Borzì, ha chiesto un serio confronto per una maggior tutela dei lavoratori, rinnovando le condoglianze alla famiglia: “Purtroppo, sono quasi quotidiane le notizie di persone che perdono la vita sul posto di lavoro, e questa è una realtà che non possiamo più accettare.

Anche in attesa che vengano comprese e chiarite le cause di questa tremenda tragedia, c’è bisogno di avviare un confronto urgente che coinvolga tutti gli attori interessati affinché andare al lavoro torni a essere un’opportunità e non un rischio, e affinché a ogni lavoratore venga garantita la possibilità di svolgere la propria mansione in piena sicurezza e con tutte le tutele previste dalla legge”.

Secondo le informazioni a disposizione dell’Inail le denunce di infortunio con esito mortale sono state nei primi 5 mesi del 2024: 369 (+3,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), nell’incremento sono stati determinanti gli incidenti mortali plurimi. In aumento le patologie di origine professionale denunciate, pari a 38.868 (+24,0%).

Le denunce di infortunio sul lavoro presentate entro il quinto mese del 2024 sono state invece 251.132 (+2,1% rispetto a maggio 2023 e in diminuzione del 22,4% rispetto allo stesso periodo del 2022), con un aumento più rilevante per gli incidenti avvenuti nel tragitto casa-lavoro.

A livello nazionale l’Inail (pur nella provvisorietà dei numeri) segnala un incremento dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 271 a 286, ed un calo di quelli in itinere, da 87 a 83. Tra i comparti, i più toccati sono stati Industria e servizi, che passa da 310 a 312 denunce mortali, l’Agricoltura (da 36 a 40) e il Conto Stato (da 12 a 17).

Dall’analisi territoriale emergono incrementi al Sud (da 68 a 83 denunce), nelle Isole (da 31 a 37) e nel Nord-Est (da 77 a 78) e cali al Centro (da 74 a 65) e nel Nord-Ovest (da 108 a 106). Tra le regioni con i maggiori aumenti si segnalano l’Emilia-Romagna (+15), la Campania (+7), la Calabria e la Sicilia (+5 ciascuna), mentre per i cali più evidenti Veneto (-14), Marche, Abruzzo, Umbria e Friuli-Venezia Giulia (-4 ciascuna).

Il confronto con l’anno mostra aumenti sia per la componente maschile, le cui denunce mortali sono passate da 331 a 340, sia per quella femminile, da 27 a 29, con una diminuzione delle denunce dei lavoratori italiani (da 296 a 290) ed un aumento di quelle degli extracomunitari (da 52 a 61) e dei comunitari (da 10 a 18). L’analisi per classi di età evidenzia incrementi tra i 35-39enni (da 18 a 20 casi), tra i 45-59enni (da 152 a 186) e tra i 65-69enni (da 20 a 29) e riduzioni tra gli under 35 (da 69 a 55), tra i 40-44enni (da 24 a 23), tra i 60-64enni (da 58 a 39) e tra gli over 69 anni (da 17 a 16).

Secondo l’Inail, nel 2023 sono stati segnalati quasi tre morti sul lavoro al giorno: complessivamente sono state 1.041 le denunce di morti bianche giunte all’Inail in 12 mesi. Sempre nello scorso anno, l’Inail ha stimato che ci siano stati 15 incidenti mortali plurimi, vale a dire quelli in cui hanno perso la vita due o più lavoratori. Le vittime sono state in totale 36.

Mentre le denunce sugli infortuni sul lavoro, presentate all’Inail tra gennaio e dicembre dello scorso anno, sono state oltre 585.000, in calo del 16,1% rispetto alle 697.773 del 2022: “Riduzione che sembra essere dovuta quasi esclusivamente al minor impatto dei casi Covid che avevano caratterizzato i precedenti rilevamenti”. Sono risultate, invece, in aumento le denunce di malattia professionale rilevate allo scorso 31 dicembre: quasi 73.000 (+19,7% rispetto al 2022).

Nello specifico, il 73,7% delle patologie denunciate nel 2023 erano riferibili agli uomini, in sostanziale stabilità con il 2022, ed anche la distribuzione territoriale non ha registrato variazioni significative rispetto all’anno precedente, con la concentrazione maggiore delle denunce nelle regioni del Centro (36,8%), seguito da Sud (25,4%), Nord-Est (18,9%), Isole (9,5%) e Nord-Ovest (9,4%).

Papa Francesco: i trafficanti di droga sono assassini

“Sabato prossimo celebreremo la solennità dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di Roma. Siate sul loro esempio discepoli missionari, testimoniando ovunque la bellezza del Vangelo. Alla loro intercessione affidiamo le popolazioni che soffrono la guerra: la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, perché possano presto ritrovare la pace”: al termine dell’Udienza generale, nella giornata mondiale contro le droghe, papa Francesco ha rinnovato la preghiera per la pace nei Paesi in guerra, ma allo stesso tempo ha chiesto attenzione a non assumere droghe: “Il periodo delle vacanze è però anche un momento in cui molti giovani si avvicinano per la prima volta alle sostanze stupefacenti: che la Giornata mondiale contro l’abuso di droga, che ricorre oggi, ricordi di prestare una particolare attenzione alla sicurezza dei bambini e dei giovani”.

Ed in questa giornata il papa ha dedicato l’intera catechesi alla Giornata Mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga, ripetendo il messaggio di san Giovanni Paolo II alla Conferenza di Vienna nel 1987: “Questo fa l’abuso di droga e l’uso di droga. Ricordiamo però, al tempo stesso, che ogni tossicodipendente ‘porta con sé una storia personale diversa, che deve essere ascoltata, compresa, amata e, per quanto possibile, guarita e purificata… Continuano ad avere, più che mai, una dignità, in quanto persone che sono figli di Dio’. Tutti hanno una dignità”.

Richiamandosi ai pensieri di papa Benedetto XVI papa Francesco ha usato volutamente la parola ‘assassini’: “Non possiamo tuttavia ignorare le intenzioni e le azioni malvagie degli spacciatori e dei trafficanti di droga. Sono degli assassini! Papa Benedetto XVI usò parole severe durante una visita a una comunità terapeutica: ‘Dico ai trafficanti di droga che riflettano sul male che stanno facendo a una moltitudine di giovani e di adulti di tutti gli strati sociali: Dio chiederà loro conto di ciò che hanno fatto. La dignità umana non può essere calpestata in questo modo’. E la droga calpesta la dignità umana”.

Ha chiesto di porre fine alla produzione di droghe: “Una riduzione della dipendenza dalle droghe non si ottiene liberalizzandone il consumo (questa è una fantasia), come è stato proposto, o già attuato, in alcuni Paesi. Si liberalizza e si consuma di più. Avendo conosciuto tante storie tragiche di tossicodipendenti e delle loro famiglie, sono convinto che è moralmente doveroso porre fine alla produzione e al traffico di queste sostanze pericolose.

Quanti trafficanti di morte ci sono (perché i trafficanti di droga sono trafficanti di morte), spinti dalla logica del potere e del denaro ad ogni costo! E questa piaga, che produce violenza e semina sofferenza e morte, esige dalla società nel suo complesso un atto di coraggio”.

Inoltre la produzione di droga sta distruggendo l’Amazzonia: “La produzione e il traffico di droga hanno un impatto distruttivo anche sulla nostra casa comune. Ad esempio, questo è diventato sempre più evidente nel bacino amazzonico”.

Quindi l’unica soluzione per combattere la droga è la prevenzione: “Un’altra via prioritaria per contrastare l’abuso e il traffico di droghe è quella della prevenzione, che si fa promuovendo maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita personale e comunitaria, accompagnando chi è in difficoltà e dando speranza nel futuro”.

Ed ha raccontato che nei suoi viaggi ha visitato molte comunità terapeutiche di ispirazione cristiana: “Nei miei viaggi in diverse diocesi e vari Paesi, ho potuto visitare diverse comunità di recupero ispirate dal Vangelo. Esse sono una testimonianza forte e piena di speranza dell’impegno di preti, consacrati e laici di mettere in pratica la parabola del Buon Samaritano. Così pure sono confortato dagli sforzi intrapresi da varie Conferenze episcopali per promuovere legislazioni e politiche giuste riguardo al trattamento delle persone dipendenti dall’uso di droghe e alla prevenzione per fermare questo flagello”.

Citando il proprio messaggio ai partecipanti al 60^ Congresso Internazionale dei Tossicologi Forensi dello scorso anno, papa Francesco ha invitato i fedeli a non essere indifferenti verso chi ha problemi con la droga: “Cari fratelli e sorelle, di fronte alla tragica situazione della tossicodipendenza di milioni di persone in tutto il mondo, di fronte allo scandalo della produzione e del traffico illecito di tali droghe, ‘non possiamo essere indifferenti. Il Signore Gesù si è fermato, si è fatto vicino, ha curato le piaghe’”.

E’ stato un chiaro invito all’azione, sottolineando che i trafficanti sono assassini ed invitando a pregare per la loro conversione: “E preghiamo per quei criminali che danno la droga ai giovani: sono criminali, sono assassini! Preghiamo per la loro conversione. In questa Giornata Mondiale contro la droga, come cristiani e comunità ecclesiali rinnoviamo il nostro impegno di preghiera e di lavoro contro la droga”.

In precedenza aveva ricevuto un gruppo di musulmani di Bologna, a cui ha sottolineato la necessità del dialogo: “In particolare, il dialogo sincero e rispettoso tra cristiani e musulmani è un dovere per noi che vogliamo obbedire alla volontà di Dio. Infatti, la volontà di un Padre è che i suoi figli si vogliano bene, si aiutino a vicenda, e che, se sorge tra loro qualche difficoltà o incomprensione, si mettano d’accordo con umiltà e pazienza”.

Però il dialogo richiede la dignità di ogni persona: “Tale dialogo richiede il riconoscimento effettivo della dignità e dei diritti di ogni persona. In cima a questi diritti c’è quello alla libertà di coscienza e di religione, che significa che ogni essere umano dev’essere pienamente libero per quanto riguarda le sue scelte religiose. Inoltre, ogni credente deve sentirsi libero di proporre (mai imporre!) la propria religione ad altre persone, credenti o no.

Ciò esclude ogni forma di proselitismo, inteso come esercitare pressioni o minacce; deve respingere ogni tipo di favori finanziari o lavorativi; non deve approfittare dell’ignoranza delle persone. Oltre a ciò, i matrimoni tra persone di religioni diverse non devono essere occasione per convertire il coniuge alla propria religione”.

(Foto: Santa Sede)

Natasha e il giorno della nascita

fame in Africa

Natasha sarebbe diventata un diamante diverso dagli altri nel suo Paese. Natasha sarebbe diventata la principessa di un regno che non c’è. Natasha si sarebbe sposata un sabato mattina e il viaggio di nozze cominciava il giorno dopo per una destinazione sconosciuta. Natasha avrebbe avuto almeno due figli come sua madre Rose che ha ventidue anni.

Natasha è nata l’anno scorso a Freetown, la città libera e capitale della Sierra Leone. Natasha ha un fratello maggiore chiamato ‘l’unto’e non ha mai visto suo padre. Natasha ha viaggiato con sua madre e altra gente che non conosceva prima del viaggio. Natasha è arrivata a Niamey passando dal Mali e, senza saperlo, si è accampata con la madre accanto alla sede di una nota compagnia di trasporti della città. Natasha avrebbe voluto tornare al suo Paese perché lì c’è il mare che guarda lontano.

Natasha è stata sepolta ieri nella sabbia del cimitero cristiano di Niamey. Natasha è morta per mancanza di cibo accanto alla strada che separa la compagnia di trasporti dall’ufficio dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM. Natasha non poteva sapere che quella sarebbe stata la prima e unica migrazione della sua vita.

Natasha, nome che significa ‘giorno della nascita’, è stata posta in un piccolo feretro e deposta tra le braccia della sabbia del cimitero nella zona riservata ai bambini. Natasha è stata accompagnata da sua madre, dal fratello e da uno zio di poco maggiore di lei. Natasha è partita senza salutare perché aveva fretta di arrivare dove anche sua madre, un giorno, la raggiungerà. Natasha andrà incontro a sua madre e, con un pò di fortuna, anche di suo padre che non ha conosciuto.

Natasha ha sentito l’acqua benedetta scorrere attorno a lei come per il giorno del battesimo. Natasha era sorpresa di sentire la sabbia cadere e coprire la piccola casa che la custodiva. Natasha non sapeva che anche sua madre avrebbe avuto la forza di buttare un pugno di sabbia per coprirla. Natasha si trova circondata da tante altre piccole tombe che sembrano colline di un villaggio senza nome.

Natasha si è commossa quando a visto sua madre salutarla con la mano prima che tutto fosse ricoperto di sabbia. Natasha si è accorta dopo del ramoscello verde piantato sulla sua tomba. Natasha sa bene che per la prossima stagione delle piogge un albero col suo nome germoglierà una domenica mattina.

Papa Francesco: proteggere le persone e la natura

Oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali, che partecipano all’incontro ‘Dalla crisi climatica alla resilienza climatica’, che alla Casina Pio IV riunisce anche sindaci e governato, ribadendo l’urgenza di azioni concrete per difendere la vita delle persone e la natura:

“I dati sul cambiamento climatico si aggravano di anno in anno, ed è pertanto urgente proteggere le persone e la natura. Mi congratulo con le due Accademie per aver guidato questo impegno e aver prodotto un documento universale di resilienza. Le popolazioni più povere, che hanno ben poco a che fare con le emissioni inquinanti, dovranno ricevere maggior sostegno e protezione. Sono delle vittime”.

Ai partecipanti il papa ha posto una scelta, quella tra la difesa della vita e l’accettazione della morte: “Voi avete risposto che dobbiamo essere attenti al grido della terra, ascoltare la supplica dei poveri, essere sensibili alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Che abbiamo la grave responsabilità di garantire che non venga loro negato il futuro. Avete dichiarato di scegliere uno sviluppo umano sostenibile”.

E’ un invito ad affrontare seriamente i problemi, che si presentano oggi nel panorama mondiale: “Ci troviamo di fronte a sfide sistemiche distinte ma interconnesse: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, il degrado ambientale, le disparità globali, l’insicurezza alimentare e una minaccia alla dignità delle popolazioni coinvolte. A meno che non vengano affrontati collettivamente e con urgenza, questi problemi rappresentano minacce esistenziali per l’umanità, per gli altri esseri viventi e per tutti gli ecosistemi”.

Occorre risolvere questi problemi, perché colpiscono i poveri: “Ma sia chiaro: sono i poveri della terra a soffrire maggiormente, nonostante contribuiscano in misura minore al problema. Le Nazioni più ricche, circa un miliardo di persone, producono oltre la metà degli inquinanti che intrappolano il calore. Al contrario, i tre miliardi di persone più povere contribuiscono per meno del 10%, ma sopportano il 75% delle perdite che ne derivano. I 46 Paesi meno sviluppati, per lo più africani, rappresentano solo l’1% delle emissioni globali di CO2. Al contrario, le nazioni del G20 sono responsabili dell’80% di queste emissioni”.

Comunque è consapevole della difficoltà di tale ‘conversione’: “I dati emersi da questo vertice rivelano che lo spettro del cambiamento climatico incombe su ogni aspetto dell’esistenza, minacciando l’acqua, l’aria, il cibo e i sistemi energetici. Altrettanto allarmanti sono le minacce alla salute pubblica e al benessere. Assistiamo alla dissoluzione delle comunità e allo sfollamento forzato delle famiglie. L’inquinamento atmosferico miete prematuramente milioni di vite ogni anno.

Oltre tre miliardi e mezzo di persone vivono in regioni altamente sensibili alle devastazioni del cambiamento climatico, e questo spinge alla migrazione forzata. Vediamo in questi anni quanti fratelli e sorelle perdono la vita nei viaggi disperati, e le previsioni sono preoccupanti. Difendere la dignità e i diritti dei migranti climatici significa affermare la sacralità di ogni vita umana ed esige di onorare il mandato divino di custodire e proteggere la casa comune”.

Davanti a questa crisi mondiale occorre prendere decisioni rapide: “In primo luogo è necessario adottare un approccio universale e un’azione rapida e risoluta, in grado di produrre cambiamenti e decisioni politiche. In secondo luogo, bisogna invertire la curva del riscaldamento, cercando di dimezzare il tasso di riscaldamento nel breve arco di un quarto di secolo. Allo stesso tempo, occorre puntare a una de-carbonizzazione globale, eliminando la dipendenza dai combustibili fossili.

In terzo luogo, vanno rimosse le grandi quantità di anidride carbonica dall’atmosfera, mediante una gestione ambientale che abbraccia diverse generazioni. E’ un lavoro lungo, ma è anche lungimirante, e dobbiamo intraprenderlo tutti insieme. E in questo sforzo la natura ci è fedele alleata, mettendoci a disposizione i suoi poteri, i poteri che la natura ha di rigenerare, poteri rigenerativi”.

L’unica soluzione per affrontare tale crisi è la cooperazione: “La crisi climatica richiede una sinfonia di cooperazione e solidarietà globale. Il lavoro dev’essere sinfonico, armonicamente, tutti insieme. Mediante la riduzione delle emissioni, l’educazione degli stili di vita, i finanziamenti innovativi e l’uso di soluzioni collaudate basate sulla natura, rafforziamo quindi la resilienza, in particolare la resilienza alla siccità”.

Ed anche un’altra finanza, in grado di riconoscere il ‘debito ecologico’: “Infine, va sviluppata una nuova architettura finanziaria che risponda alle esigenze del Sud del mondo e degli Stati insulari gravemente colpiti dai disastri climatici. La ristrutturazione e riduzione del debito, insieme allo sviluppo di una nuova Carta finanziaria globale entro il 2025, riconoscendo una sorta di ‘debito ecologico’ (dovete lavorare su questa parola: il debito ecologico), possono essere di valido aiuto alla mitigazione dei cambiamenti climatici”.

In precedenza il papa aveva ricevuto il metropolita Agathanghelos, direttore generale della Apostolikì Diakonia della Chiesa di Grecia e la delegazione del Collegio Teologico di Atene, sottolineando il cammino comunitario compiuto in questi anni, privilegiando la formazione culturale: “In questi vent’anni, superando anche periodi difficili (come per esempio quello della crisi economica che ha colpito la Grecia e quello della pandemia), l’Apostolikì Diakonia e il Comitato Cattolico per la Collaborazione Culturale hanno lavorato insieme per promuovere progetti di comune interesse sul piano culturale ed educativo.

Mi rallegro per la vostra scelta di privilegiare la formazione culturale, teologica ed ecumenica delle nuove generazioni. Infatti, proprio i giovani, sostenuti dalla speranza che si fonda sulla fede, possono spezzare le catene fatte di risentimenti, incomprensioni e pregiudizi, che per secoli hanno tenuto prigionieri cattolici e ortodossi, impedendo loro di riconoscersi fratelli uniti nella diversità, capaci di testimoniare l’amore di Cristo, specialmente in questo mondo così diviso e conflittuale”.

(Foto: Santa Sede)

Mons. Lorefice: le morti sul lavoro sono una sconfitta sociale

“Le cinque vittime di Casteldaccia (ennesimo tragico incidente sul lavoro), portano alla ribalta l’urgenza della sicurezza che ‘è come l’aria che respiriamo’… Sicurezza significa un’economia e un mercato del lavoro governati dall’istanza etica, attenzione alla persona del lavoratore, alla sua dignità e ai suoi affetti familiari. In queste ore particolarmente drammatiche, sento di far giungere un forte appello alla sicurezza sui luoghi di lavoro, auspicando un maggiore impegno di quanti hanno la responsabilità (legislatori, imprese, organizzazioni e associazioni di categoria) di tutelare i lavoratori.  Queste morti, come anche gli infortuni, sono una sconfitta sociale, una profonda ferita del corpo sociale, riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie coinvolte”.

All’indomani dell’ennesimo incidente sul lavoro, avvenuto a Casteldaccia, in provincia di Palermo, l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, in modo chiaro ha invitato a non assuefarci a tali morti, esprimendo il dolore che ha colpito i familiari: “Desidero esprimere ai familiari delle vittime e dei feriti i miei più sentiti sentimenti di vicinanza e di cordoglio, anche a nome dell’intera Chiesa palermitana, nonché la viva partecipazione al dolore delle città coinvolte e, in particolare, di Casteldaccia.

Dobbiamo sentire queste morti, far nostro questo dolore, ‘con-patirlo’, sentirlo nelle nostre viscere, portarlo insieme a quanti ora ne sono schiacciati. Dobbiamo cambiare. Tutti. Non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni”.

I cinque operai morti nella rete fognaria di Casteldaccia non sarebbero dovuti scendere all’interno della stazione di sollevamento, in quanto il contratto di appalto stipulato con la municipalizzata Amap, prevedeva che l’aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie attraverso un autospurgo e che il personale non scendesse sotto terra: nessuna delle vittime indossava la mascherina né avesse il gas alert, che è un apparecchio che misura la concentrazione dell’idrogeno solforato, il gas che poi li ha uccisi.

Anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, da New York, ha espresso il proprio cordoglio con l’auspicio di un impegno comune per eliminare tali morti: “Auspico che sia fatta piena luce sulle dinamiche dell’incidente. Ma l’ennesima inaccettabile strage sul lavoro, a pochi giorni dal 1^ maggio, deve riproporre con forza la necessità di un impegno comune che deve riguardare le forze sociali, gli imprenditori e le istituzioni preposte”.

Anche l’Azione Cattolica Italiana ha espresso cordoglio alle famiglie dei cinque operai morti, ma anche alle famiglie che negli anni hanno visto i loro familiari perdere la vita sul posto di lavoro: “Denunciamo la carenza di tutela e di misure di prevenzione da parte di soggetti pubblici e privati, sottolineando come i fatti di Casteldaccia ripropongano l’imperativo assoluto di interventi e controlli stringenti per la sicurezza sul lavoro e per spezzare la drammatica catena di morti bianche”.

E’ stato un richiamo ad applicare il Decreto Legislativo 81/08, che regola la salute e la sicurezza sul lavoro e prevede una formazione più vicina alle attività lavorative delle imprese: “Come il Movimento Lavoratori di Ac ha ricordato più volte c’è la necessità di piani di sicurezza e interventi standardizzati che le aziende dovrebbero implementare per legare di più la sicurezza alle attività produttive.

Occorre inoltre un impegno a ridurre la distanza tra chi fa impresa e chi può aiutare gli imprenditori (a partire dai vari istituti di ricerca specializzati) ad elaborare in modo semplice delle azioni di sicurezza efficaci e di controllo dell’effettiva applicazione di queste. Occorre far crescere una cultura della sicurezza, a partire dalla consapevolezza condivisa che investire in sicurezza non è un costo ma un investimento sul futuro dell’azienda e dei suoi lavoratori”.

La presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana ha chiesto una maggior dignità al lavoro ed ai lavoratori: “Tutti devono fare la loro parte, perché tutti sono responsabili della sicurezza dei lavoratori. Qualcuno però lo è più degli altri. È dunque necessario passare con prontezza dalle denunce ai fatti concreti, agli investimenti precauzionali, alle verifiche e ai controlli.

Tutti i soggetti devono fare la loro parte, con un supplemento di responsabilità; ma è dagli imprenditori in particolare che si attendono quelle provviste e quelle innovazioni strutturali che sole possono garantire il successo degli altri interventi. La vita è sacra, e distintamente lo è quella impegnata sul lavoro duro e rischioso”.

Il fatto non sussiste: la lotta per la vita

Due episodi hanno caratterizzato le discussioni della scorsa settimana, che possono essere riassunte in una mancanza di conoscenza, o meglio non rispetto della legge da parte di chi dovrebbe farle rispettare, che riguardano la vita. Il problema è che quando in questione è la vita si cercano molti escamotages per ucciderla, semplicemente per un vezzo ideologico, anche se i fatti non sussistono.

E’ il caso dei ‘taxi del mare’: nella settimana scorsa il tribunale di Trapani ha chiuso il caso delle ong che furono accusate di essere ‘taxi del mare’, in quanto il ‘fatto non sussiste’. I membri dell’equipaggio della nave della ong ‘Jugend Rettet’ erano stati accusati insieme ad altre persone di Msf e Save the Children di aver favorito l’immigrazione clandestina.

L’inchiesta era durata 4 anni: si basava sul racconto di alcuni addetti alla sicurezza imbarcati sulla nave di Save the Children, che rivelarono ad uomini dei servizi segreti come, in almeno tre occasioni, le Ong si fossero accordate con i trafficanti di esseri umani, simulando inesistenti situazioni di emergenza e arrivando persino a restituire i barconi agli scafisti. Qualche giornale, molto falsamente, arrivò a titolare in prima pagina ‘Patto tra l’ong egli scafisti’.

La formula assolutoria ha affermato che i fatti non sono stati dimostrati, tantoché Raffaela Milano, portavoce di ‘Save The Children’, ha definito storica la sentenza: “Questa sentenza restituisce il senso di un lavoro che è stato colpito da accuse ignobili e segna un passaggio fondamentale perché ci dice che il soccorso in mare non può essere messo al secondo posto. Speriamo solo che apra una fase nuova per tutta Europa”.

Stesso tenore è stata la nota di ‘Medici senza Frontiere’: “Dopo 7 anni di false accuse, slogan infamanti ed una plateale campagna di criminalizzazione delle organizzazioni impegnate nel soccorso in mare, cade la maxi-inchiesta avviata dalla Procura di Trapani nell’autunno 2016, la prima della triste epoca di propaganda che ha trasformato i soccorritori in ‘taxi del mare’ ed ‘amici’ dei trafficanti”.

Il ‘fatto non sussiste’ ugualmente per la polemica dell’aborto e l’applicazione della legge 194/78, anche se le misure sull’aborto non hanno niente a che vedere con il pnrr, in quanto la vita non è mercimonio, ma l’emendamento che affida alle Regioni la possibilità di ‘avvalersi nei consultori di soggetti del terzo settore con qualificata esperienza nel sostegno alla maternità’, non dice nulla di nuovo rispetto alla legge, che riconosce che lo “Stato  garantisce  il  diritto  alla  procreazione  cosciente e responsabile,  riconosce  il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio…

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono   e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.

Per questo la legge prescrive da parte dello Stato il dovere di rimuovere, quando possibile, cause e circostanza che impediscono la maternità alle donne, garantendo un diritto alla vita del nascituro e un dovere dello Stato di aiutare le donne che vogliano proseguire la gravidanza: “Il consultorio e la  struttura  socio-sanitaria,  oltre  a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della  dignità e della  riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Inoltre è la legge che disciplina convenzioni con il Terzo Settore: “I  consultori sulla base di appositi  regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla  legge, della collaborazione  volontaria  di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono  anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.

Tutto il resto sono parole al vento che uccidono la vita e lo Stato non può permettersi di uccidere, andando contro le leggi che emana!   

L’Aquila non dimentica i morti del terremoto del 2009

Un fascio di luce, acceso nel cortile centrale del Palazzo de L’Aquila, ha illuminato la notte del ricordo nel 15^ anniversario del terremoto che il 6 aprile 2009 provocò 309 vittime, sconvolgendo la vita del capoluogo abruzzese e di altri 55 comuni in Abruzzo. Un appuntamento che negli anni è cambiato ed ha evoluto la sua forma, senza mai cessare di rappresentare un momento di riflessione, di condivisione e segno di rinascita per una comunità che guarda al futuro senza lasciare dietro il passato.

A rappresentare il futuro due giovani aquilani entrambi nati nel 2009 ed iscritti al Conservatorio cittadino, chiamati ad accendere il braciere al Parco della Memoria al termine del percorso a piedi, partito da via XX Settembre, nei pressi del Tribunale: si tratta di Elisa Nardi, che per il suo percorso di formazione musicale ha intrapreso lo studio delle percussioni, e Tommaso Sponta, studente di violoncello.

Nell’omelia il card. Giuseppe Petrocchi ha invitato a non perdere la memoria di quell’evento tragico: “Facciamo memoria, nella liturgia, delle 309 vittime di quella catastrofica calamità; come anche di Coloro che sono deceduti successivamente, a causa dei traumi subìti. Portiamo nel cuore e nelle nostre preghiere il dramma di quanti sono stati profondamente feriti nella mente, negli affetti e nelle situazioni ‘esistenziali’ da quegli eventi distruttivi”.

La memoria accomuna: “Ricordiamo pure gli abitanti, delle aree a noi vicine, che hanno perso la vita o sono stati colpiti nelle rovinose ‘repliche telluriche’ del 2016-2017. Raccogliamo, nella nostra invocazione e solidarietà fraterna, tutte le Persone che hanno patito, in altre parti del mondo e nelle diverse epoche, questo stesso ‘martirio sismico’. Il terremoto del 2009 costituisce un ‘osservatorio’ sulle tragedie del mondo: le vittime di quella immane disgrazia sono ‘Compagni di sorte’ di altri Soggetti sui quali si sono abbattute le violenze di conflitti e di calamità dirompenti”.

Un anniversario che si è svolto nel periodo pasquale per meditare sulla rinascita della vita: “Facciamo nostra questa solenne ‘attestazione’ del Credo: la Pasqua di Gesù ci ha reso certi che la morte dei discepoli non rappresenta lo sfacelo ultimo e definitivo dell’esistenza, ma è passaggio alla Vita eterna: quella che non muore più. Stasera siamo riuniti qui proprio per proclamare, insieme al dolore per le vittime del sisma, la nostra certezza che il vincolo di unità, che ci ha legato a loro, non si è spezzato, ma si è stretto ancora più forte: perché in esso è stato impresso il sigillo dell’amore evangelico.

Sperimentiamo dolorosamente il ‘lutto’, che non viene meno perché è sacro, ma senza esserne sopraffatti: ha la meglio l’annuncio della Pasqua, che abbiamo ricevuto e accolto. Se è vero, infatti, che ‘tutto passa’, è ancora più vero, nella Carità, che ‘tutto resta’: infatti, l’amore autentico è siglato dal ‘per sempre’; ed ogni affetto, che dura solo a ‘tempo determinato’, non è amore, ma emozionalità volubile e inaffidabile”.

L’omelia dell’arcivescovo della città è stato un invito a non disperare in quanto concittadini del Regno di Dio: “Sappiamo che ‘Cielo’ e ‘Terra’ sono congiunti nel Signore, anche se, durante lo scorrere dei nostri giorni, questa ‘saldatura’ non si è ancora interamente compiuta. Siamo già tutti ‘Con-cittadini’ del Regno di Dio, anche se con diverse ‘titolarità’: i nostri Fratelli, che dimorano “lassù”, hanno già una appartenenza piena e definitiva; noi, che abitiamo ‘quaggiù’, camminiamo per raggiungerli nella stessa Patria celeste.

In questa assemblea liturgica ‘Loro’ non sono assenti, ma si rendono realmente presenti, nella stessa Famiglia degli ‘Ammessi alla Vita’. Per tale ragione, nel corso della celebrazione, ne vengono evocati i nomi: si tratta di una scansione solenne, a voce alta; dimostrazione che, nella loro vicenda, rifiutiamo qualunque ‘amnesia’ anagrafica ed esistenziale. Tuttavia la nostra memoria non intende rimanere solo ‘retroflessa’, cioè ripiegata all’indietro, ma vuole proiettarsi in avanti, sviluppando la capacità di affrontare creativamente il futuro”.

In questo senso la fede ha forgiato la comunità: “La luce della fede ha compiuto il ‘miracolo’ di far germogliare, in noi e tra di noi, il fiore prezioso della ‘consolazione’, che si espande dal grande albero della Speranza. Ma questo ‘approccio cristiano’ ha pure contribuito a forgiare atteggiamenti sociali ‘adeguati’, per sostenere una efficace ‘risposta ricostruttiva’ alla sfida lanciata dal sisma”.

La città non si è lasciata vincere dal pessimismo: “Dopo aver sperimentato la furia demolitiva del terremoto, L’Aquila non si è fermata: non ha messo la ‘marcia indietro’ della ‘rassegnazione perdente’, ma è subito ‘ripartita’ attivando una reazione coraggiosa e fattiva: si è spinta in avanti, accelerando il ‘ritmo operativo’ del suo robusto ‘motore’ religioso, etico e sociale. Così è stata avviata la grande e faticosa impresa della ‘rinascita’: avventura corale e permanente, tesa a riguadagnare la fiducia nel presente, custodendo con fierezza i valori del passato, per riaprire le prospettive di un promettente avvenire. La Comunità, al completo, si è mobilitata per ‘ri-edificare’ non solo ‘come’ prima, ma ‘meglio’ e ‘più’ di prima: in tutti i campi!”

Quindi è stato un invito a riconoscere la provvidenza, come l’apostolo Pietro dopo la pesca miracolosa: “Ricordiamo che il Signore ci parla attraverso il Vangelo e nella Comunità ecclesiale, come anche ‘dentro’ la nostra coscienza e per mezzo degli eventi che ci accadono. Sta a noi imparare a cogliere la Sua volontà, facendo il giusto discernimento e agendo con la dovuta coerenza: proprio questa fedeltà ci consentirà di ‘riconoscere’ e accogliere Gesù, dicendo, come Pietro: ‘è il Signore!’

La Provvidenza di Dio ci ha accompagnato in questi 15 anni, consentendoci di attraversare la tragedia del sisma, dirigendoci però verso orizzonti di speranza, e conquistando novità inedite e di maggior valore. Il dolore per il ‘distacco’ dalle Persone care rimane radicato nella nostra anima: e continuerà ad ardere nel cuore, come una lampada perenne, alimentata da un amore che non si spegne e attende il momento del ricongiungimento”.

(Foto: diocesi de L’Aquila)

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