L’impegno dei salesiani in Ucraina con le Missioni Don Bosco

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Il salesiano don Daniel Antúnez, presidente delle ‘Missioni Don Bosco’, è rientrato nella scorsa settimana in Italia da un viaggio che l’ha portato a incontrare i salesiani di Slovacchia, Polonia e Ucraina (a Leopoli) e si sta occupando dell’accoglienza a Valdocco di un gruppo di 39 profughi: “Noi vogliamo essere militanti per la pace. Se il papa sarà in condizione di andare di persona, io e tanti altri siamo pronti ad accompagnarlo”.

‘Missioni Don Bosco’ ha anche ricevuto dal Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, l’incarico di fare da capofila per le organizzazioni di solidarietà internazionale promosse dalla Congregazione salesiana in Italia: “Dopo il primo soccorso spontaneo, occorre assicurarsi dell’efficacia degli aiuti. L’esodo dal Paese richiede il massimo rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona, a incominciare dai bambini non accompagnati e dalle donne sole. L’afflusso di beni non deve creare sul posto problemi di stoccaggio e di distribuzione”.

Inoltre, le case sostenute da ‘Missioni Don Bosco’ in alcune località dell’Ucraina e nei Paesi limitrofi sono state convertite in centri per operare i soccorsi, con l’occhio rivolto al ‘dopo’, quando gli Ucraini potranno tornare a vivere nelle loro città e avranno bisogno di una ‘normalità’.

A don George Menamparampil, coordinatore della risposta salesiana all’emergenza, chiediamo di raccontarci la situazione in Ucraina: “La situazione è terribile, come si può constatare facilmente dai messaggi che ci mandano i salesiani sul posto. I ‘Figli di don Bosco’ sono presenti in tutto il Paese, grandi città e villaggi: a Kiev, Leopoli, Dnipro, Zhytomyr, Odessa, Korostyshiv, Peremyshlany e Bibrka.

La popolazione si rifugia nelle cantine e nei sotterranei per paura dei bombardamenti e quanti possono, soprattutto le donne, i bambini e gli anziani, lasciano direttamente il Paese. Le città alla sera sembrano deserte e negli spostamenti s’incontrano facilmente controlli e posti di blocco”.

In quale modo la Congregazione salesiana aiuta la popolazione?

“La Congregazione sta dando un aiuto a tutto campo. I centri di pastorale giovanile sono diventati centri di primo soccorso per la popolazione colpita; le case, gli oratori e le scuole salesiane hanno aperto le loro porte agli sfollati, che sono migliaia, e li aiutano a trovare rifugi sicuri e cibo, e anche accompagnandoli verso i confini occidentali del Paese.

Poi, stiamo inviando molte medicine per il primo soccorso. Grazie a dei trasporti aerei di medicinali e materiali sanitari, arrivati da Malta e dagli Stati Uniti, assicuriamo anche la salute delle persone colpite dalle esplosioni o ammalate, che curiamo finché non stanno abbastanza bene da poter tornare a casa.

Ma il sostegno non è solo in Ucraina, riguarda anche i Paesi vicini, in primo luogo la Polonia e poi Slovacchia, Moldavia, Repubblica Ceca, Ungheria, Croazia, Italia, Malta, Irlanda… Si tratta di un’operazione che sta richiedendo un alto livello di coordinamento e che vede coinvolte le Ispettorie salesiane, ONG e tante diverse realtà della Famiglia Salesiana di tutta Europa e anche oltre, tutte impegnate per far sì che la macchina dei soccorsi lavori nella maniera più efficace ed efficiente possibile”.

Come sono accolti i rifugiati?

“Dove vengono accolti i rifugiati, viene assicurato loro tutto il possibile: vitto, alloggio e tutte quelle cose che la gente non ha potuto portare con sé (culle, carrozzine, vestiti, materiali per l’igiene…), e ancora servizi di interpretariato, supporto burocratico-legale, l’inserimento dei bambini e dei giovani nei percorsi educativi e nelle attività dei centri giovanili, l’aiuto agli adulti a trovare lavoro. Senza dimenticare, ovviamente, il supporto morale e spirituale.

Infine, a livello di raccolte di materiali e di fondi, di campagne di sensibilizzazioni, davvero gli aiuti arrivano da tutto il mondo: dall’India, dal Kenya e dall’Africa Meridionale, dall’America Latina, da tutta Europa. E coinvolge tutta la Congregazione, dal Rettor Maggiore dei Salesiani, in prima linea anche in questo frangente, fino alle più piccole presenze e realtà giovanili”.

Per quale motivo la Congregazione salesiana ha scelto di restare in Ucraina?

“I salesiani restano sempre al fianco della popolazione in queste circostanze. Così è stato in Siria durante la guerra, o durante l’epidemia di Ebola in Africa occidentale… Non si abbandona la propria famiglia nel momento della prova. In questo caso, non solo i salesiani ucraini, ma anche i missionari polacchi hanno subito manifestato la loro opzione di restare al fianco della popolazione ucraina per aiutarla in questa tragedia”.

Come è possibile vivere la fede in tempo di guerra?

“La fede è già stata vissuta in tempo di guerra da miliardi di fratelli e sorelle lungo la storia. Se guardiamo ai personaggi della scrittura, o ai salmi, che ne sono quasi l’anima, troviamo costantemente riferimenti a situazioni di lotta, sofferenza. In tante pagine è la guerra in tutta la sua crudeltà a segnare i destini. Eppure, alla fine diciamo: parola di Dio!

Le comunità in cui si è formato il Nuovo Testamento sono spesso formate da sparuti gruppi di persone perseguitate, che conoscono bene cosa vuol dire martirio. Ad esse si aggiunge un gran numero di santi lungo i secoli. I martiri sono i più numerosi anche tra i membri della Famiglia Salesiana sulla via degli altari.

Ma su tutti e su tutto si erge la croce: è un puro atto di violenza estrema contro un innocente. Ma è anche quanto ha cambiato la storia di questo universo più di qualunque impero, ordigno, vittoria o sconfitta militare.

Come vivere la fede in tempo di guerra non lo si spiega: è e rimane mistero, in cui però si può entrare, trasformando le piaghe in redenzione, la morte in resurrezione. La Pasqua non è un evento che si è concluso 2.000 anni fa: è stato l’inizio di una trasformazione in continuo divenire, di cui ciascuno di noi è partecipe, e che si vive tanto più intensamente quanto più si fa prossima al mistero della croce”.

Nella consacrazione al Cuore Immacolato di Maria del mondo, dell’Ucraina e della Russia il papa ha chiesto preghiere per la pace: quanto è importante pregare?

“Pregare per noi è importante come lo è stato per il Figlio di Dio quando sudava sangue nel Getsemani. E’ servito a qualcosa? E’ servito tanto quanto serve la preghiera di chi è sopraffatto dalla violenza e che da essa viene ucciso, come Massimiliano Kolbe, Edith Stein… tanto per citare solo due tra i più noti martiri del nazismo, uccisi ad Auschwitz, meno di 400 km da Leopoli.

Pregare cambia lo sguardo, e uno sguardo diverso sulla realtà, anche la più assurda, cambia il nostro cuore. Facciamo bene ad implorare la pace perché è il primo passo per operarla, per diventare noi suoi costruttori.

Ma questo non riduce i confini del mistero più grande di questo universo, dopo il mistero di Dio, che è quello della libertà umana. Mai come oggi possiamo toccare con mano fino a che punto può spingersi nel bene e nel male il cuore libero degli uomini, a cui neanche Dio ha opposto resistenza lasciandosi inchiodare ad un pezzo di legno.

Un rabbino dell’est Europa aveva chiesto ai suoi allievi qual è l’attimo in cui finisce la notte e inizia il giorno. Dopo tanto discutere, propose lui la risposta: ‘E’ quell’attimo in cui c’è già abbastanza luce da permetterci di riconoscere in qualunque persona nostro fratello, nostra sorella. Finché non ci riusciamo è ancora notte’.

Questo è quello che ottiene la preghiera per la pace. Come ci ha ricordato, ancora una volta, il Santo Padre, con la consacrazione dell’Ucraina e della Russia al Cuore Immacolato di Maria”.

(Tratto da Aci Stampa)

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