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In Afghanistan riaperte due unità sanitarie per bambini malnutriti

Chiuse per mesi a causa dei tagli USA, le strutture di Kabul e Badakhshan tornano operative in un contesto sanitario al collasso: nel 2025 previsti 3.500.000 di casi di malnutrizione infantile. Le due cliniche pediatriche di Azione Contro la Fame a Kabul e Badakhshan – fondamentali per la sopravvivenza di centinaia di bambini malnutriti – sono tornate operative dopo mesi di chiusura. I tagli ai finanziamenti statunitensi ne avevano imposto lo stop. Ora, grazie al sostegno dell’Unione Europea, le unità hanno riaperto in un momento in cui l’Afghanistan affronta una delle peggiori crisi sanitarie della sua storia recente.
Le due Unità di Alimentazione Terapeutica (UTF) erano state costrette a sospendere le attività, lasciando centinaia di bambini senza accesso alle cure salvavita di cui necessitavano. I bambini malnutriti che ricevono cure presso le nostre unità presentano un rischio di morte 12 volte superiore a quello dei bambini sani.
La chiusura aveva interrotto un servizio essenziale. Solo nel 2024, più di 1.000 bambini avevano ricevuto cure nutrizionali in queste strutture. In Afghanistan, dove il sistema sanitario è al collasso, l’accesso a trattamenti specialistici è estremamente difficile da reperire.
Da pochi giorni le unità di Kabul e Badakhshan sono state riaperte grazie al sostegno dell’UE, che giunge in un momento critico: si stima che la malnutrizione infantile in Afghanistan aumenterà del 20% nel 2025.
“L’Unione Europea ha sostenuto Azione Contro la Fame con cinque unità di alimentazione terapeutica (TFU) in tutto il Paese”, spiega Cobi Rietveld, direttore nazionale di ACF in Afghanistan. “A partire da questo mese, l’UE è intervenuta anche per sostenere le due unità di alimentazione terapeutica che erano state chiuse a causa dei tagli ai finanziamenti statunitensi. Grazie a questo sostegno, siamo in grado di salvare le vite dei bambini in condizioni critiche. Inoltre, il nostro personale sanitario dedicato alle TFU, che altrimenti rischierebbe la disoccupazione nell’attuale difficile situazione economica, può continuare a eseguire la propria professione”.
La perdita di questi posti di lavoro avrebbe colpito duramente le donne, che rappresentano il 68% del personale medico nelle strutture di Azione Contro la Fame. Wazhma N., che si è unita due anni fa al team sanitario presso l’unità di Kabul come infermiera, racconta quanto sia cruciale la struttura per il personale medico femminile: “Per molte di noi, non si tratta di un semplice posto di lavoro: è l’unico luogo in cui noi donne possiamo prestare servizio come professioniste mediche. La sua riapertura porta un immenso sollievo non solo a noi, ma anche ai pazienti che hanno un disperato bisogno di cure. Nutriamo la speranza che questa ancora di salvezza non sia temporanea, ma rimanga aperta per sempre”.
Nonostante l’intervento dell’UE permetta di garantire la continuità del servizio per i prossimi mesi, il contesto rimane critico. Dopo la sospensione dei finanziamenti statunitensi, in tutto il Paese sono stati chiusi circa 400 siti nutrizionali e oltre 400 strutture sanitarie. Le agenzie internazionali avvertono: nei prossimi mesi si rischia una grave carenza di farmaci essenziali, poiché le scorte stanno progressivamente esaurendosi.
L’Afghanistan è oggi tra i 15 Paesi con i più alti tassi di malnutrizione acuta: nel 2025, il numero di bambini sotto i cinque anni che necessitano di trattamenti nutrizionali è salito a 3,5 milioni, rispetto ai 3 milioni dell’anno precedente**. Il bisogno di aiuti umanitari resta urgente e crescente.
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Azione Contro la Fame è un’organizzazione umanitaria internazionale impegnata a garantire a ogni persona il diritto a una vita libera dalla fame. Specialisti da 46 anni, prevediamo fame e malnutrizione, ne curiamo gli effetti e ne preveniamo le cause. Siamo in prima linea in 56 paesi del mondo per salvare la vita dei bambini malnutriti e rafforzare la resilienza delle famiglie con cibo, acqua, salute e formazione. Guidiamo con determinazione la lotta globale contro la fame, introducendo innovazioni che promuovono il progresso, lavorando in collaborazione con le comunità locali e mobilitando persone e governi per realizzare un cambiamento sostenibile. Ogni anno aiutiamo 21.000.000 persone.
Le associazioni per salvare i bambini a Gaza

Diverse fonti hanno rivelato a Sky News Arabia che è sempre più probabile che ‘il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annunci un cessate il fuoco a Gaza nei prossimi giorni’, aggiungendo che ‘l’annuncio di Trump avverrà nell’ambito di un accordo che include il rilascio degli ostaggi israeliani’. Nel frattempo, oggi, in occasione della Giornata di Gerusalemme, alcune decine di giovanissimi israeliani hanno marciato tra le viuzze del suq (il mercato della Città Vecchia), prendendo a calci porte di negozi, urlando insulti razzisti, sputando su passanti e cantando cori d’odio, mentre alcuni testimoni, tra i quali alcuni membri dell’organizzazione pacifista israelo-palestinese ‘Standing Together’, hanno riferito che la polizia di guardia al mercato non ha un numero di agenti sufficiente a contrastare gli aggressori e che alcune richieste di rinforzi non hanno ricevuta risposta.
Mentre nella notte almeno 52 palestinesi sarebbero stati uccisi in due distinti attacchi aerei israeliani, tra cui un raid sulla scuola e poche ore prima, un raid aereo ha colpito una casa nel centro di Gaza City, uccidendo 19 persone. E la Croce Rossa aveva riferito che due membri del suo personale sono stati uccisi in un attacco alla loro casa, sabato, a Khan Yunis. L’uccisione di Ibrahim Eid, un ufficiale addetto alla contaminazione delle armi, e di Ahmad Abu Hilal, una guardia di sicurezza presso l’ospedale da campo della Croce Rossa di Rafah ‘indica l’intollerabile bilancio delle vittime civili a Gaza’ ha detto il Cicr, ribadendo il suo appello per un cessate il fuoco.
Intanto nei giorni scorsi le ACLI ed IPSIA, la loro ong di cooperazione internazionale, hanno preso parte alla ‘Carovana Solidale’, che ha raggiunto il valico di Rafah, al confine tra Egitto e la Striscia di Gaza. Un’iniziativa che ha voluto portare solidarietà concreta al popolo palestinese e denunciare l’inaccettabile inazione della comunità internazionale di fronte alla tragedia umanitaria in corso, come ha raccontato Italo Sandrini, vicepresidente nazionale delle ACLI:
“La cosa più inquietante è stato sentire il rumore delle bombe. Prima nella notte, in un ex hotel in disuso a pochi chilometri dal confine, con le vibrazioni dei vetri in camera. Poi mentre eravamo al valico: si sentivano questi tonfi, che mi poterò a lungo dentro, e il paradosso era che noi eravamo lì per loro, ma non potevamo fare nulla per salvarli. Loro erano là dentro.
E’ stato un senso di impotenza mai provato prima. Torniamo indietro con l’intenzione di far sentire ancora più forte la nostra voce per denunciare quello che sta succedendo a Gaza. Di fronte all’orrore che si consuma a Gaza, non possiamo permettere che cali il silenzio. Le ACLI continueranno a levare la propria voce perché si fermi la violenza, si aprano i corridoi umanitari e si riconosca pienamente la dignità del popolo palestinese. La pace non è un sogno, è un dovere politico e morale”.
Davanti all’impossibilità di entrare nella Striscia, i partecipanti alla carovana hanno dato vita a un flash mob al valico, chiedendo con forza: il cessate il fuoco immediato, la fine delle operazioni militari, lo stop alla complicità dei governi internazionali. A tal proposito Marco Calvetto, presidente nazionale di IPSIA Acli, ha sottolineato il significato dell’iniziativa: “Il senso di questa Carovana è quello di interrompere il silenzio che circonda quanto sta accadendo a Gaza. Un silenzio che si fa complicità, davanti all’inazione dei governi che non intervengono per fermare crimini contro l’umanità. A Gaza c’è una crisi umanitaria, ma anche una crisi dell’umanità. Una crisi dell’Occidente, che vede fallire il proprio modello di diritto e di giustizia costruito in decenni”.
Con tale iniziativa le ACLI hanno ribadito l’impegno per la pace: “Quanto accade a Gaza non può lasciarci indifferenti. La nostra voce continuerà a levarsi, più forte, più determinata, perché nessuno possa dire di non sapere. Le ACLI ribadiscono con forza il proprio impegno per la pace, la difesa dei diritti umani e la giustizia internazionale. Quanto accade a Gaza non può lasciarci indifferenti. La nostra voce continuerà a levarsi, più forte e più determinata, perché nessuno possa dire di non sapere”.
Altro appello con petizione online è stato lanciato questa mattina da Flavio Lotti, presidente Fondazione ‘PerugiAssisi per la Cultura della pace’ e da Marco Mascia, presidente Centro Diritti Umani ‘Antonio Papisca’ dell’Università di Padova: “Diamo il via ad una grande ‘Operazione di Salvataggio’. Salviamo i ‘sopravviventi’ di Gaza! L’Italia invii a Gaza le nostre due portaerei cariche di aiuti e soccorritori…
silenzio,Salviamoli! Non c’è altra cosa da fare. Le parole (nemmeno quelle di condanna) non fermano lo sterminio. Dobbiamo andare a salvarli! Questo chiediamo al governo italiano! Non basta nemmeno il riconoscimento dello Stato di Palestina. L’Italia lo deve fare, ma non basta. Quello che serve ora è andare a salvare le persone che stanno per essere sterminate”.
Quindi Mascia e Lotti hanno chiesto di far “partire subito le due portaerei italiane Cavour e Garibaldi e tutte le navi che abbiamo a disposizione. Carichiamole di aiuti e affidiamo ai nostri militari il compito di consegnarli al personale delle agenzie dell’Onu ed alle organizzazioni della società civile che ancora resiste nel cimitero di Gaza. Facciamo in modo che tutti i bambini e le bambine possano riceverli. Nessuno escluso. Di fronte all’inazione dell’Unione europea, l’Italia faccia partire subito una grande Operazione di salvataggio per i bambini e le bambine di Gaza. Rispondiamo all’impensabile, con l’impensabile”.
Infine nel sito l’Azione Cattolica Italiana ha raccolto la testimonianza di Elia Giovanni, pseudonimo di un associato, che da un paio d’anni vive in Terra Santa prestando servizio in una casa-famiglia: “Cara Azione cattolica, in un mondo in cui l’informazione viaggia più veloce dei razzi che cadono su Gaza, non possiamo più permetterci il lusso dell’ipocrisia. Il tempo dei doppi standard è finito. Il silenzio, oggi più che mai, è una complicità attiva. E’ una bomba sganciata con discrezione. E’ un’arma che non fa rumore, ma uccide ugualmente.
La differenza di trattamento tra i conflitti globali è un’ingiustizia che grida vendetta. Abbiamo assistito, giustamente. a una mobilitazione senza precedenti a sostegno del popolo ucraino, invaso da una potenza straniera. Abbiamo visto i media occidentali riempirsi di bandiere gialloblù, i governi stanziare miliardi, la solidarietà umana trasformarsi in aiuto concreto. Ma di fronte al genocidio in corso a Gaza, il mondo trattiene il fiato. O, peggio, tace”.
Il testimone invita a prendere posizione non contro un popolo, ma contro un governo: “Non si tratta di schierarsi contro un popolo, ma contro un governo che infrange sistematicamente il diritto internazionale. E’ possibile, e doveroso. denunciare i crimini di un regime senza essere accusati di antisemitismo. E’ possibile difendere la dignità dei civili palestinesi senza negare quella degli israeliani. La sofferenza non è una gara: il dolore di una madre israeliana il 7 ottobre è identico a quello di una madre palestinese che perde tre figli sotto le macerie a Rafah. Ma a differenza della narrazione che ci viene servita, c’è un contesto, una causa e, soprattutto, c’è un modo per fermare tutto questo”.
Ed ha concluso la testimonianza con l’invito a non rimanere in silenzio: “Il silenzio è una forma di violenza. E’ il carburante che alimenta ogni futuro crimine. Eppure, ciò che resta ancora più inascoltato è la voce di tanti ebrei, dentro e fuori Israele, che si oppongono con forza al proprio governo. Uomini e donne che denunciano apertamente le politiche terroristiche, la distruzione sistematica, la morte per fame dei bambini, i massacri.
Associazioni come ‘Jewish Voice for Peace’, negli Stati Uniti, gridano da anni contro l’apartheid israeliano e chiedono il rispetto dei diritti umani per i palestinesi, opponendosi pubblicamente alla violenza e al sostegno militare degli Stati Uniti a Israele. In Israele, organizzazioni come B’Tselem, autorevole centro per i diritti umani, hanno definito apertamente il regime imposto ai palestinesi come un sistema di apartheid. Denunciano, documentano, resistono. E spesso pagano un prezzo altissimo per il loro coraggio…
. Il genocidio subito non può mai essere un lasciapassare per infliggerne uno nuovo. Il dolore non può essere monopolizzato. La memoria non può essere armata, la giustizia non può essere selettiva. Non ci può essere pace senza giustizia, né giustizia se non per tutti. Senza distinzione alcuna. Il mondo ha già sbagliato troppe volte nella storia. Stavolta, però, non potremo dire ‘non lo sapevamo’. Perché lo sappiamo. E perché non c’è più tempo”.
A Gaza un bambino su due è gravemente malnutrito a causa del blocco totale degli aiuti umanitari

Alcuni giorni fa IPC (Integrated Food Security Phase Classification, in italiano si traduce Classificazione Integrata delle Fasi di Sicurezza Alimentare), la scala standardizzata che analizza la sicurezza alimentare a livello globale, ha lanciato un nuovo, gravissimo allarme: tutta la Striscia di Gaza è ora classificata al livello 4 della scala IPC su 5, indicando una situazione di emergenza alimentare diffusa, con rischio di morte per la popolazione.
Questo segna un peggioramento drammatico rispetto alle precedenti analisi, quando il 93% di Gaza era già stato classificato almeno al livello di crisi (livello 3 o superiore). Il collasso è arrivato dopo oltre due mesi di assedio totale, durante il quale nessun aiuto umanitario ha potuto entrare: niente cibo, acqua, assistenza medica o altri beni essenziali per la sopravvivenza.
La situazione è più difficile per i bambini tra i 6 mesi e i 5 anni di età: attualmente si registrano oltre 70.000 casi di malnutrizione acuta, dei quali oltre 14.000 di malnutrizione acuta grave. Inoltre, si stima che oltre 18.000 donne in stato di gravidanza e allattamento avranno bisogno di accedere a delle cure mediche entro aprile 2026 per prevenire problemi di salute irreversibili e potenzialmente letali tanto per le madri stesse quanto per i bambini.
“Oggi lavoro come consulente per l’allattamento con Azione Contro la Fame e ogni consulenza conferma le mie peggiori paure: non c’è fine a questa crisi. La situazione sta diventando sempre più catastrofica e la carenza acuta di aiuti e assistenza è sempre più allarmante. Soprattutto per le donne in stato di gravidanza e allattamento, che affrontano un doppio rischio: oltre alla stanchezza del corpo, sono chiamate ad affrontare una fame estrema, una privazione prolungata e una grave mancanza di tutti i beni essenziali per la salute e la nutrizione”, ha raccontato un membro dello staff di Azione Contro la Fame a Gaza.
Azione Contro la Fame, nel mese di aprile, ha condotto una valutazione in tre governatorati della Striscia, intervistando i tutori di oltre 1.000 bambini sotto i 5 anni. Il risultato è allarmante: tutti i bambini risultano in condizione di insicurezza alimentare, e uno su due è affetto da insicurezza alimentare moderata o grave. Sempre ad aprile, il numero di bambini ammessi ai programmi mensili di trattamento per malnutrizione acuta ha superato l’intero numero registrato nel primo trimestre 2025.
“L’unica cosa che al momento impedisce una carestia tra i Palestinesi è l’assistenza umanitaria” ha spiegato Natalia Anguera, Responsabile delle Operazioni per il Medio Oriente di Azione Contro la Fame. “I nostri team a Gaza hanno distribuito gli ultimi pacchi alimentari secchi rimasti, con scorte sufficienti solo per una cucina comunitaria. Molte altre organizzazioni hanno esaurito le proprie risorse già da settimane”.
Le scorte alimentari stanno terminando: dall’inizio dell’assedio, oltre 177 cucine comunitarie e panifici sono stati costretti a chiudere. Nel frattempo, il costo della farina di grano è aumentato di oltre il 3.000% da febbraio 2025, arrivando a costare tra i 235 e i 520 dollari statunitensi per 25 chilogrammi in tutta Gaza. Secondo le proiezioni IPC, 250.000 persone si trovano già in condizioni di fame estrema, e questo numero è destinato a raddoppiare se non si permette l’ingresso degli aiuti umanitari.
Azione Contro la Fame ribadisce le sue richieste a tutte le parti coinvolte nel conflitto: riaprire immediatamente e incondizionatamente tutti i valichi di frontiera, garantire un cessate il fuoco immediato e permanente, il rilascio di tutti gli ostaggi e la protezione dei civili e delle infrastrutture civili. Bloccare l’ingresso del cibo porterà alla carestia. La soluzione appare inequivocabile: occorre agire presto e permettere l’accesso agli alimenti.
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Costruiamo insieme la ‘Casa della Speranza’

L’appello di padre Lumetta, missionario rogazionista in Brasile, da anni impegnato a salvare la vita di centinaia di bambini in condizione di estremo disagio. La Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, attraverso il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo, aiuta 2500 bambini in cinque Continenti a studiare in luoghi più sereni e sicuri.
Uno di questi Paesi è il Brasile dove padre Vincenzo Lumetta risponde a un impegno ben preciso e arduo: aiutare centinaia di bambini e ragazzi a uscire dai pericoli della strada e a costruire un domani migliore. Lui è un Missionario Rogazionista, presente in diverse missioni del Brasile da trentasette anni e, da diciassette, nel comune di Presidente Jânio Quadros, nello stato di Bahia.
La sua chiamata oltreoceano, lontano dalla sua Sicilia, arriva nelle aree più povere del Paese, abitate principalmente da anziani e bambini affidati alle cure dei nonni. Si tratta di una regione semi-arida che affronta costantemente la siccità e la cronica mancanza d’acqua: “Si vive in una condizione di estremo disagio, segnata da malnutrizione e difficoltà di accesso alla salute e all’istruzione. I bambini, fin dalla più tenera età, vagano per le strade, dedicandosi all’accattonaggio e alla raccolta di materiali riciclabili tra i rifiuti urbani. Esposti a infezioni, all’abbandono scolastico precoce e spesso coinvolti in attività illecite, sono facili prede della delinquenza”, racconta Padre Lumetta.
Nel 2016, insieme alla Comunità religiosa rogazionista, Padre Vincenzo ha deciso di fondare il Centro di Convivencia ‘Sant’Annibale’: “Qui vengono accolti 300 bambini e bambine in condizioni di vulnerabilità, di età compresa tra i 4 e i 18 anni” spiega il sacerdote e aggiunge: “Ogni giorno può esserci una vita da salvare” e ricorda la storia di Bruno, oggi 6 anni: “In una torrida giornata d’estate Bruno era lungo la strada, malnutrito e senza forze. Cresciuto nel degrado e nella sporcizia, dopo l’allattamento materno si è nutrito quasi esclusivamente di fagioli e farina di manioca: non c’era altro”.
Il suo corpo ha dovuto adattarsi in fretta ad una realtà di abbandono e privazioni. È nato in una favela della grande San Paolo, dove i suoi giovanissimi genitori si erano trasferiti in cerca di fortuna prima di cadere nella spirale della droga. La madre, per sostenere la sua dipendenza, chiedeva l’elemosina agli angoli delle strade e ai semafori, portando con sé il piccolo Bruno.
“L’ho accolto come un figlio al Centro diurno di Convivencia Sant’Annibale di Bahia e qui Bruno ha scoperto per la prima volta il significato di amore, calore umano e amicizia”, confida Padre Lumetta. Storie come la sua sono comuni al Centro. Ognuna è unica, ma tutte raccontano il dolore di giovani vite già profondamente segnate.
Il Centro diurno diventa un luogo di speranza in cui ricominciare a credere a un futuro migliore. “Qui i ragazzi possono riunirsi, fare i compiti per rafforzare la formazione ed essere aiutati ad acquisire il senso del dovere e il rispetto delle regole” afferma Padre Vincenzo. “Dedichiamo spazio alle attività sportive che rappresentano un’opportunità fondamentale per imparare a gestire l’aggressività, a educarsi alla pace e a relazionarsi con gli altri”.
Al ‘Sant’Annibale’ sono accolte anche le giovani mamme e gli anziani nonni: “Organizziamo dei laboratori di formazione professionale di cucito, corsi di ceramica, musica, lettura e cucina. Sono corsi adatti a tutte le età”, spiega padre Lumetta. Il numero di bambini e bambine che bussano ogni giorno alla porta del Centro continua a crescere. Le strutture attuali non bastano: fuori il sole è cocente e i piccoli non hanno spazi adeguati per giocare.
Per questo, Padre Vincenzo vorrebbe realizzare un grande sogno: costruire ‘La Casa della Speranza’, una sala ricreativa dove i bambini possano trascorrere il pomeriggio in serenità, al riparo dai pericoli della strada, dalla violenza e dall’abbandono scolastico. Uno spazio sicuro, un rifugio in cui trasformare storie di sofferenza in racconti di speranza. “Qui i bambini potranno giocare, studiare, ricevere una merenda e, soprattutto, vivere l’infanzia che meritano”, conclude il sacerdote.
Per aiutare Padre Lumetta a realizzare il suo sogno insieme a quello di tanti bambini occorre raccogliere € 15.000. La Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, attraverso il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo, ha avviato una raccolta fondi:
* C/C BANCARIO Presso Banca Intesa San Paolo IBAN:IT76I0306909606100000018852;
* CONTO CORRENTE POSTALE NR. 14798367 IBAN:IT94F0760111800000014798367 CAUSALE: Progetto Brasile. La donazione è fiscalmente deducibile/detraibile. Per saperne di più contattaci a solidarity@sanvincenzoitalia.it o chiama il 3920270767 (anche WhatsApp).
Il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo è la struttura della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV che si occupa non solo di sostegno a distanza – più di 2.500 in 40 Paesi –ma anche di sviluppare progetti con partner locali come costruzione di pozzi, aule scolastiche e ospedali, nonché di intervenire nei luoghi colpiti da calamità naturali o guerre e di promuovere la creazione di gemellaggi tra le Conferenze italiane e altre all’estero. Il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo opera al servizio dei Vincenziani e di chi, nel mondo, ha bisogno, offrendo la propria struttura, le proprie competenze, la capacità di costruire quella rete di carità con la quale il Beato Federico Ozanam desiderava ricoprire il mondo.
(Foto: Società San Vincenzo de’ Paoli)
Nella Repubblica Democratica del Congo situazione in deterioramento

Dopo alcuni giorni di calma relativa i combattimenti sono ripresi a Ihusi, a circa 70 chilometri dal capoluogo di provincia Bukavu secondo le fonti di sicurezza, mentre diversi testimoni locali hanno riferito di ‘forti spari’. Secondo alcune dichiarazioni nel mirino dell’M23 ci sarebbe anche Bukavu, ed un’avanzata verso la capitale Kinshasa, quale obiettivo finale.
La tregua proclamata nei giorni scorsi, secondo una fonte dell’Agenzia Fides, “in realtà è servita all’M23 e all’esercito ruandese di far riposare le proprie truppe e di rifornirle in armi, munizioni e vettovaglie per poi proseguire la loro avanzata verso sud… L’M23 ha ripreso ad avanzare nel sud Kivu attaccando il villaggio di Ihusi. Attualmente ruandesi e guerriglieri dell’M23 si trovano a circa 60 chilometri dal centro di Bukavu. Probabilmente il loro obiettivo è molto più vicino; si tratta dell’aeroporto di Kavumu che si trova a circa una trentina di chilometri dalla città e che è strategico per alimentare in uomini e mezzi le truppe dell’esercito congolese”.
Sempre all’Agenzia Fides il segretario generale della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO), mons. Donatien Nshole, che faceva parte della delegazione della CENCO e della Chiesa di Cristo in Congo (ECC) che mercoledì, 12 febbraio, ha incontrato a Goma, i leader dell’M23, il gruppo di guerriglia filo ruandese che ha preso il controllo della città a fine gennaio, ha sottolineato il motivo di tale incontro: “L’obiettivo era convincere che la lotta armata non è la soluzione, ma che noi arriviamo con una proposta che può contribuire alla costruzione di una pace duratura, da qui il Patto sociale per la pace e la convivenza nella RDC… Gli operatori stranieri che lavoravano per le diverse Ong e agenzie internazionali se ne sono andati. Rimangono al loro posto missionari e missionarie oltre al clero locale”.
Inoltre la direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell, ha denunciato l’aumento delle violenze contro i minori: “Sono profondamente allarmata dall’intensificarsi della violenza nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo e dal suo impatto sui bambini e sulle famiglie. Nelle province del Nord e del Sud Kivu, stiamo ricevendo orribili rapporti di gravi violazioni contro i bambini da parte delle parti in conflitto, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale a livelli che superano qualsiasi cosa abbiamo visto negli ultimi anni”.
Infatti dal 27 gennaio al 2 febbraio i partner dell’Unicef hanno riferito che il numero di casi di stupro trattati in 42 strutture sanitarie è quintuplicato in una settimana: “Il 30% di quelli trattati riguardavano bambini. Le cifre reali sono probabilmente molto più alte, perché molti sopravvissuti sono riluttanti a farsi avanti. I nostri partner stanno esaurendo i farmaci utilizzati per ridurre il rischio di contagio da Hiv dopo una violenza sessuale… Una madre ha raccontato al nostro staff come le sue sei figlie, la più giovane delle quali aveva appena 12 anni, siano state sistematicamente violentate da uomini armati mentre cercavano cibo”.
I bambini e le famiglie in gran parte della Repubblica Democratica del Congo orientale “continuano a subire bombardamenti incessanti e spari. Negli ultimi mesi, migliaia di bambini vulnerabili nei campi di sfollamento sono stati costretti a fuggire più volte per sottrarsi ai combattimenti. Nel caos, centinaia di bambini sono stati separati dalle loro famiglie, esponendoli a maggiori rischi di rapimento, reclutamento e utilizzo da parte di gruppi armati e violenza sessuale. Nelle ultime due settimane, più di 1.100 bambini non accompagnati sono stati identificati nel Nord Kivu e nel Sud Kivu, e il loro numero continua ad aumentare.
Anche prima della recente intensificazione della crisi, il reclutamento di bambini nei gruppi armati era già in aumento nella regione. Ora, con le parti in conflitto che chiedono la mobilitazione di giovani combattenti, i tassi di reclutamento probabilmente accelereranno. I rapporti indicano che bambini di 12 anni vengono reclutati o costretti a unirsi ai gruppi armati”.
Ed infine l’appello ad un ‘cessate il fuoco’: “Le parti in conflitto devono immediatamente cessare e prevenire le gravi violazioni dei diritti contro i bambini. Devono inoltre adottare misure concrete per proteggere i civili e le infrastrutture fondamentali per la loro sopravvivenza, in linea con gli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale.
I partner umanitari devono avere un accesso sicuro e senza ostacoli per raggiungere tutti i bambini e le famiglie in difficoltà, ovunque si trovino. L’Unicef continua a chiedere maggiori sforzi diplomatici per porre fine all’escalation militare e per individuare una soluzione politica duratura alla violenza, in modo che i bambini del Paese possano vivere in pace”.
Anche la Chiesa italiana, nei giorni scorsi aveva chiesto di fermare il conflitto: “Lanciamo il nostro accorato appello affinché si fermi il massacro a Goma e nelle altre aree della Repubblica Democratica del Congo in preda alla violenza: basta! In stretto contatto con le Chiese locali e i missionari presenti sul territorio, riceviamo quotidianamente notizie e immagini di uccisioni, mutilazioni, distruzioni e sfollamento di grandi masse di popolazione, che si svolgono nel silenzio quasi totale dei media. Una strage che miete vittime soprattutto tra i civili, senza risparmiare bambini, anche neonati, donne e persone inermi. Non possiamo tacere di fronte a questo scempio, all’annientamento dell’umanità”.
I vescovi hanno ribadito la vicinanza alla popolazione: “Esprimiamo vicinanza alla popolazione locale e a quanti nel Paese sono impegnati per far fronte a una crisi umanitaria senza precedenti… Come Chiesa in Italia, da anni, siamo presenti nel Paese con operatori e missionari e non smettiamo di stare accanto alla popolazione e alla Chiesa locale, che continua a essere bersaglio di violenze e attacchi”.
Dal 1991, la CEI ha sostenuto interventi nella Repubblica Democratica del Congo per € 136.000.000. Attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli e grazie ai fondi 8xmille, sono stati finanziati 1.236 interventi: si tratta di progetti in risposta a emergenze, come per gli sfollati a Goma, e di sviluppo socio-economico in vari settori. Per affrontare questa ulteriore emergenza, è stato deciso lo stanziamento di un milione di euro dai fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.
Papa Francesco: difendere i bambini

“Saluto i Signori Cardinali e le Personalità qui presenti, in occasione dell’Incontro mondiale sui diritti dei bambini dal titolo ‘Amiamoli e proteggiamoli’. Vi ringrazio di aver accolto l’invito e sono fiducioso che, mettendo in comune le vostre esperienze e competenze, voi potrete aprire nuove vie per soccorrere e proteggere i bambini i cui diritti ogni giorno vengono calpestati e ignorati”: con queste parole apa Francesco ha iniziato il suo discorso al Summit Internazionale sui diritti dei bambini dal titolo ‘Amiamoli e proteggiamoli’, organizzato dal Pontificio Comitato per la Giornata Mondiale dei Bambini, dopo essersi intrattenuto con dieci bambini dei diversi continenti del Mondo.
Dopo il saluto di p. Enzo Fortunato, presidente del Pontificio Comitato per la Giornata mondiale dei bambini e direttore della Comunicazione della Basilica papa Francesco ha sottolineato le ingiustizie subiti dai bambini e dalle bambine: “Ancora oggi, la vita di milioni di bambini è segnata dalla povertà, dalla guerra, dalla privazione della scuola, dall’ingiustizia e dallo sfruttamento. I bambini e gli adolescenti dei Paesi più poveri, o lacerati da tragici conflitti, sono costretti ad affrontare prove terribili”.
E non solo nei Paesi più poveri: “Anche il mondo più ricco non è immune da ingiustizie. Là dove, grazie a Dio, non si soffre per la guerra o la fame, esistono tuttavia le periferie difficili, nelle quali i piccoli sono spesso vittime di fragilità e problemi che non possiamo sottovalutare. Infatti, in misura assai più rilevante che in passato, le scuole e i servizi sanitari devono fare i conti con bambini già provati da tante difficoltà, con giovani ansiosi o depressi, con adolescenti che imboccano le strade dell’aggressività o dell’autolesionismo. Inoltre, secondo la cultura efficientista, l’infanzia stessa, come la vecchiaia, è una ‘periferia’ dell’esistenza”.
Il papa ha definito ‘inaccettabile’ la situazione: “Non è accettabile ciò che purtroppo negli ultimi tempi abbiamo visto quasi ogni giorno, cioè bambini che muoiono sotto le bombe, sacrificati agli idoli del potere, dell’ideologia, degli interessi nazionalistici. In realtà, nulla vale la vita di un bambino. Uccidere i piccoli significa negare il futuro. In alcuni casi i minori stessi sono costretti a combattere sotto l’effetto di droghe. Anche nei Paesi dove non c’è la guerra, la violenza tra bande criminali diventa altrettanto micidiale per i ragazzi e spesso li lascia orfani ed emarginati”.
E non è accettabile il disagio sociale in cui vivono: “Anche l’individualismo esasperato dei Paesi sviluppati è deleterio per i più piccoli. A volte essi vengono maltrattati o addirittura soppressi da chi li dovrebbe proteggere e nutrire; sono vittime di liti, del disagio sociale o mentale e delle dipendenze dei genitori”.
Inoltre ha denunciato le morti causate dalle migrazioni: “Molti bambini muoiono da migranti nel mare, nel deserto o nelle tante rotte dei viaggi di disperata speranza. Molti altri soccombono per mancanza di cure o per diversi tipi di sfruttamento. Sono situazioni differenti, ma di fronte alle quali ci poniamo la stessa domanda: come è possibile che la vita di un bambino debba finire così?”
E’ stato un invito a non cedere all’assuefazione: “No. Non è accettabile e dobbiamo resistere all’assuefazione. L’infanzia negata è un grido silenzioso che denuncia l’iniquità del sistema economico, la criminalità delle guerre, la mancanza di cure mediche e di educazione scolastica. La somma di queste ingiustizie pesa soprattutto sui più piccoli e più deboli”.
E’ questione di misericordia: “Oggi siamo qui per dire che non vogliamo che tutto questo diventi una nuova normalità. Non possiamo accettare di abituarci. Alcune dinamiche mediatiche tendono a rendere l’umanità insensibile, provocando un indurimento generale delle mentalità. Rischiamo di perdere ciò che è più nobile nel cuore umano: la pietà, la misericordia. Più di una volta abbiamo condiviso questa preoccupazione con alcuni tra voi che sono rappresentanti di comunità religiose”.
Ed ha citato alcune situazioni: “Oggi più di quaranta milioni di bambini sono sfollati a causa dei conflitti e circa cento milioni sono senza fissa dimora. C’è il dramma della schiavitù infantile: circa centosessanta milioni di bambini sono vittime del lavoro forzato, della tratta, di abusi e sfruttamenti di ogni tipo, inclusi i matrimoni obbligati. Ci sono milioni di bambini migranti, talvolta con le famiglie ma spesso soli: il fenomeno dei minori non accompagnati è sempre più frequente e grave.
Molti altri minori vivono in un limbo per non essere stati registrati alla nascita. Si stima che circa 150.000.000 di bambini ‘invisibili’ non abbiano esistenza legale. Questo è un ostacolo per accedere all’istruzione o all’assistenza sanitaria, ma soprattutto per loro non c’è protezione della legge e possono essere facilmente maltrattati o venduti come schiavi. E questo succede! Ricordiamo i piccoli Rohinghya, che spesso fanno fatica a farsi registrare, i bambini indocumentados al confine con gli Stati Uniti, prime vittime di quell’esodo della disperazione e della speranza di migliaia che salgono dal Sud verso gli USA, e tanti altri”.
E’ una storia che, purtroppo, si ripete, come la guerra: “Purtroppo, questa storia di oppressione dei bambini si ripete: se interroghiamo gli anziani, i nonni e le nonne, sulla guerra vissuta quando erano piccoli, emerge dalla loro memoria la tragedia: il buio (tutto è scuro durante la guerra, i colori quasi scompaiono), gli odori ripugnanti, il freddo, la fame, la sporcizia, la paura, la vita randagia, la perdita dei genitori, della casa, l’abbandono, ogni tipo di violenza. Io sono cresciuto con i racconti della prima guerra mondiale, fatti da mio nonno, e questo mi ha aperto gli occhi e il cuore sull’orrore della guerra”.
Infine è stato un invito a ribellarsi ad una cultura dello ‘scarto’ e dell’aborto: “Guardare con gli occhi di chi ha vissuto la guerra è il modo migliore per capire l’inestimabile valore della vita. Ma anche ascoltare i bambini che oggi vivono nella violenza, nello sfruttamento o nell’ingiustizia serve a rafforzare il nostro “no” alla guerra, alla cultura dello scarto e del profitto, in cui tutto si compra e si vende senza rispetto né cura per la vita, soprattutto quella piccola e indifesa. In nome di questa logica dello scarto, in cui l’essere umano si fa onnipotente, la vita nascente è sacrificata mediante la pratica omicida dell’aborto. L’aborto sopprime la vita dei bambini e recide la fonte della speranza di tutta la società”.
Mentre ieri sera il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, ha richiamato il Vangelo in cui è Gesù il primo a chiedere ai discepoli di ‘conservare lo sguardo puro dei bambini’ e a intimare di ‘non scandalizzarli’. La Chiesa prosegue questo impegno nella difesa e tutela dei diritti dei minori ‘pur tra le mancanze e fragilità di alcuni suoi componenti’. In quest’opera la Chiesa è sempre disposta ad ‘accogliere e far tesoro’ di ‘suggerimenti’ ed ‘ispirazioni’ che giungono dagli esperti in scienze sociali, psicologiche e pedagogiche, dagli organismi internazionali e dagli operatori sul campo, come pure dalla ‘esperienza’ delle altre confessioni religiose, come quelle del mondo ebraico e di quello musulmano.
(Foto: Santa Sede)
In Terra Santa tregua incerta, ma molti sperano

Dopo l’annuncio di una tregua a Gaza, a distanza di poche ore nella Striscia di Gaza si sono avuti nuovi bombardamenti, che nella notte avrebbero causato 73 vittime (tra cui 20 minori e 25 donne), stando a fonti sanitarie locali, in attesa dell’entrata in vigore del cessate il fuoco domenica a mezzogiorno; inoltre tale accordo è stato messo subito in discussione soprattutto dall’estrema destra israeliana dei partiti ‘Potere ebraico’ e ‘Sionismo religioso’, guidati dai ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che nel Parlamento contano 13 deputati indispensabili per il governo di Benjamin Netanyahu.
Quindi dopo l’annuncio di una tregua sono giunti anche i malumori riguardo al contenuto dell’intesa, che si articola in tre fasi, delle quali solo la prima è definita nei dettagli: nei primi 42 giorni saranno liberati 33 dei 98 rapiti. In cambio, usciranno dalle carceri israeliane circa 1.650 palestinesi. Gradualmente, l’esercito si ritirerà dalla Striscia mantenendo il controllo di zone cuscinetto. Entreranno 600 camion di aiuti umanitari al giorno, di cui 50 cisterne di carburante, anche attraverso il valico egiziano di Rafah. E a partire dal sedicesimo giorno si negozieranno i dettagli della seconda fase, nella quale saranno rilasciati i rimanenti ostaggi, vivi o morti, e della terza, dedicata alla ricostruzione e all’insediamento di una nuova amministrazione.
Comunque su questo annuncio l’ong ‘Save the Children’ aveva accolto con ‘sollievo’ il fatto che il Governo di Israele e Hamas abbiano finalmente raggiunto un accordo su una pausa delle ostilità dopo 15 mesi di assedio e bombardamenti da parte delle forze israeliane in seguito agli attacchi dei gruppi armati palestinesi in Israele il 7 ottobre 2023: “L’urgenza ora è quella di fornire riparo, cibo e forniture mediche a centinaia di migliaia di bambini a Gaza che hanno perso le loro case e i loro cari e lottano quotidianamente per sopravvivere con l’ombra della carestia che incombe su di loro e con l’arrivo e la consegna di aiuti umanitari ancora fortemente limitati”.
Per questo Inger Ashing, direttrice generale dell’ong aveva dichiarato: “Per 15 mesi, circa 1.000.000 di bambini a Gaza hanno vissuto in un incubo ad occhi aperti con costanti perdite, traumi e rischi per la propria vita. L’attuazione di questa pausa porterà loro un sollievo vitale dalle bombe e dai proiettili che li hanno perseguitati per più di un anno. Ma non è sufficiente ed è iniziata una corsa contro il tempo per salvare i minori che affrontano la fame e le malattie, mentre incombe su di loro l’ombra della carestia. La pausa deve diventare un cessate il fuoco definitivo e gli sforzi devono essere intensificati con urgenza per porre fine all’assedio e aumentare notevolmente l’ingresso degli aiuti”.
Inoltre ha chiesto che si compia ‘giustizia’ per i bambini: “La comunità internazionale deve garantire giustizia per i danni che i bambini hanno subito e per le vite che sono state tolte, come richiesto dagli obblighi previsti dal diritto internazionale. Senza giustizia, l’impunità continuerà ad alimentare violazioni con impatti devastanti per i bambini, le famiglie e la nostra comune umanità. La comunità internazionale deve unirsi per garantire che le atrocità che i bambini palestinesi hanno subito negli ultimi 15 mesi non si ripetano mai più, né per i bambini palestinesi né per qualsiasi altro bambino in qualunque parte del mondo. Ciò significa anche affrontare le cause profonde dei ripetuti episodi di violenza e della crisi decennale dei diritti dell’infanzia, ponendo fine all’occupazione, revocando il blocco su Gaza e creando le condizioni per una pace duratura e definitiva”.
Mentre nel panorama italiano il presidente nazionale delle ACLI, Emiliano Manfredonia, ha parlato di speranza per questa possibile pace: “Il possibile cessate il fuoco nella Striscia di Gaza è la notizia che tutti attendevamo e per cui abbiamo pregato incessantemente in questi mesi. La notizia di un accordo fra Israele ed Hamas ci induce a sperare, sia per gli ostaggi rapiti il 7 ottobre, che possano finalmente fare ritorno alle loro case, sia per la popolazione di Gaza, che possa essere libera dall’incubo dei quotidiani bombardamenti che ne hanno orribilmente devastato l’esistenza”.
E nel giorno stesso dell’accordo gli Ordinari Cattolici di Terra Santa avevano accolto con favore il ‘cessate il fuoco’, anche se hanno nutrito qualche dubbio: “Tuttavia, siamo consapevoli che la fine della guerra non significa la fine del conflitto. E’ quindi necessario affrontare alle radici, in modo serio e credibile, le questioni profonde che stanno all’origine di questo conflitto da troppo tempo. Una pace autentica e duratura può essere raggiunta solo attraverso una soluzione giusta che affronti le cause originali di questa prolungato scontro. Ciò richiede un lungo processo, la volontà di riconoscere reciprocamente la sofferenza l’uno dell’altro ed un’educazione mirata alla fiducia che porti al superamento della paura dell’altro e della giustificazione della violenza come strumento politico”.
Inoltre invitano a pregare affinché tale accordo sia ‘sollievo per tutti’: “Nonostante il dolore che abbiamo sofferto, continuiamo a guardare al futuro con incrollabile speranza. Possa questo cessate il fuoco ispirare nuovi sforzi per il dialogo, la comprensione reciproca e una pace duratura per tutti. All’inizio dell’Anno Giubilare dedicato alla speranza che non delude, leggiamo in questo evento un segno che ci ricorda la fedeltà di Dio”.
La dichiarazione si conclude con la richiesta di una visione politica ‘giusta’ per il Medio Oriente: “Infine, chiediamo ai leader politici e alla comunità internazionale di sviluppare per il dopoguerra una visione politica chiara e giusta. Un futuro costruito sulla dignità, la sicurezza e la libertà per tutti i popoli è un prerequisito per una pace vera e duratura. Esortiamo tutte le parti ad implementare i passi immediati già concordati e a negoziare in buona fede le fasi future dell’accordo. Possa il Signore benedire questa terra con la pace e guidarci tutti sulla via della riconciliazione e della guarigione”.
Il genocidio rwandese nel racconto di Gianrenato Riccioni

“Il genocidio in Rwanda era iniziato il 6 aprile, il giorno stesso in cui era stato abbattuto l’aereo dell’allora presidente Habyarimana… Era stato tutto premeditato, addirittura dalla Cina erano stati importati centinaia di migliaia di machete, arma rudimentale e feroce, ma anche economica… A dare inizio alla carneficina fu la radio nazionale, che incitò a seviziare e uccidere ‘gli scarafaggi Tutsi’. In questo contesto, immagina un manipolo di volontari, armati solo di tanta fede e di speranza, che accettavano di entrare in Rwanda per riportare una goccia di umanità in quell’oceano di male. Avevo 38 anni, e tanta paura, ma dissi di sì e reclutai chi mi potesse seguire”:
così inizia il colloquio con il dott. Gianrenato Riccioni, medico anestesista e rianimatore all’ospedale di Macerata, ora in pensione, che con la moglie Letizia, insegnante (genitori di tre bambini), decise al termine degli anni ’80 di partire come responsabile dei progetti di Avsi, organizzazione non governativa cattolica presente in 38 Paesi, per l’Uganda.
Ed il ricordo resta ancora indelebile: “Non era una normale guerra, in Rwanda, era l’inferno. Quelli che fino a poco prima erano stati amici, parenti, addirittura sposi, ora venivano massacrati senza distinzione, con machete, bastoni chiodati, martelli. Perfino le chiese dove i Tutsi si erano rifugiati per sfuggire agli Hutu avevano le pareti rosse di sangue, sembravano dipinte. In quel delirio ero stato chiamato a organizzare in qualche modo una presenza di pace e di ricostruzione… L’estate del 1994, trent’anni fa, segnò indelebilmente la mia vita”.
Allora incominciamo dall’inizio: per quale motivo in quel tempo avete scelto di partire per l’Uganda?
“Il 29 settembre 1984, in un’udienza per i 30 anni del movimento di Comunione e Liberazione, papa san Giovanni Paolo II disse: ‘Andate in tutto il mondo è ciò che Cristo ha detto ai suoi discepoli. Ed io ripeto a voi: Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza, la pace, che si incontrano in Cristo Redentore’. Poi, nel 1985 incontrai il dott. Enrico Guffanti che aveva vissuto 4 anni in Uganda. Io e Maria Letizia, che era diventata mia moglie pochi mesi prima, fummo molto colpiti dalla sua testimonianza. Si percepiva, un’umanità, un’intensità di vita ed una gioia assolutamente desiderabili: diventammo amici”.
E quale è stato il contatto con l’Avsi?
“L’amicizia crebbe e agli inizi del 1986 offrimmo la nostra disponibilità, di medico e di insegnante, per la missione. Enrico ci presentò il dott. Arturo Alberti che, nel 1972, aveva fondato l’Avsi, una ONG nata per sostenere chi partiva per la missione”.
Quando siete partiti eravate consapevoli di ciò che stava per succedere?
“Certamente consapevoli di una realtà totalmente altro da ciò a cui eravamo abituati. Ma l’idea della guerra con le sue atrocità, anche se sapevamo dell’instabilità socio politica di quelle zone, non era nei nostri pensieri. Partimmo quindi per l’Uganda: era il 1987. Fummo mandati nel nord del Paese, a Kitgum. Incontrammo i missionari comboniani, uomini con cui nacque una compagnia stringente, che privilegio averli conosciuti.
Dopo un primo periodo scoppiò la guerra, che forse in quella terra così martoriata non era mai terminata. Centinaia di cadaveri accatastati ovunque. Ci battemmo per ottenere il diritto a curare tutti i feriti senza distinzione, amici o nemici. Alla fine delle ostilità ci chiesero di andare ad Hoima, nel sud ovest dell’Uganda. Eravamo fra i primi bianchi ad entrare nel triangolo di Luweero, territorio famoso per le atrocità avvenute fino a tutto il 1986”.
E come avete vissuto il genocidio che stava avvenendo in Rwanda?
“Nel 1994, quando scoppiò il genocidio, l’ambasciatore ci chiese di valutare, come cooperazione italiana, una disponibilità a promuovere un progetto di emergenza in Rwanda. Tornando a casa ne parlai subito con Maria Letizia. Dissi: ‘Ma io non ci penso nemmeno. Troppo pericoloso, per me e per i miei volontari!’ Ma padre Tiboni, un nostro carissimo amico missionario comboniano, mi invitò invece a considerare la possibilità di iniziare una presenza in Rwanda.
Disse che negli anni era nata un’amicizia con moltissimi ugandesi di origine hutu e tutsi. Cresciuti in Uganda desideravano tornare a casa e lui aveva a cuore queste persone. Mi chiese proprio di accettare, chiese il ‘miracolo’. Accettai, poi la realtà si sarebbe rivelata molto più drammatica di quanto avessi temuto. In quei 100 giorni più di 800.000 persone vennero uccise all’arma bianca”.
In tale situazione avete incontrato il console in Rwanda, Pierantonio Costa: “Mi portò a vedere ciò che stava accadendo, affinché io potessi costruire un progetto fattibile di presenza. Il console Costa mi condusse fuori Kigali nelle baracche di fango sulle colline, dove si erano rifugiati i Tutsi, e là dentro vidi i sopravvissuti amputati col machete, gli occhi impazziti di orrore. Soprattutto però mi impressionò l’orfanotrofio dei padri Rogazionisti a Nyanza: lì erano stati raccolti 800 bambini tutti dai 2 anni in su, perché sotto i 2 anni erano morti, uccisi o dagli Hutu o dalla diarrea. Erano hutu e tutsi insieme, chi morente, chi senza più gli arti, terrorizzati per ciò che avevano visto.
Molti erano scappati ai loro stessi parenti (zii, cugini, persino padri e fratelli) componenti di quel 40% di famiglie miste hutu e tutsi che avevano preso a massacrarsi. Costa era andato a Nyanza per portare in salvo i padri Rogazionisti, tra i quali padre Tiziano Pegorari cui gli Hutu avevano promesso la decapitazione, ma questi non se ne volevano andare. Per salvare gli 800 bambini dalla strage il console Costa circondò l’orfanotrofio con bandiere italiane e la scritta ‘Consolato d’Italia’. Funzionò e salvò le vite di questi bambini”.
Quindi cosa significò salvare la vita dei bambini?
“Significò accogliere i bisogni del bambino traumatizzato che poi sono i bisogni del bambino in qualsiasi momento della vita: essere ascoltato, essere accolto in quello che si è vissuto e si vive e aver qualcuno da guardare e da seguire. I bambini portavano i segni di quei mesi terribili: amputazioni, ferite agli arti e/o in testa, alcuni erano rimasti settimane appollaiati sugli alberi, molti non parlavano più.
Ad Avsi venne affidato l’orfanatrofio di Nyanza dove c’erano circa 800 bambini hutu e tutsi. Visitando la struttura con padre Tiziano, che ci affidò la realtà, chiesi: ‘Si, ma dove sono i bambini?’ e lui: ‘Ma sono qua!’ Entrai nelle camerate ed erano tutti lì, 800 bambini in un silenzio irreale. Il gruppo di volontari AVSI era formato da personale italiano, belga e ugandese di origine hutu e tutsi. Iniziarono i primi progetti di sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e, contemporaneamente, anche un’attività di ricerca per rintracciare le famiglie originarie. Più di 500 bambini ritrovarono le loro famiglie”.
A distanza di 30 anni quale ricordo conservate di quella missione?
“Il volto e i nomi di questi amici hutu e tutsi che furono e sono la più grande testimonianza di speranza per quei bambini. La nostra esperienza si riassume bene con una espressione che stava a cuore a p. Tiboni ed a tutti noi: ‘E’ nata una nuova tribù … la tribù di Gesù Cristo e questa è la speranza per noi e per questo popolo’. Qualcuno di noi ebbe a dire: ‘Il clima di amicizia e di unità che la gente vede tra noi meraviglia tutti, e a volte meraviglia anche noi stessi’. La presenza di personale ugandese di origine hutu e tutsi, italiano, belga è stato segno tangibile e prezioso di una novità dentro la tragedia: questo amore, fuori da ogni logica umana e previsione, capace di generare speranza”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco invita a lasciarsi sorprendere da Dio

“Il Papa San Paolo VI volle che il primo giorno dell’anno diventasse la Giornata Mondiale della Pace. Quest’anno essa si caratterizza, a motivo del Giubileo, per un tema peculiare: quello della remissione dei debiti. Il primo a rimettere i debiti è Dio, come sempre gli chiediamo pregando il ‘Padre nostro’, riferendoci ai nostri peccati e impegnandoci a perdonare a nostra volta chi ci ha offeso. E il Giubileo chiede di tradurre questa remissione sul piano sociale, perché nessuna persona, nessuna famiglia, nessun popolo sia schiacciato dai debiti. Incoraggio pertanto i Governanti dei Paesi di tradizione cristiana a dare buon esempio, cancellando o riducendo quanto più possibile i debiti dei Paesi più poveri”.
Al termine della recita dell’Angelus del primo giorno dell’anno papa Francesco ha sottolineato il problema del debito, ringraziando coloro che si impegnano per la pace nei luoghi di guerra: “Ringrazio per tutte le iniziative di preghiera e impegno per la pace promosse in ogni parte del mondo dalle comunità diocesane e parrocchiali, da associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali, come la Marcia nazionale per la pace che si è svolta ieri a Pesaro. E saluto i partecipanti alla manifestazione ‘Pace in tutte le terre’ organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in diversi Paesi. Saluto la Comunità di Sant’Egidio, che è lì.
Esprimo il mio grato apprezzamento a tutti coloro che nelle tante aree di conflitto lavorano per il dialogo e per i negoziati. Preghiamo perché su ogni fronte cessino i combattimenti e si punti decisamente alla pace e alla riconciliazione. Penso alla martoriata Ucraina, a Gaza, a Israele, al Myanmar, al Kivu e a tanti popoli in guerra. Ho visto nel programma ‘A Sua Immagine’ filmati e fotografie della distruzione che fa la guerra. Fratelli, sorelle, la guerra distrugge, distrugge sempre! La guerra è sempre una sconfitta, sempre”.
Mentre prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha raccontato la ‘sorpresa’ natalizia: “La sorpresa e la gioia del Natale continuano nel Vangelo della liturgia di oggi, che narra l’arrivo dei pastori alla grotta di Betlemme. Dopo l’annuncio degli angeli, infatti, essi ‘andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino, adagiato nella mangiatoia’.
Questo incontro riempie tutti di stupore, perché i pastori ‘riferirono ciò che del bambino era stato detto loro’: il nuovo nato è il ‘salvatore’, il ‘Cristo’, il ‘Signore’! Riflettiamo su quello che i pastori hanno visto a Betlemme, il bambino, e anche su quello che non hanno visto, cioè il cuore di Maria, che serbava e meditava tutti questi fatti”.
Ed ha indicato il cuore di Maria come un esempio di speranza: “Al neonato Messia, che manifesta la misericordia del Padre, corrisponde il cuore di Maria, la Vergine Madre. Questo cuore è l’orecchio che ha ascoltato l’annuncio dell’Arcangelo; questo cuore è la mano di sposa data a Giuseppe; questo cuore è l’abbraccio che ha avvolto Elisabetta nella sua vecchiaia. Nel cuore di Maria, nostra Madre, batte la speranza; batte la speranza della redenzione e della salvezza per ogni creatura”.
Al termine un pensiero per le mamme: “Le mamme! Le mamme hanno sempre a cuore i loro figli. Oggi, in questo primo giorno dell’anno, dedicato alla pace, pensiamo a tutte le mamme che gioiscono in cuor loro, e a tutte le mamme che hanno il cuore pieno di dolore, perché i loro figli sono stati portati via dalla violenza, dalla superbia, dall’odio. Quanto è bella la pace! E quanto è disumana la guerra, che spezza il cuore delle mamme!”
Nella celebrazione eucaristica il papa ha ricordato il mistero di Dio fatto uomo, in quanto ‘nato da donna’: “Nato da donna. Questa espressione anzitutto ci riconduce al Natale: Il Verbo si è fatto carne. L’Apostolo Paolo specifica che è nato da donna, sente quasi la necessità di ricordarci che Dio si è fatto veramente uomo attraverso un grembo umano”.
E’ stato un invito a non immaginarsi Dio: “C’è una tentazione, che affascina oggi tante persone ma che può sedurre anche tanti cristiani: immaginare o fabbricarci un Dio ‘astratto’, collegato a una vaga idea religiosa, a qualche buona emozione passeggera. Invece, è concreto, è umano: è nato da donna, ha un volto e un nome, e ci chiama ad avere una relazione con Lui.
Cristo Gesù, il nostro Salvatore, è nato da donna; ha carne e sangue; viene dal seno del Padre, ma si incarna nel grembo della Vergine Maria; viene dall’alto dei cieli ma abita le profondità della terra; è il Figlio di Dio, ma si è fatto Figlio dell’uomo. Egli, immagine del Dio Onnipotente, è venuto nella debolezza; e pur essendo senza macchia, ‘Dio lo fece peccato in nostro favore’. E’ nato da donna ed è uno di noi. Proprio per questo Egli può salvarci”.
Tale nascita narra l’umanità di Cristo: “Quest’espressione ci parla anche dell’umanità del Cristo, per dirci che Egli si svela nella fragilità della carne. Se è disceso nel grembo di una donna, nascendo come tutte le creature, ecco che Egli si mostra nella fragilità di un Bambino.
Per questo i pastori andando a vedere con i loro occhi quanto l’Angelo ha loro annunciato, non trovano segni straordinari o manifestazioni grandiose, ma ‘trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia’. Trovano un neonato inerme, fragile, bisognoso delle cure della mamma, bisognoso di fasce e di latte, di carezze e di amore”.
Citando san Luigi Maria Grignion de Montfort il papa ha sottolineato che Dio scelse di farsi ‘bambino’: “E così in tutta la vita di Gesù possiamo vedere questa scelta di Dio, la scelta della piccolezza e del nascondimento; Egli non cederà mai al fascino del potere divino per compiere grandi segni e imporsi sugli altri come gli aveva suggerito il diavolo, ma svelerà l’amore di Dio nella bellezza della sua umanità, abitando tra noi, condividendo la vita ordinaria fatta di fatiche e di sogni, mostrando compassione per le sofferenze del corpo e dello spirito, aprendo gli occhi dei ciechi e rinfrancando gli smarriti di cuore.
Compassione. I tre atteggiamenti di Dio sono misericordia, vicinanza e compassione. Dio si fa vicino e misericordioso e compassionevole. Non dimentichiamo questo. Gesù ci mostra Dio attraverso la sua umanità fragile, che si prende cura dei fragili”.
E’ stato un invito ad affidare questo nuovo anno alla Madonna: “Questo nuovo anno che si apre, affidiamolo a Maria, Madre di Dio, perché anche noi impariamo come Lei a trovare la grandezza di Dio nella piccolezza della vita; perché impariamo a prenderci cura di ogni creatura nata da donna, anzitutto custodendo il dono prezioso della vita, come fa Maria: la vita nel grembo materno, quella dei bambini, quella di chi soffre, la vita dei poveri, la vita degli anziani, di chi è solo, di chi è morente”.
E’ stato un invito a lasciarsi sorprendere da questa ‘novità’ divina: “Maria, Madre di Dio e Madre nostra, ci attende proprio lì nel presepe. Anche a noi mostra, come ai pastori, il Dio che ci sorprende sempre, che non viene nello splendore dei cieli, ma nella piccolezza di una mangiatoia. Affidiamo a lei questo nuovo anno giubilare, consegniamo a Lei le domande, le preoccupazioni, le sofferenze, le gioie e tutto ciò che portiamo nel cuore. Lei è mamma, lei è madre! Affidiamo a Lei il mondo intero, perché rinasca la speranza, perché finalmente germogli la pace per tutti i popoli della Terra”.
(Foto: Santa Sede)
Per le feste natalizie giovani ucraini ospiti della Caritas e del comitato del presepe vivente di Tricase

Santa Maria di Leuca attraverso la Caritas diocesana ed in collaborazione con il Comitato Presepe Vivente di Tricase sono impegnati, dal 22 dicembre 2024 al 7 gennaio 2025, ad accogliere 6 bambini e 2 accompagnatrici provenienti dalla città di Nikopol in Ucraina, a 4 chilometri dalla centrale nucleare Zaporizhzhia, zona sotto attacco giornalmente, per fargli trascorrere nella serenità le festività natalizie nel Capo di Leuca.
In sintonia con l’appello di papa Francesco, che nella messa finale della sua visita in Corsica, ha ricordato il triste vissuto dei bambini ucraini che, a causa del conflitto, hanno perso il sorriso sui loro volti e, come egli stesso ha affermato: “Tante volte vengono nelle udienze dei bambini ucraini. questi bambini non sorridono, hanno dimenticato il sorriso. Per favore, pensiamo a questi bambini, nelle terre di guerra, di dolore”.
Queste parole di Papa Francesco hanno profondamente colpito e, grazie al sostegno del Presepe Vivente di Tricase, è stata organizzata una vacanza per un piccolo gruppo di bambini della città di Nikopol, con l’auspicio di allietare la loro permanenza e di far loro ritornare il sorriso perduto.
L’iniziativa ha preso avvio domenica 22 dicembre a Tricase con la presentazione alla comunità dei ragazzi durante la S. Messa e l’accoglienza della Luce di Betlemme, presso la Chiesa nuova di S. Antonio da Padova. Al termine della celebrazione il presidente del Comitato del Presepe, Ing Andrea Morciano, ha consegnato al gruppo ucraino la chiave segno di ospitalità. Ogni giorno, i ragazzi, saranno coinvolti in varie attività sia nelle famiglie e sia negli oratori, quali tombolate, attività di oratorio, una giornata sulla neve, una giornata a Lecce, inoltre saranno coinvolti in alcuni presepi in modo particolare in quello di Tricase.
Si può leggere il programma visitando il sito: https://www.caritasugentoleuca.it/2024/12/18/insieme-e-piu-bello-christmas-edition. Il 7 gennaio rientreranno in Ucraina a Nikopol. Un grazie in modo particolare al Comitato del Presepe Vivente di Tricase che, insieme al CIHEAM, hanno accolto con gioia l’impegno di condividere l’accoglienza di questi bambini. Un grazie a tutte le comunità e alle famiglie che attraverso varie attività trascorreranno del tempo con i piccoli ospiti ucraini.
Con lo slogan ‘Doniamo un sorriso ai ragazzi di Nikopol’, la Caritas diocesana è convinta che saranno giorni in cui i ragazzi ucraini respireranno aria di pace e coglieranno messaggi di speranza su questa terra calpestata e amata dal messaggero di lieti messaggi, il venerabile don Tonino Bello.