Mons. Fontana: il Vangelo chiede di impegnarsi nelle nostre città

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“La visita pastorale si svolge nel tempo che tutta la Chiesa si interroga per il grande sinodo che Papa Francesco ha chiesto di avviare in tutte le diocesi del mondo, perché tutti possano riflettere sulla Chiesa, sui bisogni dei poveri e su cosa comporta essere cristiani”.

La lettera pastorale, ‘Il fascino della vita cristiana’, è un invito del vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana, a non ridurre la fede ad un’ideologia, in quanto porta a banalizzare la vita cristiana:

“L’ascolto di Dio che ci parla è il fondamento della relazione con Lui. La Scrittura esplicita quanto sia caro a Dio il tema della relazione, che è la sua stessa identità trinitaria, ma anche l’immagine di sé partecipata alla natura umana: ‘e Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza’ . Ogni peccato è venire meno a questo nesso identitario con il Creatore e al rapporto con lui”.

La lettera è un invito ad ascoltare la Parola di Dio: “L’ascolto filiale e quotidiano di Dio è il fondamento della santità cristiana e garanzia di una vita secondo il Vangelo, specialmente se si riesce a non rifugiarsi nell’individualismo religioso, che ci esclude dal cammino della Chiesa, che è sempre guidata dalla presenza di Gesù risorto e dalle specifiche ministerialità che Dio attiva nei sacramenti.

La Parola è la compagna di viaggio della vita intera e si rapporta con la coscienza come le stelle al navigante. Illuminano il cammino nella notte, se egli impara a scrutarle senza paura e a conoscerle sempre di più, ricorrendo a chi già si è addentrato nelle profondità del cielo”.

Occorre non banalizzare la vita cristiana, rivolgendosi anche verso i sacerdoti: “Occorre porre una specifica attenzione a non banalizzare la vita cristiana con il devozionismo che vanifica l’opera di Dio, mettendo al primo posto i nostri bisogni emotivi.

In tutti i sacramenti il ruolo della Parola di Dio è fondamentale. I gesti illustrano, spiegano, confermano quanto è stato annunziato dalla Parola. Vorrei raccomandare, soprattutto a vantaggio di chi lodevolmente partecipa alla Messa quotidiana, che si faccia una breve omelia sulla Parola che è stata proclamata e non si appesantisca la Divina Liturgia con interventi estranei alle disposizioni della Chiesa”.

Ed ecco l’invito a rinnovare la Chiesa per stare nell’attualità: “Egli (Dio, ndr.) ha voluto che la Chiesa, corpo del suo Cristo, si mettesse nelle pieghe della storia come il lievito dentro la massa, come la ‘città collocata sopra un monte’, per essere punto di riferimento dei viandanti del tempo.

La Provvidenza di Dio non ci abbandona, ci circonda del suo amore, suscitando in ogni generazione sempre nuove forme di carità. Egli dà un senso alla nostra vicenda di persone, la illumina e ci chiede, con amore, di riverberare luce in ogni circostanza della vita”.

Rinnovare la Chiesa significa sperimentare la carità: “Sembrerebbe opportuno valorizzare la dimensione sacramentale della Chiesa: la carità è tra i principali elementi che ne mostrano la soprannaturalità. Occorre contemplare il mistero della presenza di Dio in questo mondo, più che dettare sempre più complesse prassi comportamentali: è Dio che salva;

è lui che ci dà la forza della giustizia, senza nulla togliere alla nostra responsabilità, senza dimenticare che per i cristiani la morale segue la fede, non viceversa. Dio, certo, è totaliter aliter rispetto al mondo e lo si può conoscere per analogia, attraverso i segni, di cui quello della carità è il principale, perché attraverso di esso egli scelse di manifestarsi”.

La vita ecclesiale non può disgiungersi dalla vita sociale: “La nostra appartenenza alla Chiesa è un dono che viene da Dio, al quale occorre corrispondere; non una libera iniziativa della sola persona che si aggrega con altri. Perché si realizzi la comunione, dobbiamo rispettare l’identità della Chiesa di Cristo.

La stessa ministerialità è un dono che si configura in modo intrinsecamente diverso dal volontariato. Si ripete che una presenza fattiva è percepita come difficile, complessa, contrastante con le istanze del lavoro, delle regole sociali e della vita di oggi; ma soprattutto con le scelte familiari, le esigenze dettate dalle prassi sociali dei comportamenti di massa”.

Occorre rivedere le priorità: “L’Eucaristia è il sacramento dell’unità, non solo perché dai molti che siamo ci trasforma nell’unica Chiesa, ma soprattutto perché ci pone al cospetto di Dio che è veramente ‘l’uno necessario’.

Camminare alla sua presenza, che con la tradizione cattolica chiamiamo ‘presenza reale’, è rivivere l’esperienza dei Patriarchi, entrare nella compagnia dei personaggi del Vangelo. L’Eucaristia ci pone di fronte l’essenziale per l’uomo”.

Le opere senza la fede sono morte: “La scelta per la carità è un modo d’essere della comunità cristiana sul territorio. Da questa visione della fede provengono le conseguenze che manifestano la scelta stessa di privilegiare la carità, non viceversa.

La parrocchia che diventa comunità, come 56 anni fa ci chiese di fare il Concilio Vaticano II, non è un’operazione semantica, una sorta di nominalismo per aggiornare i termini. E’ invece un cammino di conversione: consapevoli del dono ricevuto da Dio che ci ha chiamato a far parte del suo popolo”.

Il disimpegno verso i poveri è un peccato: “Anche la nostra Chiesa deve guardarsi dal rischio di preferire la via della comodità e del disimpegno, di lasciare che le cose vadano nel verso in cui la logica del mondo le ha portate.

Chi non si lascia coinvolgere si comporta come chi non ha incontrato Cristo, anche se, a parole, afferma la sua presenza reale. Non seguire il suo esempio, non imitare Lui, è come trascurare il nostro amabilissimo Redentore, ben sapendo che chi lo avrà rifiutato nel cammino della vita lo troverà Giudice severo il giorno del Giudizio”.

(Foto: diocesi di Arezzo)

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