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Papa Francesco: la fraternità attraverso un sorriso

In mattinata papa Francesco ha ricevuto un gruppo di volontari e persone senza fissa dimora, provenienti da Vienna, a cui ha chiesto di salutare il card. Schönborn, arcivescovo di Vienna, sottolineando il tema della fraternità, anche se con storie diverse:

“Provenite da Paesi molto diversi, appartenete a confessioni religiose differenti, e ciascuno di voi ha fatto le proprie esperienze di vita, a volte anche gravi vicissitudini. Ma una cosa ci unisce tutti: siamo fratelli e sorelle, siamo figli di un unico Padre. Questo ci unisce tutti. E mi fa molto piacere che questa realtà si faccia concreta nella vostra comunità quando vi aiutate l’un l’altro e, nelle vostre riunioni, condividete quello che ognuno può offrire. Infatti, non è vero che alcuni danno e altri solo ricevono: tutti siamo donatori e riceventi, tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri e siamo chiamati ad arricchirci a vicenda”.

Evidenziando che la fraternità si manifesta anche attraverso ‘un semplice sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito’ il papa ha concluso il breve incontro con l’invito ad essere un ‘dono’ per gli altri:

“Allora, in quel momento, facciamo quello che il Signore ci ha detto di fare, cioè amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato. Ringraziamo Dio per il dono del suo amore, che ci arriva anche attraverso le persone buone che ci circondano. Il Signore ci ama al di là di ogni limite e difficoltà. Ognuno di noi è unico ai suoi occhi e Lui non si dimentica mai di noi. Cerchiamo sempre, come fratelli e sorelle, di fare della nostra vita un dono per gli altri”.

Inoltre domani, sabato 9 novembre, Papa Francesco e Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, celebreranno insieme il trentesimo anniversario della Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira e il quarantesimo della prima visita a Roma di un Patriarca assiro. Ne ha dato comunicazione il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Il Catholicos sarà accompagnato dai membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell’Oriente che, istituita trent’anni fa, ha recentemente avviato una nuova fase di dialogo sulla liturgia nella vita della Chiesa. La Dichiarazione venne firmata nella basilica di San Pietro l’11 novembre 1994 da papa Giovanni Paolo II e dal patriarca assiro Mar Dinkha IV.

(Foto: Santa Sede)

Card. Zuppi invita ad essere amici della vita

Domenica 3 novembre nella basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, in occasione della Celebrazione Eucaristica per i 70 anni della televisione, i 100 anni della radio ed i 70 anni della trasmissione della Santa Messa, partendo dal brano del Vangelo, che era un invito all’ascolto: “È una domanda molto vera, forse all’inizio fatta senza tanta convinzione, solo per discutere. Gesù E’ maestro. E’ il maestro e ci fa trovare il vero, quello che cerchiamo e di cui abbiamo bisogno non per collezionare tante risposte che alla fine non ci fanno credere più a niente”.

Ed ha sottolineato l’importanza di ascoltare Dio: “Ascoltare Dio libera da tanti idoli che si impadroniscono del cuore, a cominciare da quello così enfatizzato dalla nostra generazione che qualcuno chiama “egolatria” e che tanti sacrifici impone, rovinando proprio il nostro io. Gesù parla di amore, non un amore qualsiasi, un surrogato o un elisir di benessere, ma amore, con tutto il cuore, la mente e la forza. Mente e cuore insieme e con tutta la forza, perché l’amore vero, quello che cerchiamo non è consolatorio, un entusiasmo che finisce, ma è forte, vince le paure, cambia il mondo, si misura con il male e lo sconfigge. Gesù per primo ama con tutto sé stesso”.

L’amore coinvolge la mente ed il corpo: “Mente e cuore insieme e con tutta la forza, perché l’amore vero, quello che cerchiamo non è consolatorio, un entusiasmo che finisce, ma è forte, vince le paure, cambia il mondo, si misura con il male e lo sconfigge. Gesù per primo ama con tutto sé stesso. Ama tutti, perché sente tutti suoi e amandoli trova la bellezza nascosta in ognuno e si accorge quanto tutti hanno bisogno di amore, anche quando essi stessi non lo capiscono e si nascondono. Solo amare il prossimo fa amare sé stessi, fa capire chi siamo e il nostro valore più di qualunque interpretazione e prestazione, che non bastano mai. Amore per Dio e per il prossimo. Insieme”.

Ed ha invitato a rileggere la storia della Rai: “Questa pagina del Vangelo è il miglior piano editoriale, il palinsesto più efficace per pianificare il lavoro e renderlo sempre sorprendete e nuovo, ma anche per rileggere le azioni compiute. Oggi, in questa Basilica (che è un vero spettacolo e che con la bellezza del mosaico ci aiuta a vedere le cose del cielo, a contemplare il mistero luminoso dell’amore di Dio che si riflette su di noi e accende la luce che portiamo dentro di noi) ricordiamo e ringraziamo per i 70 anni della Televisione e per i 100 anni della Radio”.

E’ stato un ringraziamento alla Rai per il servizio che svolge: “Ringraziamo la RAI per il suo prezioso servizio. Quanto è importante presentare il mondo, la vita vera, non banalizzarla, farla conoscere, aiutare a capire e sconfiggere l’ignoranza con una conoscenza vera, profonda dell’umano e dell’umanità, del creato e delle creature e quindi, sempre, anche del creatore. Farlo richiede e esprime professionalità, creatività, rigore, servizio per fare conoscere e capire. 

L’ethos nazionale non sarebbe lo stesso, il nostro paese non sarebbe lo stesso e noi tutti non saremmo gli stessi, senza questi 70 anni di televisione. Un’intera generazione non sarebbe uscita dall’analfabetismo senza la televisione e l’Italia sarebbe stata meno unita senza questo immaginario comune che crea anche quel tanto che ci unisce. Guai a dividerlo o indebolirlo, a fare qualcosa di parte quello che è di tutti!”

Ed ha richiamato le parole di papa Francesco: “Papa Francesco, proprio alla RAI, ha detto che la vostra presenza nelle case degli italiani è come ‘un gruppo di amici che bussano alla porta per fare una sorpresa, per offrire compagnia, per condividere gioie e dolori, per promuovere in famiglia e nella società unità e riconciliazione, ascolto e dialogo, per informare e anche per mettersi in ascolto, con rispetto e umiltà’.

Continuate a esserlo, siate davvero amici della vita con sapienza e tanta umanità vera e non finta, per regalare prossimità e vicinanza, unione e appartenenza, specialmente a chi vive situazioni di isolamento o di vera e propria solitudine. Ecco il nostro augurio e sono certo sarà il vostro impegno per onorare un compito così importante e delicato. Desidero ricordare anche tutti quei colleghi che hanno offerto la loro vita per la comunicazione e l’informazione: alcuni sono diventati volti familiari, tra i più amati e conosciuti, tutti importanti”.

Ha concluso l’omelia con l’invito a raccontare la vita: “Chiediamo al Signore che lo straordinario e affascinante, a volte tragico spettacolo della vita, la scena di questo mondo, lo sappiamo raccontare e comunicare cercando sempre di amarlo, perché chi ama Dio ama il prossimo e non smette di scoprire l’incanto e la benedizione che è la vita, che a tutti chiede sempre e solo amore”.

Il papa ai penitenzieri: far riscoprire Gesù

Oggi nella Sala del Concistoro papa Francesco ha incontrato i componenti del Collegio dei Penitenzieri Vaticani in occasione del 250° anniversario dell’affidamento ai Frati Minori Conventuali del ministero delle Confessioni nella Basilica di San Pietro, istituito da papa Clemente XIV nel 1774, ricordandone sia la storia che la fede del luogo:

“Ogni giorno la Basilica di San Pietro è visitata da più di quarantamila persone, ogni giorno! Molte arrivano da lontano e affrontano viaggi, spese e lunghe code per potervi giungere; altri vengono per turismo, la maggioranza. Ma tra loro tantissimi vengono a pregare sulla tomba del Primo degli Apostoli, per confermare la loro fede e la loro comunione con la Chiesa e affidare al Signore intenzioni care, o per sciogliere voti che hanno fatto.

Altri, anche di fedi diverse, vi entrano ‘da turisti’, attratti dalla bellezza, dalla storia, dal fascino dell’arte. Ma in tutti c’è, consapevole o inconsapevole, un’unica grande ricerca: la ricerca di Dio, Bellezza e Bontà eterna, il cui desiderio vive e pulsa in ogni cuore d’uomo e di donna che vive in questo mondo. Il desiderio di Dio”.

Per questo è importante la presenza dei confessori: “Per i fedeli e i pellegrini, perché permette loro di incontrare il Signore della misericordia nel Sacramento della Riconciliazione. Carissimi, perdonare tutto, tutto, tutto. Fatelo sempre: perdonare tutto! Noi siamo per perdonare, qualcun altro sarà per litigare! E per tutti gli altri, perché testimonia loro che la Chiesa li accoglie prima di tutto come comunità di salvati, di perdonati, che credono, sperano e amano nella luce e con la forza della tenerezza di Dio. Fermiamoci perciò un momento a riflettere sul ministero che svolgete, sottolineandone tre aspetti particolari: l’umiltà, l’ascolto e la misericordia”.

Il primo aspetto importante è l’umiltà: “Ce la insegna l’Apostolo Pietro, discepolo perdonato, che arriva a versare il suo sangue nel martirio solo dopo aver pianto umilmente per i propri peccati. Egli ci ricorda che ogni Apostolo, ed ogni Penitenziere, porta il tesoro di grazia che dispensa in un vaso di creta, ‘affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi’. Perciò, cari fratelli, per essere buoni confessori, facciamoci ‘noi per primi penitenti in cerca di perdono’, diffondendo sotto le volte imponenti della Basilica Vaticana il profumo di una preghiera umile, che implora e impetra pietà”.

Il secondo aspetto da non trascurare è l’ascolto: “E’ la testimonianza di Pietro pastore, che cammina in mezzo al suo gregge e che cresce nell’ascolto dello Spirito attraverso la voce dei fratelli. Ascoltare non è infatti solo stare a sentire ciò che le persone dicono, ma prima di tutto accogliere le loro parole come dono di Dio per la propria conversione, docilmente, come argilla nelle mani del vasaio”.

Quindi il papa ha chiesto un ascolto per la riscoperta di un ‘contatto’ con Gesù: “Ascoltare, non tanto domandare; non fare lo psichiatra, per favore: ascoltare, ascoltare sempre, con mitezza. E quando vedi che c’è un penitente che comincia ad avere un po’ di difficoltà, perché si vergogna, dire ‘ho capito’; non ho capito nulla, ma ho capito; Dio ha capito e quello è importante. Questo me lo ha insegnato un grande Cardinale penitenziere: ‘Ho capito’, il Signore ha capito. Ma per favore non fare lo psichiatra, quanto meno parli meglio è: ascolta, consola e perdona. Tu stai lì per perdonare!”

Ed infine ha chiesto di essere pieni di misericordia, secondo l’insegnamento di san Leopoldo Mandic: “Come dispensatori del perdono di Dio, è importante essere ‘uomini di misericordia’, uomini solari, generosi, pronti a comprendere e a consolare, nelle parole e negli atteggiamenti. Anche qui Pietro ci è di esempio, con i suoi discorsi intrisi di perdono. Il confessore (vaso di argilla, come abbiamo detto) ha un’unica medicina da versare sulle piaghe dei fratelli: la misericordia di Dio. Quei tre aspetti di Dio: vicinanza, misericordia e compassione. Il confessore deve essere vicino, misericordioso e compassionevole. Quando un confessore comincia a chiedere… No, stai facendo lo psichiatra, fermati, per favore”.

(Foto: Santa Sede)

Dal Sinodo un invito a non vivere di rendita

“…siamo giunti all’ultimo tratto di strada dei lavori della nostra Assemblea sinodale, che raccoglie i frutti di un lungo cammino iniziato nell’ottobre 2021. Proprio ora il brano del Vangelo ci indica la strada per come ‘raccogliere’ e Gesù ci invita a guardarci da ogni cupidigia, e questa può riguardare non solo i beni materiali, ma il bene e la bellezza che Gesù ci sta affidando in questo Sinodo”: con queste parole introduttive dell’omelia della celebrazione eucaristica il segretario generale del Sinodo, card. Mario Gtech, ha aperto le discussioni dell’ultima settimana, che produrranno il documento finale.

Nell’omelia il card. Grech ha preso spunto dal brano evangelico per un cammino sinodale: “Gesù rifiuta di dividere, ma invita a cercare la comunione, poiché individua nella cupidigia e nella ricerca del possesso la radice della divisione. Gesù rifiuta ogni logica di parte e di divisione nella ricerca della comunione tra fratelli. Per questo racconta poi la parabola, perché ognuno possa accorgersi della ‘stoltezza’ che si nasconde dietro il desiderio di ammassare nei granai. La parabola ci indica come disporci in questi giorni a raccogliere i frutti del nostro percorso sinodale e della nostra assemblea, senza dividerci, ma cercando la comunione”.

Insomma il vangelo è un invito a fare buon uso dei beni, senza vivere di rendita: “Non pensa ad investire, ad allargare il suo sguardo, a far fruttare i suoi beni, ma semplicemente a vivere di rendita. Si compiace della sua completezza! Anche noi potremmo correre il rischio di fare come quest’uomo, di ammassare ciò che abbiamo raccolto, i doni di Dio che abbiamo scoperto, senza reinvestirli, senza viverli come doni ricevuti che dobbiamo ora ridonare alla Chiesa ed al mondo, di sentirci arrivati!”

Il Vangelo è un invito ad esplorare strade nuove: “Anche noi potremmo accontentarci, senza cercare strade nuove perché il nostro raccolto possa moltiplicarsi ulteriormente; anche noi potremmo rischiare di rimanere chiusi nei nostri confini conosciuti, senza continuare ad allargare lo spazio della nostra tenda, come ci ha invitato a fare il profeta Isaia… Anche noi possiamo correre il rischio di vivere di rendita. Ma la comprensione delle verità e le scelte pastorali vanno avanti, si consolidano con gli anni, si sviluppano col tempo, si approfondiscono con l’età”.

L’omelia del card. Grech è stato un invito ad ascoltare lo Spirito Santo: “Piano piano quello che abbiamo raccolto comincerà a sparire, senza essere sostituito dalle novità che il Signore continuerà a mandarci… Se ascolteremo la voce dello Spirito, la conclusione di questa assemblea sinodale non sarà la fine di qualcosa, ma un nuovo inizio, perché ‘la Parola di Dio si diffonda e sia glorificata’.

Cari fratelli e sorelle, con Maria, alla quale abbiamo affidato fin dall’inizio i lavori della nostra Assemblea, se sapremo ascoltare la voce dello Spirito Santo e vivere nella libertà dello Spirito, potremo cantare al Signore l’inno di lode che ci indica il profeta Isaia”.

Mentre nella meditazione il teologo domenicano Timothy Radclife ha richiamato i partecipanti a mettere in pratica la missione di ‘predicare e incarnare’ una doppia libertà, “la doppia elica del Dna cristiano: la libertà di dire ciò che crediamo e di ascoltare senza paura ciò che dicono gli altri”. Cioè ‘la libertà dei figli di Dio di parlare con coraggio, con parrésia’; ma anche la ‘libertà più profonda, la libertà interiore dei nostri cuori’ di accettare anche le decisioni che possa deludere, e che alcuni potrebbero ritenere ‘sconsiderate o addirittura sbagliate’.

Dunque, siamo abitati dalla libertà di “pensare, parlare e ascoltare senza paura. Ma non è nulla se non abbiamo anche la libertà di chi ha fiducia che Dio opera tutto per il bene di coloro che amano Dio… Se  abbiamo solo la libertà di argomentare le nostre posizioni, saremo tentati dall’arroganza e “finiremo per battere i tamburi dell’ideologia, di destra o di sinistra”.

D’altro canto, “se abbiamo solo la libertà di chi confida nella provvidenza di Dio, ma non osiamo entrare nel dibattito con le nostre convinzioni, saremo irresponsabili e non cresceremo mai… Invece la libertà di Dio lavora nel cuore della nostra libertà, sgorgando dentro di noi. Quanto più è veramente di Dio, tanto più è veramente nostra”.

Nella stessa giornata il card. Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha proposto un incontro sulla questione del diaconato permanente per le donne: “Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura ed ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità. La commissione di studio sul tema è giunta a delle conclusioni parziali che faremo pubblicare al momento giusto, ma continuerà a lavorare.

Invece il Santo Padre è molto preoccupato per il ruolo delle donne nella Chiesa e, prima ancora della richiesta del Sinodo, ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esplorare le possibilità di uno sviluppo senza concentrarci sull’ordine sacro. Noi non possiamo lavorare in una direzione diversa, ma devo dire che sono pienamente d’accordo”.

Ed ha dichiarato la disponibilità all’ascolto delle proposte: “Giovedì dunque ascolterò idee sul ruolo delle donne nella Chiesa. Per quelli che erano molto preoccupati per le procedure e i nomi, lo spiegherò giovedì e darò i nomi stessi, così da associare dei volti a questo lavoro. Nonostante quanto detto, per coloro che sono convinti che si debba approfondire la questione del diaconato femminile, il Santo Padre mi ha confermato che continuerà ad essere attiva la Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi.

I membri del Sinodo che lo vogliono (sia individualmente che come gruppi) possono inviare a quella Commissione considerazioni, proposte, articoli o preoccupazioni su questo tema. Il cardinale Petrocchi mi ha confermato che i lavori riprenderanno nei prossimi mesi e analizzeranno i materiali che sono arrivati”.

A Camerino inaugurato il nuovo Centro pastorale diocesano

Domenica 9 giugno a Camerino è stato inaugurato il nuovo Centro pastorale diocesano nei locali dell’ex seminario, di cui l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, mons. Francesco Massara, ne è stato il più convinto promotore, sensibile da sempre alla necessità di realizzare luoghi di aggregazione per le nuove generazioni. L’ex Seminario, danneggiato dal sisma del 2016, è stato ritenuto idoneo a questa ‘missione’ ed al termine di un’importante ristrutturazione, è riconsegnato all’arcidiocesi che lo mette a disposizione della comunità camerte.

Il nuovo Centro pastorale ospita alcune ampie sale per l’oratorio e gli incontri pastorali, un centro di ascolto della Caritas diocesana, un ambiente polivalente ed una spaziosa sala multimediale di ultima generazione. Per favorire le possibilità di incontro e di svago, il centro è dotato anche di uno spazio esterno attrezzato con un moderno campo da calcetto, uno da beach volley, oltre ad altri spazi verdi per i giochi. Grazie all’installazione di un ascensore, una parte dell’edificio ospita la casa del clero con cinque camere per i sacerdoti anziani che necessitano di assistenza in un ambiente familiare dove condividere la loro esperienza umana e sacerdotale.

Trentatré posti-letto sono riservati agli studenti, aggiungendo così ulteriore disponibilità di alloggio agli universitari, oltre quella già messa a disposizione nel Residence Next Generation, inaugurato nel centro storico di Camerino alla fine del 2022, come spiegato da una nota dell’arcidiocesi: “Per la prima volta, nel nostro territorio, viene realizzata un’opera fruibile contemporaneamente da tre generazioni (anziani, adulti e bambini), un significativo esempio di condivisione per promuovere il dialogo intergenerazionale, pur nella differenza delle attività pensate per ciascuno. Per questa ragione, l’arcivescovo ha voluto intitolare il nuovo Centro pastorale ad alcune figure camerti che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore di tutti”.

La zona dedicata all’Oratorio ed alle attività pastorali è stata intitolata a Stefania Scuri e Maurizio Cavallaro, provenienti dall’esperienza dello scoutismo: la giovialità e lo spirito di servizio che hanno animato la loro vita rappresentano un esempio per tutti ed uno stimolo a ‘lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato’; mentre gli spazi sportivi esterni sono stati dedicati a mons. Quinto Martella.

Il Centro di ascolto gestito dalla Caritas diocesana, invece, è stato dedicato a mons. Renzo Rossi, sacerdote scomparso nel 2007, che è ricordato per la generosità e per l’aiuto materiale e spirituale che prodigava ai bisognosi. Infine, l’area esterna per le attività ludiche e sportive verrà intitolata a mons. Quinto Martella, morto nel 2020, il quale, come sacerdote ed insegnante, è sempre stato a contatto con i giovani, lasciando in eredità una significativa offerta che ha dato impulso alla realizzazione del Centro pastorale.

Inaugurando la struttura l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, mons. Francesco Massara, ha preso lo spunto da una canzone di Luciano Ligabue per spiegare la realizzazione di un ‘sogno’: “Dobbiamo imparare ad uscire dai localismi, in quanto ogni paese ha bisogno di un campanile, ma non di un nuovo campanilismo”.

Per quale motivo un nuovo centro pastorale diocesano?

“L’idea di un nuovo centro pastorale diocesano nasce dalla necessità di avere spazi d’incontro che si erano persi durante il terremoto del 2016. Un luogo dove poter usufruire di tutto quello che necessita per integrare le relazioni e la formazione delle nostre comunità provate in tutti questi anni”.

Un luogo in cui possono coesistere tre generazioni (bambini, giovani ed anziani): è possibile un dialogo intergenerazionali? 

“E’ possibile un dialogo intergenerazionale che porta ad una ricchezza tra la sapienza degli anziani, la gioia dei bambini ed i sogni dei nostri giovani … un cammino di crescita e di scambi che porterà ad una società migliore”.

C’è anche un centro di ascolto della Caritas: quanto è importante ascoltare? 

“Il centro di ascolto offre un’attenzione alle povertà del territorio .Oggi si sente molto, ma si ascolta poco e si dedica poco tempo di qualità. Diventa necessario aprire i nostri cuori per incontrare Dio ed i poveri che ci stanno intorno”.

In quale modo la Chiesa cerca di fornire risposte alle domande dei giovani?

“La Chiesa è da sempre vicina ai giovani: li ascolta, li accompagna, li aiuta a realizzare quei sogni che a volte la società di oggi infrange. Loro sono il nostro presente ed il nostro futuro”.

Ad otto anni dal sisma si intravede qualcosa?

“Ad otto anni dal sisma come Chiesa stiamo portando avanti la ricostruzione con grande fatica ma con grande determinazione, sostenendo da sempre che non c’è una ricostruzione delle case senza una ricostruzione sociale ed economica. Solo così questo territorio non morirà”.

(Tratto da Aci Stampa)

Presentato l’ ‘Instrumentum Laboris’ del Sinodo per una Chiesa missionaria

“Il profeta Isaia presenta l’immagine di un banchetto sovrabbondante e prelibato preparato dal Signore sulla cima del monte, simbolo di convivialità e di comunione, destinato a tutti i popoli. Al momento di tornare al Padre, il Signore Gesù affida ai suoi discepoli il compito di raggiungere tutti i popoli, per servire loro un banchetto fatto di un cibo che dona pienezza di vita e di gioia. Attraverso la sua Chiesa, guidata dal suo Spirito, il Signore vuole riaccendere la speranza nel cuore dell’umanità, restituire la gioia e salvare tutti, in particolare coloro che hanno il volto rigato di lacrime e verso di Lui gridano nell’angoscia”.

Così inizia l’ ‘Instrumentum laboris’ per la seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà nel prossimo mese di ottobre e presentato dal card. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo e relatore generale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi; da mons. Riccardo Battocchio, segretario speciale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi; da p. Giacomo Costa, segretario speciale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi; e dal card. Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo, che ha tracciato il cammino sinodale compiuto:

“Non è difficile riconoscere l’ispirazione conciliare di queste affermazioni. Il Vaticano II ci parla di una Chiesa che è, al tempo stesso, in ascolto di Dio e in ascolto degli uomini e delle donne del proprio tempo, con le loro gioie, speranze, dolori e angosce. Ci dice, in altre parole, che la Chiesa, prima di essere Ecclesia docens, è Ecclesia audiens, e che solo in quanto ascolta è a sua volta in grado di insegnare”.

Però l’ascolto di Dio e l’ascolto del mondo sono due ‘piani’ diversi: “Ascolto di Dio e ascolto del mondo non sono naturalmente sullo stesso piano. In realtà, la Chiesa è sempre e solo in ascolto della voce di Dio, e non è interessata a indagini demoscopiche. Ma è pur vero, come lo stesso Concilio insegna riecheggiando la lezione biblica, che Dio parla in molti modi: certamente attraverso la Sacra Scrittura, che è ispirata dallo Spirito Santo e a cui la Chiesa non deve stancarsi di attingere, ma anche attraverso il senso della fede del Popolo di Dio, la voce dei pastori e il carisma dei teologi, grazie ai quali il medesimo Spirito continua a far crescere la comprensione della Verità rivelata ed ad aprire nuove strade per annunciare quella Verità agli uomini e alle donne delle diverse epoche storiche”.

Eppoi ha riferito delle sintesi nazionali arrivate: ““Nonostante i tempi contingentati, sono arrivate alla Segreteria Generale del Sinodo ben 108 Sintesi nazionali preparate dalle Conferenze Episcopali, cui si aggiungono 9 Risposte pervenute dalle Chiese Orientali Cattoliche, 4 dalle Riunioni Internazionali di Conferenze Episcopali e la Sintesi dell’Unione dei Superiori Generali e dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali in rappresentanza della Vita consacrata. Questo ricco materiale, cui bisogna sommare le Osservazioni liberamente inviate da singoli e gruppi (incluse pure alcune Facoltà di teologia e diritto canonico), costituisce l’armatura portante del documento che oggi viene presentato, perché (fedele a quel movimento circolare di cui prima dicevo – il suo scopo è ora di sottoporre al discernimento di alcuni) i Membri del Sinodo, che torneranno a riunirsi a ottobre (quello che è stato detto da tutti), le Chiese locali in cui vive il Popolo di Dio”.

Mentre il card. Jean-Claude Hollerich ha incentrato la riflessione sui rapporti delle conferenze episcopali: “Tutti questi rapporti mostrano una Chiesa viva ed in movimento. Infatti, ciò che maggiormente risalta leggendo non solo i rapporti, ma anche le esperienze e buone pratiche che sono pervenute alla Segreteria Generale, è che il sinodo, il processo sinodale, è stato ed è tuttora un tempo di grazia che sta già portando numerosi frutti nella vita della Chiesa. Dal Kenya all’Irlanda, dalla Corea al Brasile i rapporti sottolineano questo rinnovato dinamismo che l’ascolto offerto e ricevuto sta portando alle comunità”.

Inoltre i rapporti mostrano una Chiesa ‘viva’: “E credo che già questo sia un primo frutto del cammino perché permette di apprezzare una certa maturazione nel cammino sinodale delle Chiese locali, specialmente se confrontiamo questi secondo rapporti a quelli dell’inizio del processo. Se le prime sottolineavano maggiormente le resistenze e le opposizioni al processo sinodale, questi rapporti sottolineano più la stanchezza e la fatica di un cammino di conversione che non è immediato.

Questo mi porta a definire un secondo frutto di questo processo: la parresia che i contributi lasciano trasparire. Infatti, le sintesi sono state scritte con grande libertà e franchezza nell’espressione. Inoltre, il fatto che siano state le stesse Chiese locali a individuare i frutti del loro percorso attraverso una rilettura della loro esperienza, del loro cammino, mi porta ad individuare un altro frutto: questa capacità di rilettura e di auto-valutarsi che sono certo aiuterà molto a concretizzare sempre più l’esigenza di trasparenza, rendiconto e valutazione come espresso dall’Instrumentum Laboris”.

In conclusione mons. Riccardo Battocchio e p. Giacomo Costa, hanno spiegato la metodologia della prossima sessione: “La metodologia di lavoro della Seconda Sessione sarà oggetto di una specifica presentazione più avanti. Del resto sarebbe stato impossibile metterla a punto senza disporre del testo definitivo dell’Instrumentum laboris. Certamente possiamo già dire che ci saranno quattro moduli, corrispondenti alle quattro sezioni dell’IL. Continueremo anche a utilizzare la conversazione nello Spirito, con gli adattamenti necessari a un testo che non contiene schede e domande come l’Instrumentum Laboris della prima Sessione. Non verranno meno i tempi di preghiera, a partire dal ritiro iniziale: abbiamo toccato con mano che cambiano la qualità dello stare insieme e del dialogo”.

(Foto:Vatican News)

Giornata dei poveri: la preghiera dei poveri sale a Dio

Domenica 17 novembre è in programma l’ottava giornata mondiale dei poveri sul tema ‘La preghiera dei poveri sale fino a Dio’, affermazione tratta dal libro del Siracide con l’invito a riflettere sul valore della preghiera in questi mesi che separano dall’apertura della Porta Santa:

“La speranza cristiana abbraccia anche la certezza che la nostra preghiera giunge fino al cospetto di Dio; ma non qualsiasi preghiera: la preghiera del povero! Riflettiamo su questa Parola e ‘leggiamola’ sui volti e nelle storie dei poveri che incontriamo nelle nostre giornate, perché la preghiera diventi via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza”.

Nel messaggio c’è un solerte invito a meditare su questo libro biblico: “Il libro del Siracide, a cui facciamo riferimento, non è molto conosciuto, e merita di essere scoperto per la ricchezza di temi che affronta soprattutto quando tocca la relazione dell’uomo con Dio e il mondo. Il suo autore, Ben Sira, è un maestro, uno scriba di Gerusalemme, che scrive probabilmente nel II secolo a.C.

E’ un uomo saggio, radicato nella tradizione d’Israele, che insegna su vari campi della vita umana: dal lavoro alla famiglia, dalla vita in società all’educazione dei giovani; pone attenzione ai temi legati alla fede in Dio e all’osservanza della Legge. Affronta i problemi non facili della libertà, del male e della giustizia divina, che sono di grande attualità anche per noi oggi. Ben Sira, ispirato dallo Spirito Santo, intende trasmettere a tutti la via da seguire per una vita saggia e degna di essere vissuta davanti a Dio e ai fratelli”.

In questo libro l’autore dà molto spazio alla preghiera di chi si rivolge a Dio: “In questo suo percorso, egli scopre una delle realtà fondamentali della rivelazione, cioè il fatto che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, a tal punto che, davanti alla loro sofferenza, Dio è ‘impaziente’ fino a quando non ha reso loro giustizia…

Dio conosce le sofferenze dei suoi figli, perché è un Padre attento e premuroso verso tutti. Come Padre, si prende cura di quelli che ne hanno più bisogno: i poveri, gli emarginati, i sofferenti, i dimenticati… Ma nessuno è escluso dal suo cuore, dal momento che, davanti a Lui, tutti siamo poveri e bisognosi”.

Ed è un’esortazione a rivolgersi a Dio attraverso la preghiera: “Tutti siamo mendicanti, perché senza Dio saremmo nulla. Non avremmo neppure la vita se Dio non ce l’avesse donata. E, tuttavia, quante volte viviamo come se fossimo noi i padroni della vita o come se dovessimo conquistarla! La mentalità mondana chiede di diventare qualcuno, di farsi un nome a dispetto di tutto e di tutti, infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare ricchezza. Che triste illusione! La felicità non si acquista calpestando il diritto e la dignità degli altri”.

Il messaggio è una esplicita denuncia contro la guerra, che provoca povertà: “La violenza provocata dalle guerre mostra con evidenza quanta arroganza muove chi si ritiene potente davanti agli uomini, mentre è miserabile agli occhi di Dio. Quanti nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti! Eppure, non possiamo indietreggiare. I discepoli del Signore sanno che ognuno di questi ‘piccoli’ porta impresso il volto del Figlio di Dio, e ad ognuno deve giungere la nostra solidarietà e il segno della carità cristiana”.

Riprendendo l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ papa Francesco ha evidenziato l’esigenza di alimentare la preghiera: “In questo anno dedicato alla preghiera, abbiamo bisogno di fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro. E’ una sfida che dobbiamo accogliere e un’azione pastorale che ha bisogno di essere alimentata…

Tutto questo richiede un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante. Un cuore pronto a riconoscersi povero e bisognoso. Esiste, infatti, una corrispondenza tra povertà, umiltà e fiducia… Il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia. Infatti, l’umiltà genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai e non ci lascerà senza risposta”.

Tale Giornata è un’opportunità da non sottovalutare: “E’ un’opportunità pastorale da non sottovalutare, perché provoca ogni credente ad ascoltare la preghiera dei poveri, prendendo coscienza della loro presenza e necessità. E’ un’occasione propizia per realizzare iniziative che aiutano concretamente i poveri, e anche per riconoscere e dare sostegno ai tanti volontari che si dedicano con passione ai più bisognosi. Dobbiamo ringraziare il Signore per le persone che si mettono a disposizione per ascoltare e sostenere i più poveri”.

La preghiera trova validità nella carità, come ha affermato nella sua lettera l’apostolo Giacomo: “La preghiera, quindi, trova nella carità che si fa incontro e vicinanza la verifica della propria autenticità. Se la preghiera non si traduce in agire concreto è vana… Tuttavia, la carità senza preghiera rischia di diventare filantropia che presto si esaurisce… Dobbiamo evitare questa tentazione ed essere sempre vigili con la forza e la perseveranza che proviene dallo Spirito Santo che è datore di vita”.

In questo senso papa Francesco sottolinea l’esempio di santa Madre Teresa di Calcutta e di san Benedetto Giuseppe Labre: “In questo contesto è bello ricordare la testimonianza che ci ha lasciato Madre Teresa di Calcutta, una donna che ha dato la vita per i poveri. La Santa ripeteva continuamente che era la preghiera il luogo da cui attingeva forza e fede per la sua missione di servizio agli ultimi…

E come non ricordare qui, nella città di Roma, San Benedetto Giuseppe Labre, il cui corpo riposa ed è venerato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Pellegrino dalla Francia a Roma, rifiutato da tanti monasteri, egli trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo. Non avendo nemmeno una piccola stanza dove alloggiare, dormiva abitualmente in un angolo delle rovine del Colosseo, come ‘vagabondo di Dio’, facendo della sua esistenza una preghiera incessante che saliva fino a Lui”.

Il messaggio si chiude con l’invito a farsi ‘pellegrino di speranza’, come è scritto nell’esortazione apostolica ‘Gaudete et exsultate’, in un mondo che ha abbandonato la parola ‘speranza’: “Non dimentichiamo di custodire ‘i piccoli particolari dell’amore’: fermarsi, avvicinarsi, dare un po’ di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto… Questi gesti non si improvvisano; richiedono, piuttosto, una fedeltà quotidiana, spesso nascosta e silenziosa, ma resa forte dalla preghiera.

In questo tempo, in cui il canto di speranza sembra cedere il posto al frastuono delle armi, al grido di tanti innocenti feriti e al silenzio delle innumerevoli vittime delle guerre, rivolgiamo a Dio la nostra invocazione di pace. Siamo poveri di pace e tendiamo le mani per accoglierla come dono prezioso e nello stesso tempo ci impegniamo a ricucirla nel quotidiano”.

Frontiere di Pace, da una parrocchia di Como alla gente in Ucraina

Il conflitto, deflagrato il 24 febbraio 2022, continua a essere caratterizzato da bombardamenti indiscriminati nelle aree civili che non risparmiano scuole, ospedali, centri comunitari, abitazioni. L’economia di base è pressoché ferma e la vita di ogni giorno dipende quasi totalmente dagli aiuti umanitari. Però gli aiuti alla popolazione ucraina non si ferma e continua attraverso i viaggi di molte associazioni, come quelli organizzati dai volontari  del gruppo ‘Frontiere di pace’, legato alla parrocchia di Santa Maria Assunta di Maccio in Villa Guardia, in provincia di Como, con l’obiettivo di portare cibo e solidarietà alla popolazione ucraina attraverso la presenza diretta, sul campo, mettendoci il corpo. Per raccogliere i bisogni reali della popolazione si appoggiano a p. Ihor Boyko, rettore del seminario greco cattolico di Lviv.

A conclusione dell’ultima missione al coordinatore dell’associazione ‘Frontiere di pace’, Giambattista Mosa, chiediamo di raccontarci la situazione in Ucraina: “La situazione in Ucraina è in lento peggioramento da un punto di vista strettamente legato ai rapporti di forza sul campo, ma credo che questo sia ormai palese a tutti. Ciò che posso aggiungere è la grande speranza che la gente incontrata da noi, ci consegna, di poter resistere all’invasione delle forze armate russe, mantenendo i loro villaggi e città libere dall’occupazione”.

Perché ‘Frontiere di pace’?

“La pace è un valore immenso, senza la quale manca tutto. Noi lo vediamo ad ogni missione. La gente chiede pace. La pace però è qualcosa da costruire senza ingenuità nelle condizioni storico concrete in cui la gente si trova a vivere. Questo ci hanno insegnato le persone che incontriamo durante le nostre missioni. La pace sta alla “frontiera”, nelle situazioni di discontinuità tra popoli e culture, “confini, frontiere” storicamente determinati, ma sempre mutevoli e negoziabili, soprattutto confini e discontinuità dell’ingiustizia e della violenza.

Proviamo a pensare alla pace dentro queste complessità senza ingenuità, la pace sulla frontiera, cercando di coniugare pace e giustizia. Soprattutto, pensare alla frontiere non esclusivamente come luogo della differenza e discontinuità, ma anche della comunicazione e della vicinanza, del contatto, dello scambio, qualcosa di permeabile. Il nostro modo concreto di pensare la pace è praticare la solidarietà,  tramite le nostre missioni umanitarie indirizzate alle vittime, a tutte le vittime della guerra da noi raggiungibili”.

Quale è il vostro ‘metodo’?

“L’associazione svolge missioni umanitarie e di pace ‘sul campo’, nelle situazioni di grave marginalità, povertà ed oppressione in cui popoli e gruppi umani si trovano a sopravvivere. Operiamo soprattutto nelle zone di conflitto ed assenza di pace. Missioni umanitarie perché ci preoccupiamo di fornire direttamente beni di prima necessità (cibo, medicinali, vestiti ed attrezzature varie, ecc.), indispensabili alle persone che vivono in situazioni di emergenza e conflitto. Progettiamo anche interventi post emergenza e microprogetti di sviluppo (‘Un tetto per Kharkiv’, biblioteca di Izjum…).

Missioni di pace perché ci mettiamo il ‘corpo’, noi stessi, ovvero facciamo esperienza diretta, sul “campo” delle persone che incontriamo, cercando di trasmettere solidarietà e vicinanza, per spezzare l’esclusione, e l’isolamento che le persone in aree di conflitto sono costrette a subire. Ci mettiamo in atteggiamento empatico e di ascolto, incorporando sensazioni, fatiche, speranze, desideri, ideali ed emozioni. Raccogliamo le testimonianze, facciamo parlare le vittime, riportando alle nostre comunità le sensazioni ed emozioni che abbiamo incorporato, raccontando le vittime con le loro parole, nel loro contesto e situazione. Il nostro è un punto di vista interno vicino all’esperienza delle persone che incontriamo sul ‘campo’.

Pensiamo la pace ed il dialogo a partire dal punto di vista aderente all’esperienza delle vittime e alla nostra esperienza incorporata. Progettiamo la pace alla frontiera, sui confini di discontinuità, leggendo il confine non solo come divisione e separazione immutabile ma, permeabile alle relazioni tra popoli, dentro una visione di rispetto per le specificità storiche, culturali e identitarie di ogni popolo, nel rispetto di una pace giusta e praticabile. Promuoviamo il dialogo e l’incontro.

Infine evidenzio soltanto il valore dell’ascolto: le persone che incontriamo chiedono di essere ascoltate, chiedono di raccontare la loro storia. Noi iniziamo sempre mettendoci in ascolto, un ascolto umile e attento. Solo ascoltando le vittime possiamo ‘comprendere’ la situazione che stanno vivendo, solo su questo ascolto è possibile  pensare alla pace”.

In quale modo portate sollievo alla popolazione?

“Noi vogliamo essere concreti. Le nostre missioni umanitarie, portano cibo, medicinali, igiene, vestiti direttamente a chi ne ha bisogno, senza intermediari. Ascoltiamo ciò che la gente racconta e ne raccogliamo le storie;  portando la nostra testimonianza  e sensibilizzando le nostre comunità, le scuole, i gruppi… Costruiamo rapporti di amicizia, solidarietà e vicinanza con le comunità destinatarie delle nostre missioni umanitarie”.

In cosa consistono le missioni umanitarie e di pace?

“Le missioni consistono nel trasportare tramite furgoni e bilici, il materiale che generosamente le nostre comunità ci donano (cibo, vestiti, farmaci, igiene…). Trasportiamo e portiamo questi beni, che danno sollievo alla popolazione civile, direttamente dove la gente ne ha bisogno. Le nostre destinazioni sono la chiesa greco cattolica di san Nikola taumaturgo a Kharkiv, di san Demetrio a Kharkiv e il monastero greco cattolico dei padri Basiliani di Kherson. Ci accompagna e ci guida sempre nelle nostre missioni il rettore del seminario greco cattolico dello Spirito Santo, padre Ihor Boyko.

Ci accompagna anche suor Oleksia delle suore di san Giuseppe; hanno una piccola sede a Kharkiv. Con lei andiamo nei villaggi dell’oblast di Kharkiv (Izjum) e dell’Oblast di Donietsk; ci spingiamo fino a Kramatorsk, e Kostantinvka. Facciamo microprogetti con varie realtà (ospedale di Izjum, Ospedale di Dryzisvka, comunità di padre Pietro a Izjum…). Tutto ciò costituisce le nostre missioni umanitarie e di pace, aiuto materiale e sostegno alla speranza di un futuro di pace e libertà delle comunità che incontriamo”.

E’ possibile ricostruire un futuro di riconciliazione?

“La riconciliazione è qualcosa che si può fare in due. Non dipende solo dagli ucraini. Prevede un cammino lungo, doloroso e faticoso, ma necessità della volontà di entrambi. Una signora, durante l’ultima missione nello scorso marzo mi disse: ‘E’ molto difficile perdonare, tutto questo male che ci hanno fatto e ci stanno facendo…, forse con il tempo…, gli ucraini hanno un grande cuore…’. Il perdono è possibile, ma emerge dall’ascolto, dal riconoscere le sofferenze e le speranze delle persone, delle vittime;  da qui, forse in futuro, sarà possibile la riconciliazione, che è qualcosa da costruire e volere insieme”.

(Tratto da Aci Stampa)

Da Ancona la proposta di mettersi all’ascolto della Croce

Per la festa di San Ciriaco, patrono dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo e della città di Ancona, nel capoluogo marchigiano si è svolta la manifestazione ‘InCanto sulle vie di Francesco’: un’edizione speciale di una serie di eventi che da 11 anni si svolgono in Umbria e nel Centro Italia, percorrendo a piedi antichi percorsi francescani mentre i cori attendono i camminatori con esecuzioni canore.

Dal porto di Ancona è partito san Francesco per il Medio Oriente e al porto di Ancona è arrivato il patrono, san Ciriaco, come ha ricordato mons. Angelo Spina, arcivescovo di Ancona-Osimo: “Il suo corpo giunto da Gerusalemme ad Ancona 1606 anni fa, dono di Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, è segno di una presenza viva e di una protezione costante della Città e dell’intera Arcidiocesi di Ancona-Osimo. Il dono del corpo del santo venuto da Gerusalemme unisce due mondi: oriente ed occidente. Ancona è la porta d’oriente e la via della pace. Oggi più che mai abbiamo bisogno di guardare a San Ciriaco perché i santi sono i campioni della fede e dell’amore e creano unione e non divisione”.

Brevemente ha raccontato la storia del santo: “La storia del santo, come sappiamo, ci rimanda alle vicende vissute a Gerusalemme, all’anno 326 dopo Cristo, quando Elena, madre dell’imperatore Costantino era alla ricerca della vera Croce di Cristo. Un certo Giuda, ebreo, sapeva dove era. Su invito pressante di Elena, Giuda svelò dove era nascosta la Croce, ci fu l’inventio crucis. Giuda si convertì, si fece battezzare e prese il nome di Kuryakos, Ciriaco, che tradotto significa ‘del Signore’. Fu vescovo di Gerusalemme e non esitò ad affrontare il martirio per rendere testimonianza della sua fede, sotto Giuliano l’Apostata, con la convinzione ferma che gli ‘uomini possono uccidere il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima’. Il martirio di san Ciriaco rimanda alla Croce”.

Riprendendo le parole di san Paolo l’arcivescovo di Ancona ha sottolineato che ‘la parola della croce è potenza di Dio’, secondo la definizione di san Paolo: “San Paolo considera la Croce come Parola! E’ un’espressione fortissima. La Croce parla. Oggi c’è un linguaggio sempre più aggressivo; un linguaggio superficiale, frettoloso, che non tiene conto della fase di ascolto. Il cammino sinodale che la Chiesa ha intrapreso invita tutti ad ascoltare e poi a parlare, per costruire la comunità e percorrere strade di unità e di comunione”.

E’ un invito all’ascolto della Croce: “A noi viene chiesto di metterci in ascolto della Croce. Perché la Croce parla! Purtroppo non tutti l’ascoltano! E’ lo stesso san Paolo a spiegarlo con un binomio irriducibile: ‘La parola della Croce è stoltezza per quelli che non credono, ma per noi è potenza di Dio’. Da una parte, questa parola è ‘stoltezza’; potremmo dire senza significato, senza logica. E se questa parola non ha sapore, non ha significato, non ha logica, tanto vale non sentirla. In altri passi, egli dirà che la croce per alcuni è «scandalo» che significa ostacolo, pietra d’inciampo”.

Il pensiero corre verso coloro che sono stati addossati dalle croci: “La parola di queste innumerevoli e tremende croci, se non ascoltata, semina conflitti e morte, e rende ‘cimitero’ la nostra terra e il ‘mare nostro’, come più volte ci ha ricordato papa Francesco. Gesù, con la sua morte sulla croce, ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del ‘seme’. Si è fatto piccolo, come un chicco di grano: ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi, è ‘caduto in terra’. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra”.

Però dalla Croce è nata la speranza: “Guarda la Croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché l’amore tutto spera, tutto sopporta, l’amore, che è la vita di Dio, ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. Sulla croce Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, il nostro odio in amore, la nostra paura in fiducia, la nostra morte in resurrezione”.

Ugualmente dalla croce scaturisce la pace: “Se dalla croce fiorisce la speranza è dalla croce che viene donata la vera pace, perché il Signore Gesù, nel suo gesto di amore infinito, sacrificando se stesso, ci riconcilia con Dio e tra di noi. Dà il via a una nuova umanità che guardando a lui mette fuori dalla porta del cuore e della propria casa l’individualismo, la superbia, l’invidia, la gelosia, l’aggressività; per coltivare la giustizia e, insieme, la solidarietà, la condivisione di gioie e fatiche, di sofferenze e speranze; per tendere al dono di sé e non al possesso egoistico”.

E’ un invito alla città portuale ad essere accogliente: “Ancona, con il porto, è per sua natura una città che accoglie. Nel tempo ha saputo costruire inclusione, reciprocità, pur nella fatica e nelle contraddizioni. Nel corso della storia le tante ferite, alcune dovute a calamità naturali di lontana memoria e recenti, non hanno mai fermato lo spirito di solidarietà e di inclusione sociale, con l’attenzione ai più bisognosi”.

E’ un invito ad accorgersi dei ‘poveri’: “In questo momento storico non possiamo distogliere lo sguardo da ciò che sta avvenendo nel mondo intero, con la più grande emergenza umanitaria. Così come non possiamo assistere inerti al rischio continuo che tante persone in questa città scivolino nuovamente e silenziosamente in povertà che speravamo superate per sempre: infatti, quando qualcuno bussa per la prima volta ai Centri di Ascolto delle nostre Caritas, si sono già consumate gran parte delle risposte di dignità e di intraprendenza personali”.

Ed ha proposto tre tappe per una nuova visione della città: “Come sarebbe auspicabile se, abbandonate le forme continue di lamentela, ci fosse una prima tappa per fare memoria della storia di carità e giustizia della nostra città. Una seconda tappa che guardi al presente, evidenziando le capacità e i talenti a servizio delle diverse condizioni di povertà. Una terza tappa rivolta al futuro, orientata allo sviluppo di pratiche di lotta alla povertà da realizzare con i poveri stessi”.

E’ una proposta di costruire relazioni sotto la guida di san Ciriaco: “Nella città c’è un desiderio latente, quasi una necessità, di ricostruire relazioni forti tra singoli, corpi sociali e istituzioni. Abbiamo una grande opportunità: prendersi a cuore gli ultimi, dando loro spazio e voce, è infatti quanto di più nobile e nobilitante ci sia per rimettersi insieme tra tanti soggetti diversi, senza polemiche e senza secondi fini. E’ possibile? La risposta è: ‘sì’, se ci lasciamo guidare dal nostro patrono, san Ciriaco, ad abbracciare la croce gloriosa di Cisto salvatore, la croce che parla ai nostri cuori, unica nostra speranza e nostra pace”.

(Foto: arcidiocesi di Ancona-Osimo)

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