Padre Arice: ‘curare il malato, curando le relazioni’, come san Giuseppe Benedetto Cottolengo

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“Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria”.

Da questo inizio del messaggio di papa Francesco per la XXXII Giornata mondiale del Malato, che prende spunto da un verso del libro della Genesi ‘Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato curando le relazioni’, abbiamo chiesto a p. Carmine Arice, padre generale della ‘Piccola Casa della Divina Provvidenza’, fondata a Torino da san Giuseppe Benedetto Cottolengo, di spiegare il motivo per cui ‘non è bene che l’uomo sia solo’: “La relazione è la dimensione fondamentale dell’esistenza senza la quale è impossibile vivere e generare vita, ed il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale del Malato di quest’anno lo ricorda fin dalle sue prime battute, quando fa riferimento all’atto creativo dell’uomo pensato come ‘essere in comunione’”.

Cosa significa prendersi cura del malato?

“Nel percorso di cura di una persona malata la relazione è la prima dimensione. Essa non si aggiunge, infatti, come gesto di benevolenza di qualche operatore ‘un po’ più buono’, ma è parte essenziale dell’alleanza terapeutica tra operatori sanitari e paziente (con i suoi familiari) nonché tra il personale di cura stesso.

Non c’è nessun protocollo che possa indicare come instaurare relazioni sane con i pazienti e i loro familiari, e non c’è nemmeno regolamento aziendale che possa andare oltre all’esortazione di concorrere a costruire un ambiente di lavoro cordiale tra i curanti. Il grande filosofo Hans Jonas direbbe che solo un’etica della responsabilità e una corretta antropologia della cura (ben evidenziata nel messaggio del papa per la Giornata del Malato) sono il presupposto perché ci sia davvero la necessaria considerazione alla relazione interpersonale”.

Come è possibile curare il malato attraverso le relazioni?

“Come invita ancora il messaggio di papa Francesco dobbiamo imparare a considerare la capacità di prenderci cura dei malati nella loro globalità perché non vi è gesto che non sia anche comunicazione e veicolo del valore che si dà all’altro.

Non ci sono protocolli che possono indicare quali percorsi intraprendere per instaurare sane relazioni terapeutiche, c’è solo una coscienza e un’etica professionale che ci può dire se la relazione con il paziente è stata empatica o apatica, se si è avuto la ‘capacità di sentire il sentire dell’altro e cogliere l’esperienza vissuta estranea’, come insegna magistralmente Edith Stein, o se l’altro si è sentito solo come un oggetto di attenzione.

Non ci sono indicatori che possono dire se siamo stati, come Dio è per noi, ‘una presenza che accompagna, una storia di bene che si unisce a ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce’, come è scritto al n^ 57 dell’enciclica ‘Lumen fidei’, oppure se l’indifferenza è cifra dell’atto terapeutico posto in atto, seppur accompagnato da un interesse medico scientifico alla sua patologia”.

Per quale motivo il santo Cottolengo ha fondato la Piccola Casa della Divina Provvidenza?

“Cottolengo non fu solo un ‘gigante della carità’ ma in primis fu un uomo di grande fede. Egli, infatti, non avvia la ‘Piccola Casa della Divina Provvidenza’ solo per dare una risposta ai problemi sociali della Torino dell’Ottocento, ma soprattutto perché desiderava che le persone più sole ed abbandonate potessero credere che Dio è Padre buono e provvidente….

Caratteristica di Cottolengo è quella di non fare piani grandiosi, ma di mettersi a disposizione della Divina Provvidenza come un umile ‘manovale’, un semplice strumento nelle mani di Dio Padre. Infatti, pur attraversando nella sua vita momenti drammatici, egli rimane sereno e fiducioso nella presenza misericordiosa di Dio. Questo non significa che vivere il Vangelo non abbia anche una dimensione sociale, e quindi di attenzione alle persone più fragili, indigenti e povere perché non rimanga indietro nessuno”.

‘Gli infermi più ributtanti hanno da essere le vostre perle; e le attenzioni che loro usate sono molto più meritorie, sono le rose più belle che potete presentare al Signore’, diceva san Cottolengo: come si realizza?

“Si realizza accogliendo nella Piccola Casa gli ultimi e i gli ‘scartati’ della società. Si realizza anche scegliendo di andare dove i fratelli e le sorelle sono vittime della cultura dello scarto con la consapevolezza che ogni vita, anche la più fragile, è preziosa davanti a Dio. La ‘Piccola Casa della Divina Provvidenza’, come afferma la ‘Mission’, infatti, si prende cura della persona povera, malata, abbandonata, particolarmente bisognosa, senza distinzione alcuna, perché in essa riconosce il volto di Cristo.

In tal modo la Piccola Casa afferma la dignità della vita umana, dal suo inizio fino al suo termine naturale e la promuove nella sua originalità e diversità; si prende cura della persona nella sua dimensione umana e trascendente; vive lo spirito di famiglia costruendo relazioni di reciprocità, di gratuità, di condivisione e di fraternità”.

(Foto: Piccola Casa della Divina Provvidenza)

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