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Il tempo della cura. Formazione e condivisione per la Società di San Vincenzo De Paoli

Prendersi cura dell’altro attraverso la speranza testimoniata come dono di sé. A Pergine Valsugana si è conclusa la giornata organizzata dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV Coordinamento Interregionale Veneto e Trentino – Alto Adige. A Villa Moretta, un luogo immerso nella natura, si sono ritrovati i rappresentanti degli Uffici di Presidenza dei Consigli Centrali, i soci e i volontari delle Conferenze della Società di San Vincenzo De Paoli.
Il tema di quest’anno, il Tempo della Cura, è stato approfondito e condiviso attraverso una riflessione che ne ha considerato tre aspetti, strettamente legati tra loro: il prendersi cura di noi stessi, il prendersi cura degli altri e il sentirsi presi in cura dall’Alto. Attraverso segni, provocazioni, slides, video, momenti di condivisione e lavori di gruppo i presenti, con la guida del Coordinatore Interregionale Veneto e Trentino – Alto Adige, Andrea Perinelli, hanno potuto rimettersi in contatto con se stessi, tra bisogni, desideri, talenti, limiti e ferite.
‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ e ‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’ sono stati i principi evangelici che hanno guidato ciascuno a riflettere sia sul vero significato della cura dell’altro, chi ci sta accanto è un dono e in quanto tale va amato, sia sulla carità che spinge a darsi perché l’altro abbia e che, come affermava il Beato Federico Ozanam, è capace di unire e riconciliare andando oltre limiti e debolezze: ‘La Carità tiene conto delle debolezze, cicatrizza, riconcilia, unisce’, come evidenziava il beato Federico Ozanam.
Andrea Perinelli ha invitato i partecipanti a vivere lentamente il tempo della giornata per: “Recuperare lo spazio per noi stessi, spesso dimenticato, e riscoprire, anche attraverso le nostre fragilità, la speranza come dono gratuito ricevuto e da condividere con l’altro”. Poi, osservando la società di oggi, il Coordinatore ha spinto ciascuno a dare il proprio contributo per la costruzione di una società che: ‘Non ci faccia dimenticare che l’altro ci appartiene. L’altro sono anche io’.
Durante la giornata non sono mancate le testimonianze dei presenti. Floriana ha condiviso un suo pensiero, dal titolo ‘La cura’, che invita ciascuno a mantenere lo sguardo fisso verso la “meta attesa”. Solo così possiamo assaporare le bellezze che la vita ci riserverà e riuscire a guardare ciò che ci sta attorno e le persone ‘Col desiderio di pace nello sguardo’.
Don Orazio Bellomi ha guidato la preghiera riunendo i presenti in un grande semicerchio. “Non abbiate paura! C’è un Dio che si prende cura di noi e lo vediamo qui in mezzo alla bellezza della natura e degli animi di persone pronte ad accogliere, a farsi accogliere”, ha proferito don Bellomi. Al termine dell’evento è stata celebrata la Messa. La celebrazione ha consegnato ai partecipanti l’invito a trasmettere a tutti la bellezza e la contagiosità della cura.
In Afghanistan riaperte due unità sanitarie per bambini malnutriti

Chiuse per mesi a causa dei tagli USA, le strutture di Kabul e Badakhshan tornano operative in un contesto sanitario al collasso: nel 2025 previsti 3.500.000 di casi di malnutrizione infantile. Le due cliniche pediatriche di Azione Contro la Fame a Kabul e Badakhshan – fondamentali per la sopravvivenza di centinaia di bambini malnutriti – sono tornate operative dopo mesi di chiusura. I tagli ai finanziamenti statunitensi ne avevano imposto lo stop. Ora, grazie al sostegno dell’Unione Europea, le unità hanno riaperto in un momento in cui l’Afghanistan affronta una delle peggiori crisi sanitarie della sua storia recente.
Le due Unità di Alimentazione Terapeutica (UTF) erano state costrette a sospendere le attività, lasciando centinaia di bambini senza accesso alle cure salvavita di cui necessitavano. I bambini malnutriti che ricevono cure presso le nostre unità presentano un rischio di morte 12 volte superiore a quello dei bambini sani.
La chiusura aveva interrotto un servizio essenziale. Solo nel 2024, più di 1.000 bambini avevano ricevuto cure nutrizionali in queste strutture. In Afghanistan, dove il sistema sanitario è al collasso, l’accesso a trattamenti specialistici è estremamente difficile da reperire.
Da pochi giorni le unità di Kabul e Badakhshan sono state riaperte grazie al sostegno dell’UE, che giunge in un momento critico: si stima che la malnutrizione infantile in Afghanistan aumenterà del 20% nel 2025.
“L’Unione Europea ha sostenuto Azione Contro la Fame con cinque unità di alimentazione terapeutica (TFU) in tutto il Paese”, spiega Cobi Rietveld, direttore nazionale di ACF in Afghanistan. “A partire da questo mese, l’UE è intervenuta anche per sostenere le due unità di alimentazione terapeutica che erano state chiuse a causa dei tagli ai finanziamenti statunitensi. Grazie a questo sostegno, siamo in grado di salvare le vite dei bambini in condizioni critiche. Inoltre, il nostro personale sanitario dedicato alle TFU, che altrimenti rischierebbe la disoccupazione nell’attuale difficile situazione economica, può continuare a eseguire la propria professione”.
La perdita di questi posti di lavoro avrebbe colpito duramente le donne, che rappresentano il 68% del personale medico nelle strutture di Azione Contro la Fame. Wazhma N., che si è unita due anni fa al team sanitario presso l’unità di Kabul come infermiera, racconta quanto sia cruciale la struttura per il personale medico femminile: “Per molte di noi, non si tratta di un semplice posto di lavoro: è l’unico luogo in cui noi donne possiamo prestare servizio come professioniste mediche. La sua riapertura porta un immenso sollievo non solo a noi, ma anche ai pazienti che hanno un disperato bisogno di cure. Nutriamo la speranza che questa ancora di salvezza non sia temporanea, ma rimanga aperta per sempre”.
Nonostante l’intervento dell’UE permetta di garantire la continuità del servizio per i prossimi mesi, il contesto rimane critico. Dopo la sospensione dei finanziamenti statunitensi, in tutto il Paese sono stati chiusi circa 400 siti nutrizionali e oltre 400 strutture sanitarie. Le agenzie internazionali avvertono: nei prossimi mesi si rischia una grave carenza di farmaci essenziali, poiché le scorte stanno progressivamente esaurendosi.
L’Afghanistan è oggi tra i 15 Paesi con i più alti tassi di malnutrizione acuta: nel 2025, il numero di bambini sotto i cinque anni che necessitano di trattamenti nutrizionali è salito a 3,5 milioni, rispetto ai 3 milioni dell’anno precedente**. Il bisogno di aiuti umanitari resta urgente e crescente.
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Azione Contro la Fame è un’organizzazione umanitaria internazionale impegnata a garantire a ogni persona il diritto a una vita libera dalla fame. Specialisti da 46 anni, prevediamo fame e malnutrizione, ne curiamo gli effetti e ne preveniamo le cause. Siamo in prima linea in 56 paesi del mondo per salvare la vita dei bambini malnutriti e rafforzare la resilienza delle famiglie con cibo, acqua, salute e formazione. Guidiamo con determinazione la lotta globale contro la fame, introducendo innovazioni che promuovono il progresso, lavorando in collaborazione con le comunità locali e mobilitando persone e governi per realizzare un cambiamento sostenibile. Ogni anno aiutiamo 21.000.000 persone.
Papa Leone XIV invita a crescere in umanità

“In questi giorni il mio pensiero va spesso al popolo ucraino, colpito da nuovi, gravi attacchi contro civili e infrastrutture. Assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera per tutte le vittime, in particolare per i bambini e le famiglie. Rinnovo con forza l’appello a fermare la guerra e a sostenere ogni iniziativa di dialogo e di pace. Chiedo a tutti di unirsi nella preghiera per la pace in Ucraina e ovunque si soffre per la guerra. Dalla Striscia di Gaza si leva sempre più intenso al Cielo il pianto delle mamme e dei papà, che stringono a sé i corpi senza vita dei bambini, e che sono continuamente costretti a spostarsi alla ricerca di un po’ di cibo e di un riparo più sicuro dai bombardamenti. Ai responsabili rinnovo il mio appello: cessate il fuoco, siano liberati tutti gli ostaggi, si rispetti integralmente il diritto umanitario!”: al termine dell’udienza generale odierna, il pensiero di papa Leone XIV è andato al popolo ucraino ed ai bambini uccisi nella Striscia di Gaza.
Mentre nell’udienza generale il papa ha invitato ancora a meditare sulla parabola del samaritano, sottolineando che la vita ‘è fatta di incontri’ con l’invito a sostare davanti a chi è bisognoso: “Oggi vorrei parlarvi di una persona esperta, preparata, un dottore della Legge, che ha bisogno però di cambiare prospettiva, perché è concentrato su sé stesso e non si accorge degli altri. Egli infatti interroga Gesù sul modo in cui si ‘eredita’ la vita eterna, usando un’espressione che la intende come un diritto inequivocabile”.
Però tale parabola è anche un momento di crescita, perché invita alla relazione, che è un cammino: “Ma dietro questa domanda si nasconde forse proprio un bisogno di attenzione: l’unica parola su cui chiede spiegazioni a Gesù è il termine ‘prossimo’, che letteralmente vuol dire colui che è vicino. Per questo Gesù racconta una parabola che è un cammino per trasformare quella domanda, per passare dal chi mi vuole bene? al chi ha voluto bene? La prima è una domanda immatura, la seconda è la domanda dell’adulto che ha compreso il senso della sua vita. La prima domanda è quella che pronunciamo quando ci mettiamo nell’angolo e aspettiamo, la seconda è quella che ci spinge a metterci in cammino”.
Gesù di proposito sceglie una parabola di ‘strada’ per un paragone con la vita: “La parabola che Gesù racconta ha, infatti, come scenario proprio una strada, ed è una strada difficile e impervia, come la vita. E’ la strada percorsa da un uomo che scende da Gerusalemme, la città sul monte, a Gerico, la città sotto il livello del mare. E’ un’immagine che già prelude a ciò che potrebbe succedere: accade infatti che quell’uomo viene assalito, bastonato, derubato e lasciato mezzo morto. E’ l’esperienza che capita quando le situazioni, le persone, a volte persino quelli di cui ci siamo fidati, ci tolgono tutto e ci lasciano in mezzo alla strada”.
Sulla strada si decide ad essere ‘umani’: “La vita però è fatta di incontri, e in questi incontri veniamo fuori per quello che siamo. Ci troviamo davanti all’altro, davanti alla sua fragilità e alla sua debolezza e possiamo decidere cosa fare: prendercene cura o fare finta di niente. Un sacerdote e un levita scendono per quella medesima strada. Sono persone che prestano servizio nel Tempio di Gerusalemme, che abitano nello spazio sacro. Eppure, la pratica del culto non porta automaticamente ad essere compassionevoli. Infatti, prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani”.
Per il papa la ‘fretta’ della religiosità impedisce la compassione, che non succede al samaritano: “E’ proprio la fretta, così presente nella nostra vita, che molte volte ci impedisce di provare compassione. Chi pensa che il proprio viaggio debba avere la priorità, non è disposto a fermarsi per un altro.
Ma ecco che arriva qualcuno che effettivamente è capace di fermarsi: è un samaritano, uno quindi che appartiene a un popolo disprezzato. Nel suo caso, il testo non precisa la direzione, ma dice solo che era in viaggio. La religiosità qui non c’entra. Questo samaritano si ferma semplicemente perché è un uomo davanti a un altro uomo che ha bisogno di aiuto”.
Quindi la compassione esige gesti concreti, come li compie il samaritano: “La compassione si esprime attraverso gesti concreti. L’evangelista Luca indugia sulle azioni del samaritano, che noi chiamiamo ‘buono’, ma che nel testo è semplicemente una persona: il samaritano si fa vicino, perché se vuoi aiutare qualcuno non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare; gli fascia le ferite dopo averle pulite con olio e vino; lo carica sulla sua cavalcatura, cioè se ne fa carico, perché si aiuta veramente se si è disposti a sentire il peso del dolore dell’altro; lo porta in un albergo dove spende dei soldi, ‘due denari’, più o meno due giornate di lavoro; e si impegna a tornare ed eventualmente a pagare ancora, perché l’altro non è un pacco da consegnare, ma qualcuno di cui prendersi cura.
In conclusione l’invito del papa è quello di una maggior crescita in ‘umanità’: “Cari fratelli e sorelle, quando anche noi saremo capaci di interrompere il nostro viaggio e di avere compassione? Quando avremo capito che quell’uomo ferito lungo la strada rappresenta ognuno di noi. Ed allora la memoria di tutte le volte in cui Gesù si è fermato per prendersi cura di noi ci renderà più capaci di compassione. Preghiamo, dunque, affinché possiamo crescere in umanità, così che le nostre relazioni siano più vere e più ricche di compassione. Chiediamo al Cuore di Cristo la grazia di avere sempre di più i suoi stessi sentimenti”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV è vescovo di Roma

“Iniziando ufficialmente il ministero di Pastore di questa Diocesi, sento la grave ma appassionante responsabilità di servire tutte le sue membra, avendo a cuore anzitutto la fede del popolo di Dio, e quindi il bene comune della società. Per quest’ultima finalità siamo collaboratori, ciascuno nel proprio ambito istituzionale. Appena dopo l’elezione, ricordavo ai fratelli e alle sorelle convenuti in Piazza San Pietro che sono con loro cristiano e per loro vescovo: a titolo speciale, oggi posso dire che per voi e con voi sono romano!”: oggi pomeriggio papa Leone XIV (nel tragitto verso la Basilica di San Giovanni in Laterano per l’insediamento sulla Cattedra di vescovo di Roma) ha sostato in Piazza dell’Aracoeli ai piedi del Campidoglio per ricevere l’omaggio del Sindaco e della Città di Roma.
Ed ha ricordato l’impegno della Chiesa in questi due millenni: “Da due millenni la Chiesa vive il proprio apostolato in Roma annunciando il Vangelo di Cristo e prodigandosi nella carità. L’educazione dei giovani e l’assistenza verso chi soffre, la dedizione agli ultimi e la coltivazione delle arti sono espressioni di quella cura per la dignità umana che in ogni tempo dobbiamo sostenere, specialmente verso i piccoli, i deboli e i poveri. Nell’anno santo del Giubileo, questa sollecitudine si estende ai pellegrini provenienti da ogni parte del mondo, e si avvale anche dell’impegno profuso dall’Amministrazione Capitolina, per il quale esprimo viva gratitudine”.
E’ stato un invito a non perdere l’umanità: “Signor Sindaco, auspico che Roma, ineguagliabile per la ricchezza del patrimonio storico e artistico, si distingua sempre anche per quei valori di umanità e civiltà che attingono dal Vangelo la loro linfa vitale”.
Ringraziando il papa il sindaco di Roma ha specificato che la città è sulla strada indicata dal papa: “Roma è oggi una città impegnata a curare i suoi mali, in primo luogo occupandosi della condizione di sofferenza che vivono le tante periferie urbane e sociali che ancora esistono. In questo sforzo, sappiamo che la Chiesa di Roma, il suo Vescovo, le diocesi e le parrocchie, i volontari, camminano accanto a noi. Per dare qualità e dignità alla cittadinanza.
Abbiamo colto nelle sue parole, Santità, il senso di una Chiesa capace di mettersi in cammino, con coraggio, determinata a stare nel presente e tra le persone. Questa città è pronta ad accompagnarla, per contribuire ad affermare il paradigma di una nuova politica, di nuove relazioni tra popoli e Stati, di un miglioramento del modello sociale”.
Poi papa Leone XIV ha raggiunto la basilica di san Giovanni in Laterano per celebrare la messa per l’insediamento sulla Cathedra Romana: “La Chiesa di Roma è erede di una grande storia, radicata nella testimonianza di Pietro, di Paolo e di innumerevoli martiri, e ha una missione unica, ben indicata da ciò che è scritto sulla facciata di questa Cattedrale: essere Mater omnium Ecclesiarum, Madre di tutte le Chiese”.
Ed ha richiamato papa Francesco sulla maternità della Chiesa: “Spesso papa Francesco ci ha invitato a riflettere sulla dimensione materna della Chiesa e sulle caratteristiche che le sono proprie: la tenerezza, la disponibilità al sacrificio e quella capacità di ascolto che permette non solo di soccorrere, ma spesso di prevenire i bisogni e le attese, prima ancora che siano espresse. Sono tratti che ci auguriamo crescano ovunque nel popolo di Dio, anche qui, nella nostra grande famiglia diocesana: nei fedeli, nei pastori, in me per primo. Su di essi ci possono aiutare a riflettere le Letture che abbiamo ascoltato”.
Quindi occorre non smarrire la memoria: “In primo luogo lo Spirito ci insegna le parole del Signore imprimendole profondamente in noi, secondo l’immagine biblica della legge scritta non più su tavole di pietra, ma nei nostri cuori; dono che ci aiuta a crescere fino a renderci ‘lettera di Cristo’ gli uni per gli altri.
Ed è proprio così: noi siamo tanto più capaci di annunciare il Vangelo quanto più ce ne lasciamo conquistare e trasformare, permettendo alla potenza dello Spirito di purificarci nell’intimo, di rendere semplici le nostre parole, onesti e limpidi i nostri desideri, generose le nostre azioni. E qui entra in gioco l’altro verbo: ‘ricordare’, cioè tornare a rivolgere l’attenzione del cuore a ciò che abbiamo vissuto e appreso, per penetrarne più profondamente il significato e gustarne la bellezza”.
Infine ha ricordato il ‘lavoro’ svolto dalla diocesi: “Penso, in proposito, al cammino impegnativo che la Diocesi di Roma sta percorrendo in questi anni, articolato su vari livelli di ascolto: verso il mondo circostante, per accoglierne le sfide, e all’interno delle comunità, per comprendere i bisogni e promuovere sapienti e profetiche iniziative di evangelizzazione e di carità.
E’ un cammino difficile, ancora in corso, che cerca di abbracciare una realtà molto ricca, ma anche molto complessa. E’ però degno della storia di questa Chiesa, che tante volte ha dimostrato di saper pensare ‘in grande’, spendendosi senza riserve in progetti coraggiosi, e mettendosi in gioco anche di fronte a scenari nuovi e impegnativi”..
Mentre dopo la recita del Regina Coeli papa Leone XIV ha ricordato l’enciclica ‘Laudato sì’: “Dieci anni fa Papa Francesco firmava l’Enciclica Laudato si’, dedicata alla cura della casa comune. Essa ha avuto una straordinaria diffusione, ispirando innumerevoli iniziative e insegnando a tutti ad ascoltare il duplice grido della Terra e dei poveri. Saluto e incoraggio il movimento Laudato si’ e tutti coloro che portano avanti questo impegno”.
Ed anche la giornata di preghiera per la Cina: “Sempre ieri, memoria liturgica della Beata Vergine Maria Aiuto dei Cristiani, si è celebrata la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita dal Papa Benedetto XVI. Nelle chiese e nei santuari della Cina e in tutto il mondo si sono elevate preghiere a Dio come segno della sollecitudine e dell’affetto per i cattolici cinesi e della loro comunione con la Chiesa universale. L’intercessione di Maria Santissima ottenga a loro e a noi la grazia di essere testimoni forti e gioiosi del Vangelo, anche in mezzo alle prove, per promuovere sempre la pace e l’armonia”.
Prima della recita ha ricordato il significato del rimanere nell’amore di Dio: “Se rimaniamo nel suo amore, infatti, Lui stesso prende dimora in noi, la nostra vita diventa tempio di Dio e questo amore ci illumina, si fa spazio nel nostro modo di pensare e nelle nostre scelte, fino a espandersi anche verso gli altri e irradiare tutte le situazioni della nostra esistenza”.
In ciò consiste la bellezza della Chiesa: “E’ bello che, guardando alla nostra chiamata, alle realtà e alle persone che ci sono state affidate, agli impegni che portiamo avanti, al nostro servizio nella Chiesa, ciascuno di noi può dire con fiducia: anche se sono fragile, il Signore non si vergogna della mia umanità, anzi, viene a prendere dimora dentro di me. Egli mi accompagna col suo Spirito, mi illumina e mi rende strumento del suo amore per gli altri, per la società e per il mondo”.
(Foto: Santa Sede)
Da Cascia per diffondere il ‘profumo’ di Cristo

“In un mondo lacerato dai conflitti, Santa Rita ci ricorda che la pace è una scelta quotidiana, fatta di perdono, ascolto e riconciliazione. La sua santità nasce da gesti concreti e profondamente umani: fu figlia, sposa, madre e monaca, sempre capace di restare in relazione con gli altri anche nel dolore. Oggi, mentre si conclude la Festa a lei dedicata, sentiamo il bisogno di rilanciare un appello accorato alla pace, soprattutto per l’Ucraina e la Terra Santa, dove regnano sofferenza e ingiustizia. Per Rita, la pace era responsabilità, un cammino costruito con misericordia, comprensione dell’altro e coraggio.
E’ questa la strada che dobbiamo tornare a percorrere: la cura dell’altro, il dialogo, la compassione che ci rende umani. Ogni vita è unica e sacra. Solo così potremo disarmare davvero i nostri cuori e quelli del mondo. Raccogliendo l’invito di Papa Leone XIV, che mercoledì ha chiesto ai fedeli di pregare il Rosario per la pace, la nostra comunità si unisce alla sua voce: preghiamo per la fine della violenza nella Striscia di Gaza, per l’ingresso di aiuti umanitari e perché prevalga il bene sul male”: con queste parole suor Maria Grazia Cossu, badessa del monastero Santa Rita da Cascia, ha commentato la conclusione dei festeggiamenti in onore della ‘santa degli impossibili’ con migliaia di pellegrini da tutto il mondo.
La giornata era stata aperta dal pontificale, concelebrato con mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, e con p. Angel Moral Anton, priore generale degli Agostiniani, del card. Baldassare Reina, gran cancelliere del Pontificio Istituto ‘Giovanni Paolo II’, che nell’omelia ha chiesto di guardare a santa Rita come ‘compagna’ di cammino: “Quotidianamente la Chiesa ci propone modelli di santità: fratelli e sorelle che godono la piena beatitudine in cielo. Non per farci immaginare una santità lontana o ideale, ma per ricordarci che anche noi siamo chiamati alla santità. I santi ci sono accanto come protettori e compagni di cammino. Santa Rita va guardata con questo stesso sguardo”.
E la santità è per tutti: “Ogni volta che celebriamo la festa di un santo, il rischio è quello di tenerlo a distanza, pensando che quella santità non sia per noi. Ma la santità è per tutti. Se oggi siamo qui è perché vogliamo crescere nella santità. E’ bello vedere la grande devozione che c’è verso Santa Rita, non solo qui a Cascia, ma nel mondo intero. E allora, lasciamoci ispirare dalla sua vita: una vita segnata da grandi prove, una scelta religiosa osteggiata, un matrimonio difficile, il dolore per l’assassinio del marito, la morte dei figli, la sofferenza della spina accettata nella vita religiosa. Non è stata una vita facile, quella di santa Rita. Dobbiamo guardarla nella sua realtà concreta, segnata profondamente dalla sofferenza”.
Soffermandosi sulle letture odierne ha invitato i fedeli a vincere il ‘male con il bene’: “E’ un messaggio che contiene una profonda saggezza: il nostro cuore è fatto per il bene, non per il male. E’ fatto per amare, non per odiare. I sentimenti negativi possono anche entrare nel nostro cuore, ma non sono fatti per abitarlo. Il principio di vincere il male con il bene è quanto mai attuale. Santa Rita avrebbe potuto vendicare l’assassinio del marito. Avrebbe potuto rispondere al male con altro male e forse avrebbe anche ricevuto l’approvazione degli altri.
Ma ha scelto una strada diversa: ha scelto la via del Vangelo. Ha scelto di perdonare. Ed allora, guardiamo anche al nostro tempo. Un tempo segnato da un crescendo preoccupante di violenza, come ricordava l’arcivescovo all’inizio della Messa. papa Francesco parla di una ‘terza guerra mondiale a pezzi’. E papa Leone, affacciandosi dalla loggia subito dopo la sua elezione, ha invocato il dono della pace”.
E’ stato un invito a non abituarsi alla violenza: “Ci siamo talmente abituati alla violenza che abbiamo perso il senso di ribellione, di indignazione. Non riusciamo più nemmeno a dire: ‘Non è giusto. Non si fa. Non si tocca’. Ed invece no: la vita umana non si tocca. Che sia una donna, un bambino, un marito, una moglie, un lavoratore… la vita non si tocca.
Tra i tanti messaggi che santa Rita ci lascia, ce n’è uno che oggi non possiamo dimenticare: provare a vincere il male con il bene. Il male esiste, ci tocca, ci attraversa. Gli antichi lo chiamavano ‘mysterium iniquitatis’, il mistero del male. E’ un mistero, prima di tutto, per noi stessi. Perché nessuno di noi, al mattino, si alza con l’intenzione di fare il male. Eppure, lo facciamo”.
Per questo sono di estrema attualità le parole di papa Leone XIV a disarmare le parole: “Supera sempre con il doppio di amore. Non con il doppio di odio. Questo è un messaggio profetico. Qualche giorno fa, Papa Leone ha detto con chiarezza: ‘Dobbiamo disarmare il linguaggio’. E noi oggi lo sentiamo come un appello urgente: abbiamo bisogno di disarmare il linguaggio, i sentimenti, il cuore. Abbiamo bisogno di immaginare strade nuove, di costruire relazioni che siano davvero umane, prima ancora che cristiane.
Forse stiamo perdendo il ‘bene dell’intelletto’, stiamo perdendo la capacità di costruire una società che sia davvero a misura d’uomo. E se questo messaggio può sembrare forte, lo è. Ma è necessario. E allora, come si fa a perdonare? Come si fa ad amare il nemico? Gesù ce lo ha detto nel Vangelo: ‘Rimanete in me’. Rimanete nel mio amore. Come il tralcio che resta unito alla vite. Se rimaniamo in Lui, se osserviamo le sue parole, porteremo frutto”.
Ecco il motivo per cui il cristianesimo va vissuto quotidianamente: “Il cristianesimo non può essere la religione delle occasioni. Arriva la domenica, arriva il Natale, arriva la Pasqua, arriva una festa… ci ricordiamo di essere cristiani, ci avviciniamo a Dio, magari facciamo la Comunione. Ma poi? Il resto della vita non è toccato da quel Vangelo. Immaginate una vigna che potesse portare frutto semplicemente accostando il tralcio alla vite ogni tanto. Un contadino arriva, mette il tralcio lì accanto e spera in qualche grappolo d’uva. Non accadrà mai. Perché affinché arrivi il frutto, il tralcio deve essere profondamente, intimamente innestato alla vite”.
Questa è la grande ‘lezione’ di santa Rita: “E qui ritorna un altro messaggio forte della vita di Santa Rita. Una donna che ha vissuto un rapporto così intimo con il Signore Gesù da portare nel suo corpo i segni della sua Passione. Rimanere in Lui non significa avere una vita facile. La fede non è magia. Il cristianesimo non è magia. Siamo cristiani, sacerdoti, monache, consacrati e consacrate a vario titolo… e abbiamo vite complicate. Vite segnate dalla malattia, dalla fatica, da qualche fallimento, dalla tentazione. Esattamente come Santa Rita. E la fede è proprio ciò che ci aiuta ad affrontare tutto questo, con la consapevolezza che Dio è con noi. Che non ci abbandona. Rimanere in Lui. Mettere davvero radici in Dio. Sentirci a casa in Dio, non di passaggio”.
Quindi il ‘segreto’ è rimanere in Lui: “Possiamo essere provati dall’inizio alla fine della nostra vita, ma se siamo in Dio, siamo nella gioia. E sarà capitato anche a voi (come è capitato a me) di incontrare persone consacrate, sacerdoti, religiose, con la luce negli occhi. Non per l’assenza di problemi, ma perché avevano Dio. E oggi, più che mai, abbiamo bisogno di tornare a mettere Dio al centro, di andare in profondità”.
Concludendo l’omelia il card. Reina ha invitato a portare il ‘profumo di Cristo: “Non limitiamoci alla rosa che oggi è viva e domani appassisce. Il mondo ha bisogno di un altro profumo: non quello artificiale, ma il profumo della santità, della fraternità, della gentilezza, dell’accoglienza, del sentirsi famiglia. Cascia può essere quel centro da cui questo profumo si diffonde. Chiediamo a Santa Rita, insieme, che la sua intercessione faccia arrivare questo profumo fino ai confini della terra. Preghiamo per il mondo intero, per la Chiesa, per il Santo Padre”.
(Foto: Fondazione Santa Rita da Cascia)
Dalla cura per me alla cura per gli altri

La canzone ‘La cura per me’ di Giorgia tratta dell’amore come cura alla solitudine. È così che chi vive ai margini cerca di aggrapparsi all’amore/affetto di qualcuno. Un ‘samaritano’ che gli sta accanto o chi dice di ricambiare i suoi sentimenti e lo ama. Ci sono molte realtà, anche che si autodefiniscono cristiane, dove si cerca di accoppiare un utente solo e con difficoltà con un altro utente o un assistente a sua volta solo, ma con meno difficoltà. Questo è brutto perché svilisce i sentimenti e fa sentire, quando la persona lo capisce, non amabile. Cosa succede quando la persona non si accorge e aspetta con ansia il ritorno a casa dell’altro? Cosa succede quando l’amore è nella variabile amicizia tra aiuto e assistito?
Magari si tratta solo di una persona che necessita compagnia per un pò, sa intendere e volere ed ha solo bisogno di comprensione. Questo capita ad anziani, giovani o neo adulti con lievi difficoltà, magari fisiche. La canzone di Giorgia, se non per poche frasi che potrebbero di più fare pensare alla relazione amorosa, è adatta a tutti i tipi di amore. Perché l’ ‘amore è una cosa semplice’ , come fece notare Tiziano Ferro a suo tempo, ma non solo quando ‘c’è ed è vero e ti semplifica la vita’. Lo è anche e soprattutto quando capisci cosa vuol dire amore: amicizia, rapporto tra genitori e figli, fratellanza, sorellanza….anche questi sono tipi di amore.
L’assistenza a chi è solo, se fatta con il cuore, è una forma di amore. L’argomento è stato spesso trattato, ma già dal 2013, per papa Francesco, il tema delle ‘Periferie del Cuore’ era importante. Durante la Messa crismale del 2013, papa Francesco ha invitato i sacerdoti ad andare sia nella periferia geografica che in quella ‘esistenziale’. La periferia dell’esistenza comprende: persone sole, malate, non autosufficienti, abbandonate… Se, oltre ai preti, ciascuno di noi avesse in sé la capacità, o almeno la volontà, perché spesso è quella che manca, di amare gli altri per quello che sono con e per noi sarebbe ancora meglio. Bisogna aprirsi all’altro, sempre e senza riserve.
Chi vive nelle periferie esistenziali ha imparato ad agire come noi altri abbiano fatto da tempo. Restano concentrati su se stessi, sulla loro casa, professione, situazione personale… Ma c’è una differenza: per molto tempo, diversamente da chi non ha mai fatto parte del gruppo periferia esistenziale, loro non sono stati così ed hanno
cercato disperatamente di dimostrarlo, di fare vedere il proprio valore prima che, come nel caso dei malati, quella capacità venisse persa. A loro basta poco per tornare ad aprirsi ed a fidarsi, a differenza dei ‘centro esistenziale’ che si fanno molte ‘paranoie’. Il fatto è che per motivazioni economiche, narcisistiche (perché sì, se non vuoi farti vedere vicino a qualcuno che ha un difetto, anche lieve, o un altro colore della pelle perché la tua immagine si rovina e perdi i favori degli altri, sei un narciso) e altre ‘buone scuse’, queste persone sono state lasciate sole e quindi si centrano su se stesse e ciò che resta loro cercando disperatamente di non impazzire.
Il Papa ha chiesto di essere presenti ‘dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni’. Qui si allarga il discorso ma, per restare nel nostro contesto, i cattivi padroni possono contenere anche la differenza, la solitudine, l’abbandono e la malattia che, se non si risolvono con l’altrui aiuto, ti portano verso cattivi padroni peggiori, che credo conosciamo tutti e non debbano essere elencati. Il punto è che tutti lo sanno, ma finché non vengono toccati, gli altri’ che hanno il problema possono andare a quel paese. Quando, invece, tocca a chi non aveva avuto questo bisogno fino a poco prima, sembra che sia esplosa una bomba, scoppiata la guerra o qualche altra catastrofe. Allora qualcuno potrebbe fargli la domanda: ‘Ma come, non era mica una cosa da poco?’ Ed ecco un altro fatto da non sottovalutare circa le difficoltà di comunicazione tra le varie zone del mondo esistenziale e anche tra.’vecchia’ e ‘nuova’ periferia. Ma perché questo accade? Perché si crolla dalle stelle alle stalle?
Sempre nello stesso periodo, il papa aveva definito questo tempo quello dei soli senza solitudine ‘pensata e vissuta’: una difficoltà umana e profonda. L’invito del papa, era ed è ancora quello di uscire dal centralismo del ‘mi godo la mia bella vita, i miei soldi, la mia carriera, il mio successo’ da solo, escludendo gli altri, per buttarsi in quelle realtà di vera solitudine. . Non si capisce se non si tocca con mano, da fuori non si può comprendere perché la gente si attacchi a una debole speranza, a una promessa fatta, alla presenza di una persona che è disponibile spesso e dona momenti felici… Cosa si può consigliare alle persone che hanno un ruolo nelle vite di chi vive nelle periferie?
Prendete sul serio quello che state facendo con quella persona che ha bisogno di voi. Le cose cambiano e potrebbe succedere che siate voi ad avere bisogno di lei. E’ brutto da dire, ma non tutti perdonano, non tutti porgono l’altra guancia, anche se si etichettano come credenti. Quindi torna al conflitto tra vecchia e nuova periferia. Ci sono quelli che rendono pan per focaccia, anche solo per un po’ per fare pesare ciò che avete fatto di male, per poi aiutarvi e… amici come prima. Altre persone, più fragili, potrebbero non perdonare affatto e chiudervi la porta in faccia.
Potreste recuperare comunque, ma con più difficoltà. Una ferita a chi è stato illuso ed abbandonato per l’ennesima volta, fa molto male. Pensate bene: vorrei che fosse fatto a me quello che io ho fatto a questa persona?
Mi piacerebbe essere trattato con disprezzo, abbandonato per un immagine di successo personale (chissà poi se duratura e reale)? Vorrei credere che chi mi sta accanto e si comporta da amico lo sia davvero, per poi scoprire che per lui ‘era solo lavoro’? Se la risposta è no, allora siate sinceri, dite subito le vostre intenzioni, ma non atteggiatevi, poi, a quello che non siete, se sapete che per voi quel rapporto non è importante. Prima di pensare di lasciare una persona delle periferie esistenziali, assicuratevi di poterla davvero continuare a trattare come amica e non lasciatela sola da un giorno all’altro.
Sta a voi trovare sostituti accettabili, visto che ve ne andate di vostra volontà per inseguire il vostro ‘sogno di libertà. Ricordatevi che, spesso, proprio gli ‘ultimi’ sono quelli che danno di più a livello di tempo ed affetto, ma non per questo vanno sfruttati. Vanno davvero amati. Non sono il ‘tappabuco’ dei vostri conoscenti del ‘centro città e centro esistenziale’. Spesso sono angeli mandati sulla terra per consolare, dare amore, amicizia… L’unico modo per averli accanto, però, è andarli a cercare.
Andateli a cercare nelle loro case, nei centri per disabili, nelle case famiglia, negli ospedali, nelle carceri… Anche i luoghi abituali dove vedete persone sempre sole, ma desiderose di affetto vanno bene: scuola, parco, lavoro… Le periferie sono ovunque. Non lasciate che i soli restino tra loro, vivendo un contatto esclusivamente tramite i social con loro simili. Accoglieteli. Ricordatevi che chi vive nelle periferie esistenziali è una persona come voi con dei doveri, ma anche diritti. Ha sogni ed emozioni come voi.
Papa Francesco: nella malattia Dio non ci lascia soli

“Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della donna colta in adulterio. Mentre gli scribi e i farisei vogliono lapidarla, Gesù restituisce a questa donna la bellezza perduta: lei è caduta nella polvere; Gesù su quella polvere passa il suo dito e scrive per lei una storia nuova: è il ‘dito di Dio’, che salva i suoi figli e li libera dal male”: mentre mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione, sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, leggeva le prime parole dell’Angelus scritte da papa Francesco, egli è apparso in piazza san Pietro salutando i presenti al giubileo dei malati e della sanità, ringraziando per le preghiere.
Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato la cura che si deve agli ammalati: “Carissimi, come durante il ricovero, anche ora nella convalescenza sento il ‘dito di Dio’ e sperimento la sua carezza premurosa. Nel giorno del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, chiedo al Signore che questo tocco del suo amore raggiunga coloro che soffrono e incoraggi chi si prende cura di loro”.
Inoltre ha chiesto di pregare per tutti coloro che lavorano nella sanità: “E prego per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che non sempre sono aiutati a lavorare in condizioni adeguate e, talvolta, sono perfino vittime di aggressioni. La loro missione non è facile e va sostenuta e rispettata. Auspico che si investano le risorse necessarie per le cure e per la ricerca, perché i sistemi sanitari siano inclusivi e attenti ai più fragili e ai più poveri”.
Infine ha pregato per la pace nel mondo: “Continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, colpita da attacchi che provocano molte vittime civili, tra cui tanti bambini. E lo stesso accade a Gaza, dove le persone sono ridotte a vivere in condizioni inimmaginabili, senza tetto, senza cibo, senza acqua pulita. Tacciano le armi e si riprenda il dialogo; siano liberati tutti gli ostaggi e si soccorra la popolazione.
Preghiamo per la pace in tutto il Medio Oriente; in Sudan e Sud Sudan; nella Repubblica Democratica del Congo; in Myanmar, duramente provato anche dal terremoto; e ad Haiti, dove infuria la violenza, che alcuni giorni fa ha ucciso due religiose”.
Nella celebrazione eucaristica l’omelia del papa, letta da mons. Fisichella, è stato sottolineato la novità di Dio: “Sono le parole che Dio, attraverso il profeta Isaia, rivolge al popolo d’Israele in esilio a Babilonia. Per gli Israeliti è un momento difficile, sembra che tutto sia andato perduto. Gerusalemme è stata conquistata e devastata dai soldati del re Nabucodonosor II e al popolo, deportato, non è rimasto nulla. L’orizzonte appare chiuso, il futuro oscuro, ogni speranza vanificata. Tutto potrebbe indurre gli esuli a lasciarsi andare, a rassegnarsi amaramente, a sentirsi non più benedetti da Dio”.
In tale situazione c’è l’invito a vedere la novità: “Eppure, proprio in questo contesto, l’invito del Signore è a cogliere qualcosa di nuovo che sta nascendo. Non una cosa che avverrà in futuro, ma che già accade, che sta spuntando come un germoglio. Di che si tratta? Cosa può nascere, anzi cosa può essere già germogliato in un panorama desolato e disperato come questo?”
E’ la nascita di un popolo: “Quello che sta nascendo è un popolo nuovo. Un popolo che, crollate le false sicurezze del passato, ha scoperto ciò che è essenziale: restare uniti e camminare insieme nella luce del Signore. Un popolo che potrà ricostruire Gerusalemme perché, lontano dalla Città santa, con il tempio ormai distrutto, senza più poter celebrare solenni liturgie, ha imparato a incontrare il Signore in un altro modo: nella conversione del cuore, nel praticare il diritto e la giustizia, nel prendersi cura di chi è povero e bisognoso, nelle opere di misericordia”.
Ugualmente avviene nel Vangelo: “Pure qui c’è una persona, una donna, la cui vita è distrutta: non da un esilio geografico, ma da una condanna morale. E’ una peccatrice, e perciò lontana dalla legge e condannata all’ostracismo e alla morte. Anche per lei sembra non ci sia più speranza. Ma Dio non l’abbandona. Anzi, proprio quando già i suoi aguzzini stringono le pietre nelle mani, proprio lì, Gesù entra nella sua vita, la difende e la sottrae alla loro violenza, dandole la possibilità di cominciare un’esistenza nuova”.
Quindi le letture di questa domenica quaresimale indicano la necessità di porre la fiducia in Dio: “Con questi racconti drammatici e commoventi, la liturgia ci invita oggi a rinnovare, nel cammino Quaresimale, la fiducia in Dio, che è sempre presente vicino a noi per salvarci. Non c’è esilio, né violenza, né peccato, né alcun’altra realtà della vita che possa impedirgli di stare alla nostra porta e di bussare, pronto ad entrare non appena glielo permettiamo. Anzi, specialmente quando le prove si fanno più dure, la sua grazia e il suo amore ci stringono ancora più forte per risollevarci”.
Questo è vero anche nei momenti di malattia: “Sorelle e fratelli, noi leggiamo questi testi mentre celebriamo il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, e certamente la malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili. Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro.
Ma non è così. Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza. Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza e sa bene che cos’è il patire. Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”.
E la malattia si può trasformare in un ‘luogo santo’: “Ma non solo. Nel suo amore fiducioso, infatti, Egli ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, ‘angeli’, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un ‘luogo santo’ di salvezza e di redenzione”.
Poi si è rivolto ai medici ringraziando per le cure offerte ai malati: “Cari medici, infermieri e membri del personale sanitario, mentre vi prendete cura dei vostri pazienti, specialmente dei più fragili, il Signore vi offre l’opportunità di rinnovare continuamente la vostra vita, nutrendola di gratitudine, di misericordia, di speranza.
Vi chiama a illuminarla con l’umile consapevolezza che nulla è scontato e che tutto è dono di Dio; ad alimentarla con quell’umanità che si sperimenta quando, lasciate cadere le apparenze, resta ciò che conta: i piccoli e grandi gesti dell’amore. Permettete che la presenza dei malati entri come un dono nella vostra esistenza, per guarire il vostro cuore, purificandolo da tutto ciò che non è carità e riscaldandolo con il fuoco ardente e dolce della compassione”.
Un ultimo pensiero è stato rivolto agli ammalati, che possono sperimentare la misericordia di Dio: “Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno. Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire.
La camera dell’ospedale e il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore che dice anche a noi: ‘Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’ E così rinnovare e rafforzare la fede”.
L’omelia è stata conclusa con un pensiero di papa Benedetto XVI, che ha sperimentato la malattia: “Benedetto XVI (che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia) ha scritto che ‘la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza’ e che ‘una società che non riesce ad accettare i sofferenti… è una società crudele e disumana’. E’ vero: affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità”.
(Foto: Vatican Media)
Papa Francesco ai volontari: segno di speranza

“Mercoledì scorso, con il rito delle Ceneri, abbiamo iniziato la Quaresima, l’itinerario penitenziale di quaranta giorni che ci chiama alla conversione del cuore e ci conduce alla gioia della Pasqua. Impegniamoci perché sia un tempo di purificazione e di rinnovamento spirituale, un cammino di crescita nella fede, nella speranza e nella carità”: anche oggi il testo di papa Francesco dopo la recita dell’Angelus è stato solo consegnato,ricordando l’inizio del tempo quaresimale.
Ed ha ricordato il prezioso contributo nella società del volontariato, che oggi ha celebrato il giubileo: “Questa mattina, in Piazza San Pietro, è stata celebrata la santa Messa per il mondo del volontariato, che sta vivendo il proprio Giubileo. Nelle nostre società troppo asservite alle logiche del mercato, dove tutto rischia di essere soggetto al criterio dell’interesse e alla ricerca del profitto, il volontariato è profezia e segno di speranza, perché testimonia il primato della gratuità, della solidarietà e del servizio ai più bisognosi. A quanti si impegnano in questo campo esprimo la mia gratitudine: grazie per l’offerta del vostro tempo e delle vostre capacità; grazie per la vicinanza e la tenerezza con cui vi prendete cura degli altri, risvegliando in loro la speranza!”
Il suo è stato un ringraziamento a chi accudisce con cura coloro che necessitano di aiuto: “Fratelli e sorelle, nel mio prolungato ricovero qui in Ospedale, anch’io sperimento la premura del servizio e la tenerezza della cura, in particolare da parte dei medici e degli operatori sanitari, che ringrazio di cuore. E mentre sono qui, penso a tante persone che in diversi modi stanno vicino agli ammalati e sono per loro un segno della presenza del Signore. Abbiamo bisogno di questo, del ‘miracolo della tenerezza’, che accompagna chi è nella prova portando un po’ di luce nella notte del dolore”.
Il messaggio si è concluso con la richiesta di pregare per la pace per i popoli martoriati dalla guerra: “Insieme continuiamo a invocare il dono della pace, in particolare nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Libano e nel Myanmar, in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo. In particolare, ho appreso con preoccupazione della ripresa di violenze in alcune zone della Siria: auspico che cessino definitivamente, nel pieno rispetto di tutte le componenti etniche e religiose della società, specialmente dei civili”.
Mentre nell’omelia della celebrazione eucaristica, celebrata dal card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il papa aveva sottolineato il significato di deserto come cambiamento di vita: “Ogni anno, il nostro cammino di Quaresima inizia seguendo il Signore in questo spazio, che Egli attraversa e trasforma per noi. Quando Gesù entra nel deserto, infatti, accade un cambiamento decisivo: il luogo del silenzio diventa ambiente dell’ascolto.
Un ascolto messo alla prova, perché occorre scegliere a chi dare retta tra due voci del tutto contrarie. Proponendoci questo esercizio, il Vangelo attesta che il cammino di Gesù inizia con un atto di obbedienza: è lo Spirito Santo, la stessa forza di Dio, che lo conduce dove nulla di buono cresce dalla terra né piove dal cielo. Nel deserto, l’uomo sperimenta la propria indigenza materiale e spirituale, il bisogno di pane e di parola”.
Ed ha messo in evidenza le tre caratteristiche della tentazione a cui Gesù è sottoposto: “Anzitutto, nel suo inizio la tentazione di Gesù è voluta: il Signore va nel deserto non per spavalderia, per dimostrare quanto è forte, ma per la sua filiale disponibilità verso lo Spirito del Padre, alla cui guida corrisponde con prontezza. La nostra tentazione, invece, è subita: il male precede la nostra libertà, la corrompe intimamente come un’ombra interiore e un’insidia costante”.
Quindi anche a noi Dio mostra la sua vicinanza: “Il Signore ci è vicino e si prende cura di noi soprattutto nel luogo della prova e del sospetto, cioè quando alza la voce il tentatore. Costui è padre della menzogna, corrotto e corruttore, perché conosce la parola di Dio, ma non la capisce. Anzi, la distorce: come dai tempi di Adamo, nel giardino dell’Eden, così fa ora contro il nuovo Adamo, Gesù, nel deserto”.
Poi ha sottolineato il modo con cui il diavolo tenta: “Cogliamo qui il singolare modo col quale Cristo viene tentato, cioè nella relazione con Dio, il Padre suo. Il diavolo è colui che separa, il divisore, mentre Gesù è colui che unisce Dio e uomo, il mediatore. Nella sua perversione, il demonio vuole distruggere questo legame, facendo di Gesù un privilegiato: ‘Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane’… Davanti a queste tentazioni Gesù, il Figlio di Dio, decide in che modo essere figlio. Nello Spirito che lo guida, la sua scelta rivela come vuole vivere la propria relazione filiale col Padre”.
Ma Dio non abbandona: “Anche noi veniamo tentati nella relazione con Dio, ma all’opposto. Il diavolo, infatti, sibila alle nostre orecchie che Dio non è davvero nostro Padre; che in realtà ci ha abbandonati. Satana mira a convincerci che per gli affamati non c’è pane, tanto meno dalle pietre, né gli angeli ci soccorrono nelle disgrazie.
PSemmai, il mondo sta in mano a potenze malvagie, che schiacciano i popoli con l’arroganza dei loro calcoli e la violenza della guerra. Proprio mentre il demonio vorrebbe far credere che il Signore è lontano da noi, portandoci alla disperazione, Dio viene ancora più vicino a noi, dando la sua vita per la redenzione del mondo”.
Proprio da questa consapevolezza della filiazione a Dio Gesù ‘vince’ le tentazioni: “Gesù, il Cristo di Dio, vince il male. Egli respinge il diavolo, che tuttavia tornerà a tentarlo ‘al momento fissato’… Nel deserto il tentatore viene sconfitto, ma la vittoria di Cristo non è ancora definitiva: lo sarà nella sua Pasqua di morte e risurrezione”.
Così davanti alla tentazione anche noi siamo redenti nella Pasqua: “La nostra prova non finisce dunque con un fallimento, perché in Cristo veniamo redenti dal male. Attraversando con Lui il deserto, percorriamo una via dove non ne era tracciata alcuna: Gesù stesso apre per noi questa strada nuova, di liberazione e di riscatto. Seguendo con fede il Signore, da vagabondi diventiamo pellegrini”.
Ciò è reso possibile anche dall’opera dei volontari: “Vi ringrazio molto, carissimi, perché sull’esempio di Gesù voi servite il prossimo senza servirvi del prossimo. Per strada e tra le case, accanto ai malati, ai sofferenti, ai carcerati, coi giovani e con gli anziani, la vostra dedizione infonde speranza a tutta la società. Nei deserti della povertà e della solitudine, tanti piccoli gesti di servizio gratuito fanno fiorire germogli di umanità nuova: quel giardino che Dio ha sognato e continua a sognare per tutti noi”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco invita a celebrare bene la liturgia

‘Come nei giorni scorsi, la notte è trascorsa tranquilla e il Papa ora sta riposando’: lo ha reso noto la Sala Stampa Vaticana nell’aggiornamento di stamani, 28 febbraio, sullo stato di salute del Pontefice ricoverato dal 14 febbraio al Policlinico Gemelli. Anzi nei giorni scorsi ha inviato anche un messaggio ai partecipanti al ‘Corso internazionale di formazione per responsabili delle celebrazioni liturgiche del vescovo’ svoltosi a Roma in cui ha invitato a studiare la liturgia:
“Tale dimensione tocca la vita del popolo di Dio e gli rivela la sua vera natura spirituale. Perciò il responsabile delle celebrazioni liturgiche non è soltanto un docente di teologia; non è un rubricista, che applica le norme; non è un sacrestano, che prepara ciò che serve per la celebrazione. Egli è un maestro posto al servizio della preghiera della comunità. Mentre insegna umilmente l’arte liturgica, deve guidare tutti coloro che celebrano, scandendo il ritmo rituale e accompagnando i fedeli nell’evento sacramentale”.
E’ stato un invito alla cura liturgica delle celebrazioni: “Come mistagogo, predispone ogni celebrazione con saggezza, per il bene dell’assemblea; traduce in prassi celebrativa i principi teologici espressi nei libri liturgici; affianca e sostiene il Vescovo nel ruolo di promotore e custode della vita liturgica. Così coadiuvato, il pastore può condurre dolcemente tutta la comunità diocesana nell’offerta di sé al Padre, a imitazione di Cristo Signore”.
Per questo è importante la cura della preghiera: “In ogni vostra mansione, non dimenticate che la cura per la liturgia è anzitutto cura per la preghiera, cioè per l’incontro con il Signore. Proclamando Santa Teresa d’Avila dottore della Chiesa, san Paolo VI ne definiva l’esperienza mistica come un amore che diventa luce e sapienza: sapienza delle cose divine e delle cose umane.
Questa grande maestra della vita spirituale vi sia di esempio: infatti, preparare e guidare le celebrazioni liturgiche significa coniugare tra loro sapienza divina e sapienza umana. La prima si acquisisce pregando, meditando, contemplando; la seconda viene dallo studio, dall’impegno di approfondire, dalla capacità di mettersi in ascolto”.
E’ stato un invito a ‘guardare’ i fedeli: “Per riuscire in questi compiti, vi consiglio di tenere lo sguardo rivolto al popolo, del quale il Vescovo è pastore e padre: questo vi aiuterà a capire le esigenze dei fedeli, come pure le forme e le modalità per favorire la loro partecipazione all’azione liturgica”.
Per celebrare bene occorre coniugare dottrina e pastorale: “Poiché il culto è opera di tutta l’assemblea, l’incontro tra dottrina e pastorale non è una tecnica opzionale, bensì un aspetto costitutivo della liturgia, che deve sempre essere incarnata, inculturata, esprimendo la fede della Chiesa. Di conseguenza, le gioie e le sofferenze, i sogni e le preoccupazioni del popolo di Dio possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare.
Mi piace richiamare, a riguardo, quanto scriveva il primo preside del Pontificio Istituto Liturgico, l’Abate benedettino Salvatore Marsili. Era il 1964: con lungimiranza egli invitava a prendere coscienza del messaggio del Concilio Vaticano II, alla luce del quale non è possibile una vera pastorale senza liturgia, perché la liturgia è il culmine a cui tende tutta l’azione della Chiesa”.
Però per il mercoledì delle Ceneri le celebrazioni saranno presiedute dal Penitenziere Maggiore il Cardinale Angelo De Donatis, e in prospettiva si attendono gli esercizi spirituali della Curia Romana che iniziano la prima domenica di Quaresima.
Da Trieste mons. Trevisi invita a curare la vita spirituale

“… si apre un anno ricco di prospettive. Qui ne tratteggio alcune, a partire dalla convinzione che il Signore ci accompagna. Che non siamo soli. Che guardiamo al futuro consapevoli di essere con lo Spirito Santo: e dunque di aprire cuore e intelligenza per cogliere una parola, anzi una Presenza che getta luce e speranza e che responsabilizza. Abbiamo bisogno di rielaborare quanto papa Francesco ci ha detto. Non possiamo archiviare il mandato ricevuto. Dobbiamo ripensare e rimeditare, anche con il supporto di quanto vissuto nella ‘Settimana sociale dei Cattolici in Italia’ che si è tenuta dal 3 al 7 luglio 2024. Siamo chiamati con la Chiesa universale a vivere il Giubileo del 2025: ‘Pellegrini di speranza’è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.
E’ l’inizio della lettera pastorale (‘Io sono con te’) del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, che invita tutti ad essere ‘pellegrini di speranza’ nell’anno giubilare: “Pellegrini di speranza è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.
Nella lettera il vescovo di Trieste ha evidenziato una realtà, quella che Gesù non abbandona nessuno: “Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove ‘Paraclito’ (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. E’ Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore).
E’ con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio”.
Partendo da questa evidenza gli abbiamo chiesto di raccontare la genesi di questa lettera: “La fede cristiana al suo centro ha Dio, come ci è rivelato in Gesù Cristo. Non una dottrina, non una serie di regole morali, ma Dio che ci viene incontro dentro una storia che ha il suo culmine nel Signore Gesù, il Figlio Unigenito che si fa carne umana e ci rivela il volto misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Nel mio motto episcopale (‘Admirantes Iesum’) ho invitato a guardare a Gesù con ammirazione, a tenere fisso lo sguardo su di Lui ma con meraviglia. La mia prima Lettera pastorale (da un versetto del Salmo 33) l’ho intitolata: ‘Guardate a Lui e sarete raggianti’. E già portava nella direzione di essere con lo sguardo su Dio, anzi su Gesù che ne è la Rivelazione compiuta. Da lì poi la declinazione dei vari cantieri sinodali, dei vari impegni di rinnovamento della nostra Chiesa.
Nella Lettera pastorale di quest’anno (‘Io son con te’) ho ancora riproposto di partire dalla presenza di Dio in ogni stagione della storia e della vita. ‘Io sono con te’ è un’espressione che (con le sue varianti) ritorna continuamente: inizio dalla trama di famiglia di Isacco e Giacobbe e colgo come questa promessa viene continuamente ripetuta. Ad Isacco: ‘Io sarò con te e ti benedirò’; ‘Non temere, perché io sono con te…’. A Giacobbe ‘Io sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai, non ti abbandonerò’.
E da qui sono partito a rintracciare che a Mosè, a Giosuè, a Gedeone, al popolo di Israele, a Geremia, fino ad arrivare a Maria e agli apostoli questa promessa viene ripetuta: talvolta al singolare, talvolta al plurale, talvolta al presente (sono con te/con voi) e talvolta al futuro (sarò con te/con voi)”.
E’ iniziato il Giubileo: come essere ‘pellegrini di speranza’ nella ferialità?
“Per me vivere la speranza significa camminare sapendo che Dio non ci abbandona ma ci protegge, è con me, con noi, ovunque ci accompagna. Dentro i vissuti concreti che ci contraddistinguono saper scorgere che Dio rimane con noi e ci consente di essere segno della sua misericordia: un anticipo rispetto alla pienezza che ci attende in Paradiso. E così in ogni nostro incontro, in ogni nostro giorno, noi possiamo restare stupiti che Dio passa anche attraverso la nostra piccolezza, il nostro essere ‘servi inutili’. E per mezzo dello Spirito saper dare la nostra adesione, come Maria, ad un Dio ricco di misericordia, ma che vede la nostra piccolezza, che però è preziosa, e dunque siamo chiamati ad amarlo nei nostri fratelli e sorelle, soprattutto nei più fragili”.
Perché non si deve temere di incontrare Gesù?
“Tutti noi conosciamo persone tristi, amareggiate, che hanno perso il gusto della vita. Io penso che con Gesù possiamo ritrovare la preziosità di quel che siamo. Noi siamo gli amati da Dio e la prova è che il suo Figlio per me si è dato totalmente, fino alla croce. E io posso (con l’aiuto dello Spirito Santo) dare l’occasione a Dio di mostrare la sua premura per ogni persona che incontro. La mia testimonianza è essere segno di Lui, della sua vicinanza a chiunque”.
In quale modo la preghiera può nutrire?
“Una ragazza diceva: ‘Mi avete insegnato a dire le preghiere ma non a pregare’. Penso questa sia una sfida urgente: vivere Gesù non come una dottrina o come una pagina di storia passata, ma come un tu con cui incontrarsi e vivere un’amicizia, una condivisione di speranze e progetti. Scrutare una pagina di Vangelo, fermarsi in silenzio ad adorare l’Eucaristia, ritornare come i due discepoli di Emmaus a raccontare che il cuore ardeva mentre quel viandante parlava (ed era Gesù). Tante le esperienze di preghiera che riaccendono entusiasmo e motivazioni per la vita concreta. Si tratta di una preghiera che non si riduce ad una formula, ma che è una relazione capace di illuminare la vita e le scelte da prendere”.
In quale modo è possibile nutrire una fede inquieta?
“Incontrando Gesù ed evitando che resti un personaggio da museo, ma un Qualcuno di vivo che mi porta a percorrere le strade delle mie responsabilità, anche passando attraverso il suo perdono. E farlo insieme, combinando momenti di solitudine e di silenzio con momenti comunitari (il nostro essere Chiesa) in cui usciamo da nostre autoreferenzialità e derive unicamente emotive”.
Quindi per quale motivo invita a prendersi cura della vita spirituale?
“Trovo strano che i genitori si preoccupino che i figli vadano a scuola o facciano sport (che alimentino la loro intelligenza e si prendano cura del loro corpo), ma che non si ingegnino ad aiutarli a prendersi cura della loro coscienza, del loro cuore e dunque della loro vita spirituale. L’aumento di giovani che hanno disturbi depressivi, alimentari, atti di autolesionismo… dovrebbe portarci a comprendere che oggi è indispensabile prendersi cura della propria vita spirituale: e lì si incontra il mistero di quello che siamo e speriamo, ma anche il mistero di un Dio che cerchiamo e che ci cerca”.
(Tratto da Aci Stampa)