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A Specchia la festa di santa Fumìa  

L’Associazione Santa Eufemia di Specchia comunica che, dopo 15 anni dall’ultima edizione, nella serata di oggi, nei pressi dell’omonima chiesa (raggiungibile dalla Strada Comunale Paduligne), si svolgerà ‘La Festa di Santa Fumìa’, evento, con il patrocinio del Comune di Specchia, che permetterà di ritornare alle radici della storia di questo luogo sacro simbolico, con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale e spirituale del territorio. La festa si svolgerà in un clima di rispetto, sobrietà e attenzione al valore del luogo, avendo come obiettivo principale quello di trasmettere ‘senso di comunità, radicamento e bellezza’ e il rispetto dell’ambiente.

Il programma della serata prevede la celebrazione della Santa Messa alle ore 19.00, presieduta da don Antonio Riva, Parroco di Specchia. Alle ore 20.00 si svolgerà ‘Kids Diy!’ Creative workshop, a cura di Cicciopasticcio, un laboratorio artistico/espressivo per i più piccoli (Info 3394667605 per prenotare il kit). Dalle bancarelle collocate nel Parchetto della Chiesa di santa Eufemia, sarà possibile acquistare dei manufatti artigianali e gustare dei prodotti tipici agroalimentari dallo stand gastronomico.

Alle ore 21.30, sarà possibile seguire il concerto della band ‘Io te e Puccia’. Il gruppo musicale coordinato dal cuore e dalla mente di Puccia (voce e fisarmonica degli Après La Classe), è nato dall’idea di riproporre in chiave attuale, i grandi classici della tradizione musicale salentina e non! Un “orchestra” di 5 musicisti salentini, da tempo affermati sulla scena musicale nazionale: Manu Pagliara e Mike Minerva (chitarra e basso dei Bundamove), Gabriele Blandini (tromba di Manu Chao e Bundamove), Gianmarco Serra (batterista degli Après La Classe) ed Edo Zimba (tamburellista degli Zimbaria, nonché figlio del grande Pino).

Il live e lo spettacolo di ‘Io, te e Puccia’, infatti, nascono dall’idea di riproporre in chiave contemporanea, quasi punk-folk, i grandi classici della canzone salentina e non, passando dal grande Bruno Petrachi, al Tango di Piazzolla, dal poliedrico Renzo Arbore al maestro Pino Zimba, fino agli stornelli popolari.

La Chiesa di Santa Eufemia, o ‘Santa Fumìa’ come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano, dove vi era un insediamento di età romana denominato Grassano, un agglomerato urbano di cui è scomparso persino il ricordo nella Specchia attuale, ma del quale non sono scomparsi i resti architettonici ed i reperti archeologici.

La Chiesa, costruita riutilizzando conci e colonne in pietra leccese provenienti dal casale di Grassano, presenta una pianta longitudinale (15,30 X 8,55 metri) e un’abside di tipo poligonale esternamente e semicircolare internamente, di chiara derivazione altomedievale, rivolta ad oriente, ossia il punto in cui sorge il sole (simbolo della divinità cristiana) nel giorno in cui si celebrava la festa della santa alla quale la chiesa è dedicata. Il luogo sacro è tra i tre più antichi della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, insieme alla Chiesa di San Giovanni di Patù e quella di San Pietro a Giuliano di Lecce.

Come il culto della santa sia arrivato in Occidente e perché a Specchia, i libri di storia locale non lo riportano, come pure è ignoto se sia giunto direttamente dalla Grecia o per altre vie. Si suppone che la devozione sia stata portata a Specchia da qualche pellegrino o mercante, o crociato o sacerdote che dall’Oriente si rifugiò nel Salento, dato che in paese, esistono altre testimonianze della grecità.

Nell’anno in corso del Giubileo, questo luogo sacro assume un significato storico, in quanto è situato poco distante dall’antica ‘Via dei Pellegrini’, l’itinerario che i fedeli dei secoli scorsi percorrevano per raggiungere il Santuario di S. Maria di Leuca, oppure in senso contrario, la città santa di Roma, eleggendo la chiesa a luogo di riposo spirituale e fisico.

Le ricerche effettuate intorno alla chiesa, dalla Soprintendenza archeologica, hanno portato alla luce numerosi esempi dell’arte della creta di certa provenienza africana che testimoniano come S. Eufemia sorgesse lungo l’importante via di comunicazione tra Adriatico e Jonio, da Vaste a Vereto.

La chiesa, ridotta a un rudere, circa cinquant’anni fa, fu oggetto di un lungo e laborioso intervento di ricostruzione, e lo scorso anno, grazie ai finanziamenti del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono stati eseguiti dei lavori di recupero conservativo che hanno riguardato, soprattutto, la sostituzione del tetto in metallo con uno in legno e degli infissi. Dal 1992 è curata e fatta conoscere grazie all’impegno del sodalizio specchiese, che valorizza, promuove e tutela il monumento storico e l’annesso terreno adibito a Parco.

Giorgio La Pira: attualità di un pensiero per la pace

In occasione del settimo anniversario del riconoscimento di Giorgio La Pira come Venerabile della Chiesa cattolica, si terrà a Roma il convegno ‘Giorgio La Pira: attualità di un pensiero per la pace’, promosso da Vision & Global Trends – International Institute for Global Analyses, in collaborazione con l’On. Fabio Porta (Commissione Affari Esteri – Camera dei deputati), con il patrocinio della Fondazione Giorgio La Pira e della Società Italiana di Geopolitica – Progetto di Vision & Global Trends.

L’incontro – ospitato lunedì 7 luglio 2025 presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati – vuole essere un omaggio profondo ed articolato alla figura del ‘sindaco santo’ di Firenze: testimone del Vangelo, intellettuale profetico e protagonista del dialogo tra i popoli. Ma non solo. Il convegno si propone come uno spazio di riflessione politica, culturale e spirituale sull’eredità di La Pira, oggi più che mai attuale, in un mondo attraversato da conflitti, instabilità e trasformazioni globali.

Durante la Guerra Fredda, La Pira seppe elaborare e praticare una politica di pace che superava i confini ideologici, con gesti coraggiosi come i viaggi a Mosca e Hanoi, l’impegno per il disarmo, il dialogo interreligioso e la promozione dello sviluppo nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Il suo sguardo universalista e cristiano anticipava un ordine internazionale fondato sulla giustizia, la dignità umana e la cooperazione.

Rileggere oggi il suo pensiero significa interrogarsi sulla possibilità di una nuova cultura politica della pace, capace di coniugare idealismo e concretezza, spiritualità e progettualità, soprattutto in relazione al ruolo dell’Italia in uno scenario multipolare dove emergono nuovi attori come Cina, India e i paesi dell’Africa. Il convegno vedrà la partecipazione di accademici, analisti, amministratori pubblici e protagonisti della vita politica e sarà articolato in tre sessioni: sulla testimonianza di pace di La Pira, sui suoi fondamenti filosofici e politici, e sulla sua visione geopolitica.

PROGRAMMA

16:00 – Apertura dei lavori

• Fabio Porta – Commissione Affari Esteri – Camera dei deputati

• Tiberio Graziani – Vision & Global Trends

16:30 – Relazioni

Giorgio La Pira, messaggero di pace

• Abbattere i muri, costruire i ponti: Giorgio La Pira e la Pace

Patrizia Giunti – Fondazione Giorgio La Pira

• Sulla strada del “sindaco santo”: Comuni e cultura della Pace

Sergio Moscone – Sindaco di Serralunga d’Alba

Pensiero e azione in Giorgio La Pira

• I principi del personalismo nella visione politica di Giorgio La Pira

Giulio Alfano – Pontificia Università Lateranense

• La lezione di La Pira e i democratici cristiani europei

AntonGiulio de’ Robertis – Università degli Studi di Bari

La visione geopolitica di Giorgio La Pira

• Il ruolo geopolitico del Mediterraneo nel pensiero di Giorgio La Pira

Maurizio Gentilini – ISEM, Consiglio Nazionale delle Ricerche

• La “via italiana” di Giorgio La Pira e la trasformazione odierna degli equilibri internazionali

Maurizio Vezzosi – Analista di geopolitica

Per accedere è obbligatoria la registrazione. Inviare la richiesta di registrazione entro il 3 luglio a:info@vision-gt.eu

L’appello di papa Leone XIV ad aiutare il Medio Oriente cristiano

“So che per voi sostenere le Chiese Orientali non è anzitutto un lavoro, ma una missione esercitata in nome del Vangelo che, come indica la parola stessa, è annuncio di gioia, che rallegra anzitutto il cuore di Dio, il quale non si lascia mai vincere in generosità. Grazie perché, insieme ai vostri benefattori, seminate speranza nelle terre dell’Oriente cristiano, mai come ora sconvolte dalle guerre, prosciugate dagli interessi, avvolte da una cappa di odio che rende l’aria irrespirabile e tossica. Voi siete la bombola di ossigeno delle Chiese Orientali, sfinite dai conflitti. Per tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di fede, siete una luce che brilla nelle tenebre dell’odio. Vi prego, col cuore in mano, di fare sempre tutto il possibile per aiutare queste Chiese, così preziose e provate”: con queste parole papa Leone XIV ha incontrato il card. Claudio Gugerotti, gli altri Superiori del Dicastero, gli Officiali ed i membri delle Agenzie della ROACO (Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali).

Durante l’incontro ha ricordato le violenze subite ed anche compiute dalle Chiese orientali: “La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita; purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica, incapace di riconoscere e apprezzare il valore di tradizioni diverse da quella occidentale. Ma oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima”.

Ma anche quelle attuali: “Ne ha risentito pure la vostra sessione annuale, con l’assenza fisica di quanti sarebbero dovuti venire dalla Terra Santa, ma non hanno potuto intraprendere il viaggio. Il cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news”.

Ha tracciato anche una strada in cui anche i cristiani possono portare pace: “E mi chiedo: da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare? Credo che anzitutto occorra veramente pregare. Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio. E poi aiutare, come fate voi e come molti fanno, e possono fare, attraverso di voi.

Ma c’è di più, e lo dico pensando specialmente all’Oriente cristiano: c’è la testimonianza. E’ la chiamata a rimanere fedeli a Gesù, senza impigliarsi nei tentacoli del potere. E’ imitare Cristo, che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile”.

Quindi l’invito è lo sguardo a Gesù: “Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione. Seguiamo Cristo, che ha liberato i cuori dall’odio, e diamo l’esempio perché si esca dalle logiche della divisione e della ritorsione. Vorrei ringraziare e idealmente abbracciare tutti i cristiani orientali che rispondono al male con il bene: grazie, fratelli e sorelle, per la testimonianza che date soprattutto quando restate nelle vostre terre come discepoli e come testimoni di Cristo”.

E la memoria ritorna all’attentato alla chiesa di Damasco: “Cari amici della ROACO, nel vostro lavoro voi vedete, oltre a molte miserie causate dalla guerra e dal terrorismo (penso al recente terribile attentato nella chiesa di sant’Elia a Damasco) anche fiorire germogli di Vangelo nel deserto. Scoprite il popolo di Dio che persevera volgendo lo sguardo al Cielo, pregando Dio e amando il prossimo. Toccate con mano la grazia e la bellezza delle tradizioni orientali, di liturgie che lasciano abitare a Dio il tempo e lo spazio, di canti secolari intrisi di lode, gloria e mistero, che innalzano un’incessante richiesta di perdono per l’umanità. Incontrate figure che, spesso nel nascondimento, vanno ad aggiungersi alle grandi schiere dei martiri e dei santi dell’Oriente cristiano. Nella notte dei conflitti siete testimoni della luce dell’Oriente”.

Infine l’invito a tutti i cristiani ad una maggiore conoscenza della ‘cultura’ delle Chiese orientali: “Vorrei che questa luce di sapienza e di salvezza sia più conosciuta nella Chiesa cattolica, nella quale sussiste ancora molta ignoranza al riguardo e dove, in alcuni luoghi, la fede rischia di diventare asfittica anche perché non si è realizzato il felice auspicio espresso più volte da san Giovanni Paolo II…E c’è bisogno pure di incontro e di condivisione dell’azione pastorale, perché i cattolici orientali oggi non sono più cugini lontani che celebrano riti ignoti, ma fratelli e sorelle che, a motivo delle migrazioni forzate, ci vivono accanto. Il loro senso del sacro, la loro fede cristallina, resa granitica dalle prove, e la loro spiritualità che profuma del mistero divino possono giovare alla sete di Dio latente ma presente in Occidente”.

La giornata ‘papale’ era stata aperta dall’incontro con i vescovi delle congregazioni redentoriste e scalabriniane: “Tutti e due furono fondatori, diventarono vescovi e seppero rispondere alle sfide di sistemi sociali ed economici che, se da una parte aprivano nuove frontiere a vari livelli, dall’altra si lasciavano alle spalle tanta miseria inascoltata e tanti problemi, creando sacche di degrado di cui nessuno sembrava volersi occupare…

Anche nel nostro mondo l’opera del Signore sempre ci precede: ad essa siamo chiamati a conformare le nostre menti e i nostri cuori attraverso un sapiente discernimento; e sono convinto che il confronto che avete promosso sarà molto utile a questo scopo. Vi incoraggio, perciò, a mantenere e a coltivare anche per il futuro questi rapporti di aiuto fraterno, con generosità e disinteresse, per il bene di tutto il Gregge di Cristo”.

(Foto: Santa Sede)

Giugno Antoniano 2025, sabato 14 giugno da Gattamelata a Donatello fino al Santuario della visione sui passi di Antonio

Una giornata, quella di sabato 14 giugno, all’insegna dell’arte, della storia e della spiritualità. Tre gli eventi organizzati nell’ambito del Giugno Antoniano 2025. Si comincia alle ore 10.00 a Camposampiero (PD) con ‘Sui passi di Antonio’, una visita guidata con partenza dal Santuario della Visione. A fare da Ciceroni al pubblico una guida dell’Ufficio Turistico del Camposampierese, affiancata dallo scultore Romeo Sandrin, l’autore del percorso di sculture in bronzo ‘Vangelo e Carità’ ai Santuari Antoniani.

I visitatori avranno la possibilità di conoscere il volto medievale della cittadina dell’Alta Padovana e la figura di sant’Antonio che qui trascorse l’ultimo mese della sua vita terrena nel convento francescano. Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria: info@camposampierese.it – www.camposampierese.it.

Sempre sabato 14 giugno, alle ore 16.45 in Sala Studio Teologico al Santo, l’incontro culturale ‘Gattamelata e la sua famiglia tra Narni e Padova’ racconterà la figura di Erasmo da Narni, partendo dalla presentazione del libro curato da Giovanna Baldissin Gattamelata, il suo tempo, la sua vita e la sua eredità (Atti del convegno di studio, Narni 2024). A dialogare con l’autrice Dario Canzian, docente di Storia Medievale del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova, e padre Luciano Bertazzo, direttore del Centro Studi Antoniani.

Il libro raccoglie una serie di interventi relativi al mestiere delle armi tra Medioevo e Rinascimento, prestando particolare attenzione a Erasmo da Narni, alla sua vita e alle circostanze politiche che fanno da sfondo al suo trasferimento al servizio della Repubblica di Venezia, nella difesa dei confini occidentali dello Stato di Terraferma, e infine al legame che mantenne con la sua città natale. Interverranno anche una delegazione del Comune di Narni e la presidente dell’Ente Corsa All’Anello, Patrizia Nannini. La Corsa all’Anello è la manifestazione che da oltre cinquant’anni raccoglie e fa memoria dell’identità, della storia, della cultura di Narni e ha promosso il convegno di cui il volume raccoglie gli atti.

Ultimi posti per la visita guidata in notturna “Le notti di Donatello al Santo” di sabato 14 giugno alle ore 21.00, promossa dalla Pastorale dell’Arte al Santo (PAS) in esclusiva per il Giugno Antoniano 2025. La serata propone un percorso di visita tra i capolavori dell’artista fiorentino, incontrando Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, e la sua sposa, Madonna Giacoma da Leonessa, una delle donne più ricche e intriganti della Padova del Quattrocento, e molto altro. Un intreccio affascinate tra fede, arte e storia nel fiorire del Rinascimento in Basilica. Il percorso guidato dura 1 ora e 30 minuti.

Ingresso a pagamento con prenotazione obbligatoria on line su Santantonio.org/Arte al Santo (https://service.santantonio.org/le-notti-di-donatello-al-santo/). Per ulteriori informazioni o per essere inseriti nelle liste di attesa per prossimi eventi: infobasilica@santantonio.org – t. 049 8225652.

Inoltre, ogni sabato ore 11.30 e 14.30 e ogni domenica ore 14.30 sono attive le visite in Basilica guidate dai volontari che collaborano con la Pastorale dell’Arte al Santo per singoli o gruppi fino a 10 persone (gradita offerta a sostegno dei progetti di Caritas S. Antonio). Si ricorda che anche oggi, su iniziativa del Comune di Padova, in occasione della Solennità di Sant’Antonio del 13 giugno, Palazzo della Ragione e i Musei civici agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea saranno a ingresso gratuito (è esclusa la Cappella degli Scrovegni). Un omaggio della Città del Santo ai molti devoti, cittadini e turisti che saranno a Padova.

Infine, è sempre possibile visitare le sedi museali della Basilica del Santo – Museo Antoniano, Oratorio di S. Giorgio e Scoletta del Santo -, nei consueti orari e modalità (info su www.santantonio.org), oltre che assistere alle proiezioni del percorso multimediale immersivo ‘Antonius’ (Chiostro del Generale, ingresso gratuito). ‘Antonius’ è una straordinaria e coinvolgente visita emozionale che rafforza l’esperienza di pellegrinaggio alla Basilica del Santo, trasformando l’arte e la spiritualità antoniana in spettacolo.

Lo spazio espositivo è di circa 1.000 metri quadrati. Il percorso è in dieci lingue – italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, polacco, croato, arabo, russo – oltre a una traccia audio per non vedenti. Proiezioni nei giorni di venerdì, sabato e domenica, ogni ora dalle ore 9.15 alle ore 12.15 e dalle 14.15 alle 17.15 (durata circa 30 minuti).

Tutti gli appuntamenti del Giugno Antoniano 2025 sono a ingresso gratuito e libero fino a esaurimento posti, salvo ove indicato diversamente. Il cartellone completo con tutti gli eventi culturali e le celebrazioni religiose è su www.santantonio.org.

Il Giugno Antoniano 2025 è organizzato da Comune di Padova, Pontificia Basilica di S. Antonio, Provincia di S. Antonio di Padova dei Frati Minori Conventuali, Diocesi di Padova, Veneranda Arca di S. Antonio, Messaggero di sant’Antonio Editrice, Arciconfraternita di Sant’Antonio, Centro Studi Antoniani, Museo Antoniano, con la collaborazione di Ordine Francescano Secolare di Padova, Associazione Corsia del Santo – Placido Cortese, Associazione culturale Palio Arcella.

La realizzazione della manifestazione è possibile grazie al contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Camera di Commercio di Padova, Confindustria Veneto Est.

Il Giugno Antoniano 2025 ha inoltre il patrocinio del Comune di Camposampiero (PD) e del Progetto Antonio 800 della Provincia Italiana di S. Antonio di Padova. La media partnership è in collaborazione con ‘Messaggero di sant’Antonio’, ‘Messaggero dei Ragazzi’, Telepace e Rete Veneta del Gruppo Medianordest.

Giornata del Turismo: la Chiesa chiede che sia sostenibile

“La bellezza del creato e il patrimonio culturale dell’umanità educano tutti noi a leggere i segni della sapienza di Dio. In questa prospettiva, anche il turismo è occasione di crescita, incontro e reciproca conoscenza: mentre arricchisce le relazioni tra i popoli, l’esperienza del viaggio invita ciascuno a prendersi cura della casa comune”: con queste parole inizia il messaggio che mons. Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo, ha inviato in occasione della 46^ Giornata Mondiale del Turismo che si celebra il 27 settembre prossimo, che si intitola ‘Turismo e trasformazione sostenibile’, scelto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo.

Nel messaggio mons. Fisichella ha coniugato le due parole del tema: “Il legame così espresso è lungimirante e trova significativo riscontro nell’enciclica ‘Laudato sì’ di papa Francesco, che afferma: ‘La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale’. Questo atteggiamento di salvaguardia interessa anche il turismo: ogni anno aumenta, infatti, il numero di persone che si muovono da una parte all’altra del pianeta per gli scopi più disparati e con vari mezzi di trasporto”.

Con la crescita della mobilità turistica è importante rispettare l’ambiente: “Questa mobilità globale richiede un impiego di risorse che ha un impatto notevole sulla salute delle persone e sulla natura. Mentre cresce la consapevolezza di abitare un mondo che diventa sempre più piccolo proprio in forza della mobilità, è importante entrare nell’orizzonte della trasformazione sostenibile anche per gli operatori del turismo.

L’ampiezza delle risorse in campo può far trovare strumenti più coerenti per rendere più agevole il trasporto e la salute dei passeggeri. D’altronde, il turista stesso valuta con favore quelle situazioni che rispettano la sostenibilità dell’ambiente. La preoccupazione e la cura per il creato richiedono, dunque, la responsabilità personale e collettiva, perché nulla vada perduto di quanto abbiamo ricevuto”.

Quindi un viaggio ‘sostenibile’ consente maggiore consapevolezza nella conoscenza della realtà: “Mettersi in viaggio stimola a sviluppare una visione più ampia della realtà; favorisce la contemplazione della bellezza naturale e artistica presente in ogni angolo del mondo. Il turismo è anche occasione di incontro tra le persone e può consentire di rendere migliore la relazione tra i popoli favorendo il rispetto reciproco e la solidarietà”.

Un ramo importante è rivestito anche dal turismo religioso: “Non si può trascurare, quindi, il grande impatto relazionale che il turismo possiede e che assume aspetti ancora più profondi quando la meta è un luogo sacro. Mentre recuperano le forze del corpo e dello spirito, infatti, i turisti possono trovare speciale edificazione nei Santuari, meditando sia sul proprio cammino di fede, sia sull’impegno per la sostenibilità che abbraccia ormai grandi spazi della vita sociale”.

Per questo il messaggio della Chiesa chiede di valorizzare il bene dell’acqua: “Si pensi al bene prezioso dell’acqua e al suo consumo. Chi ammira le grandi cascate, ad esempio, dovrebbe riflettere sul fatto che l’acqua non è nostra esclusiva proprietà: è un bene che ci è stato donato e come tale richiede rispetto e difesa. Auguriamo pertanto a quanti godranno qualche giorno di riposo al mare o in montagna di apprezzare il valore dell’acqua, considerando come essa sia un bene che non può essere sprecato o, peggio, inquinato. E possa tale consapevolezza indurre a stili di vita più saggi nell’uso quotidiano di questa risorsa”.

Però l’uso sostenibile non riguarda solo l’acqua, come ha scritto papa Benedetto XVI nell’enciclica ‘Caritas in veritate’: “L’uso sostenibile ovviamente non riguarda solo l’acqua, ma si estende a tanti altri elementi che permettono l’esistenza di un ecosistema: poiché tutti siamo ospiti, non possiamo delegare la cura dell’ambiente comune ai pochi che intuiscono la problematica della sua custodia e la drammaticità del momento storico… Di questo amore siamo testimoni anche come turisti, mentre beneficiamo di un mondo meraviglioso, che proprio per questo dobbiamo custodire intatto”.

Per questo il turismo sostenibile rimanda al tema del sovraffollamento: “E’ inevitabile che l’aumento dei viaggiatori debba trovare corrispondenza nelle offerte per loro disponibili. Gli operatori turistici potrebbero allora cadere nella tentazione di fare del turismo un oggetto di speculazione. Gli esempi negativi, purtroppo, sono molti e suscitano non poche perplessità.

La crescita sproporzionata dei turisti in alcuni luoghi ha portato le autorità a fissare dei limiti agli ingressi. Si riscontrano perfino contestazioni dei residenti che vorrebbero chiudere le porte ai turisti. Certo, il sovraffollamento di alcune località pone seri problemi, ma li si può prevenire attraverso opportuni interventi e avvalendosi anche degli strumenti che la tecnologia ci offre. Sono gli stessi turisti che chiedono di essere tutelati, mentre si studiano progetti per favorirne l’incremento”.

Un altro tema collegato al turismo responsabile riguarda il tema del lavoro: “La precarietà, cui spesso i giovani sono sottoposti, non è mai fonte di un futuro sostenibile. La giustizia non può essere eclissata dalla sete di guadagno né da condizioni che feriscono la dignità del lavoratore. Una vera giustizia diventa sostegno per combattere la povertà e per aiutare le persone a esprimere le proprie capacità lavorative”.

Richiamando l’enciclica ‘Laudato sì’ di papa Francesco il messaggio invita a mettere in pratica le ‘buone pratiche’ del turismo: “Ciò che piuttosto si riscontra sembra essere il desiderio del mero profitto, realizzato in fretta senza molta fatica: questa frenesia abbaglia e porta a soluzioni che umiliano i dipendenti, i turisti e gli stessi operatori… Al contrario, l’autentica promozione del turismo si accompagna sempre a buone pratiche di giustizia sociale e al rispetto dell’ambiente”.

Infine un richiamo al turismo in chiave giubilare: “La comunità cristiana non solo è direttamente partecipe del turismo, ma spesso ne è artefice attraverso una rete di servizi creati per esprimere l’accoglienza ai pellegrini e ai turisti. E’ dovere dei responsabili dei Santuari vigilare attentamente affinché questi luoghi rimangano sacri spazi di autentica spiritualità, dove il cuore trova conforto ed è favorita la riflessione sulle domande umane di fondo, attraverso il silenzio, la preghiera e il dialogo con uomini e donne di Dio.

In proposito, la preparazione dei sacerdoti e degli operatori pastorali che hanno la responsabilità dei Santuari è un’esigenza che non può essere trascurata. Queste oasi di pace e serenità sono una risorsa preziosa e possono diventare una scuola di vita che, attraverso il patrimonio spirituale antico e sempre attuale, aiuta a guardare con fiducia al futuro”.

Il messaggio si chiude con un richiamo ad impegnarsi per rendere chiara la speranza: “E’ bene che, come i Santuari, così anche le comunità parrocchiali, soprattutto quelle che per tradizione sono luoghi di turismo, si aprano alle istanze di uno stile sostenibile, contribuendo a preparare un avvenire promettente per le giovani generazioni. L’impegno per la salvaguardia del creato inizia dall’attenzione alle piccole cose: da qui possiamo muovere i primi passi per farci carico di quel ‘debito ecologico’ che coinvolge l’umanità intera. In questo Anno giubilare, auspichiamo dunque che quanti operano nel settore del turismo esprimano segni concreti, che rendano tangibile la speranza cristiana, investendo su un uso sostenibile delle risorse naturali e strutturali a nostra disposizione”.

Alasdair MacIntyre (1929-2025), dopo la virtù… il diritto naturale!

Il 21 maggio scorso è morto all’età di 96 anni il filosofo scozzese Alasdair MacIntyre, fondatore della scuola neo-comunitarista, autore di oltre duecento articoli scientifici e di più di venti libri. Dopo la conversione allo stesso tempo religiosa (dall’ateismo al cattolicesimo) e filosofica (dal relativismo alla scuola aristotelico-tomista) dell’età matura, MacIntyre ha applicato ai vari ambiti della filosofia sociale i principi della teoria neoclassica della legge naturale.

In questo modo ha superato quel relativismo culturale o sociologico che lo caratterizzava prima, confutando la teoria multiculturalista in cui il “bene” relativo ad una certa cultura viene prima del “giusto”, un modello com’è evidente nel quale così non c’è spazio per l’affermazione di diritti universali dell’essere umano. Questo tipo di relativismo caratterizza, ad esempio, la sua principale opera Dopo la virtù (1981), le cui idee sui diritti e sulla conoscenza della natura sono poi cambiate profondamente.

In questo libro, che non si configura come un testo accademico, la filosofia morale e politica di MacIntyre, recuperando la tradizione delle virtù fino ad allora (e ancora oggi) abbandonata dall’esaltazione dei diritti posta dalla tradizione liberal, recupera le energie per tornare a pensare l’uomo in comunità e la sua vita quindi al di fuori delle astrazioni e delle utopie individualistiche.  

Dopo la virtù, in ultima analisi, su una base filosofica friabile, ha avuto però il merito di provare a proporre un progetto alternativo sia alla modernità razionalistico-empirista d’impronta illuminista sia alla deriva nichilistica-libertaria della postmodernità, aspirando «alla costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale possa essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale abbiano la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità».

Tale attacco al liberalismo di matrice individualistica assieme all’anticonformistica critica ai “professionisti della filosofia” hanno portato Macintyre ad un progressivo isolamento negli anni Ottanta e Novanta. Un ostracismo fondamentalmente motivato dall’aver toccato il “nervo scoperto” del pensiero liberal e dell’utilitarismo occidentale, ovvero la denuncia dell’emotivismo e dell’ideologia che impediscono la costruzione di una comunità e la pratica di ogni virtù.

Nato nel 1929 a Glasgow, Alasdair MacIntyre aveva studiato nelle università-simbolo del liberalismo anglosassone, Londra, Manchester e Oxford, per poi dedicarsi all’insegnamento in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Dotato di una chiarezza esemplare nello stile e di una strategia di pensiero iconoclasta dinanzi ai dogmi utilitaristi, è passato dalla fase marxista degli anni giovanili, alla successiva fase etico-laica della mezza età, per approdare infine, dall’età di 55 anni, alla riscoperta della tradizione aristotelico-tomista.

Questa svolta avvenne, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, grazie al confronto di MacIntyre con i lavori di Elisabeth Anscombe (1919-2001) e, soprattutto, all’influsso delle opere del cardinale John Henry Newman (1801-1890), influenze che lo portarono, in una delle sue ultime monografie, a riflettere ed a riprendere la filosofia di santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein (1891-1942) (cfr. la tr. It.: Edith Stein. Un prologo filosofico, Edizioni EDUSC, Roma 2010, pp. 330).

Anglicano per nascita, dopo una fase atea, MacIntyre si è convertito al cattolicesimo attraverso la lettura di San Tommaso d’Aquino che, con Aristotele, gli ha permesso di confutare l’individualismo e l’economicismo del XX secolo identificati, come accennato, in quello che il filosofo scozzese ha chiamato emotivismo, vale a dire la convinzione che la gran parte dei giudizi morali nascondano, dietro una dichiarata verità generale, una inclinazione (o “vizio”, secondo la terminologia della morale cattolica) personale.

Tale critica, che in fondo afferisce senza esplicitarlo alla «dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» denunciata dal card. Joseph Ratzinger nell’Omelia della Missa Pro Eligendo Romano Pontifice pronunciata nella Basilica di San Pietro il 18 aprile 2005, il filosofo di Glasgow la presenta, nel 1988, nei due volumi di Giustizia e razionalità (tr. It. per Anabasi).

MacIntyre vi spiega infatti che non esiste una morale astratta e universale, ma in ciascuno dei costumi specifici e delle pratiche locali esistenti nel mondo è possibile riconoscere una concezione condivisa della virtù, del coraggio, della magnanimità. La ripresa e la pratica delle virtù gli offrirà quindi l’occasione di uscire dal disordine morale dei tempi della tarda modernità e di riproporre l’idea di una comunità edificata da quelle reti di solidarietà che sono al cuore dell’ultima tappa della vita di MacIntyre, testimoniata ad esempio nell’opera Animali razionali dipendenti (tr. It. Vita e Pensiero).

L’ultimo suo titolo tradotto in italiano è L’etica nei conflitti della modernità (Mimesis), nel quale identifica un insieme di beni essenziali il cui contributo a una vita buona quale che sia la cultura o l’ordine sociale di appartenenza è indispensabile. Questi sono almeno otto, ovvero una buona salute e un buon tenore di vita – del cibo, dei vestiti, dell’abitazione –, delle buone relazioni famigliari, una sufficiente istruzione che consenta di far uso delle opportunità di crescita, un lavoro che sia proficuo e remunerativo, dei buoni amici e, infine, del tempo a disposizione al di fuori del “lavoro per il mercato” che permetta di dedicarsi ad attività sociali, sportive, estetiche, intellettuali et. Ottavo e ultimo dei beni è la capacità di dare un ordine alla propria vita individuandone i limiti ed errori così da imparare anche a migliorare a partire da essi.

In fondo, questa è quella fra le lezioni filosofiche di MacIntyre che ritengo più preziosa per noi cittadini della società liquida e artificiale. La ricerca, cioè, di quel pensiero profondo che permetta di sapersi riconoscere e di saper riconoscere gli altri, riscoprendo nella relazione il senso più vero della propria dignità umana. Una dignità che non è subordinata a misurazioni o calcolo e si riconosce nel valore della propria unicità e irripetibilità a dispetto di qualsivoglia materialismo e massificazione.

La dignità, e quindi anche i diritti umani, non possono perciò essere sottoposti a giudizio, sono indisponibili a noi stessi e hanno un fondamento naturale e oggettivo. Siamo esseri degni e quindi liberi e, come lo stesso filosofo scozzese ha preveggentemente dichiarato, sebbene non ancora su quelle basi così solide del dopo-conversione, solo il riconoscimento di questa verità ci permetterà di ritornare a dialogare senza quella sorta di «guerra civile condotta con altri mezzi» che è divenuto ormai il dibattito pubblico [cfr. A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Feltrinelli (1988), p. 302].

Papa Leone XIV ai giornalisti: intraprendete una comunicazione di pace

“Buongiorno e grazie per questa bellissima accoglienza! Dicono che quando si applaude all’inizio non vale granché! Se alla fine sarete ancora svegli e vorrete ancora applaudire, grazie mille!”: ha esordito in inglese papa Leone XIV nell’udienza con gli operatori della comunicazione nell’Aula Paolo VI, esortando a ‘non cedere mai alla mediocrità’ ed a promuovere una comunicazione di ‘farci uscire dalla confusione di linguaggi senza amore’, ricevendo in dono una sciarpa in alpaca delle Ande peruviane ed una reliquia di papa Luciani.

Ringraziando i giornalisti per il loro lavoro papa Leone XIV ha proposto la beatitudine di Gesù nel ‘discorso della montagna’: “Nel ‘Discorso della montagna’ Gesù ha proclamato: ‘Beati gli operatori di pace’. Si tratta di una Beatitudine che ci sfida tutti e che vi riguarda da vicino, chiamando ciascuno all’impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla”.

Quindi è un chiaro segnale che la pace inizia attraverso un accurato utilizzo delle parole: “La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire ‘no’ alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra”.

Per questo subito ha chiesto la liberazione dei giornalisti, che rischiano la vita per raccontare la realtà: “Permettetemi allora di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, e con queste parole anche chiederne la liberazione di questi giornalisti incarcerati.

La Chiesa riconosce in questi testimoni (penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita) il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere. La sofferenza di questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa”.

Il giornalismo è un servizio alla verità: “Voi siete stati a Roma in queste settimane per raccontare la Chiesa, la sua varietà e, insieme, la sua unità. Avete accompagnato i riti della Settimana Santa; avete poi raccontato il dolore per la morte di papa Francesco, avvenuta però nella luce della Pasqua. Quella stessa fede pasquale ci ha introdotti nello spirito del Conclave, che vi ha visti particolarmente impegnati in giornate faticose; e, anche in questa occasione, siete riusciti a narrare la bellezza dell’amore di Cristo che ci unisce tutti e ci fa essere un unico popolo, guidato dal Buon Pastore”.

Ma per raccontare la verità occorre non ‘cedere’ alla mediocrità, citando un discorso di sant’Agostino: “Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia.

Come ci ricorda sant’Agostino, che diceva: ‘Viviamo bene e i tempi saranno buoni’. Noi siamo i tempi. Grazie, dunque, di quanto avete fatto per uscire dagli stereotipi e dai luoghi comuni, attraverso i quali leggiamo spesso la vita cristiana e la stessa vita della Chiesa. Grazie, perché siete riusciti a cogliere l’essenziale di quel che siamo, e a trasmetterlo con ogni mezzo al mondo intero”.

Papa Leone XIV ha invitato ad usare bene le parole: “Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla ‘torre di Babele’ in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante”.

Infatti anche la comunicazione crea cultura: “La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali”.

Per questo ha ripreso le parole di papa Francesco a ‘disarmare le parole’, come ha scritto nel messaggio per la prossima giornata delle Comunicazioni Sociali: “Per questo ripeto a voi oggi l’invito fatto da papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività. Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce”.

Ed ha concluso il discorso invitando i giornalisti ad intraprendere una ‘comunicazione di pace’: “Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana. Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace”.

(Foto: Santa Sede)

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