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Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: non restiamo indifferenti

In questa giornata mondiale dedicata ai diritti dei bambini, il mio pensiero va a tutte quelle situazioni che incontro e che troppo spesso sfuggono agli sguardi distratti e indifferenti. È doloroso vedere come, in una società che dovrebbe essere basata sull’uguaglianza e sull’amore per i più piccoli, ci siano così tante storie che passano inosservate, dimenticate. Mi preoccupa questa indifferenza, questa incapacità di fermarsi e vedere davvero la sofferenza degli altri, specialmente quella dei bambini, i più vulnerabili tra noi.

Penso ad Adriano, un ragazzo di 27 anni che ho incontrato una sera mentre stavo distribuendo indumenti e viveri in quel “non posto” al bosco di Rogoredo. Non apparteneva a quel mondo di persone perse e dimenticate, invisibili che vivono tra quegli alberi, eppure era lì, in cerca di aiuto. Mi ha avvicinato con estrema dignità, senza chiedere nulla per sé. Mi ha detto che aveva bisogno di vestiti e alimenti per i suoi figli, per la sua famiglia. Mi ha spezzato il cuore!

Quando gli ho chiesto dove abitasse, mi ha confidato che vive in un luogo di Milano, in una baracca con sua moglie e i loro due bambini piccoli, uno di appena sette mesi e l’altro di due anni e mezzo. All’inizio non riuscivo a crederci. Come è possibile che in mezzo a noi, in una città come questa, una famiglia viva in quelle condizioni? Eppure era così.

Sabato scorso sono andato a trovarli. Non potevo ignorare quella richiesta, non potevo voltarmi dall’altra parte. Ho portato tutto quello che potevo: abiti caldi, cibo, e soprattutto ciò che un bambino e una bambina hanno diritto di avere solo perché sono nati. Giocattoli, pannolini, qualche piccola attenzione che li facesse sentire speciali, amati. La loro ‘casa’ è una baracca: niente elettricità, niente acqua corrente, solo quattro pareti di fortuna per cercare di proteggersi dal freddo e dalla pioggia. È difficile immaginare come si possa vivere così, eppure, nonostante tutto, in quella famiglia ho trovato qualcosa che mi ha commosso profondamente.

Ho visto due bambini felici, stretti tra le braccia della loro mamma e del loro papà. Ho visto l’amore più puro e disarmante, quello di genitori che, pur non avendo nulla, riescono a dare ai propri figli tutto il calore e la protezione che possono. Ho visto sorrisi, e in quegli sguardi ho ritrovato la forza di chi non si arrende, di chi, nonostante la povertà e la fatica, cerca ogni giorno di dare un futuro migliore ai propri figli, nonostante le poche opportunità.

Oggi, in questa giornata speciale, voglio ricordare Adriano, sua moglie, i suoi due bambini e tutte le famiglie come la loro. Voglio ricordare che i diritti dei bambini non sono solo parole su un foglio, ma impegni concreti che ci riguardano tutti. Ogni bambino ha diritto a una casa sicura, a cibo, a cure, a una vita degna. Ma soprattutto, ha diritto a non essere dimenticato.

La cosa che più mi rattrista è pensare che troppo spesso non vediamo queste persone come parte di noi. Ci illudiamo che siano ‘altro’, che le loro vite siano distanti dalle nostre. Ma non è così. Sono come noi. Sono noi. E se possiamo permettere che un bambino cresca senza ciò che gli spetta, che diritto abbiamo di parlare di umanità?

Oggi, più che mai, voglio ringraziare chi non si arrende, chi con un piccolo gesto continua a ricordare che nessuno dovrebbe essere lasciato indietro. Voglio ringraziare tutti quelli che si fermano, che ascoltano, che scelgono di vedere. Perché solo vedendo, solo riconoscendo nell’altro un fratello, una sorella, possiamo costruire una società dove i diritti non siano solo un ricordo da celebrare un giorno all’anno, ma una realtà che appartiene a tutti, soprattutto ai bambini.

Finanziata dal GAL ‘Capo di Leuca’ la mensa sociale della parrocchia ‘San Giovanni Bosco’ di Ugento  

Tutto pronto per l’apertura della nuova mensa sociale della Parrocchia “San Giovanni Bosco” presso l’Oratorio di Ugento, in via Alcide De Gasperi. Sarà un luogo di incontro e condivisione aperto alla comunità, fortemente voluto dalla parrocchia e dalla Caritas diocesana di Ugento-Santa Maria di Leuca.

Per la realizzazione della mensa sociale è stato determinante un finanziamento a fondo perduto attuato dal GAL Capo di Leuca nell’ambito del PSR Puglia 2014/2020 – Misura 19 – Sottomisura 19.2 – Azione 3: Servizi per la popolazione rurale nel Capo di Leuca – Bando Intervento 3.2 ‘Mense Collettive’ – Piano di Azione Locale ‘Il Capo di Leuca e le Serre Salentine’.

Grazie al bando pubblicato dal GAL Capo di Leuca, infatti, sono state acquistate attrezzature tecnologicamente avanzate: una cucina a 4 fuochi con forno statico a gas, un tavolo in acciaio inox con ripiano e alzatina, una cappa auto aspirante a parete con regolatore di velocità, un forno a microonde con funzione grill, un lavello in acciaio inox a sbalzo con 2 vasche, una lavastoviglie, due armadi refrigerati, 4 tavoli realizzati artigianalmente in legno, e 32 sedie in legno di faggio con seduta impagliata.

La parrocchia ‘San Giovanni Bosco’, nella cittadina meglio conosciuta come ‘l’Oratorio di Ugento’, è la più grande per estensione e numero di abitanti (circa 5000 persone, più di 1400 famiglie) dell’intero paese, che conta 5 parrocchie. Comprende circa metà del territorio di Ugento e circa la metà della sua popolazione. Il 18 settembre 1960 fu inaugurata la ‘Casa del Giovane Mons. Giuseppe Ruotolo’, data che sancisce ufficialmente il varo dell’oratorio, fortemente voluto dal primo parroco mons. don Leopoldo De Giorgi. Questo luogo è stato amato anche da don Tonino Bello, che, pur essendo impegnato nel seminario vescovile, aveva frequenti contatti con l’attività sportiva dell’oratorio.

La parrocchia ha acquistato attrezzature, strumenti, arredi e impianti per allestire una mensa nei locali dell’oratorio a Ugento. La riuscita del progetto sarà possibile grazie al contributo di gruppi di volontari, provenienti anche da altre parrocchie di Ugento, che permetteranno di offrire a tutti un’accoglienza calorosa e rispettosa, facendo funzionare le mense, la cucina e il magazzino al meglio. Questo allevierà le sofferenze del prossimo, soprattutto in questo momento di crisi economica, in cui le persone fragili sono ancora più bisognose di aiuto e conforto.

Il progetto di realizzazione della mensa, oltre alla Parrocchia “San Giovanni Bosco” di Ugento, annovera altri due partner: l’Associazione Sportiva Dilettantistica Eventi e Sport di Ugento e la Società Agricola “Oro del Salento” Srl di Ugento. La prima, attiva da circa 15 anni, ha come finalità lo sviluppo e la diffusione di varie attività sportive senza scopo di lucro. I componenti dell’associazione si adopereranno volontariamente per cucinare e servire nella mensa della parrocchia, con particolare attenzione alla qualità dei cibi e alle azioni in contrasto allo spreco alimentare.

La Società Agricola ‘Oro del Salento’ Srl di Ugento svolgerà anche il ruolo di fornitore di prodotti ortofrutticoli in eccesso alla mensa sociale. “Oro del Salento” è un’azienda del Sud Salento specializzata nella trasformazione di prodotti ortofrutticoli in prodotti alimentari salentini e pugliesi tutti lavorati a mano, dalle olive alle mandorle, dalle olive al peperoncino piccante alle cime di rapa e vini tipici pugliesi.

Tre giovani maceratesi raccontano la loro missione nelle Filippine

Nello scorso luglio tre giovani dell’Azione Cattolica Italiana della diocesi di Camerino – San Severino Marche (Marta Antognozzi di San Severino, Maria Lucia Sargolini e Lorenzo Lucarelli, entrambi di Sarnano), guidati dall’assistente diocesana dell’Azione Cattolica, suor Cinzia Fiorini, appartenente all’ordine delle Sorelle Missionarie dell’Amore di Cristo (S.M.A.C.) hanno trascorso un periodo missionario nella Casa ‘Providence home of Saint Joseph’ di Davao, nelle Filippine, che accoglie bambini disabili od abbandonati.

Alcuni giorni precedenti la ‘missione il card. Edoardo Menichelli ha affidato i ‘missionari’ alla protezione della Madonna dei Lumi, chiedendo loro di vivere l’esperienza in costante atteggiamento di ringraziamento, pronti a riportare nelle proprie comunità il senso profondo di quanto vissuto in quelle terre lontane.

Le suore missionarie a Davao sono impegnate nell’aiuto ai bambini abbandonati od orfani, che vivono nelle strade di quella città, popolata da oltre 1.500.000 di abitanti per un’estensione di più di 2.400 chilometri quadrati. Quest’opera è rivolta a migliorare la qualità della vita di questi minorenni attraverso l’istruzione, ridandogli la loro dignità di esseri umani e offrendogli un tetto sotto il quale vivere sentendo amore e cura. I bambini ricevono anche una formazione spirituale e valoriale che possa rafforzare il loro sviluppo personale.

A questi giovani abbiamo chiesto di raccontarci la ‘nascita’ di questa ‘missione’: “Dobbiamo sicuramente ringraziare suor Cinzia Fiorini, della Congregazione delle Sorelle Missionarie dell’amore di Cristo. Lei è la nostra assistente spirituale in Azione Cattolica dei Ragazzi, nella Diocesi di Camerino. La loro congregazione gestisce due missioni, una in Filippine ed una in Burundi. E’ sempre stata testimone di grande gioia e fede. Dopo nostre numerose domande e curiosità, ha detto che sarebbe ripartita per le Filippine, nell’orfanotrofio ‘Providence Home of Saint Joseph’ a Davao; noi non abbiamo potuto che accettare”.

Lorenzo Lucarelli ha rivelato il suo stato d’animo prima della partenza: “Non so quanta consapevolezza ci fosse. Sicuramente c’era tanta gioia e tanta curiosità, tanta voglia di scoprire un mondo così diverso da quello a cui eravamo abituati. Mi sono interrogato molto prima di partire per il viaggio, su me stesso, sulle mie speranze, aspettative e paure; non sono però mai riuscito ad andare troppo nel profondo, avendo pensieri vaghi e approssimativi. Ora, con il senno del poi, sono contento di non essere partito con preconcetti, perché anche quel poco che avevo ragionato è stato completamente stravolto, ma stravolto in positivo.

Invece Maria Lucia Sargolini ha raccontato la ‘giornata tipo’ a Davao: “Non è facile trovare un aggettivo per la vita dei ragazzi là. Alle difficili condizioni in cui versano i ragazzi non si può non contrapporre l’amore e la devozione delle sorelle che stanno nella struttura.

La vita in Filippine comincia molto presto, alle ore 5 della mattina suona la campana della sveglia. Tempo per prepararsi e poi si va a messa nella vicina chiesa dell’Ordine dei Carmelitani, dove i ragazzi animano con canti diverse volte a settimana. Si torna poi in struttura per fare colazione e si parte poi per andare a scuola. I 29 ragazzi della struttura frequentano quasi tutti la scuola posta nelle vicinanze alla casa, qualcuno è ancora troppo piccolo per andare scuola, qualcun altro sta frequentando già il college in città per fare il lavoro dei loro sogni. Dopo gli impegni quotidiani, nel tardo pomeriggio in struttura tutti i ragazzi pregano insieme un rosario, nelle cui intenzioni non dimenticano i benefattori della struttura.

Nonostante le condizioni di povertà in cui vivono, le suore non fanno mancare nulla a nessun bambino. Secondo le diete filippine, riso e frutta a volontà; un letto dove dormire e quella quota di affetto che purtroppo molti di loro non hanno mai provato. Sicuramente loro ci hanno insegnato a vivere di semplicità e a riderne. Ci hanno trasmesso una gioia rara, una gioia che viene dall’apprezzare le poche cose che si hanno, ma di esserne profondamente grati”.

Ed ha descritto la struttura della Casa: “La struttura ha ormai più di 25 anni e servono dei lavori per costruire il secondo piano, fino ad allora i ragazzi dormono in posti di fortuna, chi in cucina, chi sotto il terrazzo, molti in poche piccole stanze. Abbiamo deciso di far partire una raccolta fondi per velocizzare la fine dei lavori, affinché questi ragazzi possano avere uno spazio tutto loro sicuramente migliore di quello che avevano prima”.

Inoltre Marta Antognozzi ha riflettuto sulle parole ‘consegnate’ dal card. Menichelli (prendere, benedire, dare): “Prima di partire, il Cardinale Edoardo Menichelli ci ha consegnato tre verbi da custodire per il viaggio. Ci ha chiesto di prendere, rendere grazie e dare. Sicuramente abbiamo preso molto, relazioni, approccio alla vita, fede; sicuramente abbiamo reso grazie nella preghiera e nei gesti; ora stiamo cercando di dare qualcosa indietro”.

Ed ha descritto la Casa, che ospita ragazze e ragazzi, con il ‘lancio’ di una raccolta ‘fondi’: “La struttura ha ormai più di 25 anni e servono dei lavori per costruire il secondo piano, fino ad allora i ragazzi dormono in posti di fortuna, chi in cucina, chi sotto il terrazzo, molti in poche piccole stanze. Abbiamo deciso di far partire una raccolta fondi per velocizzare la fine dei lavori, affinché questi ragazzi possano avere uno spazio tutto loro sicuramente migliore di quello che avevano prima”

Nel messaggio per la Giornata missionaria di quest’anno papa Francesco ha invitato tutti al ‘banchetto’: cosa significa per Lorenzo?

“Penso che il papa abbia trovato le parole per spiegare la bellezza dell’andare in missione. Sento di essere un ragazzo che si è regalato una vacanza, che ha partecipato ad un banchetto, per tutto il cibo, non solo materiale, che ho ricevuto. Penso che sia nostro compito dover testimoniare con la nostra vita quello che abbiamo vissuto e dimostrare a tutti il bello del servire, del donarsi per il prossimo. Dobbiamo invitare più persone possibili a questo banchetto, affinché più persone possibili possano provare la gioia e la gratitudine che abbiamo provato noi”.

Maria Lucia: cosa vi ha lasciato questo viaggio?

“Questa esperienza è tra le migliori della nostra vita. Un insieme di meraviglia e gratitudine che ci portiamo nel cuore. Non possiamo non testimoniare la semplicità delle persone che abbiamo incontrato. Una semplicità che si fa accoglienza e condivisione, quando siamo andati nelle comunità in montagna. Lì le persone, pur non avendo nulla, hanno fatto il cibo da festa; molto diverso da noi, che a volte ci facciamo problemi nell’accogliere qualcuno in casa. Una semplicità che si fa genuinità nello stupore dei bambini, che si fa anche risata, e che si fa affidarsi a Dio”.

Marta: cosa avete fatto in quelle settimane?

“La prima settimana abbiamo organizzato attività e giochi che solitamente organizziamo ai campi scuola Acr, per iniziare a conoscere i bambini, e per lasciare che loro conoscessero noi. Abbiamo avuto la bellissima occasione di portarli al mare, un gesto che sembrerebbe scontato, ma a causa della difficoltà di raggiungere il posto con i mezzi e di quelle economiche per loro è un evento raro, ed è impressa nelle nostre menti la loro profonda felicità.

Durante la seconda settimana i bambini sono tornati a scuola, così noi abbiamo fatto visita alle diverse comunità base aiutate dalle Sorelle Smac in montagna nelle quali abbiamo portato i materiali della raccolta fondi effettuata a San Severino Marche prima della nostra partenza. Nella terza settimana siamo stati nella casa-famiglia, trascorrendo la maggior parte del tempo con le Sorelle ed i ragazzi, vivendo giornate tipiche filippine. L’ultima domenica abbiamo partecipato ai sacramenti di battesimo e comunione dei bambini”.

Ora siete nelle vostre città: come pensate di ‘agire’ per aiutare quei bambini?

“Per provare a ricambiare almeno una parte di tutto il bene ricevuto, abbiamo organizzato una raccolta fondi su GoFundMe (link: https://www.gofundme.com/f/providence-home-of-saint-joseph) per finanziare la costruzione della casa dove dormono i 30 ragazzi, ora sistemati in letti di fortuna. Per questo ci appelliamo alla comunità, chiedendo un contributo, che seppur piccolo, può fare una grande differenza”.

(Tratto da Aci Stampa)

Mons. Raspanti: san Francesco segno di Cristo

Nel giorno del Transito di san Francesco, ha avuto ufficialmente inizio ‘La Sicilia ad Assisi’, le iniziative legate ai festeggiamenti in onore del Santo assisate che hanno invitato in Umbria oltre 5.000 pellegrini dalla Sicilia, ai quali si aggiungono molti che hanno raggiunto Assisi in autonomia o, comunque, senza una organizzazione legata alle diocesi.

Ad Assisi, già dalla mattinata del 3 ottobre, il Custode della Porziuncola, fr. Massimo Travascio, ha accolto gli ospiti nel Refettorietto del Convento di Santa Maria degli Angeli, che ha  rivolto un messaggio di benvenuto a tutti i convenuti nella sala e alle autorità presenti; la concelebrazione eucaristica è stata officiata da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, rievocando le parole di Thomas Merton:

“Siamo in questa basilica, pellegrini di quell’immagine di Cristo povera e umile che è Francesco, perché vogliamo seguirne le orme, che con sicurezza ci rendono veri discepoli del divino Maestro. Venuti dalla Sicilia, siamo una porzione di Italiani che cerca in questo Frate del Medioevo un sicuro orientamento per il proprio cammino lungo una strada che appare piena di insidie.

L’olio che portiamo in dono raffigura noi stessi perché esprime il nostro desiderio di rimanere vicini a lui nelle sue spoglie mortali, qui custodite, per attingere alla sua ispirazione spirituale, conservata dai Frati, e non smarrire la giusta direzione”.

Riprendendo la lettera di san Paolo ai Galati mons. Raspanti ha affermato che san Francesco ha ricevuto il ‘segno’ di Cristo: “Questo segno fu concesso anche a Francesco ottocento anni fa, nel settembre 1224, quando ‘nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno’, secondo la descrizione di Dante nella Commedia.

Così fu noto a tutti quanto egli fosse intimamente unito al Signore, il quale lo rendeva partecipe della propria dona zione amorosa per l’umanità e sigillava la missione di Francesco di ricostruire la sua Sposa, la Chiesa”.

Per questo san Francesco è patrono d’Italia: “I Padri della Repubblica, di tradizioni culturali e fedi diverse, i governanti e il popolo italiano hanno ben colto il nocciolo di questo messaggio, accogliendo Francesco quale patrono d’Italia dichiarato tale da papa Pio XII. Noi italiani tutti desideriamo così attingere alla sorgente della pace e della concordia per berne direttamente e diffonderla.

Siamo consapevoli di non essere qui dinanzi a valori, per quanto alti e preziosi, come la concordia e la fraternità, ma siamo dinanzi alle spoglie di un uomo con un vissuto che lo rende eccellente testimone e profeta che indica la sicura via della pace”.

E’ stato un invito al rinnovamento interiore: “Forse potremmo rischiare di dire che non riusciamo nell’odierna convivenza sociale ad accogliere il migrante, a frenare la violenza, a curare i deboli e i poveri, a respingere il malaffare proprio perché non riusciamo a raggiungere la sorgente dei valori, cioè il perdono e la riconciliazione, l’umiltà e la mitezza.

Se il risanamento non accade nel profondo delle radici, non vedremo mai i frutti dell’albero. Cristo crocifisso e Francesco, piccolo e stigmatizzato, hanno raggiunto il fondo risanando e inaugurando la nuova creazione”.

Mentre nei Primi Vespri del Transito di san Francesco mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e vicepresidente della Conferenza Episcopale Siciliana, aveva sottolineato la ‘spoliazione’ del Santo: “Nelle prime due spoliazioni Francesco sveste il suo corpo delle vesti, rimanendo nudo, ma nell’ultima (con il sopraggiungere di ‘sorella morte’) si spoglia anche di ‘fratello corpo’ nudo… Per essere restituiti alla terra e all’abbraccio paterno e fraterno originario. La morte segna la totale consegna del suo corpo a Dio e ai fratelli”.

Tale Transito è un ammonimento a vivere ‘bene’ la morte, che conduce alla Vita: “La memoria del transito di Francesco, ci ridesta al nostro essere creature mortali, figli e fratelli/sorelle: creature, non Creatore, mortali non eterni; figli amati, non schiavi; fratelli/sorelle, non nemici catapultati nel mondo campo di battaglia. Fratelli e sorelle dell’unico Padre che ci affida la Terra come ‘Casa comune’ fraterna fragrante d’amore e di pace, come ‘Giardino fecondo’ con al centro l’albero sempreverde della Vita… Fatti di terra, per ritornare in nuda terra, per essere plasmati dalle mani di Dio cittadini della nuova Creazione, della Casa comune trasfigurata. Anche noi, come Francesco, con Francesco”.

Quindi tale Transito è un momento particolare per la conversione di molti: “Su quanti oggi hanno dimenticato di essere creature mortali e seminano nella Casa comune guerre, divisione, odio, parole aggressive, distruzione e morte violenta, soprattutto dei piccoli e degli inermi, la memoria del luminoso Transito di Francesco, Fratello universale, verace testimone di Cristo e di un cammino di piena e autentica umanità, sia audace segno profetico di conversione di mentalità e di cambiamento di rotta per il bene dell’umanità, per il bene della Casa-Terra”.

In occasione della festa del Transito è stato consegnato il riconoscimento di ‘Frate Jacopa, Rosa d’argento 2024’ a suor Alfonsina Fileti: questo premio non è solo un segno di stima per il servizio svolto da suor Alfonsina a favore delle famiglie in difficoltà, dei minori a rischio e delle donne vittime di violenza domestica, ma è anche un richiamo al ruolo importante che la Chiesa e le comunità locali svolgono nel sostenere i più vulnerabili.

(Foto: Conferenza Episcopale Siciliana)

Una famiglia racconta la vacanza carismatica invitando al pellegrinaggio delle famiglie

‘E-state con Gesù’ è stato il titolo della ‘Vacanza Carismatica per Famiglie’ promossa dal Rinnovamento nello Spirito Santo e curata dall’équipe dell’ambito nazionale ‘Evangelizzazione Famiglie’ alla ‘Casa Famiglia di Nazareth’ nello scorso agosto sul tema ‘Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, ed io vi darò ristoro’, tratto dal passo evangelico dell’apostolo san Matteo.

Come aveva sottolineato in apertura il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito, Giuseppe Contaldo: “Maria e Giuseppe sono un modello di famiglia. Per capire l’importanza della famiglia, partiamo dalla ricerca di figure che possono guidarci come punti di riferimento. Maria e Giuseppe, appunto, rappresentano degli esempi per il loro aspetto umano, la solidità, l’accoglienza, la cura della vita, l’amore per il bene.

La famiglia è un dono di Dio, ma anche una conquista che dobbiamo realizzare e guadagnare giorno dopo giorno. E’ un po’ come la storia della Terra promessa, che è sia un dono che una conquista: Dio ce la dà, ma noi ce la dobbiamo prendere. La famiglia è anche una vocazione, perché parte da un’opera di Dio. Così è la vocazione: Dio ce la consegna, ma noi dobbiamo coltivarla. Ed è in questa prospettiva che si pone la prossima Vacanza Carismatica delle Famiglie che inizierà tra qualche giorno”.

Nel saluto ai partecipanti Fabrizio Fioriti e Ilenia Sabbatini, delegati per l’Evangelizzazione della Famiglia del Rinnovamento nello Spirito, avevano espresso ‘gratitudine’ per la riapertura di questa Casa Famiglia di Nazareth a Loreto: “La vicinanza della Santa Casa rende questo luogo un terreno

sacro dove coniugi, genitori, figli, nonni, single, vedovi si incontrano e sperimentano la fraternità familiare con serenità e semplicità, ispirati dalla Santa Famiglia di Nazareth” .

Ed al termine della settimana ho chiesto loro di raccontarci questa vacanza carismatica dal titolo ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e vi darò ristoro (Mt 11,28)’: “Questa è la Parola di Dio che ha accompagnato la Vacanza Carismatica per famiglie ‘E-state con Gesù’ a ‘Casa Famiglia di Nazareth’ di Loreto dal 4 al 10 agosto proposta dal Rinnovamento nello Spirito.

Un’equipe di sposi ed un sacerdote ha condiviso con 16 famiglie provenienti da varie regioni italiane ed una dalla Germania un’esperienza di comunione e di fraternità con preghiera carismatica comunitaria e dinamica spirituale, svago e fraternità in spiaggia, escursioni e visite turistiche, Santa Messa, Adorazione Eucaristica, teatrino di evangelizzazione, cinema all’aperto e tanto altro. Erano

presenti coniugi di ogni età, genitori e figli piccoli e grandi, una persona separata, nonché due suore, un diacono ed un accolito: il volto bello della Chiesa tutta rappresentata da vocazioni matrimoniali e religiose”.

Sabato 14 settembre in contemporanea a Loreto ed a Pompei si svolgerà il 17^ pellegrinaggio, promosso dal Rinnovamento nello Spirito Santo con tema il passo tratto dal Vangelo di san Giovanni, ‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela…’. Perché il Rinnovamento nello Spirito organizza il pellegrinaggio delle famiglie per la famiglia?

“Da 17 anni si rinnova l’appuntamento per radunare le famiglie desiderose di condividere attese e speranze in un clima di Comunione, Festa e Preghiera. Anche quest’anno il Rinnovamento nello Spirito organizza sabato 14 settembre, a partire dalle ore 15 fino alle ore 20:30, il pellegrinaggio che si svolgerà contemporaneamente da Scafati (SA) e dal Centro Giovanni Paolo II di Loreto (AN) sul tema ‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela (GV2,5b)’, in collaborazione con le Prelature di Pompei e Loreto, l’Ufficio nazionale della Pastorale Familiare della Cei e del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari. Durante il cammino tra canti e riflessioni, si ascolteranno significative testimonianze, si reciterà il Rosario della famiglia e l’atto di affidamento a Maria dei bambini e ragazzi alla Vigilia del Nuovo Anno Scolastico. Il Pellegrinaggio è un gesto corale di preghiera che coinvolge genitori, figli, nonni per riaffermare, con il rosario tra le mani e sotto lo sguardo di Maria, che la famiglia può superare tutto se lascia entrare Gesù e Maria!”

Ritornando al tema di questa vacanza carismatica, in quale modo Gesù dà ristoro?

“Nella Vacanza Carismatica ogni mattina le famiglie si sono riunite intorno Al Pozzo del cortile della Casa, come Gesù con la Samaritana, per ascoltare la Parola di Dio e le riflessioni che hanno rigenerato le relazioni durante le giornate. Ogni sera i partecipanti si sono ritrovati intorno alla

Mensa Eucaristica per ringraziare il Signore Gesù e condividere testimonianze di Vita nuova nello Spirito”.

Quali figure di riferimento possono essere guida alle famiglie?

“I Santi della ‘Porta accanto’ insieme ai familiari, come ci ripete papa Francesco. Solo i testimoni di una santità vissuta con semplicità di valori e fede possono guidare ed accompagnare le nuove generazioni chiamate alla Vocazione matrimoniale”.

Cosa è Casa Famiglia Nazareth a Loreto?

“E’ una Casa di accoglienza affidata al Rinnovamento nello Spirito dall’arcivescovo pro tempore di Loreto, mons Angelo Comastri nel 2001, aperta a giovani, famiglie, religiosi ed a quanti vogliano vivere soggiorni, periodi di riposo, fraternità, convegni e percorsi di formazione umana e spirituale .

E’ una oasi di pace e di ristoro immersa nella natura, sulla meravigliosa Riviera del Conero, sotto lo sguardo materno della Vergine Lauretana. Con 23 camere, può ospitare fino a 77 persone in pensione completa con ogni confort in camere doppie, triple e multiple e per persone con disabilità”.

In quale modo le famiglie possono camminare nella preghiera?

“Le famiglie possono accogliere nella vita quotidiana la presenza dello Spirito Santo che rende Gesù vivo, sperimentando nella semplicità dei gesti e delle parole i sentimenti della Sacra Famiglia di Nazareth; possono imparare ad intercedere gli uni per gli altri e a celebrare intorno alla tavola le

ricorrenze che scandiscono il ritmo domestico. Inoltre possono accogliere in casa piccoli cenacoli di preghiera con altre famiglie nei tempi forti liturgici”.

(Tratto da Aci Stampa)

Maimone: il messaggio cristiano diffuso da papa Francesco con il documento sulla Fratellanza Umana sia veicolo di pace

“Nessuno può uccidere indisturbato, qualsiasi motivo lo animi. Niente giustifica l’odio fratricida. Non vi sono ideali che possono giustificare il massacro di esseri umani, seppur rivolti a fini sublimi. La vita è un dono di Dio. E’ una verità che non può essere compresa dai terroristi, perché offuscati dalla ‘non verità’ rigida, schematica e perentoria, mai pronta al confronto. Assistiamo nuovamente allo sterminio di vite innocenti nei luoghi in cui è nato e vissuto Gesù, in cui Egli ha predicato l’Amore. Una nuova strage di vite innocenti. La storia si ripete? No, è l’odio fratricida che si rinnova e semina morte.

Il pianto di Dio accompagna il pianto di coloro che vedono morire i propri affetti per il folle egoismo legato alla sete di  affermazione politica e, pertanto, per il potere che ne scaturisce. Il fondamentalismo dimostra che è vivo, che vuole governare la vita del popolo islamico. Non accetta confronti con altre concezioni della vita e della religione, non ascolta la voce di nessuno. L’Islam aspira fortemente a dimostrare di non essere fondamentalista ed  afferma vigorosamente di essere aperto al dialogo” ha dichiarato Biagio Maimone, direttore dell’ufficio stampa dell’associazione Bambino Gesù del Cairo Onlus, il cui presidente è mons. Gaid Yoannis Lahzi, già segretario personale di papa Francesco e autore del libro ‘La Comunicazione Creativa per lo sviluppo socio-umanitario’ che ha ricevuto la benedizione Apostolica del papa, il quale ha aggiunto:

“Una parte dell’islam rimarca di voler  essere fondamentalista, non aperto al confronto con altre religioni, con altre filosofie della vita, con chi vuole un mondo governato dall’amore e non dalla violenza, con chi vuole un mondo governato dallo stato di diritto e non dalla legge che nega la libertà di pensiero, che nega il valore della persona e i suoi diritti fondamentali. Scende la notte sulle terre afflitte e spaventate di Israele e della Palestina, ritorna la barbarie.

Non c’è pace sotto gli ulivi. In qualità di membro dell’Associazione Bambino Gesù del Cairo ho avuto modo di seguire, sotto il profilo giornalistico, l’impegno del Documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace  Mondiale e la Convivenza Comune’ e la realizzazione della Casa della Famiglia Abramitica a cui esso ha dato vita, che mi ha consentito di verificare come realmente e fattivamente papa Francesco sia il ‘Papa della Pace’.

Il Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, sottoscritto da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi, ha sancito un’alleanza tra tre religioni il cui Dio è unico, che sono la religione islamica sunnita, la religione ebraica e la religione cattolica.

E’ sorta la Casa della Famiglia Abramitica in seguito a tale sottoscrizione, che può dirsi un suo frutto prezioso, che racchiude in un unico sito una Moschea, una Chiesa e una Sinagoga, edificate per vivere accanto, nel rispetto reciproco delle proprie differenze religiose.  Essa dimostra come tre religioni diverse, pur mantenendo il loro credo religioso e, pertanto, la propria identità, possano vivere su un unico spazio, ossia su un unico territorio, facendo del dialogo il fulcro della loro coesistenza pacifica.

La Casa della Famiglia Abramitica rappresenta un simbolo di pace, con cui papa Francesco ha voluto dimostrare al mondo intero la coesistenza pacifica delle differenze, le quali hanno la possibilità di interagire, in modo costruttivo, attraverso il dialogo. La Casa della Famiglia Abramitica insegna, altresì, che i territori le cui differenze saranno valorizzate e valorizzabili mediante il dialogo incessante, aprono orizzonti  insospettabili per il miglioramento della condizione umana, sociale e politica dei popoli, in quanto pervasi dalla pace e dall’armonia.

Lo strazio del popolo di Israele e del popolo palestinese, colpiti dal fondamentalismo di Hamas, non impedirà al documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’ di diffondere il suo messaggio per le strade del mondo. Non si lascerà certo scoraggiare da chi non sa amare. Odiano il dialogo coloro che hanno fatto del fondamentalismo religioso la ragione della propria affermazione politica. Ma soprattutto essi non hanno compreso cosa significa la parola ‘essere umano’. Nel cuore della persona pulsa un’anima che lo fa essere una creatura divina. In nome di Dio non si può uccidere la sua creatura.

I fondamentalisti dimostrano di  rinnegare la più sublime verità divina. Essi dimostrano di credere unicamente  solo nel potere fine a se stesso. Il Cattolicesimo e il Cristianesimo insegnano che il dialogo costruisce accordi che non moriranno mai perché condivisi pienamente in quanto guidati dal principio dell’amore fraterno. L’idea di sottomettere attraverso la violenza è radicata nelle menti di coloro che sono accecati dall’odio fratricida, dal desiderio di sopraffazione. Il fine non giustifica il mezzo. La logica della violenza ha dominato la storia umana e continua a dominarla. Fino a quando? E’ noto che i dittatori sono soggetti al tribunale della storia. La storia è foriera di verità e giustizia.

Siamo di nuovo di fronte a molteplici conflitti che non creeranno certo ordine, ma solo disordine, in quanto sorretti dalla menzogna e dall’istinto di morte. Dare attuazione concreta all’anelito alla libertà non può significare in alcun modo uccidere la libertà degli altri, ma significa far ricorso agli strumenti del dialogo che le menti veramente evolute sono in grado di realizzare. La libertà è figlia della verità e non della crudeltà che il cieco fondamentalismo fa vivere, chiuso nel buio del pregiudizio. 

Gli insegnamenti del Cristianesimo e del pacifismo costituiscono il vero  cammino da percorrere per ridare dignità ai popoli ai quali essa non è riconosciuta. Nella terra in cui è nato Gesù deve rinascere la pace attraverso l’instaurazione di una relazione fondata sulla fratellanza umana, come chiede, con umiltà e con accorato vigore, il Documento Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune”.

Dal 4 al 10 agosto la Vacanza Carismatica per le Famiglie promossa dal RnS a Loreto

‘E-state con Gesù’. Questo il titolo della Vacanza Carismatica per Famiglie promossa, come ogni anno, dal Rinnovamento nello Spirito Santo e curata dall’équipe dell’Ambito nazionale Evangelizzazione Famiglie presso la Casa Famiglia di Nazareth a Loreto (AN), da domenica 4 a sabato 10 agosto 2024, sul tema: ‘Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, ed io vi darò ristoro’ (Mt 11,28).

Il programma contempla, oltre alla Preghiera carismatica comunitaria e alle Sante Messe, la mistagogia esperienziale, il Roveto ardente, momenti di condivisione, ritrovo e fraternità, uscite e visite guidate nei paesi limitrofi. Previsto anche il teatrino di evangelizzazione a cura dell’Associazione ‘Bella è la Vita’:

“Siamo grati a Dio e al Comitato nazionale di Servizio – dichiarano Fabrizio e Ilenia Fioriti, delegati nazionali dell’Ambito Evangelizzazione Famiglie – per la riapertura della Casa Famiglia di Nazareth a Loreto, dove ogni persona può trovare ristoro, a contatto con la natura e lontano dai rumori e dalla frenesia del mondo. Attendiamo con gioia, come oramai da diversi anni, la Vacanza Carismatica.

La vicinanza della Santa Casa rende questo luogo un terreno sacro dove coniugi, genitori, figli, nonni, single, vedovi si incontrano e sperimentano la fraternità familiare con serenità e semplicità, ispirati dalla Santa Famiglia di Nazareth. Insieme all’équipe, composta da famiglie e sacerdoti, siamo pronti ad accogliere i partecipanti provenienti da ogni parte d’Italia e dalla Germania, che hanno scelto di trascorrere insieme a Gesù vivo un tempo di svago e rigenerazione nel corpo e nello Spirito” .

Alla loro voce fa eco quella di Giuseppe Contaldo, Presidente del RnS, che afferma: “Maria e Giuseppe sono un modello di famiglia. Per capire l’importanza della famiglia, partiamo dalla ricerca di figure che possono guidarci come punti di riferimento. Maria e Giuseppe, appunto, rappresentano degli esempi per il loro aspetto umano, la solidità, l’accoglienza, la cura della vita, l’amore per il bene. La famiglia è un dono di Dio, ma anche una conquista che dobbiamo realizzare e guadagnare giorno dopo giorno.

E’ un po’ come la storia della Terra promessa, che è sia un dono che una conquista: Dio ce la dà, ma noi ce la dobbiamo prendere. La famiglia è anche una vocazione, perché parte da un’opera di Dio. Così è la vocazione: Dio ce la consegna, ma noi dobbiamo coltivarla. Ed è in questa prospettiva che si pone la prossima Vacanza Carismatica delle Famiglie che inizierà tra qualche giorno”.

COP: ripensare la parrocchia nella grande città

“Abbiamo sempre chiamato settimana del COP questo nostro incontrarci ogni anno  a riflettere sulla pastorale italiana e quest’anno non potevano non partire dalla sinodalità, come esperienza che ha caratterizzato tutte le diocesi italiane, per acquisire il lavoro fatto e per fare un passo ulteriore: declinare la categoria sinodalità dentro le nuove comunità parrocchiali che si stanno formando in molte regioni italiane, perché il termine “sinodalità” non risuoni come un vuoto refrain, ma apra a ricadute concrete, attraverso una profonda conversione. L’altro elemento che abbiamo voluto approfondire è la missione: una comunità vera non può non essere comunità missionaria, con un movimento ‘in uscita’, quindi”.

Il presidente del Centro Orientamento Pastorale (COP), mons. Domenico Sigalini, ha concluso la 73^ Settimana di aggiornamento sociale, invitando a riflettere sul tema della parrocchia sinodale e missionaria, ‘sempre vicina alla gente’, svoltosi a Seveso, in cui teologi, pastoralisti, liturgisti, ma anche esperti di nuove tecnologie e rappresentati dell’associazionismo hanno tentato di declinare le prospettive di una trasformazione magmatica e impetuosa che obbliga a rivedere certezze e abitudini rassicuranti: “La preoccupazione e l’obbligo di abitare le trasformazioni che stiamo conoscendo come Chiesa: ci fa porre qualche domanda: Cosa fare? Cosa stiamo diventando? Missionari dentro una città che non abbiamo generato, anzi che ci genera, allo stesso tempo capaci di ritrovare le tracce dello Spirito, che ci rende protagonisti in questa storia di piena trasformazione. Milano come Ninive è una grande metafora”.

Ed ha ricordato la lettera pastorale del card. Martini rivolta alla città di Milano agli inizi degli anni ’90: “E’ una metafora d’invito ad imparare a guardare la città come Giona guardava Ninive, ovvero una città che ci può sembrare estranea ma che è già abitata da Dio. Vogliamo ritrovare le tracce di Dio che abita in questa città, in un momento in cui abbiamo la sensazione che la trasformazione invece ci ‘espella’ dalla città. Lo possiamo fare accettando un metodo, che è il rovesciamento di prospettiva, ovvero non guardare sempre a chi siamo noi dentro la città ma a guardare a chi è la città, e come ci guarda. Un metodo che possiamo eseguire in tre tappe”.

Il presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, Gianni Borsa, ha invitato ad incontrare le ‘città’ nella città: “Ci riferiamo peraltro alla città riconoscendo di essere sempre meno radicati in un luogo fisico (la città appunto). Tra pendolarismo per studio o lavoro, delocalizzazioni, mobilità e viaggi, internet e social media, tra reale e virtuale… diventiamo sempre più residenti non abitanti di infiniti non-luoghi. I nonluoghi descritti da Marc Augè, spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli (treni e metropolitane, supermercati, parcheggi, stadi).

Le piazze oggi sono virtuali, gli incontri avvengono spesso on line e sui social, le chiacchiere uozzappate… Siamo al contempo, qui e altrove grazie al digitale. Siamo vicini – in metropolitana – eppure distanti. Così gli spazi fisici tendono a perdere o dilatare i confini: pensiamo solo al profilo della parrocchia, che non a caso è stata definita liquida”.

E’ stato un invito ad ‘uscire’ da casa: “Per capire davvero le città, per capire dalla città, occorre “perdersi” nella città. Viverla intensamente. Necessario uscire da casa (uscire dalla chiesa, andare oltre il sagrato). Charles Dickens, cantore della Londra vittoriana, racconta di essersi smarrito da piccolo nella City londinese: così comincia ad apprezzare e amare la città.

Il Renzo dei ‘Promessi sposi’ apprende grandi lezioni di vita dopo essersi immerso, fra tante peripezie, nella Milano della peste, per lui città ‘straniera’. La stessa Milano è oggi segnata, sul piano urbanistico, da nuovi quartieri pensati e costruiti per essere frequentati solo alcune ore al giorno (quartieri degli orari ‘feriali’), per il resto svuotati di gente, di vita. Diventando periferie silenziose, a tempo, di lusso”.

Mentre don Mattia Colombo, docente di teologia pastorale al Seminario di Milano, prendendo spunto da una serie di interviste a donne e uomini diversamente impegnati a livello parrocchiale e sociale, più o meno assidui nella frequentazione dei sacramenti, ha fornito alcune indicazioni: “Come questo contesto interpella la parrocchia urbana (che è nella regione postmetropolitana)? Occorre collocarsi nella lettura del contesto, piuttosto che applicare modelli. Quali sono le trasformazioni da mettere a tema? Alcune provocazioni. 1) Ri-strutturare, dare una nuova struttura alla fede rispetto al tempo. Come la parrocchia può garantire una certa comodità temporale specie per ristrutturare il ‘precetto’ festivo? La sola pratica sacramentale (insuperabile) non diventa l’assoluto dell’analisi.

2) Accogliere una logica affinitaria, senza canonizzarla. La gente sempre più sceglie oltre il criterio di appartenenza territoriale, ad esempio con il criterio del tempo. Nonostante questa dimensione affinitaria-elettiva occorre vigilare perché non si passi da una forma popolare ad una forma di scelta. 3) Formare a scelte consapevoli. Pur non vivendo all’ombra del campanile ogni battezzato è discepolo missionario. In parrocchie sempre più ‘attraversate’ piuttosto che abitate, occorre rendere proficue esperienze pastorali. 4) Superare una logica di ‘specializzazione’. Non esiste una evangelizzazione da effettuarsi con logiche pure. Il contesto urbano, ricorda alla Chiesa la complessità dell’azione pastorale, un’azione che ha peso simbolico specie nella città”.

In apertura del convegno mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano, ha introdotto il tema della ‘settimana’: “Il cristianesimo ha cambiato la storia introducendo un argomento nuovo, quello della resurrezione. Come torniamo oggi a quello che una volta chiamavamo ‘precetto festivo’? E’ tramontato perché lo abbiamo ridotto alla sua sola dimensione morale, facendo venir meno dimensioni fondamentali come l’aggregazione, la costruzione di dinamiche simboliche, riconoscersi come comunità, capire il senso della storia, generare un noi; solo alla fine è diventato un principio etico. Oggi dobbiamo rifare tutto questo in modo nuovo, ed è quello che ci viene consegnato, per scoprire che in realtà ne abbiamo già tanti di spazi rigeneratori del precetto festivo. Per rigenerare un cristianesimo anche nel XXI secolo”.

In conclusione nella lettera alla parrocchia mons. Sigalini ha sottolineato il dono dell’accoglienza da parte della parrocchia: “Proprio qui sta la prima accoglienza che ci è chiesta di vivere: la povertà del nostro tempo. Accogliere la povertà delle nostre chiese vuote. Siamo invitati  a essere prossimi a tutte le nuove forme di povertà e fragilità, sentendo viva anche per la tua piccola o grande comunità l’esortazione «ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità della tua vecchia parrocchia sia capace di creare nuove ospitalità  per dare bellezza alle nostre comunità”.

 (Foto: COP)

A Merate il premio ‘Fuoco dentro – donne ed uomini che cambiano il mondo’

Si svolgerà domenica 23 giugno, alle ore 21, al Teatro del Collegio Villoresi di Merate (LC) la cerimonia di consegna della terza edizione del Premio “Fuoco dentro – Donne e uomini che cambiano il mondo”, istituito dall’Arcidiocesi di Milano e da Elikya, associazione di promozione sociale che dal 2012 opera in diversi ambiti del mondo civile e religioso.

Riconoscere coloro che con il generoso impegno per il bene dell’individuo e della società sono diventati testimoni di speranza, illuminando il cammino di chi hanno incontrato: è il senso del Premio, il cui titolo nasce da un’omelia dell’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, divenuta anche un brano musicale e uno spettacolo drammatizzato da Elikya.

Come già successo nelle due precedenti edizioni, anche per l’edizione 2024 di ‘Fuoco dentro’ una commissione composta da giornalisti, scrittori, docenti universitari, religiosi e rappresentanti del mondo interculturale e interreligioso ha individuato le persone cui assegnare il Premio, quest’anno significativamente realizzato da alcuni artigiani di Betlemme.

I premiati, alla presenza dell’Arcivescovo, saranno: don Claudio Burgio, fondatore e presidente dell’Associazione Kayrós oltre che cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano; Carlo Alberto Caiani e la moglie Sara Pedroni, che con i loro tre figli da quasi vent’anni accolgono minori in affido presso la cascina dei padri Somaschi a Vercurago (LC); Blessing Okoedion, donna nigeriana sopravvissuta alla tratta che ha denunciato i suoi aguzzini e ora è impegnata come mediatrice culturale e interprete; suor Nabila Saleh che ha vissuto per tredici anni a Gaza e che a causa della guerra con Israele è stata per sei mesi rifugiata nella parrocchia latina, prendendosi cura dei più fragili sotto i bombardamenti; infine Franco Vaccari, presidente e fondatore di ‘Rondine Cittadella della Pace’, un’organizzazione impegnata per il superamento dei conflitti armati nel mondo.

Un premio alla memoria sarà poi dedicato a suor Luisa Dell’Orto, uccisa nel 2022 nella capitale di Haiti dove era la colonna portante di ‘Casa Carlo’, un centro che raccoglie centinaia di bambini di strada, ricostruito nel 2010 dopo il terremoto che ha devastato l’isola caraibica.

La serata – a ingresso libero – sarà animata dal Coro Elikya, un ensemble composto da 50 coristi di 16 nazionalità differenti, guidati dal direttore Raymond Bahati, che propone un intreccio di diverse forme artistiche. In questa multiformità si rispecchia la composizione del gruppo stesso e si svela la bellezza della diversità. L’iniziativa ha il patrocinio del Comune di Merate ed è sostenuta da Confcommercio Lecco, dalla Fondazione Comunitaria del Lecchese e dal Gruppo Elemaster.

Arnoldo Mosca Mondadori: la ‘Casa dello Spirito e delle Arti’ per dare senso alla vita

“Vi ringrazio tutti perché siete un seme di speranza. Con il sostegno della Fondazione ‘Casa dello Spirito e delle Arti’, voi date dei segnali che si oppongono alla cultura dello scarto, purtroppo diffusa. Invece voi cercate di costruire, con le ‘pietre scartate’, una casa dove si respiri un clima di amicizia sociale e di fraternità. Non tutto è facile, non sono tutte ‘rose e fiori’! Ognuno di noi ha i suoi limiti, i suoi sbagli e i suoi peccati. Tutti noi. Ma la misericordia di Dio è più grande, e se ci accogliamo come fratelli e sorelle Lui ci perdona e ci aiuta ad andare avanti”.

Da queste parole di papa Francesco pronunciate nel 2022 in un’udienza, iniziamo il dialogo con il presidente della Fondazione ‘Casa dello Spirito e delle Arti’, Arnoldo Mosca Mondadori, membro del cda dell’Opera ‘Cardinal Ferrari’, pronipote di Arnoldo, fondatore della Mondadori e nipote di Alberto, fondatore de ‘Il Saggiatore’, poeta e curatore dell’opera di Alda Merini, oltre che intimo amico: “Ogni progetto della Fondazione nasce dal desiderio e dall’intenzione di realizzare, all’interno della Chiesa Cattolica e a suo servizio, quella collaborazione e sintonia auspicata dal Concilio Vaticano II tra sacerdoti e laici, per testimoniare insieme Cristo Luce del mondo”.

Cosa è la Fondazione ‘Casa dello Spirito e delle Arti’?

“E’ una Fondazione nata con la signora Marisa Baldoni nel 2012, che cerca di porre al centro la dignità di ogni essere umano, sopratutto di persone che si trovano a vivere in situazione di grande povertà. E cerca di fare questo offrendo opportunità concrete di lavoro. I due progetti principali della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti sono il progetto ‘Metamorfosi’ ed il progetto ‘Il senso del Pane’, che si svolgono sopratutto nelle carceri”.

Per quale motivo un progetto chiamato il ‘senso del pane’?

“Il progetto ‘Il senso del Pane’ è nato per cercare di testimoniare la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia. Ho sempre sentito dentro di me che Gesù è davvero presente nel pane consacrato. Quel pane è la luce del mondo: è il vero Sole che sostiene il mondo. Ma spesso questo è ignorato.

 Per questo motivo nasce il progetto: per l’amore verso l’Eucaristia, verso Gesù, per cercare di testimoniarlo”.

Come nasce il ‘senso del pane’?

“Nasce nel carcere di Opera nel 2015. Per testimoniare il mistero dell’amore di Gesù, che dà se stesso per tutti, per salvare tutti. E nasce proprio dalle mani di chi ha sbagliato. Il primo laboratorio di produzione di ostie ha coinvolto infatti nel 2015 tre persone detenute condannate per omicidio, che avevano fatto un autentico percorso di presa di coscienza del male commesso, attraverso un progetto che pone al centro la giustizia riparativa.

Queste tre persone detenute sono state assunte e hanno iniziato a produrre le ostie. Le prime ostie sono state donate a papa Francesco, che le ha consacrate, e poi a chiese italiane e diocesi di tutto il mondo. Grazie a Ennio Doris, questo progetto si è sviluppato in 18 Paesi del mondo, coinvolgendo più di trecento persone nel lavoro di produzione delle ostie da donare alle chiese. Non solo persone detenute ma anche persone che vivono in contesti di grande fragilità, come la guerra, la persecuzione, la povertà assoluta.

Ogni persona coinvolta è aiutata e accompagnata nel suo percorso di reinserimento sociale. Le ostie vengono sempre donate alle chiese di tante Diocesi del mondo e viene chiesto ai sacerdoti di testimoniare sempre da dove le ostie provengono, dunque l’unione inscindibile tra Gesù e i poveri, e comunicare ai fedeli la reale presenza di Gesù nel Santissimo Sacramento”.

Cosa sono i laboratori eucaristici?

“Sono i luoghi dove vengono prodotte le ostie. Di solito in ogni laboratorio lavorano da un minimo di 3 persone, come nel carcere femminile di San Vittore a Milano, fino a 27 persone, come nel carcere giovanile di Frutal, in Brasile. In ogni laboratorio eucaristico c’è un referente spirituale che aiuta le persone nel loro cammino verso il reinserimento sociale, abitativo e lavorativo.

I laboratori eucaristici sono dei ‘luoghi ponte’ affinché, attraverso questo lavoro pratico e spirituale, le persone possano ritrovare dignità, speranza e autonomia. Mi ha molto colpito vedere come in Turchia, donne che erano schiave a causa della prostituzione, grazie a questo lavoro si sono liberate e ora vivono una vita normale. Mi colpisce vedere come tanti giovani grazie a questo lavoro (penso ad esempio al Mozambico e ai giovani detenuti in fase di reinserimento o in Spagna o nello Zambia) riescono a riprendere in mano la propria vita, avviando un’attività autonoma. Più passano gli anni, più vedo i frutti concreti di questo lavoro dedicato a Gesù e alla testimonianza”.

E ci può spiegare l’iniziativa dei ‘rosari del mare’?

“Quando sono andato a Lampedusa ed ho visto arrivare le barche con i migranti, barche che venivano distrutte e smaltite come rifiuti speciali, ho pensato che quel legno potesse diventare memoria della storia di quelle persone in fuga dalla guerra e dalla povertà. Allora, nel 2021 abbiamo chiesto al Governo italiano che il legno delle barche, anziché essere distrutto, potesse essere riutilizzato. Le croci arrivano quindi dal carcere insieme ai grani, sempre nati da quel legno, e in un locale messo a disposizione dalla basilica di San Pietro due persone rifugiate assemblano i Rosari.

Con questa attività da una parte cerchiamo con questo progetto, che si chiama ‘Metamorfosi’, di far sì che tanti giovani, ricevendo un rosario, possano conoscere il dramma contemporaneo dei migranti. Dall’altra diamo lavoro in carcere, negli istituti penitenziari di Opera, Monza, Rebibbia e Secondigliano, dove ci sono le diverse liuterie e falegnamerie, per sottolineare l’importanza dell’articolo 27 della Costituzione italiana, secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato”.

L’associazione è attiva anche in Terra Santa: perché sostenete la produzione di ostie a Gaza e a Betlemme?

“Avevamo aperto il laboratorio di produzione di ostie sia nella Striscia di Gaza sia a Betlemme, grazie a Ennio Doris, nel 2021. Quando è iniziata la guerra a Gaza, la produzione di ostie è continuata e la nostra Fondazione ‘Casa dello Spirito e delle Arti’ ha continuato a sostenere la comunità della Chiesa di Gaza. Il fatto che in quella situazione così dolorosa, in quel ‘Calvario a cielo aperto’, continui a nascere il pane che poi diventa Gesù, è un segno di speranza. Vedere le fotografie dei fedeli che preparano con gioia il pane che nella Messa viene consacrato, è un segnale di vera testimonianza”.

Quale tipo di rete siete in grado di offrire?

“Come Fondazione lavoriamo sempre con referenti locali, cioè ogni laboratorio ha un responsabile (di solito un sacerdote), che aiuta ogni persona sia all’interno del laboratorio, sia nel momento in cui la persona è pronta per uscire e reinserirsi nel contesto sociale esterno. Dunque le persone sono aiutate, attraverso i laboratori e attraverso questo lavoro in cui centrale è la preparazione di quello che sarà il Corpo di Cristo, a ritrovare prima di tutto pace interiore.

Ogni laboratorio è davvero come un ‘piccolo monastero’. Si respira nei laboratori una grande serenità. Nei laboratori le persone ritrovano la fiducia. E’ molto importante anche che le persone coinvolte ricevano uno stipendio o un supporto economico, che permette loro di poter pensare al proprio futuro e al sostegno delle proprie famiglie. L’ultima fase è l’accompagnamento delle persone che escono dai laboratori (di solito la permanenza non supera i due anni) verso il reinserimento sociale, abitativo, lavorativo”.

(Foto: Casa delle Arti e dello Spirito)

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