Papa Francesco: ‘I Care’ per raccontare la bellezza di Dio

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Inizio settimana impegnativa per papa Francesco, che nella mattinata ha ricevuto in udienza i 150 membri dell’AIGAV (associazione internazionale dei giornalisti vaticanisti), ringraziandoli per l’informazione che forniscono sulla Chiesa, ben cosciente che essa è una missione e, quindi, una vocazione:

“Essere giornalista è una vocazione, un po’ come quella del medico, che sceglie di amare l’umanità curandone le malattie. Così, in un certo senso, fa il giornalista, che sceglie di toccare con mano le ferite della società e del mondo. E’ una chiamata che nasce da giovani e che porta a capire, a mettere in luce, a raccontare. Vi auguro di tornare alle radici di questa vocazione, di farne memoria, di ricordare la chiamata che vi unisce in un compito così importante. Quanto bisogno di conoscere e di raccontare da una parte, e quanta necessità di coltivare un amore incondizionato alla verità dall’altra!”

Quindi, ringraziandoli per i sacrifici a cui sono chiamati, ha tratteggiato la figura del giornalista ‘vaticanista’: “Rispondo prendendo a prestito le parole di un vostro collega, che ha da poco festeggiato gli ottant’anni e ha viaggiato tanto con i Papi. Parlando del suo lavoro di vaticanista, lo ha definito ‘un mestiere veloce fino a risultare spietato, due volte scomodo quando si applica a un soggetto alto come la Chiesa, che i media commerciali inevitabilmente portano al loro livello… di mercato’…  

Vorrei aggiungere la delicatezza che tante volte avete nel parlare degli scandali nella Chiesa: ce ne sono e tante volte ho visto in voi una delicatezza grande, un rispetto, un silenzio quasi, dico io, ‘vergognoso’: grazie di questo atteggiamento”.

In conclusione ha elogiato la bellezza di comunicare le notizie veramente necessarie: “La bellezza del vostro lavoro attorno a Pietro è quella di fondarlo sulla solida roccia della responsabilità nella verità, non sulle sabbie fragili del chiacchiericcio e delle letture ideologiche; che sta nel non nascondere la realtà e anche le sue miserie, senza edulcorare le tensioni ma al tempo stesso senza fare clamori inutili, bensì sforzandosi di cogliere l’essenziale, alla luce della natura della Chiesa.

Quanto bene questo fa al Popolo di Dio, alla gente più semplice, alla Chiesa stessa, che ha ancora del cammino da compiere per comunicare meglio: con la testimonianza, prima ancora che con le parole. Grazie tante del vostro lavoro”.

Di seguito ha incontrato i membri della fondazione del Comitato Nazionale per il Centenario della nascita di ‘Don Lorenzo Milani, ricordando la sua conversione: “L’evento centrale della vita di don Milani è la sua conversione, non dimentichiamolo. Essa permette di comprendere appieno la sua persona, dapprima nella sua ricerca inquieta e poi, dopo la completa adesione a Cristo, nella sua piena realizzazione. Il suo ‘sì’ a Dio lo prende, lo trasforma e lo spinge a comunicarlo agli altri”.

La conversione consente di vivere le beatitudini, rinunciando ai privilegi: “La conversione è il cuore di tutta l’esperienza umana e spirituale di Don Milani che lo fa credente, prete innamorato della Chiesa, fedele servitore del Vangelo nei poveri.

Don Lorenzo ha vissuto fino in fondo le Beatitudini evangeliche della povertà e dell’umiltà, lasciando i suoi privilegi borghesi, la sua ricchezza, le sue comodità, la sua cultura elitaria per farsi povero fra i poveri. E da questa scelta non si è mai sentito sminuito, perché sapeva che quella era la sua missione, Barbiana era il suo posto, tanto che, appena arrivato, acquistò lì la sua tomba”.

Per questo don Milani è stato testimone del suo tempo: “Don Milani è stato testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica, del cambiamento d’epoca in cui l’industrializzazione si affermava sul mondo rurale, quando i contadini e i loro figli dovevano andare a fare gli operai, una condizione che li confinava ancora di più ai margini”.

La scuola doveva essere un luogo che non doveva escludere nessuno: “Con mente illuminata e cuore aperto Don Lorenzo comprende che anche la scuola pubblica in quel contesto era discriminante per i suoi ragazzi, perché mortificava ed escludeva chi partiva svantaggiato e contribuiva nel tempo a radicare le disuguaglianze. Non era un luogo di promozione sociale, ma di selezione, e non era funzionale all’evangelizzazione, perché l’ingiustizia allontanava i poveri dalla Parola, dal Vangelo, allontanava contadini e operai dalla fede e dalla Chiesa”.

Così anche la Chiesa doveva diventare un luogo ‘accogliente’: “Allora si interroga su come la Chiesa possa essere significativa e incidere con il suo messaggio perché i poveri non rimangano sempre più indietro. E con saggezza e amore trova la risposta nell’educazione, attraverso il suo modello di scuola, cioè mettere la conoscenza a servizio di quelli che sono gli ultimi per gli altri, i primi per il Vangelo e per lui”.

Ecco il significato del suo motto insegnato ai ragazzi: “Al piccolo gregge di Barbiana, alla sua gente, don Lorenzo consegna tutta la propria vita, che prima ha consegnato a Cristo. Il motto ‘I Care’ non è un generico ‘mi importa’, ma un accorato ‘m’importa di voi’, una dichiarazione esplicita d’amore per la sua piccola comunità;

e nello stesso tempo è il messaggio che ha consegnato ai suoi scolari, e che diventa un insegnamento universale. Ci invita a non rimanere indifferenti, a interpretare la realtà, a identificare i nuovi poveri e le nuove povertà; ci invita anche ad avvicinarci a tutti gli esclusi e prenderli a cuore. Ogni cristiano dovrebbe fare in questo la sua parte”.

Ed infine ha ricevuto i partecipanti al convegno organizzato da Vinitaly sul tema ‘L’economia di Francesco e il mondo del vino italiano’, realtà molto importante per l’economia italiana, focalizzando l’intervento sulla responsabilità del rispetto del creato non tralasciando le nozioni economiche: “Le linee fondamentali su cui avete scelto di muovervi (attenzione all’ambiente, al lavoro e a sane abitudini di consumo) indicano un atteggiamento incentrato sul rispetto, a vari livelli.

Ed il rispetto, nel vostro lavoro, è certamente fondamentale: per un prodotto di qualità, infatti, non basta l’applicazione di tecniche industriali e di logiche commerciali; la terra, la vite, i processi di coltivazione, fermentazione e stagionatura richiedono costanza, richiedono attenzione e richiedono pazienza”.

Rispetto anche nel mondo del lavoro: “E se il rispetto e l’umanità valgono nell’uso della terra, sono ancora più decisivi nella gestione del lavoro, nella tutela delle persone e nel consumo dei prodotti, per far maturare, a livello di singoli e di aziende, quella capacità di ‘auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità’, che ‘rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente», considerando «l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé’…

Cari amici, il vino, la terra, l’abilità agricola e l’attività imprenditoriale sono doni di Dio, ma non dimentichiamo che il Creatore li ha affidati a noi, alla nostra sensibilità e alla nostra onestà, perché ne facciamo, come dice la Scrittura, una vera fonte di gioia per ‘il cuore dell’uomo’, e di ogni uomo, non solo di quelli che hanno più possibilità”.

(Foto: Santa Sede)

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