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Società di San Vincenzo De Paoli: si è concluso a Vittoria il progetto ‘Insieme per Costruire un Lavoro’

La Società di San Vincenzo De Paoli ODV Consiglio Centrale di Vittoria ha organizzato un corso per pizzaiolo destinato a diverse famiglie in difficoltà che potranno inserirsi nel mondo del lavoro ed essere autonome.

Due mesi di alta formazione professionale che si sono conclusi con il rilascio di un attestato che ha fornito ai dieci allievi tutte le competenze necessarie per intraprendere la professione ed essere assunti con contratti di lavoro vantaggiosi.

Giuseppe ha 58 anni ed è rimasto senza lavoro dopo aver chiuso l’azienda familiare. Per la sua famiglia sogna in grande: “Vorrei aprire una pizzeria tutta mia. Oggi intanto inizio nuovamente a sperare grazie a una nuova prospettiva lavorativa”, racconta.

Flavio ha soli 18 anni. La strada è lunga davanti a sé ma di difficoltà ne ha già incontrate diverse. A soli 16 anni ha dovuto lasciare gli studi per aiutare economicamente la sua famiglia: “Ho lavorato in campagna e la sera facevo il cameriere. Erano lavoretti saltuari e non mi consentivano di aiutare sempre i miei genitori. Oggi però, con una nuova arte in mano, potrò inserirmi nella ristorazione con un contratto sicuro e dignitoso”.

Le famiglie in difficoltà nel territorio sono diverse. Il Consiglio Centrale aiuta 420 nuclei familiari. “Il nostro proposito è contrastare l’esclusione sociale e le diverse forme di marginalità. Così, insieme alle Conferenze di Vittoria-Scoglitti e Acate, abbiamo pensato di promuovere questo progetto per avviare più persone a un lavoro autonomo. Per renderle autosufficienti e ridare loro la dignità”, spiega il Presidente del Consiglio Centrale della Società di San Vincenzo De Paoli di Vittoria, Rosario Macca.

I maestri pizzaioli hanno incontrato i propri allievi tre volte a settimane e ogni lezione durava dalle 4 alle 5 ore tra la pratica in laboratorio e la teoria. A ogni ‘scolaro’ sono stati trasmessi tutti i particolari delle tecniche di produzione e lavorazione e svelato anche qualche piccolo segreto per una pizza a prova dei palati più raffinati. Ogni corsista con cinque ingredienti, gli utensili necessarie le mani in pasta ha ottenuto il suo prodotto pronto da essere utilizzato dopo un’attenta lievitazione, il giusto condimento e un forno ben scaldato.

“E’ stato bello vedere tanta soddisfazione e forza interiore… D’altronde una buona pizza è il frutto di pizzaioli determinati e con tanta voglia di fare! Tra i più adulti è emerso il desiderio di ricominciare. Di rimettersi in gioco. Siamo contenti di aver offerto questa possibilità a diverse famiglie che iniziavano a perdere la speranza”, sottolinea Sara Lo Monaco, Vice Presidente del Consiglio Centrale della Società di San Vincenzo De Paoli di Vittoria. Il progetto ‘Insieme per costruire un lavoro’ ha avuto un costo di € 5.500,00 che è stato sostenuto dalla Ditta AGRIPLAST S.P.A. di Vittoria e dal Consiglio Centrale.

Il Consiglio Centrale di Vittoria si occupa di assistere le famiglie e le persone che sono nel bisogno, con interventi mirati a rendere più dignitosa la loro quotidianità come la distribuzione di alimenti o altri generi personali, distribuzione di farmaci, aiuto nell’acquisto di bombole di gas per riscaldamento e cucina, aiuto nel pagamento di bollette di energia elettrica e quant’altro necessario per le necessità e i disagi esistenti.

Ogni giorno spinti da una forte carità vengono garantiti una gamma di servizi come le visite a domicilio, la distribuzione di beni di prima necessità, il sostengo morale e spirituale agli ammalati, agli anziani, alle persone sole e l’assistenza burocratica e amministrativa.

(Foto: Società San Vincenzo de’ Paoli)

A Vigevano la sartoria solidale della San Vincenzo De Paoli tesse ‘Fili di comunione’ e crea abiti speciali

“…C’è bisogno di gente in grado di tessere fili di comunione che contrastino i troppi fili spinati delle divisioni…”. Recita così un estratto dell’omelia di Papa Francesco in occasione della LV Giornata della Pace. Parole chiare da cui trae il nome la sartoria solidale “Fili di comunione”. Una realtà nata grazie alla Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Centrale di Vigevano ODV.

Era il 2019 quando un gruppetto di volontari e inizia a riunirsi per condividere le proprie esperienze lavorative. “Sferruzzavano, ricamavano o cucivano in un clima sereno, accogliente e amicale”, affermala Presidente della Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Centrale di Vigevano ODV, Elisabetta Borghi. Si riunivano nella sede della Conferenza di San Francesco della Società di San Vincenzo De Paoli.

Negli anni è sorta la decisione di creare piccoli manufatti da vendere ai banchetti natalizi: il ricavato è stato destinato alle persone indigenti. La sede della Conferenza di San Francesco ha iniziato così a tessere fili di comunione che hanno raggiunto luoghi segnati dalla povertà e superato le divisioni generate dall’indifferenza e dalle avversità, proprio come esortava Papa Francesco.

Sono iniziati i corsi di uncinetto per principianti, tutto rigorosamente gratuito, e il 29 settembre 2024 è nata la sartoria. Il piccolo laboratorio oggi conta 10 sarte e si sono alternate una quindicina di donne esperte in lavori sartoriali, ricamatrici, magliaie, alcune delle quali sono sarte in pensione che: “Si sentono più forti perché sanno di poter contare le une sulle altre. Sono un gruppo ben consolidato”, confidala Presidente Borghi.

Le porte della sartoria si sono aperte anche per donne sole con figli a carico che hanno potuto imparare il mestiere sartoriale e ricevere uno strumento che garantisca loro una maggiore autonomia. “La gioia negli occhi delle donne e di quanti frequentano la sartoria è la nostra piccola vittoria”, aggiunge Elisabetta Borghi. Una ‘vittoria’ da assaporare giorno dopo giorno grazie a un’opera di carità che è diventata sempre più fruttuosa.

Il numero copioso di sostenitori e la partecipazione del Consiglio Centrale al Bando della Fondazione Piacenza e Vigevano con il progetto della Sartoria Solidale hanno permesso di creare un ambiente professionale con l’inserimento di macchinari all’avanguardia, protocolli di sicurezza idonei, un ricambio di tessuti e filati e una serie di utensili necessari per il lavoro sartoriale.

Con le nuove attrezzature sono stati progettati, prototipati e poi creati capi di abbigliamento su richiesta.  E non sono mancati i progressi: “Siamo riusciti a rinnovare i tempi e occuparci di Upcycling: recuperiamo dei capi dismessi e li riconfiguriamo secondo i dettami della moda del momento o su richiesta del committente. Il proposito è avere un occhio di riguardo al tema dell’ambiente e dell’inquinamento”, evidenzia la Borghi.

Un’attenzione e una cura che cerca di rispondere anche alle numerose emergenze che investono la società. A febbraio la squadra della sartoria ha partecipato alla campagna radiofonica ‘M’illumino di meno’ nata per la sostenibilità ambientale e il risparmio delle risorse e lanciata dal programma Caterpillar di Rai Radio2. Per l’evento è stato lavorato e rinnovato un cappotto che aveva i suoi 70 anni.

La realtà ha aperto le porte anche alle nuove generazioni coinvolgendo le scuole Secondarie di Primo e di Secondo grado alle quali è stata offerta una nuova visione di volontariato, nella speranza che qualche ragazzo contribuisca ad accrescere l’opera di bene.

Intanto l’11 maggio è stata inaugurata la nuova sede della Sartoria solidale e per l’occasione è stata organizzata la sfilata “Passato-Presente” in collaborazione con due Istituti scolastici di Vigevano, la scuola Secondaria di Primo Grado G. Robecchi e l’Istituto Tecnico Statale Luigi Casale. Durante la giornata è stata lanciata la raccolta fondi “Adotta il fiore della speranza”: sono state create 13 spille e apposte sugli abiti. Il costo di una spilla è stato di 13 euro, come 13 sono le persone a cui sarà destinato il devoluto. “Si tratta di uomini e donne della nostra comunità che versano in condizioni di grave marginalità”, spiega Elisabetta Borghi.

Il nuovo spazio ha permesso di aprire anche a nuove prospettive con gli incontri di “hobby sartoriale” che prevedono la creazione di borse a fronte di un contributo commisurato al costo dei materiali. Sarà dedicato a persone che sono sole e che hanno bisogno di un momento di convivialità e amicizia. La sartoria solidale tende la mano verso ogni uomo, nelle sue molteplici fragilità.

Nel corso dell’anno sono stati organizzati diversi eventi a scopo benefico: “Solo per citarne uno: a maggio dello scorso anno abbiamo organizzato una sfilata benefica di borse di paglia ri-create in occasione della mostra ‘Il rumore del tempo’ che è stata allestita nel Castello Sforzesco di Vigevano”, racconta la Presidente Borghi.

Le azioni intraprese consentono di aiutare le Conferenze del Consiglio Centrale di Vigevano ODV quotidianamente impegnate a sostenere le persone in difficoltà. “Solo nel 2024 è stato chiuso il bilancio con una cifra di aiutati che ha sfiorato la quota mille”, specifica Elisabetta Borghi.

Rispetto al futuro i progetti all’orizzonte sono diversi. “Alcuni si possono anticipare – afferma la Presidente Borghi e aggiunge -: “Tra i mesi di settembre e ottobre parteciperemo a un nuovo bando che ci consentirà di inserire una maestra d’opera in stato di difficoltà. Se saremo vincitori potremmo retribuirla con un contratto di prestazione d’opera occasionale”. Rispetto agli altri progetti afferma: “Non posso svelare nulla – sorride e anticipa qualcosa -: “Per il mese di novembre vorremmo organizzare un evento speciale. Stiamo ancora contattando i partners. Al momento è tutto top secret! – esclama e conclude: “Possiamo dire che sarà un evento memorabile…!” E allora non ci resta che attendere e raccontarlo al tempo opportuno.

(Foto: Società di san Vincenzo de’ Paoli)

Domani a Roma serata in ricordo di Pippo Corigliano con Gianni Letta e Costanza Miriano

Domani sera alle ore 18.00, organizzata dall’Associazione Civita, si terrà nel centro di Roma (Terrazza Civita, piazza Venezia 11), in occasione del primo anniversario dalla morte (8 giugno 2024), una serata in ricordo del giornalista e scrittore cattolico Pippo Corigliano (1942-2024), storico direttore dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei dal 1970 al 2011.

A introdurre l’incontro sarà il presidente onorario del sodalizio promotore Gianni Letta, noto per esser stato direttore del quotidiano “Il Tempo” dal 1973 al 1987 e sottosegretario del Consiglio dei Ministri durante il Governo Berlusconi IV (2008-2011). Fra i relatori la giornalista di Rai Vaticano Costanza Miriano, amica personale di Pippo Corigliano e autrice della Prefazione della nuova edizione del suo primo libro “Un lavoro soprannaturale. La mia vita nell’Opus Dei”, che nella ricorrenza le Edizioni Ares hanno meritoriamente deciso di pubblicare (Milano 2025, pp. 176, € 18).

A conclusione della serata l’attuale direttore dell’Ufficio Comunicazione Opus Dei Italia Raffaele Buscemi presenterà origini e finalità della “Fondazione Pippo Corigliano”, un progetto destinato non solo ad amici ed estimatori del giornalista e scrittore ma anche a chi, come lui, intende «santificare il proprio lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare gli altri per mezzo del lavoro» nel mondo della comunicazione e della cultura in generale.

Non a caso nel presentarsi Corigliano diceva in ogni occasione di amare san Josemaría Escrivá (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei, san Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger e Papa Francesco. Nello stile di questi grandi testimoni della Fede, come ha ricordato Costanza Miriano nella sua Prefazione, «gran parte del bene che ha fatto lo conosce solo lui e le persone che ne hanno beneficiato».

Pippo Corigliano ha pubblicato nello scorso decennio diversi interessanti libri per Mondadori come Preferisco il Paradiso. La vita eterna com’è e come arrivarci (2012), Quando Dio è contento. Il segreto della felicità (2013), Siamo in missione per conto di Dio. La santificazione del lavoro (2015) e Il cammino di San Josemaría. Il fondatore dell’Opus Dei e i giovani (2019). Con le Edizioni Ares, invece, oltre al volume appena ripubblicato Un lavoro soprannaturale (la prima edizione – ormai fuori catalogo per Mondadori – risaliva al 2008), ha firmato i due volumi delle Cartoline dal Paradiso. La speranza oltre la crisi (2014 e 2017) e la biografia Alfonso Maria de’ Liguori. Il più napoletano dei santi, il più santo dei napoletani (2023).

Il libro-testimonianza che sarà ripresentato domani sera a Roma è il racconto del suo incontro con la Fede attraverso san Josemaría Escrivá e l’Opus Dei ma è anche la cronaca vivace delle amicizie che hanno costellato la sua vita come quelle con Indro Montanelli (1909-2001), Leonardo Mondadori (1946-2002), Ettore Bernabei (1921-2016) e tanti altri. Il tono lieve e pieno di gioia rispecchia perfettamente il carattere dell’autore. «L’intento dell’Opera», spiegava, «è risvegliare nei nostri tempi lo spirito dei primi cristiani. Questi erano gente comune, toccata da un messaggio straordinario che la rendeva capace di cose altrettanto straordinarie: generosità, dinamismo apostolico, fede operosa, amore reciproco, laboriosità, affidabilità. Una fede operativa insomma…».

L’accredito per la serata in ricordo di Pippo Corigliano è obbligatorio e può essere richiesto scrivendo una email a: segreteria@comitatopippocorigliano.it.

Don Franco Monterubbianesi: una vita accanto ai più fragili

Negli ultimi giorni di maggio è deceduto don Franco Monterubbianesi, che nasce a Fermo il 30 maggio 1931 e dopo l’iscrizione alla facoltà di Medicina, chiede di diventare sacerdote, studiando al Collegio Capranica a Roma, ed ordinato sacerdote il 19 agosto 1956. Frequenta il mondo della disabilità con i treni degli ammalati dell’Unitalsi.

L’arcivescovo Perini lo incoraggia a far qualcosa per i ragazzi e le ragazze spesso istituzionalizzati in Centri riabilitativi, in realtà semplici contenitori. In una celebre lettera alcuni di loro scrivono di essere stati bene nei tre giorni di pellegrinaggio, ma chiedono qualcosa di più per il futuro. Sorretto da Marisa Galli di Servigliano, donna con una grave disabilità, inizia una vera e propria avventura. Cerca una casa prima a Loreto, poi individua una villa abbandonata a Capodarco. Il primo titolo della casa è ‘Centro comunitario Gesù risorto’, in quanto il tema della risurrezione rientra spesso nei suoi progetti.

Nel Natale 1966 fonda la Comunità i cui punti salienti del programma erano: il rispetto delle persone, il lavoro, la progettualità. Lo spirito della Comunità è sorretto da molti giovani che si sono dedicati al sociale. Dal 1970 gruppi di persone fondano comunità locali in Sardegna, Fabriano, Gubbio, Perugia, Volano poi man mano, fino ad arrivare in Calabria, in Sicilia, in Puglia, in Campania, in Veneto. Attualmente sono 13 Comunità in Italia e 4 all’estero (Albania, Camerun, Equador e Kosovo) con 1.226 le persone accolte per 626 addetti e 430 volontari. Più tardi si apriranno Comunità in Ecuador, Albania, Camerun e Kossovo.

Nel 1973 don Franco si ostina a voler aprire una Comunità a Roma. E’ un gran fiorire di corsi professionali, di cooperative, di gruppi, di famiglie sparse nella città. Tra queste la cooperativa Agricoltura Capodarco. La grande idealità che ha sempre contraddistinto l’agire di Don Franco si è scontrata con la dura realtà economica fino ad essere costretti ad affidarla ad altri. Egli è molto attento ai giovani: accoglie i primi obiettori di coscienza, è favorevole al servizio civile.

Il messaggio lasciato da don Franco Monterubbianesi si basa sull’accoglienza e sull’attenzione: accogliere le persone con limiti fisici e piscologici, madri e minori bisognosi di aiuto, ragazzi tossicodipendenti, rispettando storie e sogni; alimentare sempre l’attenzione a quanto il territorio richiede; creare comunità come strumento indispensabile per dare sostegno. Da qui nasce lo spirito evangelico che unisce anima e corpo, singoli e gruppi. Una teologia capace di esprimere la completezza evangelica rispettando i tempi dello Spirito.

Così don Vinicio Albanesi, che con don Monterubbianesi ha aperto nel 1971 la Comunità di Capodarco a Roma: “Rompe il tabù del pietismo che, in molte circostanze, diventa esclusione. Ogni persona ha una sua dignità: affettiva, lavorativa, relazionale e sociale. Occorre valorizzare le risorse. Senza distinzioni e senza selezione. Negli anni questo approccio cambierà il modo di vedere la disabilità e ogni forma di discriminazione: la legge nazionale 118 del 1971 dette l’impulso al superamento degli ostacoli: barriere architettoniche, possibilità di viaggiare, di andare al cinema, di frequentare il mare. Si aggiungerà, nel tempo, la legge dell’inserimento lavorativo”.

Grazie a lui il mondo della disabilità diventa ‘visibile’: “Anche le case popolari saranno loro concesse, a cui seguirà il sostegno nelle scuole, con la Legge 104 del 92. I disabili non rimarranno più nascosti nelle case o ingessati in grandi contenitori disumani. Anche nelle amministrazioni locali si sente l’aria nuova di vicinanza e di aiuto: Sindaci, assessorati e servizi sociali sono attivi: eravamo partiti dall’elenco dei poveri”.

Quindi grazie all’impegno di don Franco Monterubbianesi l’accoglienza ai disabili cambia, anche se oggi c’è la tendenza di azzerare i diritti di una cittadinanza acquisita: “Il sorgere delle comunità locali di Capodarco in Italia dimostra che è possibile un’accoglienza rispettosa e umana, attenta alle necessità dei disabili e delle loro famiglie. Un’attenzione fin dalla più tenera età per attenuare i Disturbi Specifici dell’apprendimento.

Purtroppo sta tornando indietro la visione aperta all’accoglienza: per motivi economici, per l’applicazione errata dello schema ospedaliero, per l’introduzione del ‘minutaggio’ nella cura alla persona”.

Dalla Comunità di Sestu, in provincia di Cagliari, arriva il ricordo che Dionisio Pinna ha dedicato a don Franco Monterubbianesi, uno dei primi volontari, che a soli 24 anni cambia la sua vita per seguire il fondatore della Comunità di Capodarco: “Perché a 24 anni, terzo anno di Università, madre vedova di guerra con un altro figlio lontano da casa, ho lasciato tutto e sono andato a vivere stabilmente a Capodarco di Fermo nella nata due anni prima (Natale 1966) Comunità Casa Papa Giovanni? Sono stato il primo volontario (allora si usava questo termine) ad affiancarsi a don Franco per condividere quel progetto ‘rivoluzionario’ che restituiva dignità e futuro a tante persone in precedenza assimilabili ai paria indiani. A Roma, da buon cattolico impegnato in parrocchia, frequentavo di domenica gli istituti di ricovero per mettermi a posto la coscienza; ma seguivo anche i fermenti di una minoranza cattolica che intendeva coniugare impegno politico e militanza religiosa. Andavo persino all’Acquedotto Felice dove don Sardelli viveva con i baraccati del tempo. Non ero soddisfatto della vita che conducevo e ben presto iniziai ad interessarmi dei mali di Roma e delle lotte operaie che rivendicavano diritti e dignità per il mondo del lavoro.

Andai a Capodarco perché una giovane emiplegica ricoverata al don Guanella di via della Nocetta non voleva stare in quel posto come un vegetale e cercava un’alternativa. Una damina di carità unitalsiana mi parlò di un prete fermano che aveva aperto una comunità provvisoria per disabili e che intendeva realizzare un villaggio dalle parti di Loreto. Una domenica, in autostop, vi andai. Fu un colpo di fulmine. Capii subito che in quella villa adagiata sopra una collina fermana ero atteso e che don Franco mi offriva l’occasione della mia vita.

Un prete anomalo, entusiasta, circondato da una sorta di corte dei miracoli, forte di una spiritualità non clericale che metteva al centro la persona con tutte le sue problematicità. E con un progetto straordinario: restituire dignità e speranza a chiunque la cui vita non era stata benigna. Era sempre pronto a sostenere, assistere, incoraggiare, dare risposte a chiunque gli chiedesse sostegno. Mai stanco, infaticabile, tollerante, disponibile all’ascolto. E c’era tanto da fare, in quella casa dove sembrava che non ci fossero limiti alle accoglienze. Quel prete aveva una visione, un sogno, un’idea di mondo che sapeva sorreggere l’ultimo dei derelitti e nel contempo guardare alle grandi questioni del tempo.

Da lui ho imparato ad avere coraggio, a non fermarmi mai difronte ai problemi del quotidiano. Ed ho anche avuto la fortuna di accogliere il suo affettuoso suggerimento: riprendere gli studi non in campo aziendale ma nelle discipline socio-umanistiche che lui riteneva per me più congeniali. Non ho conosciuto mio padre morto prima che nascessi. Chissà se don Franco, in qualche modo, lo ha sostituito. E chissà se, inconsciamente l’ho trovato perché mi mancava”.

(Foto: Comunità di Capodarco)

Pippo Corigliano: primo ‘compleanno in cielo’ dello storico portavoce dell’Opus Dei in Italia

È morto un anno fa ma, con i tempi dell’attuale società liquida e mediatica, sembra passato un secolo. Sto parlando dell’ing. Pippo Corigliano (1942-2024), giornalista, scrittore e ‘storico’ direttore dell’Ufficio Informazioni italiano dell’Opus Dei dal 1970 al 2011. L’8 giugno del 2024, ci ha lasciato in maniera inaspettata, come hanno testimoniato coloro che fino all’ultimo giorno gli sono stati vicini. Dopo domani, quindi, festeggerà in cielo, anche se lì ci insegnano che il tempo ‘non esiste’, il suo primo compleanno.

Giuseppe Corigliano, noto a tutti semplicemente come ‘Pippo’, era nato a Napoli il 31 maggio 1942. Nel 1960, a soli 18 anni, aveva chiesto l’ammissione come numerario, ovvero con vocazione al celibato apostolico, nell’Opera fondata da mons. Josemaría Escrivá (1902-1975) per la santificazione nel lavoro e nell’adempimento dei doveri ordinari del cristiano.

Pippo ha avuto la possibilità di conoscere personalmente san Josemaría, dirigendo per suo incarico la comunicazione nel nostro Paese durante anni significativi per l’Opus Dei che hanno visto, fra l’altro, la morte dello stesso Escrivá (26 giugno 1975), l’erezione dell’Opera a prelatura personale (28 novembre 1982) e, infine, la beatificazione (1992) e successivamente la canonizzazione (2002) del Fondatore.

Una volta cessato dal suo incarico (ha sempre rifiutato la parola “pensione”), si è dedicato a scrivere libri, da Un lavoro soprannaturale (2008) a Preferisco il Paradiso. La vita eterna com’è e come arrivarci (2012), il suo vero best seller, imperdibile, dal meno conosciuto Ettore Bernabei (2012), intervista allo storico leader della Rai e poi fondatore di Lux Vide a Quando Dio è contento. Il segreto della felicità (2013), per finire con Cartoline dal Paradiso “1” (2014) e “2” (2017), Siamo in missione per conto di Dio. La santificazione del lavoro (2015) e Il cammino di San Josemaría. Il fondatore dell’Opus Dei e i giovani (2019).

Nel suo blog “Preferisco il Paradiso” ha annotato negli ultimi anni della sua vita tante riflessioni e squarci di quotidianità (“fatti e fattarielli”, diceva) che riflettono il suo acume e buonumore tipicamente napoletani. Del carattere partenopeo Pippo incarnava il meglio dello sguardo positivo verso la vita, della tendenza innata a sdrammatizzare, dell’ironia sottile e della fede legata all’espressione spontanea del sentimento.

Si era laureato in ingegneria elettrotecnica all’Università degli Studi di Napoli Federico II ma, dopo aver conosciuto l’Opus Dei e il suo Fondatore, si trasferì a Milano (1970) entrando a far parte della Commissione Regionale dell’Opus Dei in Italia, l’organo di governo delle attività dell’Opera nel nostro Paese. Da allora si è occupato della comunicazione dell’Istituzione e, in questa veste, è entrato in contatto con significativi personaggi del mondo dei media, fra i quali Indro Montanelli (1909-2001), Leonardo Mondadori (1946-2002), Vittorio Messori e tanti altri.

Il suo ultimo libro Corigliano l’ha dedicato a uno dei santi napoletani per antonomasia, Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), condensando in 120 pagine (Edizioni Ares, Milano 2023) la summa della sua visione del cristianesimo vissuto dentro i vicoli della vita quotidiana, impregnato di umanità e autenticità all’interno di una fiducia assoluta nella bontà e provvidenza di Dio.

Pippo cercò sempre di evitare di essere (o di essere presentato) come “il volto” pubblico dell’Opus Dei, concentrandosi piuttosto nel far capire nelle varie circostanze cosa l’Opera realmente proponesse come percorso di vita cristiana: non una forma di distacco dal mondo o di ‘perfettismo’, ma la piena partecipazione alla vita ordinaria, con l’intento di santificarsi aiutando ogni persona che si incontra, nella prospettiva della ‘ricristianizzazione’ della società.

Come ricorda ogni persona che vive o semplicemente conosce ‘di prima mano’ l’Opus Dei, Corigliano fu protagonista negli anni de ‘Il Codice Da Vinci’ (2003), la famigerata opera fantasy di Dan Brown presa da molti come rappresentazione di fatti reali, di una straordinaria trasformazione di un eclatante tentativo di demonizzazione dell’Opera in un’occasione per parlare della bellezza del messaggio di san Josemaría e della normalità delle persone che lo seguono. Tanto che ancora oggi frequentano i mezzi di formazione dell’Opus Dei non poche persone che ne hanno sentito parlare per la prima volta leggendo il libro di Dan Brown o vedendo il film che successivamente ha sbancato i botteghini dei cinema. Anche in questo caso, quindi, si conferma il noto proverbio per cui Dio “scrive dritto sulle righe storte tracciate dagli uomini”…

Cosa aggiungere in conclusione su Pippo Corigliano? Forse una citazione che, pubblicata a suo tempo nel blog “Preferisco il Paradiso”, ne riassume a mio avviso il carattere semplice e diretto ma allo stesso tempo anche la Fede profonda: «Dio fa il tifo per me e non smette fino a che non divento uno che vive al Suo cospetto, con il cuore infiammato dal sangue di Gesù. Conversioni? Sì che ne devo avere! Continuamente scopro aspetti che dovrei affrontare e migliorare e non sono cose di poco conto. Dio non assiste benevolmente da lontano ma fa un tifo appassionato per me. È stata una scoperta e volevo comunicarla…».

25 tirocini di inserimento lavorativo per giovani che non lavorano o non studiano residenti nella diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca

La Caritas Diocesana di Ugento – S. Maria di Leuca attraverso  l’Associazione Form.Ami APS-ETS (Ente gestore) ed in collaborazione con la Cooperativa Sociale IPAD Mediterranean, nell’ambito del progetto “N.O.NEET NUOVI ORIENTAMENTI PER I NEET E I MINORI – SECONDA EDIZIONE” intende selezionare  25 giovani per l’attivazione di percorsi di inserimento/reinserimento lavorativo (tirocini in azienda). I percorsi prevedono attività di orientamento, di formazione di base e di tirocini extracurriculari-inserimento lavorativo (legge regionale 10 novembre 2023, n.26).

I candidati devono avere un’età compresa fra i 18 e i 35 anni; essere residenti o domiciliati in uno dei seguenti Comuni della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca: Alessano, Castrignano del C., Corsano, Gagliano del Capo, Miggiano, Montesano Salentino, Morciano di Leuca, Patù, Presicce-Acquarica, Ruffano, Salve, Specchia, Supersano, Taurisano, Tiggiano, Tricase e Ugento. Devono essere disoccupati/e o inoccupati/e, iscritti presso il Centro per l’Impiego competente e non partecipanti in percorsi di studio e formativi.

 I soggetti in possesso di requisiti precedentemente indicati possono presentare istanza di partecipazione compilando l’apposito modulo, da scaricare  dal sito https://www.caritasugentoleuca.it.

 A questo modulo va allegato una dichiarazione sostitutiva ai sensi del DPR 445/2000, art. 47, in cui l’interessato dimostra tramite autocertificazione il possesso dei requisiti di accesso,  il modello ISEE e lo stato occupazionale rilasciato dal Centro per l’Impiego competente. I giovani interessati alle azioni di accompagnamento imprenditoriale, devono presentare una scheda sintetica descrittiva dell’idea di impresa che si intende realizzare.

Le istanze pervenute verranno valutate da una commissione individuata dal soggetto gestore secondo i criteri: valore ISEE  da € 15.000,00 a € 6.000,00; periodo di disoccupazione da 0 ad un periodo superiore a 12 mesi.

 I soggetti coinvolti faranno  un percorso di orientamento individuale e un percorso formativo della durata di 40 ore affrontando  i seguenti argomenti: Sicurezza nei luoghi di lavoro – Orientamento Ricerca attiva del lavoro – Mercato del lavoro Legislazione del lavoro e sociale – Valori etici nel lavoro.

 Le aziende presso cui i beneficiari svolgeranno le attività di tirocinio saranno scelte sulla base del percorso di orientamento realizzato all’interno della formazione preliminare, considerando le aspettative e gli obiettivi professionali dei soggetti coinvolti. I tirocini saranno attivati entro il mese di luglio 2025 per completarsi entro la fine novembre 2025.

 La domanda va presentata, entro e non oltre il 13 giugno 2025, direttamente presso il Centro Caritas Diocesana, sede operativa dell’Associazione Form.Ami in Tricase, in Piazza Cappuccini, 15, oppure tramite e-mail agli indirizzi: segreteria@caritasugentoleuca.it oppure : formami4@gmail.com.

 Presso il Centro Caritas Diocesano in Piazza Cappuccini, 15, in Tricase è possibile richiedere informazioni sull’Avviso nei giorni di lunedì, mercoledì, venerdì dalle ore 9.00 alle 12.30, martedì e giovedì dalle 16,00 alle 19,00 (tel.: 0833219865 – 3388371927- sito https://www.caritasugentoleuca.it/ e-mail:  segreteria@caritasugentoleuca.it o formami4@gmail.com).

La Chiesa italiana chiede di fermare le guerre

E’ stato un appello forte e unanime per la pace, da costruire con gesti concreti di solidarietà e momenti di preghiera, quello che si è levato dal Consiglio Episcopale Permanente, riunito a Roma, sotto la guida del presidente card. Matteo Zuppi, che di fronte al dramma della guerra, che unisce tragicamente diverse parti del mondo, ed alla violenza che non sembra cessare né in Ucraina né a Gaza, ha invocato un cessate-il-fuoco immediato, denunciando l’inaccettabile tributo che intere popolazioni stanno pagando e ribadendo la necessità che il diritto umanitario internazionale sia sempre garantito.

Quindi riguardo alla tragedia che si sta consumando nella Striscia di Gaza, i vescovi hanno fatto proprie le parole pronunciate mercoledì scorso, al termine dell’udienza generale, da papa Leone XIV, auspicando che sia rispettata la dignità delle persone, sia permesso l’ingresso di aiuti senza restrizioni, siano aperti corridoi umanitari e, soprattutto, si attivi la Comunità internazionale per porre fine alle ostilità.

A queste richieste si aggiunge la proposta di momenti di penitenza e di preghiera comunitari: “Il dono delle lingue del Cenacolo è un incoraggiamento a superare il dramma delle divisioni e a adoperarsi per la comunione. In un momento storico contrassegnato da guerre e discordie, dai Vescovi, pertanto, è giunto il suggerimento a celebrare la Veglia di Pentecoste per implorare da Dio il dono di una pace piena e a ricucire i vincoli di fraternità tra le nazioni. L’Ufficio Liturgico nazionale sta predisponendo uno schema di preghiera ad hoc”.

Inoltre il Consiglio Permanente si è confrontato sul prosieguo del Cammino sinodale, a seguito degli esiti della Seconda Assemblea Sinodale e del conseguente rinvio dell’Assemblea Generale. Per i Vescovi, l’assise sinodale, svoltasi tra il 30 marzo e il 3 aprile, è stata un’esperienza vivace e creativa delle Chiese in Italia; il dibattito registrato non ha in alcun modo indebolito la capacità di progettare. Si è ricordato che i lavori dei Gruppi di studio hanno prodotto decine e decine di osservazioni, integrazioni ed emendamenti che sono ora in fase di studio. Il Consiglio ha dunque approvato il cronoprogramma, che prevede un’intensa attività di stesura del testo da presentare alla votazione della Terza Assemblea Sinodale (25 ottobre), cui seguirà l’Assemblea Generale della CEI che si terrà ad Assisi dal 17 al 20 novembre.

La riflessione del presidente è stata anche occasione per tornare sulle questioni del lavoro e della cittadinanza, al centro del prossimo Referendum, rispetto alle quali i Vescovi hanno invitato a un attento discernimento. Riguardo al tema della cittadinanza, nello specifico (pur limitandosi alla riduzione del numero di anni per ottenerla (da 10 a 5), mentre sarebbe utile una riforma complessiva della legge) i presuli hanno rinnovato la richiesta di una visione larga che eviti mortificazioni della dignità delle persone.

Preoccupazione è stata poi ribadita rispetto ad un’altra emergenza che continua a interpellare la società e le comunità ecclesiali, che è la situazione delle carceri. A tal proposito, è stato ricordato quanto proposto in occasione del Giubileo, ovvero di assumere ‘iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi’, come è scritto nella bolla giubilare ‘Spes non confundit’. Da qui il rinnovato invito a adottare misure alternative e provvedimenti di clemenza, oltre a un cambiamento di politica che promuova la dignità dell’uomo, favorendo nei luoghi di reclusione educazione e riscatto.

Infine per quanto riguarda le recenti sentenze della Corte costituzionale i vescovi hanno evidenziato l’urgenza che sia sempre tutelata e promossa l’infinita dignità della persona dal concepimento alla morte naturale. Uno sguardo non parziale sui diritti della persona umana in ogni fase della sua vita e, in particolare, nei momenti di massima vulnerabilità, induce, da una parte, a sottolineare l’interesse primario del bambino a essere incluso in un progetto genitoriale che comprende la figura materna e quella paterna e, dall’altra, a far sì che il momento terminale della vita sia vissuto con dignità nella cura e nell’accompagnamento amorevole. A tal fine, l’accorato appello a dare completa attuazione alla legge sulle cure palliative.

Papa Leone XIV: la Chiesa risponda alle sfide del mondo

Papa Leone XIV

“Saluto e ringrazio tutti voi per questo incontro e per i giorni che lo hanno preceduto, dolorosi per la perdita del Santo Padre Francesco, impegnativi per le responsabilità affrontate insieme e al tempo stesso, secondo la promessa che Gesù stesso ci ha fatto, ricchi di grazia e di consolazione nello Spirito”: questa mattina papa Leone XIV ha incontrato i membri del Collegio Cardinalizio, con un discorso seguito da una conversazione in cui ha ripreso alcuni temi e proposte emersi negli interventi delle congregazioni generali.

Il papa ha ribadito la collaborazione con i cardinali: “Voi, cari Cardinali, siete i più stretti collaboratori del Papa, e ciò mi è di grande conforto nell’accettare un giogo chiaramente di gran lunga superiore alle mie forze, come a quelle di chiunque. La vostra presenza mi ricorda che il Signore, che mi ha affidato questa missione, non mi lascia solo nel portarne la responsabilità. So prima di tutto di poter contare sempre, sempre sul suo aiuto, l’aiuto del Signore, e, per sua Grazia e Provvidenza, sulla vicinanza vostra e di tanti fratelli e sorelle che in tutto il mondo credono in Dio, amano la Chiesa e sostengono con la preghiera e con le buone opere il Vicario di Cristo”.

Nel ricordo della testimonianza di papa Francesco, papa Leone XIV ha sottolineato che egli è servitore di Dio: “Il Papa, a cominciare da San Pietro e fino a me, suo indegno Successore, è un umile servitore di Dio e dei fratelli, non altro che questo. Bene lo hanno mostrato gli esempi di tanti miei Predecessori, da ultimo quello di Papa Francesco stesso, con il suo stile di piena dedizione nel servizio e sobria essenzialità nella vita, di abbandono in Dio nel tempo della missione e di serena fiducia nel momento del ritorno alla Casa del Padre. Raccogliamo questa preziosa eredità e riprendiamo il cammino, animati dalla stessa speranza che viene dalla fede”.

Ed ha ribadito che Gesù guida la Chiesa: “E’ il Risorto, presente in mezzo a noi, che protegge e guida la Chiesa e che continua a ravvivarla nella speranza, attraverso l’amore ‘riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato’. A noi spetta farci docili ascoltatori della sua voce e fedeli ministri dei suoi disegni di salvezza, ricordando che Dio ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel ‘sussurro di una brezza leggera’ o, come alcuni traducono, in una ‘sottile voce di silenzio’. E’ questo l’incontro importante, da non perdere, e a cui educare e accompagnare tutto il santo Popolo di Dio che ci è affidato”.

La ‘grandezza della Chiesa’ è rivelata dall’essere comunità: “Nei giorni scorsi, abbiamo potuto vedere la bellezza e sentire la forza di questa immensa comunità, che con tanto affetto e devozione ha salutato e pianto il suo Pastore, accompagnandolo con la fede e con la preghiera nel momento del suo definitivo incontro con il Signore. Abbiamo visto qual è la vera grandezza della Chiesa, che vive nella varietà delle sue membra unite all’unico Capo, Cristo, ‘pastore e custode’ delle nostre anime.

Essa è il grembo da cui anche noi siamo stati generati e al tempo stesso il gregge, il campo che ci è dato perché lo curiamo e lo coltiviamo, lo alimentiamo con i Sacramenti della salvezza e lo fecondiamo con il seme della Parola, così che, solido nella concordia ed entusiasta nella missione, cammini, come già gli Israeliti nel deserto, all’ombra della nube e alla luce del fuoco di Dio”.

Per questo ha ricordato il magistero di papa Francesco come proseguimento di papa Benedetto XVI in linea con il Concilio Vaticano II: “Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’, di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio; la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita nella collegialità e nella sinodalità; l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare; la cura amorevole degli ultimi, degli scartati; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà”.

Principi evangelici richiamati anche da papa Benedetto XVI: “i tratta di principi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della Famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità”.

Ed ecco la scelta del nome: “Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il papa Leone XIII, con la storica enciclica ‘Rerum novarum’, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.

Novendiali: papa Francesco artefice di unità

Da mercoledì 7 maggio i cardinali elettori si riuniranno nella Cappella Sistina, immersi nella bellezza degli affreschi michelangioleschi, mentre continuano i preparativi, sia un punto di vista logistico, sia soprattutto per ragionare intorno alle questioni che il 266^ successore di Pietro dovrà affrontare in comunione con tutta la Chiesa. Intanto sul tetto della Cappella Sistina è stato montato il comignolo, mentre i cardinali hanno parlato di evangelizzazione e di Chiese orientali, di testimonianza dell’unità, ma anche dell’importanza del Codice di Diritto canonico, dell’ermeneutica della continuità negli ultimi tre pontificati, della liturgia e della sinodalità.

Nel frattempo proseguono le cerimonie dei Novendiali, nei quali il card. Claudio Gugerotti, già Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha sottolineato la fede nella resurrezione: “La risurrezione, infatti, come ci ricorda la prima Lettura, non è un fenomeno intrinseco alla natura umana. E’ Dio che ci fa risorgere, mediante il suo Spirito. Dalle acque del Battesimo noi siamo emersi come nuove creature, familiari di Dio, suoi intimi o, come dice San Paolo, figli adottivi e non più schiavi…

A questo grido si associa la creazione intera che, nelle doglie del parto, aspetta la sua guarigione. Sembrano avere così poco valore oggi il creato e la persona umana. Eppure tra noi ci sono cardinali, come quelli provenienti dall’Africa, che sentono spontaneamente la bellezza del frutto di queste doglie, perché una nuova vita è per i loro popoli un valore inestimabile”.

Nella resurrezione la creazione prende nuova forza: “Intorno a noi non facciamo altro che percepire il grido della creazione e in essa quello di chi è destinato alla gloria ed è la finalità per la quale la creazione è stata voluta: la persona umana. Grida la terra ma soprattutto grida una umanità travolta dall’odio, a sua volta frutto di una profonda svalutazione del valore della vita che, come abbiamo sentito, per noi cristiani è partecipazione alla famiglia di Dio, fino alla concorporeità e consanguineità con il Cristo Signore, che stiamo celebrando in questo sacramento dell’Eucaristia”.

Infatti nell’omelia il card. Gugerotti ha sottolineato il valore della vita: “Chi ama la sua vita la perderà, ci ricorda il Vangelo secondo Giovanni, e chi odia la propria vita la troverà. In questa frase così estrema il Signore esprime la nostra specificità di cristiani, considerati dal mondo seguaci di un perdente, di uno sconfitto della vita, che attraverso la morte, e non attraverso l’edificazione di un regno terreno, ha salvato il mondo e redento ciascuno di noi”.

Tale vangelo della vita è sempre stato insegnato da papa Francesco: “Papa Francesco ci ha insegnato a raccogliere il grido della vita violata, ad assumerlo e presentarlo al Padre, ma anche ad operare per alleviare concretamente il dolore che suscita questo grido, a qualsiasi latitudine e negli infiniti modi con cui il male ci indebolisce e ci distrugge”.

Nonostante le incomprensioni del passato oggi la Chiesa sta ritornando a respirare con due polmoni: “Papa Francesco, che ci ha insegnato ad amare la diversità e la ricchezza dell’espressione di tutto ciò che è umano, oggi credo esulti al vederci insieme per la preghiera per lui e per l’intercessione di lui. E noi ancora una volta ci impegniamo, mentre molti di loro sono costretti a lasciare le loro antiche terre, che furono Terra Santa, per salvare la vita e vedere un mondo migliore, a sensibilizzarci, come aveva voluto il nostro papa, per accoglierli e aiutarli nelle nostre terre a conservare la specificità del loro apporto cristiano, che è parte integrante del nostro essere Chiesa cattolica”.

E le liturgie orientali sono ricche di bellezza: “La loro liturgia è tutta intessuta di questo stupore. E così, ad esempio, in questo tempo liturgico, la tradizione bizantina ripete senza fine questa esperienza ineffabile, dicendo, cantando e comunicando agli altri: ‘Cristo è risorto dai morti, calpestando con la morte la morte, e ai morti dei sepolcri ha elargito la vita’. E lo ripetono costantemente, come per farlo entrare nel cuore proprio e degli altri.

Questo stesso stupore esprime anche la liturgia armena, nel pregare con le parole di quel san Gregorio di Narek che proprio Papa Francesco volle ascrivere tra i Dottori della Chiesa e che la tradizione ha reso parte integrante dell’eucologia eucaristica… Ecco solo due esempi della forza vibrante con cui l’emozione del cuore si mescola in oriente alla lucidità della mente per descrivere la nostra immensa povertà salvata dall’infinità dell’amore di Dio”.

Mentre nel sesto giorno dei Novendiali il card. Víctor Manuel Fernández, già Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha evidenziato la tenerezza di papa Francesco nell’annunciare Cristo: “Papa Francesco è di Cristo, appartiene a Lui, e ora che ha lasciato questa terra è pienamente di Cristo. Il Signore ha preso Jorge Bergoglio con se sin dal suo battesimo, e lungo tutta la sua esistenza. Lui è di Cristo, che ha promesso per lui la pienezza della vita.

Sapete con quanta tenerezza parlava di Cristo papa Francesco, come godeva il dolce nome di Gesù, come buon gesuita. Lui sapeva bene di essere suo, e sicuramente Cristo non l´ha lasciato, non l´ha perso. Questa è la nostra speranza che celebriamo con gioia pasquale sotto la luce preziosa di questo Vangelo di oggi. Non possiamo ignorare che stiamo celebrando pure la giornata dei lavoratori, che stavano tanto a cuore a papa Francesco”.

E’ stato un ricordo particolare nella giornata della festa del lavoro: “Ma permettetemi presentare pure papa Francesco come un lavoratore. Lui non solo parlava del valore del lavoro, ma tutta la sua vita è stato uno che viveva la sua missione con grande sforzo, passione e compromesso. Per me è stato sempre un mistero capire come poteva sopportare, anche essendo un uomo grande e con diverse malattie, un ritmo di lavoro così tanto esigente. Lui non solo lavorava al mattino con diverse riunioni, udienze, celebrazioni ed incontri, ma anche tutto il pomeriggio. E mi è sembrato veramente eroico che con le pochissime forze che aveva nei suoi ultimi giorni si è fatto forte per visitare un carcere”.

Al termine ha ricordato la particolare devozione del papa a san Giuseppe: “Infine, fatemi ricordare l’amore di Papa Francesco verso san Giuseppe, quel forte e umile lavoratore, quel falegname di un piccolo paese dimenticato, che col suo lavoro si prendeva cura de Maria e di Gesù. E ricordiamo pure che quando Papa Francesco aveva un grosso problema, metteva un pezzetto di carta con una supplica sotto l’immagine di san Giuseppe”.

(Foto: Santa Sede)

Prima maggio, il grande tema del lavoro per i vescovi e i pontefici

“La Festa dei Lavoratori, in questo Anno giubilare, vuole offrire orizzonti di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, consapevoli che ‘il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo’. La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come papa Francesco ci ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare”: inizia così il messaggio, ‘Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza’, dei vescovi italiani in occasione della festa del lavoro, che apre il giubileo dei lavoratori ‘pellegrini di speranza’ in programma a Roma fino a domenica 4 maggio, a cui segue quello degli imprenditori fino al 5 maggio.

Da questo incipit del messaggio abbiamo chiesto a don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e del lavoro della Cei, di spiegarci in quale modo il lavoro può essere generatore di speranza: “Il lavoro è una delle esperienze umane più significative, ma mostra anche la sua fragilità. Tutti ci riconosciamo nel nostro lavoro, ci presentiamo spesso indicando la professione e, in genere, ognuno di noi si offende se viene accusato di non saper fare bene il proprio mestiere. Tuttavia, il lavoro può anche essere occasione di sfruttamento e schiavitù. Lo è stato nella storia e può esserlo in ogni epoca.

Si pensi oggi al caporalato, al lavoro nero, alla precarietà, agli stipendi inadeguati a una vita dignitosa, alle forme di controllo attraverso l’intelligenza artificiale. Il lavoro può generare speranza a due condizioni: che sappia valorizzare la persona, coinvolgendola in progetti creativi, e che produca un miglioramento del mondo. La produzione di armi distruttive, la crescita di inquinamento e radioattività, una finanza lontana dall’attività umana… non sono il segnale di un lavoro decente.

La speranza fiorisce quando il lavoro esprime comunità di intenti, miglioramento del mondo, solidarietà tra persone che vivono differenti responsabilità, sviluppo di un territorio e sostenibilità ecologica. La prova di verifica è la qualità relazionale di un luogo di lavoro. Senza sicurezza sul lavoro, ad esempio, manca una colonna portante della salvaguardia della dignità della persona che lavora. C’è strumentalizzazione. La media di due-tre morti al giorno è indice di disumanità”.

Nell’enciclica ‘Laborem exercens’ papa san Giovanni Paolo II ha scritto che il lavoro umano è la ‘chiave essenziale’: perché il lavoro umano è la ‘chiave essenziale’ della questione sociale?

“La chiave della questione sociale è sempre l’uomo. La sua grandezza emerge ogniqualvolta può sprigionare le proprie potenzialità. Ciò avviene non con la forza e il predominio, ma con la tenerezza. Il lavoro consente alle persone di crescere nella capacità di relazionarsi con il mondo, sia nel senso della fraternità sia nella promozione dell’ecologia integrale. Con un’espressione appropriata l’enciclica ‘Fratelli tutti’ al n^ 162 ha affermato: ‘Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare, perché promuove il bene del popolo, è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze’.

Il risvolto soggettivo del lavoro ha bisogno di ridirsi in ogni epoca storica, se non vuole finire in materialismo che riduce l’uomo a mezzo di produzione e il lavoro a numeri di cose da realizzare. C’è qualcosa di unico in ogni persona che lavora. Non ci sono due uomini che lavorano allo stesso modo, pur facendo lo stesso mestiere; non ci sono due donne che educano con lo stesso esito, pur avendo entrambe lo stesso titolo di studio. Non esiste manualità ripetitiva: lo stile fa la differenza. L’intelligenza artigianale è infinitamente più ricca di quella artificiale!

L’uomo può davvero molto grazie al lavoro, sia in termini di pratica manuale sia a livello intellettuale. C’è anche una dimensione spirituale del lavoro che non va trascurata. Simone Weil ne parla in questi termini: ‘Mediante il lavoro l’uomo si fa materia come il Cristo nell’Eucaristia. Il lavoro è come una morte’.

Chi non ha sperimentato la fatica del lavoro? Lo sfinimento e la stanchezza sottomettono al tempo come la materia. Perdiamo qualcosa di nostro, in una sorta di svuotamento che anela alla vita piena. La risurrezione appare nella bellezza e unicità di ciò che si realizza e nell’acquisizione di abilità e competenze che danno senso alla fatica. Nel lavoro si rivela il mistero pasquale di morte e resurrezione. E, prima ancora, è profonda incarnazione nella storia”.

In quale modo si può sconfiggere il lavoro povero?

“Il lavoro povero si sconfigge a più livelli. C’è quello materiale che riguarda le politiche salariali: manca un adeguamento dei contratti allo standard di vita. A questo livello c’è anche chi ipotizza il salario minimo, che in alcuni Paesi è già presente, mentre nel dibattito italiano è quasi scandaloso parlarne. In un video inviato ai movimenti popolari il 16 ottobre 2021 papa Francesco ha invocato la possibilità di ‘un reddito minimo (l’RMU) o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita.

E’ giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei Governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità, senza che questo presupponga un peso insopportabile, soprattutto per la classe media (generalmente, quando ci sono questi conflitti, è quella che soffre di più). Non dimentichiamo che le grandi fortune di oggi sono frutto del lavoro, della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnica di migliaia di uomini e donne nel corso di generazioni’.

Il tema è connesso alle disuguaglianze sociali. Adriano Olivetti aveva inserito la saggia regola che nessun dirigente dovesse guadagnare più di dieci volte del salario di un operaio. Oggi non esiste limite, sia nel salario sia nelle pensioni. Ciò crea sacche di ingiustizia. Vi sono manager che percepiscono stipendi molto elevati e lavoratori che non arrivano alla fine del mese, se hanno famiglia a carico e un mutuo da pagare. Si tratta, inoltre, di mettere mano alla differenza retributiva tra uomini e donne.

In Italia sfiora il 20%, a sfavore del mondo femminile: nel settore immobiliare le donne arrivano a guadagnare il 40% in meno degli uomini, così come nelle attività professionali scientifiche e tecniche si fermano al 35% in meno. Nascere donna significa partire da condizioni di svantaggio conclamato. Anche sul lavoro giovanile pesano condizioni di disuguaglianza e ingiustizia. Tutti questi dati evidenziano un limite culturale importante. Il ‘lavoro povero’ deriva da una visione negativa del lavoro manuale, soprattutto se giovanile e femminile”.

In questo anno giubilare è possibile promuovere un lavoro generativo?

“Il compito di promuovere lavoro generativo dev’essere di ogni epoca. Tanto più in questo momento storico in cui il nostro Paese soffre di inverno demografico. La generatività in senso pieno chiede di affrontare seriamente alcune questioni irrisolte: il futuro demografico, la sostenibilità del sistema pensionistico e il lavoro giovanile. Il paradosso attuale è l’incapacità politica di abitare la complessità.

La generatività potrà essere garantita solo da tre impegni concomitanti: rimettere in moto meccanismi favorevoli alla natalità, trattenere i giovani tentati di cercare fortuna altrove nel mondo rendendo appetibile il mercato lavorativo italiano, offrire opportunità di integrazione agli stranieri che sbarcano sulle coste o arrivano con visti turistici. Solo tenendo insieme queste tre dimensioni la generatività può prendere il sopravvento e ridare speranza all’Italia. Ma finché marciamo nell’ideologia non c’è speranza!”

30 anni fa il ‘Progetto Policoro’: in quale modo esso può creare una ‘cultura’? 

“Il Progetto Policoro compie 30 anni. Nato nel 1995 da una felice intuizione di don Mario Operti ha fatto strada grazie all’intraprendenza di molte diocesi. Dal sud si è anche stabilito nel nord Italia, dando risposte diverse a domande differenti provenienti dai territori. L’idea di fondo è semplice ma potente. Il lavoro non si crea dal nulla ma dall’intraprendenza delle persone, facendo leva sulla loro capacità, intelligenza e voglia di comunità. Ne è derivata una cultura che vede lavoro e democrazia in stretta connessione. Si è inserito nella feconda tradizione dell’economia civile.

Se l’articolo 1 della Costituzione italiana ci ricorda che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, è anche vero che una cura della comunità può opportunamente generare economia. Dunque, il lavoro produce cittadinanza e una comunità favorisce opportunità lavorative. Il pregio del Progetto Policoro è che ha formato persone ad essere animatori di comunità non solo nei tre anni di contratto, ma nella vita. Il protagonismo dei giovani è un investimento nel futuro. C’è bisogno di formazione, di animatori sensibili ai segni dei tempi e alle domande dei lavoratori. La cultura del lavoro è bene inestimabile. Crea le condizioni per un ricambio generazionale e per il futuro dei territori.

E’ curioso che il Progetto Policoro sia diventato una fucina di vocazioni. Luogo di discernimento esistenziale. Attraverso la formazione all’impresa e al lavoro, si sono originate anche vocazioni alla politica, alla famiglia, al presbiterato, alla vita religiosa e all’amministrazione. Il bello del Progetto ecclesiale è che non si è mai rassegnato a fotografare la realtà. Non ha tenuto i giovani in panchina nella vita. In campo c’è posto per tutti”.

(Tratto da Aci Stampa)

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