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Il tempo della cura. Formazione e condivisione per la Società di San Vincenzo De Paoli

Prendersi cura dell’altro attraverso la speranza testimoniata come dono di sé. A Pergine Valsugana si è conclusa la giornata organizzata dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV Coordinamento Interregionale Veneto e Trentino – Alto Adige. A Villa Moretta, un luogo immerso nella natura, si sono ritrovati i rappresentanti degli Uffici di Presidenza dei Consigli Centrali, i soci e i volontari delle Conferenze della Società di San Vincenzo De Paoli.
Il tema di quest’anno, il Tempo della Cura, è stato approfondito e condiviso attraverso una riflessione che ne ha considerato tre aspetti, strettamente legati tra loro: il prendersi cura di noi stessi, il prendersi cura degli altri e il sentirsi presi in cura dall’Alto. Attraverso segni, provocazioni, slides, video, momenti di condivisione e lavori di gruppo i presenti, con la guida del Coordinatore Interregionale Veneto e Trentino – Alto Adige, Andrea Perinelli, hanno potuto rimettersi in contatto con se stessi, tra bisogni, desideri, talenti, limiti e ferite.
‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ e ‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’ sono stati i principi evangelici che hanno guidato ciascuno a riflettere sia sul vero significato della cura dell’altro, chi ci sta accanto è un dono e in quanto tale va amato, sia sulla carità che spinge a darsi perché l’altro abbia e che, come affermava il Beato Federico Ozanam, è capace di unire e riconciliare andando oltre limiti e debolezze: ‘La Carità tiene conto delle debolezze, cicatrizza, riconcilia, unisce’, come evidenziava il beato Federico Ozanam.
Andrea Perinelli ha invitato i partecipanti a vivere lentamente il tempo della giornata per: “Recuperare lo spazio per noi stessi, spesso dimenticato, e riscoprire, anche attraverso le nostre fragilità, la speranza come dono gratuito ricevuto e da condividere con l’altro”. Poi, osservando la società di oggi, il Coordinatore ha spinto ciascuno a dare il proprio contributo per la costruzione di una società che: ‘Non ci faccia dimenticare che l’altro ci appartiene. L’altro sono anche io’.
Durante la giornata non sono mancate le testimonianze dei presenti. Floriana ha condiviso un suo pensiero, dal titolo ‘La cura’, che invita ciascuno a mantenere lo sguardo fisso verso la “meta attesa”. Solo così possiamo assaporare le bellezze che la vita ci riserverà e riuscire a guardare ciò che ci sta attorno e le persone ‘Col desiderio di pace nello sguardo’.
Don Orazio Bellomi ha guidato la preghiera riunendo i presenti in un grande semicerchio. “Non abbiate paura! C’è un Dio che si prende cura di noi e lo vediamo qui in mezzo alla bellezza della natura e degli animi di persone pronte ad accogliere, a farsi accogliere”, ha proferito don Bellomi. Al termine dell’evento è stata celebrata la Messa. La celebrazione ha consegnato ai partecipanti l’invito a trasmettere a tutti la bellezza e la contagiosità della cura.
Franco Vaccari: da Rondine – Città della Pace un’iniziativa per ‘immaginare’ la pace

Domenica 8 giugno si è conclusa la 9^ edizione di ‘YouTopic Fest’, il festival internazionale promosso da Rondine Cittadella della Pace: un evento che ha proposto più di 40 appuntamenti e 70 relatori tra panel, workshop, performance artistiche e momenti di dialogo intergenerazionale, riunendo giovani da tutto il mondo insieme a esperti, artisti, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni e cittadini animati da una forte volontà: affrontare il conflitto come opportunità di trasformazione.
E nell’ultima giornata Franco Vaccari, presidente e fondatore di Rondine, ha annunciato il tema della prossima edizione, che guiderà il lavoro di un intero anno e sarà il cuore di ‘YouTopic Fest’ in programma dal 5 al 7 giugno del prossimo anno: ‘Inquietudine – Come custodire la scintilla dell’umano?’
Infine, a concludere il Festival è stato il Giubileo delle culture, dei popoli e delle religioni, una celebrazione interreligiosa presieduta dal vescovo di Arezzo, mons. Andrea Migliavacca, insieme a rappresentanti di diverse fedi che si è tenuta nella cappellina di Rondine, riconosciuta come ‘chiesa giubilare’, luogo di preghiera e pellegrinaggio in occasione dell’Anno Santo: “A Gerusalemme ci sono popoli da tutte le parti del mondo che parlano lingue diverse, ma tutte si trovano radunate, capite, accolte dal dono dello Spirito Santo. La celebrazione a cui stiamo partecipando vuole celebrare oggi, nel giorno di Pentecoste, lo Spirito che raduna, che regala la lingua, che ci permette di comunicare, di creare legami tra di noi, lo Spirito che ci dona la pace”.
Dal fondatore Franco Vaccari ci siamo fatti spiegare il significato del festival: “Un evento per raccontare la propria vita in pubblico, accompagnata, valorizzata dall’arte, dalla bellezza, perché i giovani che escono dall’inganno del nemico e si impegnano per la pace sono una bellezza.
Bellezza che ha contato sulla presenza del presidente Mattarella che ha lanciato un fortissimo messaggio per la pace proprio dal luogo dove la pace si fa ogni giorno con la fatica, il dolore ma anche il coraggio dei giovani che sono sempre l’avanguardia: sono il futuro”.
Nello scorso settembre scorso è stata ‘lanciata’ la campagna ‘Fuori dal copione’ delle ‘Sezioni Rondine’ per combattere le disuguaglianze di genere nelle scuole e sui social media: perché quest’iniziativa?
“Rondine ha lanciato la campagna ‘Fuori dal copione’ per combattere le disuguaglianze di genere nelle scuole e sui social media. L’obiettivo è creare un ambiente inclusivo dove tutti possano esprimere liberamente la propria identità di genere, superando pregiudizi e stereotipi. La campagna coinvolge 21 scuole superiori ed è aperta a tutti gli studenti italiani, promuovendo dialogo e diversità per un futuro più equo. La campagna è finanziata da AICS e promossa da Oxfam Italia Intercultura, Rondine e RE.TE. ong in collaborazione con Reattiva”.
In cosa consiste il protocollo d’intesa con Institute for Humane Education?
“Il protocollo d’intesa con l’Institute for Humane Education (IHE), firmato al YoutopicFest 2024, segna un passo avanti nella nostra missione di educazione alla pace. L’accordo integra i programmi dell’IHE nei percorsi formativi delle scuole superiori partner di Rondine e diffonde il Metodo Rondine per la trasformazione del conflitto nel network internazionale IHE, creando nuove opportunità di crescita e apprendimento per i giovani”.
Ritornando al tema del festival appena concluso: quale ‘ImmaginAzione’ è necessaria per costruire la pace?
“L’immaginazione è il motore del cambiamento: ogni trasformazione inizia da una visione. Per costruire la pace, è necessario sfidare il ‘si è sempre fatto così’ e recuperare la dimensione del gioco, che è essenziale per creare un futuro diverso. Il gioco non è esperienza solo dei bambini ma è una dimensione umana fondamentale che non deve essere persa. Per questo abbiamo scelto l’immaginazione come tema di YouTopic Fest, il festival internazionale di Rondine sul conflitto che si svolge alla Cittadella della Pace di Arezzo. Vogliamo ispirare tutti a sognare insieme, non solo come spettatori, ma come attori di un vero cambiamento, pronti a innescare la possibilità di fare le cose in modo nuovo e diverso nelle proprie comunità”.
Quale approccio ecologico è necessario per una visione positiva del conflitto?
“E’ l’approccio approfondito nella mia ultima pubblicazione ‘Ecologia del conflitto. L’approccio alla relazione secondo il Metodo Rondine’. Un libro che propone una visione positiva del conflitto. Da anni ‘Rondine Cittadella della Pace’ lavora su queste tematiche. Infatti riconoscere la conflittualità ‘della’ relazione non è solo importante, è ecologico, nel senso che richiede un approccio appassionato alle sorti del pianeta come quello ecologico.
Liberato da una diffusa interpretazione ingannevole, che lo vuole sinonimo di guerra, il conflitto emerge in queste pagine nel suo aspetto positivo, carico di energia utile a prendersi cura della relazione intessuta tra le persone. Completano il volume gli interventi di alcuni collaboratori di Rondine, che permettono di conoscere i risultati del Metodo Rondine negli ambiti della leadership e della diplomazia popolare, testimoniando il valore ecologico dell’approccio relazionale al conflitto”.
E per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente: con quale attenzione si sta vivendo questo conflitto a Rondine?
“Negli ultimi anni il conflitto in Medio Oriente si è intensificato con una violenza e una durata senza precedenti e ci sta mettendo di fronte a una sfida immensa. ‘Rondine Cittadella della Pace’ lavora da anni in questa regione ma l’inasprimento attuale rende il nostro impegno ancora più arduo. Ogni giorno siamo testimoni di un dolore profondo, di vite spezzate, di famiglie distrutte e la fatica di operare in questo contesto è immensa. Il dialogo e la comprensione sono messi a dura prova ma proprio per questo è fondamentale continuare a costruire spazi di incontro e di pace.
Il nostro è un impegno costante per arginare il dilagare dell’odio e decostruire l’immagine del nemico che, purtroppo, non si limita ai territori di guerra ma si insinua anche nelle società in pace, contaminandole. Ecco perché la presenza di luoghi terzi, come Rondine, è essenziale: istituzioni di pace che creano ponti e spazi di confronto tra i giovani appartenenti a popoli in conflitto, ponendo le basi per la costruzione di una pace duratura”.
(Tratto da Aci Stampa)
Patù: dieci anni di Infiorata, fiori, fede e comunità nel cuore del Salento

Un tappeto di fiori lungo 250 metri per celebrare la fede, la bellezza e la forza della tradizione: è questo lo spirito con cui il borgo del sud, sito di interesse archeologico e Bandiera Blu per le sue marine, si prepara alla decima edizione dell’Infiorata, in programma tra sabato 21 e domenica 22 giugno, in occasione della solennità del Corpus Domini. I tappeti floreali saranno visitabili fino al 24 giugno giorno in cui a Patù si festeggia San Giovanni Battista, offrendo così un’occasione prolungata per ammirare questo capolavoro di arte e fede.
L’Infiorata di Patù ha ormai conquistato un posto di rilievo nel panorama culturale salentino. Grazie all’impegno e alla passione della comunità locale, ogni anno la strada principale del borgo si trasforma in un vero e proprio capolavoro floreale, realizzato esclusivamente con fiori e foglie raccolti nei campi. I bozzetti, ispirati a tematiche religiose e sociali, vengono minuziosamente elaborati e poi riportati in vita grazie al sapiente lavoro di infioratori esperti e volontari. I preparativi iniziano con largo anticipo: si raccolgono fiori di campo, si essiccano petali ed erbe spontanee, ma anche fondi di caffè utilizzati per le sfumature dei volti e dei dettagli.
I lavori cominceranno nel pomeriggio di sabato 21 giugno, per culminare nella notte con la composizione dei tappeti floreali lungo via Principe di Napoli. La domenica mattina, le opere saranno benedette dal Vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, Monsignor Vito Angiuli, prima della tradizionale processione eucaristica guidata dal parroco don Carmine Peluso.
Un momento corale e silenzioso, in cui il gesto diventa preghiera e l’arte si fa liturgia. Nella notte tra sabato e domenica, tutta la comunità si ritrova per realizzare insieme i quadri: famiglie intere, bambini entusiasti, giovani e anziani.
Uno degli aspetti più belli e caratterizzanti dell’Infiorata di Patù è il messaggio di inclusione che questa manifestazione pone al centro. Accanto ai volontari locali e ai ragazzi dell’oratorio, hanno partecipato attivamente anche i giovani ospiti dei progetti sai msna e ord del Comune di Patù, gestiti da ARCI Lecce solidarietà cooperativa sociale.
Insieme ad altri giovani provenienti da progetti attivi in vari comuni del Salento, hanno contribuito alla raccolta dei fiori e al loro trasporto fino a Patù. Un gesto semplice ma potente, che rinnova lo spirito autentico di questa manifestazione: una comunità che si apre, accoglie e costruisce bellezza condivisa e collettiva, petalo dopo petalo.
Durante i giorni di festa, i visitatori potranno esplorare il MAV – Museo Archeologico di Vereto. Un luogo immersivo che racconta la storia del territorio, in particolare quella del misterioso insediamento dei Messapi e dei leggendari resti della città di Vereto.
Per l’occasione, il 21 e il 22 giugno, sono previste visite guidate speciali per gruppi e famiglie in occasione della notte della Cultura che coincide con questi eventi. Il punto di ritrovo è Palazzo Liborio Romano. È possibile prenotare la visita inviando un messaggio al numero 3476404009. Esperti locali vi guideranno in un tour esperienziale alla scoperta del patrimonio culturale patuense.
Giornata del Turismo: la Chiesa chiede che sia sostenibile

“La bellezza del creato e il patrimonio culturale dell’umanità educano tutti noi a leggere i segni della sapienza di Dio. In questa prospettiva, anche il turismo è occasione di crescita, incontro e reciproca conoscenza: mentre arricchisce le relazioni tra i popoli, l’esperienza del viaggio invita ciascuno a prendersi cura della casa comune”: con queste parole inizia il messaggio che mons. Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo, ha inviato in occasione della 46^ Giornata Mondiale del Turismo che si celebra il 27 settembre prossimo, che si intitola ‘Turismo e trasformazione sostenibile’, scelto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo.
Nel messaggio mons. Fisichella ha coniugato le due parole del tema: “Il legame così espresso è lungimirante e trova significativo riscontro nell’enciclica ‘Laudato sì’ di papa Francesco, che afferma: ‘La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale’. Questo atteggiamento di salvaguardia interessa anche il turismo: ogni anno aumenta, infatti, il numero di persone che si muovono da una parte all’altra del pianeta per gli scopi più disparati e con vari mezzi di trasporto”.
Con la crescita della mobilità turistica è importante rispettare l’ambiente: “Questa mobilità globale richiede un impiego di risorse che ha un impatto notevole sulla salute delle persone e sulla natura. Mentre cresce la consapevolezza di abitare un mondo che diventa sempre più piccolo proprio in forza della mobilità, è importante entrare nell’orizzonte della trasformazione sostenibile anche per gli operatori del turismo.
L’ampiezza delle risorse in campo può far trovare strumenti più coerenti per rendere più agevole il trasporto e la salute dei passeggeri. D’altronde, il turista stesso valuta con favore quelle situazioni che rispettano la sostenibilità dell’ambiente. La preoccupazione e la cura per il creato richiedono, dunque, la responsabilità personale e collettiva, perché nulla vada perduto di quanto abbiamo ricevuto”.
Quindi un viaggio ‘sostenibile’ consente maggiore consapevolezza nella conoscenza della realtà: “Mettersi in viaggio stimola a sviluppare una visione più ampia della realtà; favorisce la contemplazione della bellezza naturale e artistica presente in ogni angolo del mondo. Il turismo è anche occasione di incontro tra le persone e può consentire di rendere migliore la relazione tra i popoli favorendo il rispetto reciproco e la solidarietà”.
Un ramo importante è rivestito anche dal turismo religioso: “Non si può trascurare, quindi, il grande impatto relazionale che il turismo possiede e che assume aspetti ancora più profondi quando la meta è un luogo sacro. Mentre recuperano le forze del corpo e dello spirito, infatti, i turisti possono trovare speciale edificazione nei Santuari, meditando sia sul proprio cammino di fede, sia sull’impegno per la sostenibilità che abbraccia ormai grandi spazi della vita sociale”.
Per questo il messaggio della Chiesa chiede di valorizzare il bene dell’acqua: “Si pensi al bene prezioso dell’acqua e al suo consumo. Chi ammira le grandi cascate, ad esempio, dovrebbe riflettere sul fatto che l’acqua non è nostra esclusiva proprietà: è un bene che ci è stato donato e come tale richiede rispetto e difesa. Auguriamo pertanto a quanti godranno qualche giorno di riposo al mare o in montagna di apprezzare il valore dell’acqua, considerando come essa sia un bene che non può essere sprecato o, peggio, inquinato. E possa tale consapevolezza indurre a stili di vita più saggi nell’uso quotidiano di questa risorsa”.
Però l’uso sostenibile non riguarda solo l’acqua, come ha scritto papa Benedetto XVI nell’enciclica ‘Caritas in veritate’: “L’uso sostenibile ovviamente non riguarda solo l’acqua, ma si estende a tanti altri elementi che permettono l’esistenza di un ecosistema: poiché tutti siamo ospiti, non possiamo delegare la cura dell’ambiente comune ai pochi che intuiscono la problematica della sua custodia e la drammaticità del momento storico… Di questo amore siamo testimoni anche come turisti, mentre beneficiamo di un mondo meraviglioso, che proprio per questo dobbiamo custodire intatto”.
Per questo il turismo sostenibile rimanda al tema del sovraffollamento: “E’ inevitabile che l’aumento dei viaggiatori debba trovare corrispondenza nelle offerte per loro disponibili. Gli operatori turistici potrebbero allora cadere nella tentazione di fare del turismo un oggetto di speculazione. Gli esempi negativi, purtroppo, sono molti e suscitano non poche perplessità.
La crescita sproporzionata dei turisti in alcuni luoghi ha portato le autorità a fissare dei limiti agli ingressi. Si riscontrano perfino contestazioni dei residenti che vorrebbero chiudere le porte ai turisti. Certo, il sovraffollamento di alcune località pone seri problemi, ma li si può prevenire attraverso opportuni interventi e avvalendosi anche degli strumenti che la tecnologia ci offre. Sono gli stessi turisti che chiedono di essere tutelati, mentre si studiano progetti per favorirne l’incremento”.
Un altro tema collegato al turismo responsabile riguarda il tema del lavoro: “La precarietà, cui spesso i giovani sono sottoposti, non è mai fonte di un futuro sostenibile. La giustizia non può essere eclissata dalla sete di guadagno né da condizioni che feriscono la dignità del lavoratore. Una vera giustizia diventa sostegno per combattere la povertà e per aiutare le persone a esprimere le proprie capacità lavorative”.
Richiamando l’enciclica ‘Laudato sì’ di papa Francesco il messaggio invita a mettere in pratica le ‘buone pratiche’ del turismo: “Ciò che piuttosto si riscontra sembra essere il desiderio del mero profitto, realizzato in fretta senza molta fatica: questa frenesia abbaglia e porta a soluzioni che umiliano i dipendenti, i turisti e gli stessi operatori… Al contrario, l’autentica promozione del turismo si accompagna sempre a buone pratiche di giustizia sociale e al rispetto dell’ambiente”.
Infine un richiamo al turismo in chiave giubilare: “La comunità cristiana non solo è direttamente partecipe del turismo, ma spesso ne è artefice attraverso una rete di servizi creati per esprimere l’accoglienza ai pellegrini e ai turisti. E’ dovere dei responsabili dei Santuari vigilare attentamente affinché questi luoghi rimangano sacri spazi di autentica spiritualità, dove il cuore trova conforto ed è favorita la riflessione sulle domande umane di fondo, attraverso il silenzio, la preghiera e il dialogo con uomini e donne di Dio.
In proposito, la preparazione dei sacerdoti e degli operatori pastorali che hanno la responsabilità dei Santuari è un’esigenza che non può essere trascurata. Queste oasi di pace e serenità sono una risorsa preziosa e possono diventare una scuola di vita che, attraverso il patrimonio spirituale antico e sempre attuale, aiuta a guardare con fiducia al futuro”.
Il messaggio si chiude con un richiamo ad impegnarsi per rendere chiara la speranza: “E’ bene che, come i Santuari, così anche le comunità parrocchiali, soprattutto quelle che per tradizione sono luoghi di turismo, si aprano alle istanze di uno stile sostenibile, contribuendo a preparare un avvenire promettente per le giovani generazioni. L’impegno per la salvaguardia del creato inizia dall’attenzione alle piccole cose: da qui possiamo muovere i primi passi per farci carico di quel ‘debito ecologico’ che coinvolge l’umanità intera. In questo Anno giubilare, auspichiamo dunque che quanti operano nel settore del turismo esprimano segni concreti, che rendano tangibile la speranza cristiana, investendo su un uso sostenibile delle risorse naturali e strutturali a nostra disposizione”.
Don Simone Unere racconta l’Atelier Nardos, un luogo dove si crea bellezza, grazie all’8×1000

Si chiama Atelier Nardos ed è il laboratorio di sartoria liturgica nato nei locali di pertinenza del Santuario della Madonna del Portone nella diocesi di Asti, che nasce da un’idea che risale a molti anni fa, ma ha preso concretamente vita in occasione della visita di papa Francesco ad Asti nel 2022, quando la sarta del laboratorio, Marina Bergantin, realizzò il piviale che il papa indossò in cattedrale.
Il paramento piacque e l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del papa ne ‘commissionò’ un altro, così la sartoria spiccò il volo e da questa singolare opportunità l’idea di sartoria liturgica diventa progetto di atelier che si dedica alla confezione di vesti liturgiche esclusive come casule, piviali, camici, stole, ma anche insegne episcopali e suppellettili liturgiche sempre ricercando la propria identità nel gesto nobile e semplice della sorella di Lazzaro che profumò i piedi di Gesù con olio di puro nardo.
Oltre all’esclusività della confezione delle vesti per la liturgia, uniche e interamente fatte a mano, c’è un’altra caratteristica importante dell’Atelier Nardos: utilizza solo tessuti naturali, innovativi e di alta qualità, scelti con particolare attenzione da filiere che ne garantiscono la tracciabilità, la trasparenza e l’eticità, ispirando le modalità operative alle lettere encicliche ‘Fratelli Tutti’ e ‘Laudato sì’.
Su questa strada, Atelier Nardos è anche luogo di promozione di legami comunitari; infatti accanto all’atelier sono nati i laboratori complementari: le diverse attività manuali che sono svolte convergono nell’obiettivo concreto della confezione del prodotto finito, ma il vero scopo è far incontrare volontari e soggetti con diverse fragilità, creare un punto di incontro, confronto, di tessitura di legami, che diventi sempre più per i partecipanti un punto di riferimento e di coesione sociale. L’Atelier Nardos è sorto grazie all’8×1000 della Chiesa Cattolica ed alla Fondazione CrTorino.
Da don Simone Unere, rettore del Santuario ‘Beata Vergine del Portone’ e direttore dell’Ufficio Liturgico della diocesi di Asti, ci facciamo raccontare la nascita dell’atelier: “Atelier Nardos nasce dalla partecipazione ad un bando della Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino. Questo prevedeva un progetto di ristrutturazione, grazie al quale abbiamo rimodernato i locali di competenza del Santuario e un progetto sociale. Quest’ultimo, che consiste appunto nella sartoria liturgica, è stato pensato in collaborazione con la Caritas diocesana.
Tuttavia, la fase di studio e sperimentazione era già stata avviata da tempo e una prima ‘uscita’ vi è stata con la visita di papa Francesco ad Asti nel novembre 2022: in quanto direttore dell’ufficio liturgico diocesano, sono stato incaricato dell’organizzazione della celebrazione presieduta dal papa in Cattedrale. Così ho proposto che il Pontefice indossasse, per la liturgia, un piviale cucito dal futuro atelier, come poi è avvenuto.
Più a monte ancora, possiamo dire che Atelier Nardos nasce almeno 10 anni fa, dall’incontro di due passioni: quella mia, liturgica (ho concluso gli studi all’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova), in particolare sui linguaggi non verbali della celebrazione, e quella sartoriale di Marina Bergantin, la sarta di Atelier Nardos. In quegli anni sono stati studiati i tessuti e sperimentati i modelli che oggi vengono utilizzati”.
Per quale motivo il richiamo al nardo?
“Atelier Nardos riconosce la propria identità nel gesto nobile e semplice della sorella di Lazzaro: Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: ‘Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?’
L’olio di nardo, da cui il nome dell’Atelier, vuole essere un richiamo a quest’episodio. Quel gesto assolutamente nobile e semplice insieme, espressione di un amore squisito per il Signore, sarà ricordato per sempre. Nobile perché quell’olio non comune è diventato espressione del cuore di Maria; a Gesù vanno le cose più preziose, quel ‘di più’ non necessario, un sovrappiù straordinario, che un animo gretto ritiene uno spreco. Semplice, perché in quel gesto non vi è spazio per la vanità, o per la richiesta di un contraccambio, ma è tutto dono”.
Cosa è una sartoria ‘solidale’?
“Non so se possiamo definirci una sartoria solidale. Atelier Nardos ispira le sue modalità operative al magistero di papa Francesco, in particolare alle lettere encicliche ‘Fratelli Tutti’ e ‘Laudato Si’. Uno dei mali del nostro mondo è il ritenere sia le persone sia l’ambiente beni di consumo che vanno utilizzati finché servono a fare profitto e che poi possano essere buttati via: ‘Le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se non servono ancora’ (come i nascituri), o ‘non servono più’ (come gli anziani). Oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani’, aveva scritto papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’.
Atelier Nardos predilige un ambiente di lavoro che sia non soltanto un luogo dove si fa qualcosa in cambio di qualcos’altro, ma che contribuisca alla realizzazione della persona, dove lavorare sia un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri, offrendo occasione di scambi, di relazioni e d’incontro.
Per questo, in particolar modo nei Laboratori di Nardos le persone che si trovano insieme per crescere, acquisire capacità e autonomia. I laboratori di Nardos sono luoghi di promozione di legami comunitari, si costruisce la fraternità. Le diverse attività manuali che vengono svolte convergono in un obiettivo concreto da raggiungere insieme ma il vero scopo è far incontrare volontari e soggetti con diverse fragilità, creare un punto di incontro, confronto, di tessitura di legami che diventi sempre più per i partecipanti un punto di riferimento.
I laboratori di Nardos sono finalizzati alla realizzazione di percorsi di crescita personale, al potenziamento del livello di autonomia e allo sviluppo di capacità trasversali e pratico-manuali. Per questo motivo si svolgono in un contesto protetto che permette di rispondere in modo differenziato alle diverse esigenze e potenzialità dei partecipanti, costruendo per ognuno un possibile itinerario evolutivo, secondo tempi e modalità adeguate. Per ora è attivo soltanto un laboratorio, il ‘Telaio di Ouaffa’ (tessitura), ma ben presto partiranno i laboratori di piccola sartoria e ricamo”.
Come si fa a creare qualcosa di bello?
“L’argomento della bellezza trova immediatamente adesione e consenso. Tutti sono d’accordo nel desiderare, volere qualcosa di bello, e magari crearlo: ma a ben vedere questo argomento non è affatto tra i più semplici. Infatti: che cosa è bello? E dunque subito ci si potrebbe dividere in varie opinioni. La complessità aumenta se si tenta di articolare la bellezza in rapporto alla liturgia: in che modo la bellezza è costitutiva della celebrazione? Perché le è connaturale? Ancor di più se volessimo mettere a tema della bellezza della liturgia in chiave evangelizzante: ‘la Chiesa evangelizza con la bellezza della liturgia’, ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’. Non è questo il luogo per affrontare questo tema.
Per Atelier Nardos è importante ritornare sempre all’icona del gesto di Maria, la sorella di Lazzaro: quel gesto assolutamente nobile e semplice insieme, e per questo assolutamente bello. ‘Nobile semplicità’ è la strada che il Concilio Vaticano II ha implicitamente indicato per ricercare la bellezza. In quella sede conciliare si diceva: ‘i riti splendano per nobile semplicità’. Due termini che paiono agli antipodi, ma che i padri conciliari hanno sapientemente cucito assieme anche per indicare due estremizzazioni errate: lo sfarzo e la banalità sciatta”.
Cosa significa confezionare abiti liturgici?
“Confezionare abiti liturgici significa anzitutto un lavoro meticoloso fatto di attenzione e cura, a partire dall’elaborazione di un’idea che diventa progetto, disegno, poi ricerca dei materiali più consoni alla sua realizzazione. Una veste liturgica, infatti, è nella sua radice un abito. Un abito arcaico, se vogliamo, ormai destinato solo all’uso rituale, ma pur sempre un abito. Pertanto, quello richiesto è un lavoro di abilità artigianale, creatività e conoscenza delle forme. Atelier Nardos progetta e confeziona vesti liturgiche esclusive, uniche ed interamente fatte a mano, utilizzando tessuti esclusivamente naturali e innovativi, provenienti da una filiera trasparente e sostenibile.
A proposito dei tessuti utilizzati, anche in questo campo ci si ispira al magistero di papa Francesco: ‘Esistono forme di inquinamento che colpiscono quotidianamente le persone. L’esposizione agli inquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri.
Fra i poveri sono frequenti le malattie legate all’acqua, incluse quelle causate da microorganismi e da sostanze chimiche’, come ha scritto nell’enciclica ‘Laudato sì’. L’industria del tessile è tra le più inquinanti al mondo.
Per questo Atelier Nardos sceglie di utilizzare tessuti di alta qualità scelti con particolare attenzione da filiere che ne garantiscano la tracciabilità, trasparenti e certificate. Canapa, ortica, bamboo, lino, cotone biologico, seta certificata e burette, lana di yak, lane di pecora, e loto: sono al momento le fibre naturali e innovative che Atelier Nardos utilizza per confezionare le vesti liturgiche e suppellettili d’altare”.
Atelier Nardos ha luogo nel Santuario della Madonna del Portone: perché è stato nominato ‘Porta Paradisi’?
“Il nome Madonna del Portone è quello usato popolarmente da secoli. Si riferisce ad una delle porte della città, esistenti nelle mura di cui Asti medievale era cinta. Sull’architrave di una di queste venne affrescata l’immagine ad oggi ancora venerata. Da qui Madonna ‘del portone’. Posso poi segnalare che nel 1946 papa Pio XII costituiva compatrona di Asti la beata Vergine Maria con titolo Porta Paradisi”.
(Tratto da Aci Stampa)
‘Una Donna vestita di sole’: il recital dell’ex chitarrista di Vasco Rossi (oggi terziario francescano)

Dalla prima all’ultima pagina della Bibbia, cioè da Eva fino alla «Donna vestita di sole» dell’Apocalisse (12,1), è possibile imbattersi in una “galleria” vasta e variegata di figure e di protagoniste femminili. In alcuni casi le “donne della Bibbia” hanno dato con il loro nome il titolo anche a qualche libro dell’Antico Testamento come quelli di Rut o Ester. C’è però fra tutte una figura particolarissima di donna, che si staglia per grandezza e luminosità pur nella brevità della sua apparizione nel testo sacro. È la madre nascosta, Maria di Nazaret, «l’ideale supremo di perfezione che in ogni tempo gli artisti hanno cercato di riprodurre nelle loro opere»come rileva Paolo VI.
Una creatura, aggiunge il papa santo, «nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale. E perché tutto questo? Perché Maria è la “piena di grazia”, cioè, noi possiamo dire, la piena di Spirito Santo, la luce del quale in lei rifulge di un incomparabile splendore. Sì, abbiamo bisogno di guardare a Maria, di fissare la sua bellezza incontaminata, perché i nostri occhi troppo spesso sono offesi e quasi accecati dalle ingannatrici immagini di bellezza di questo mondo. Quanti nobili sentimenti, quanto desiderio di purezza, quale spiritualità rinnovatrice potrebbe suscitare la contemplazione di così sublime bellezza!» (Discorso ai Congressi Mariologico e Mariano, 16 maggio 1975).
Fra i modi contemporanei con i quali nel mondo cattolico si cerca di promuovere la devozione alla Madre di Dio c’è anche la musica. Una musica, talvolta, proveniente da artisti da cui meno ci si aspetterebbe un tributo alla Vergine, come ad esempio il musicista lombardo Nando Bonini, prima della conversione chitarrista per molti anni dello “spericolato” (e ateo) rocker emiliano Vasco Rossi. Domani sera Bonini si esibirà infatti presso il Santuario di Bevera (Lecco) in un recital mariano in parole e musica dal titolo “Una Donna vestita di sole” (ore 21). Si tratta di un’opera che racconta la vita di Maria attraverso brevi racconti e canzoni, i primi letti dalle artiste Marina Bonalberti e Silvia Fagotti, le seconde eseguite dallo stesso Bonini (chitarre/voce) e da musicisti di solida esperienza come Marco Maggi (chitarre/voce), Mario Schmidt (basso) e Andy Ferrera (chitarre/voce).
Nando Bonini, che tra i suoi numerosi progetti ha firmato anche dischi hard rock o progressive metal fra i quali lo stesso suo ultimo lavoro solista “The Knights of the Last Days” (Videoradio Channel Edizioni Musicali, 2025), una sorta di concept album ispirato all’Apocalisse di san Giovanni (6,1-8), oltre alla lunga collaborazione con Vasco Rossi, ha alle spalle significative esperienze con altri noti artisti italiani come Edoardo Bennato, Alberto Fortis, i Righeira e gli Skiantos.
Poi, come forse qualcuno ricorderà, durante una tournée con Vasco Rossi visse un’improvvisa e straordinaria illuminazione che lo ha portato ad abbracciare la Fede, tanto da diventare terziario francescano. La sua testimonianza è molto originale e, tra un concerto e l’altro, viene spesso chiamato a raccontare questa storia d’amore che lo ha riscattato dall’individualismo e dalla vita di eccessi e senza prospettive. Ascoltarlo dal vivo è sempre un’emozione, una esperienza della quale nessuno credo si potrà pentire.
Il santuario di Santa Maria Nascente, davanti al quale Bonini terrà il suo recital, è conosciuto nell’intera regione come un luogo emblematico di fede e di spiritualità. Nonostante le sue dimensioni non molto ampie, questo luogo di preghiera si presenta come luminoso e accogliente, offrendo un’atmosfera serena per la contemplazione e la devozione popolare. All’interno, si trova un’effige della Madonna venerata per i numerosi miracoli attribuiti grazie alla sua intercessione. Il santuario è circondato da un ampio parco con una Via Crucis e offre un panorama montano incantevole.
Per ulteriori informazioni ecco tutti i recapiti del Santuario di Bevera: indirizzo postale: Via la Santa 3B, 23890 Bevera; telefono: 031/860260, email: bevera@chiesadimilano.it – segreteria@comunitapastoralebbb.it; sito internet: http://www.comunitapastoralebbb.it/.
Il card. Zuppi ha ricordato papa Francesco annunciatore della salvezza di Dio

“Quanta emozione celebrare in questo luogo, che ci riporta al ministero affidato da Gesù a Pietro, primato indispensabile che serve e rappresenta la comunione, antidoto al banale protagonismo, presidenza nella carità di un popolo che dall’oriente all’occidente è radunato dal Signore. Non è scontato, quando nel mondo una cosa sola è l’individuo, non persone diverse ma unite dall’amore”: ieri il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha presieduto una messa che accompagna il popolo di coloro che si reca a rendere omaggio alla salma di Papa Francesco nella basilica vaticana.
Nell’omelia il presidente dei vescovi italiani ha citato una frase di papa Benedetto XVI per raccontare la bellezza della fede: “La nostra concreta umanità, la parzialità del nostro amore segnato sempre dalla nostra fragilità, non solo non impedisce questa bellezza, ma la fa risaltare, perché non è la gloria ipocrita dei farisei o l’esaltazione della propria forza, ma quella di peccatori perdonati nella cui debolezza risalta la grandezza di Dio”.
Una preghiera per un papa che ha incentrato il suo pontificato sul dialogo: “Preghiamo per papa Francesco, insieme alle nostre Chiese in Italia, alle comunità tutte, a un popolo immenso nella casa comune del nostro paese e del mondo intero, segnato da tante divisioni, incapace di pensarsi insieme, di ascoltare il grido dei poveri, che costruisce lance e distrugge le falci e pericolosamente si lascia persuadere dalla logica della forza e non da quella del dialogo, dal pensarsi senza o sopra gli altri e non dal faticoso ma indispensabile pensarsi insieme”.
E’ stato un ringraziamento per aver annunciato la salvezza cristiana: “Ringraziamo per il dono di questo padre e pastore, fratello, che ha speso fino alla fine tutta la sua vita, con tanta libertà evangelica perché obbediente a Cristo, senza supponenza, scegliendo la semplicità così importante nella vita di san Francesco, che la immagina sorella germana della povertà. Non che il Santo approvasse ‘ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto. E’ quella che pone la sua gloria nel timore del Signore e che non sa dire né fare il male. La semplicità che esamina sé stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e la attribuisce al migliore’. La semplicità avvicina tutti e fa sentire possibile e facile farlo”.
Una semplicità per rendere gloria a Dio: “La semplicità è offrire una dimensione normale della vita ma non per banalizzarla, anzi, al contrario per comunicare ancora di più la grandezza di Dio, la gloria dell’umile. Ha voluto la Chiesa credibile perché povera e amica dei poveri, motivo della scelta del suo nome”.
E’ questa semplicità evangelica annunciata da papa Francesco: “E’ questa l’unica forza che permette alla Chiesa di ridare speranza a chi l’ha persa. L’amore si accorge Del povero, della sua attesa, sa guardare e raccoglie e fa sua la speranza dei poveri, proprio perché ha solo amore, vive la compassione di Gesù. Lo prese per la mano destra e lo sollevò, in maniera concreta, aiutando a rialzarsi, come sempre è il servizio e come ha fatto e chiesto papa Francesco”.
Ma oggi siamo come i discepoli di Emmaus: “Oggi siamo noi i due discepoli di Emmaus. La tristezza è molto più pervasiva di quello che pensiamo, avvolge i cuori impedisce come la malinconia di vedere altro, di riconoscere la vita intorno, quel pellegrino di cui pure parlavano e che desideravano. I due tornavano da dove erano venuti. La speranza appare impossibile e non bastano le parole dei discepoli o di alcune donne che dicono che è vivo.
La Parola di Dio si affianca di nuovo e ci dice che l’amore affronta e passa attraverso la sofferenza, che la morte è un inizio, che niente è perduto perché si trasforma, è avanti, non indietro. Sì, stolti e tardi di cuore lo siamo nel comprendere come solo vivendo le sofferenze possiamo entrare nella sua gloria”.
E papa Francesco si è accostato come Gesù ai due discepoli: “Papa Francesco con tutta la sua vita si è fatto pellegrino instancabile e credibile nel nome di Gesù, ascoltando e toccando il cuore. Oggi ci chiede ancora di guardare al futuro, di aprire gli occhi per sognare, di non accontentarsi. Come a Firenze, dieci anni fa, nel discorso alla Chiesa italiana, oggi è lui il pellegrino che ci impedisce di cercare nel passato sicurezza, soluzione, protezione.
Ha indicato e vissuto la gioia, ha messo al centro le Parole di Gesù, il kerigma, liberandolo da tante glosse, personali e ecclesiastiche, che lo rendevano inefficace, tanto da non parlare più al cuore, quasi da pensare di non avere niente da dire a chi, invece, cercava proprio le parole di vita eterna che solo Lui ha e che ci ha affidato”.
Ed ha percorso un tratto di strada insieme: “Oggi sentiamo Papa Francesco che si affianca nel nome di Gesù ai credenti spenti di entusiasmo e dalla paura. Ci ha fatto vedere anche fino alla fine che seguire la strada di Gesù è donarsi, andare nei luoghi dove è umiliato per trovarvi e donare gioia. E ci ricorda di essere nella gioia, come nel suo ministero ha sempre indicato. Prendiamo con noi le sue parole e i suoi gesti, lasciamoci toccare il cuore, farci ardere del suo amore, perché ci aiuteranno ad aprire gli occhi, a non tornare ad Emmaus, a prendere per buona una sicurezza senza speranza, per camminare di nuovo insieme.
Ritroveremo anche noi i fratelli e ci confermeremo a vicenda raccontando come l’avevano riconosciuto, testimoniando, ricostruendo quella frateria e quella comunione che il male vuole dividere e rendere insignificante. Papa Francesco continua a parlarci di questo a noi pellegrini di speranza e ci chiede di esserlo noi, ma insieme, comunità cristiana forte perché al centro c’è la relazione con la parola. E’ stato come l’Evangelii gaudium, da cui partire e che è stato l’orizzonte anche del Cammino sinodale, che dobbiamo tradurre in scelte e prosettore concrete”.
Infine ha invitato ad ascoltare le sue ultime parole di domenica scorsa: “Lo affidiamo al suo Signore e siamo certi che ci affida al Dio della vita. Grazie Papa Francesco per le tue parole, per la fiducia nella forza del Vangelo e nello Spirito che non fa mancare le risposte, perché ti sei affiancato a tanti pellegrini tristi e hai acceso i cuori, indicando la speranza, il futuro. Hai lasciato tanto e porti con te tanto. In pace”.
La Basilica di san Pietro è più sicura per dare maggior bellezza

“La Fabbrica di San Pietro proverbialmente non si ferma mai e cerca di ricambiare la fede e l’amore dei pellegrini e dei visitatori che entrano in Basilica. Vogliamo restituire quello che ci viene dato e quello che ci ha lasciato nei secoli questo luogo dello spirito. Anche e soprattutto nell’Anno Giubilare”: con queste parole iniziali è stata fatta dal card. Mauro Gambetti, arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San Pietro, insieme ad Alberto Capitanucci, responsabile dell’Area Tecnica e beni Culturali della Fabbrica di San Pietro, Pietro Zander, responsabile della Sezione Necropoli e Beni Artistici della Fabbrica di San Pietro e Stefano Marsella, direttore centrale per l’innovazione tecnologica e risorse logistiche del Dipartimento dei Vigili del Fuoco italiano, la presentazione dei restauri dei monumenti funebri dei pontefici Paolo III e Urbano VIII e la riqualificazione illuminotecnica della Necropoli, delle Sale archeologiche e delle Grotte Vaticane.
Tale restauro è stato reso necessario per dare più visibilità alle opere d’arte per una maggiore consapevolezza dell’arte sacra: “Vogliamo consentire ai visitatori di ammirare la Gloria di Gian Lorenzo Bernini insieme ai due grandiosi monumenti sepolcrali collocati a destra e a sinistra della Cattedra, uno di Papa Farnese, opera di Guglielmo della Porta, e l’altro di Papa Barberini, realizzato dallo stesso Bernini.
Vogliamo altresì offrire un’immersione nella storia e l’esperienza profonda del sacro. Vedremo gli spazi archeologici come li hanno visti i primi cristiani, i Papi di secoli addietro, nello splendore di chiaroscuri che rimandano alla luce delle fiaccole che illuminarono la nascita della Chiesa e la nostra strada”.
Dopo aver ringraziato coloro che hanno consentito tale restauro il card. Gambetti ha illustrato il nuovo piano della sicurezza: “La Basilica è aperta al mondo. Visitata da 12.000.000 persone ogni anno, probabilmente il doppio durante il Giubileo, ha bisogno anche di sicurezza, di far sentire tutti protetti. Anche il nuovo piano di esodo della Basilica di San Pietro, che illustreremo brevemente, è espressione concreta di quella sollecitudine pastorale che si prende cura del benessere di ogni fedele e visitatore.
Migliore gestione e velocizzazione dei flussi d’uscita garantiscono più agio e più sicurezza. Per questo lavoro non saremo mai grati abbastanza al Corpo dei Vigli del Fuoco italiano che, d’intesa con Comando dei Vigili del Fuoco del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, hanno sviluppato uno studio e un progetto che potrebbe diventare esemplare per i luoghi di culto”.
Tale restauro è stato reso necessario per ‘mostrare’ una Chiesa ‘viva’: “Sollecitati da papa Francesco ad essere ‘artigiani di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice’ consideriamo questi lavori non solo come necessari interventi tecnici, ma come segni di una Chiesa viva, accogliente e attenta alle ‘cose di Dio’, agli uomini e alle donne del nostro tempo assetati di amore, di pace e di gioia, assetati di spiritualità autentica”.
Mentre l’ing. Stefano Marsella, direttore centrale per l’innovazione tecnologica e risorse logistiche del Dipartimento dei Vigili del Fuoco italiano, ha sottolineato gli interventi effettuati: “Il lavoro è iniziato con l’impiego da parte di personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di sistemi Laser Scanner ad alte prestazioni per effettuare il rilievo 3D con accuratezza millimetrica della quasi totalità della Basilica, sia nelle parti accessibili al pubblico, che nei potenziali percorsi di esodo. Tale attività ha consentito di riprodurre la geometria dei luoghi in modo accurato e di verificare alcuni dettagli fondamentali per la simulazione senza ricorrere a continui sopralluoghi”.
Ed ha chiarito in cosa consista il nuovo piano della sicurezza: “La valutazione della sicurezza dell’esodo, inoltre, si è basata su simulazioni realistiche che riproducono l’afflusso di persone in due scenari principali: durante le funzioni liturgiche con circa 5.000 partecipanti e in periodi di visita turistica e di pellegrini, dove il numero scende leggermente a 4.000 visitatori. E’ stato impiegato un software particolarmente adatto a simulare gli aspetti di dettaglio delle persone e dei luoghi, che ha permesso di analizzare la fluidità del movimento delle persone verso le uscite, identificando i nodi critici che potrebbero rallentare l’evacuazione in caso di emergenza”.
Grazie a tali ammodernamenti sono state eliminate le barriere architettoniche: “Tra gli elementi chiave emersi dallo studio c’è l’eliminazione di barriere fisiche e informali, che ha portato alla sostituzione di gradini ripidi con rampe, utili a ridurre i rischi e a rendere la Basilica maggiormente accessibile a tutti, compresi i disabili o persone con difficoltà motorie. Il software di simulazione dell’esodo ha permesso inoltre di visualizzare i flussi pedonali e di individuare le aree dove si formano ingorghi pericolosi”.
In conclusione è stato sottolineato che ora la Basilica di san Pietro ha maggiore sicurezza: “Le modifiche proposte riducono anche significativamente i tempi necessari ad evacuare la basilica, migliorando notevolmente le procedure precedenti. In sintesi, l’obiettivo è stato quello di trasformare uno spazio storico ma complesso in un luogo ancora più sicuro per milioni di visitatori annuali e fedeli, utilizzando innovazione tecnologica e piani progettati al dettaglio. Un esempio del come patrimoni culturali possono adattarsi alle esigenze moderne della sicurezza senza perdere la loro essenza”.
Giornata della Consapevolezza sull’Autismo: l’importanza dell’inclusione

Il 2 aprile di tutti gli anni è celebrata la ‘Giornata mondiale della Consapevolezza sull’Autismo’, istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU con l’intento di richiamare l’attenzione dei cittadini sui diritti delle persone nello spettro autistico e di costruire una società più inclusiva e accogliente.
Per tale occasione abbiamo rivolto alcune domande alla presidente della cooperativa sociale ‘Work Aut – Lavoro ed Autismo’, Stefania Grimaldi, madre di un ragazzo con autismo, chiedendo di raccontare quanta consapevolezza c’è nelle persone rispetto all’autismo: “In generale ritengo che la consapevolezza sia poco presente nelle persone, perché c’è bisogno di fare esperienza direttamente e dopo tante esperienze si può essere consapevoli di questa ‘situazione’.
Però c’è da dire che da quando ho iniziato ad informarmi, in quanto mamma di un ragazzo affetto da autismo, ed ad aderire a questa giornata, sicuramente è aumentata molto la consapevolezza sull’autismo e sulla neuro divergenza sia da parte delle famiglie che si trovano in questa condizione, sia da parte della comunità in cui queste famiglie, che diventano sempre più numerose, vivono. Sicuramente è una crescita, ma siamo ancora molto lontani dalla piena opportunità dell’essere accolti per quello che si è”.
‘Siamo folli sognatori, crediamo dell’inclusività, aspiriamo ad una buona vita, alla soddisfazione, alla realizzazione di sé ed alla felicità’ è la presentazione della cooperativa: perché Work Aut?
“Work Aut è sorto nel 2021 dal sogno di un gruppo di famiglie con figli maggiorenni colpiti da autismo con l’obiettivo di creare per i nostri figli una vita dignitosa ed indipendente in funzione del ‘dopo di noi’, in quanto diventando anziani non potremo più proteggere i nostri figli fragili dall’inconsapevolezza del mondo”.
‘Vivere una vita piena e dignitosa vuol dire partecipare, essere e sentirsi parte di una comunità, apportare il proprio contributo, grande o piccolo che sia. Una società, per essere definita civile, deve essere inclusiva, offrire a tutti le giuste opportunità per esprimere al meglio il proprio potenziale’: quale è la ‘mission’ di Work Aut?
“La mission che ci siamo proposti è quella di sperimentare per ogni persona alcuni percorsi di apprendistato adatti alle caratteristiche dei nostri figli, certi che nell’attività lavorativa, anche se occasionale, si possa offrire dignità ed accoglienza, che meritano”.
Cosa significa realizzare una cooperativa sociale per dare ‘risposte lavorative’?
“Non vogliamo compassione né tantomeno non chiediamo l’elemosina. Vogliamo lavorare perché siamo bravi, perché ci sono risorse umane valide e competenti che non possono restare nell’ombra. Il nostro obiettivo è quello di capire qual è la reale inclinazione dei ragazzi per poterla trasformare in lavoro. Intanto, si formano, si impegnano e guadagnano attraverso il loro lavoro. La nostra speranza è di fare connessioni, collegamenti tra le varie realtà presenti, per riuscire ad inserire i nostri giovani nelle diverse imprese del territorio”.
‘La Cooperativa Sociale Work Aut Lavoro e Autismo, con il progetto Work-Aut, si pone l’obiettivo di creare un ponte tra imprese, attività commerciali, piccole e medie aziende del territorio e le persone con Autismo, attraverso progetti socio-lavorativi che offrano concrete opportunità di lavoro e diano visibilità alle loro capacità lavorative finora rimaste inespresse’. In quale modo si può nutrire l’inclusione?
“Nel modo più naturale possibile. Nel laboratorio ‘Work Aut’ cerchiamo di conoscere i nostri aspiranti apprendisti, dimenticando i limiti diagnosticati, in quanto non sono un limite alla possibilità di sperimentare. Cerchiamo di capire quali sono le passioni ed i talenti dei nostri ragazzi e su questi talenti attiviamo i laboratori, che vanno dalla creazione di piantine fino al confezionamento di bomboniere per arrivare al servizio di bibliotecario e guida turistica”.
A proposito di quest’ultimo progetto di guida turistica cosa è stato riscontrato dai turisti?
“Sono state riscontrate una bellezza ed una magia inaspettata, perché da parte degli operatori ‘work aut’ c’è stata una grande felicità: con lo studio i ragazzi hanno scoperto ed aumentato la loro autostima e quindi nei loro occhi una luce di gioia, che non vedevamo da tempo. Al tempo stesso abbiamo scoperto una grande ammirazione da parte dei turisti, perché non si aspettavano assolutamente di scoprire questa bellezza e questo talento da parte di persone dichiaratamente fragili. Inoltre c’è stata anche una presa di coscienza che le persone hanno luci ed ombre. Il nostro approccio è quello di guardare le ‘luci’ e questo è motivo di serenità”.
Riprendendo lo ‘slogan’ di ‘folli sognatori’, come è possibile interpretare un sogno?
“Il sogno che cerchiamo di raggiungere è quello dell’autostima e della felicità di ognuno. Questo sogno si raggiunge pensando di fare cose belle. Noi di ‘Work Aut’ non abbiamo aspettative od obblighi o la necessità di essere perfetti. Abbiamo fatto della nostra imperfezione il nostro talento maggiore, perché ci poniamo come apprendisti e con umiltà cerchiamo ogni giorno di migliorare con l’obiettivo di essere ogni giorno più bravi del giorno precedente. Questo ci fa stare bene”.
Però quali difficoltà si riscontrano per rendere una vita autonoma?
“I rischi sono quotidiani. La più grande difficoltà è quella di convincere la comunità civile a dare opportunità ai nostri ragazzi. C’è grande diffidenza; quindi il rischio quotidiano è quello di farsi credere come esseri umani che possono stare in comunità, perché il nostro limite più grande è la solitudine, che è un limite per tutti. La solitudine è la ‘malattia’ dei nostri tempi, dove tutti rincorrono i loro obiettivi, ma è necessario un ritorno all’empatia ed allo stare insieme. Il sogno è allo stesso tempo limite di questi tempi”.
(Foto: Work Aut)
I Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: a colloquio con Marina Casini

Oggi i volontari del Movimento per la Vita hanno festeggiato la loro festa con un messaggio di papa Francesco letto dal card. Pietro Parolin, segretario di stato, in occasione dei 50 anni dalla nascita del primo Centro aiuto alla vita, a Firenze: lo ha annunciato la presidente nazionale del Movimento per la vita, dott.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma, nello scorso novembre al convegno nazionale di Mogliano Veneto:
“Ci sono momenti e ricorrenze che hanno una forza espansiva tale da non coinvolgere soltanto i diretti interessati, ma (come in questo caso) un intero popolo: il popolo della vita. Mezzo secolo fa fu gettato il primo seme a Firenze, e da lì è partita un’avventura straordinaria (un vero e proprio movimento per la vita!) che in questi dieci lustri ha scritto pagine di luce nel libro della storia attraversato dalle oscurità di una cultura generatrice di morte”.
Quindi i Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: quale aiuto offrono e come operano?
“Tutto quello di cui c’è bisogno. Accoglienza, ascolto, condivisione, sostegno, amicizia sono le parole chiave dell’attività dei CAV i cui programma sin dal 1975 è: ‘le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà’. E’ stato scritto dal sociologo Giuliano Guzzo che ‘il servizio alla vita nascente offerto dal Movimento per la Vita tramite i Centri, le Case d’Accoglienza Sos Vita e progetto Gemma è qualcosa di semplicemente grandioso, senza pari per bellezza e valore e, soprattutto, fondamentale per salvare, nel vero autentico e non retorico della parola, decine di migliaia di vite’.
E papa Francesco ricevendo il Direttivo del Movimento per la Vita Italiano, il 2 febbraio 2019, disse: ‘dinanzi a varie forme di minacce alla vita umana, vi siete accostati alle fragilità del prossimo, vi siete dati da fare affinché nella società non siano esclusi e scartati quanti vivono in condizioni di precarietà. Mediante l’opera capillare dei Centri di Aiuto alla Vita, diffusi in tutta Italia, siete stati occasione di speranza e di rinascita per tante persone’.
Questo solo per dare una idea dell’importanza e della bellezza di questo volontariato appassionato e non appariscente come è stato detto. In sostanza si tratta di stare accanto alle donne che si trovano di fronte a una gravidanza problematica o inattesa, offrendo una reale prevenzione dell’aborto a concepimento avvenuto. Questa prevenzione si realizza mediante la condivisione delle difficoltà, la rimozione delle cause, l’offerta di alternative, la liberazione dai condizionamenti che spingono la donna a non far nascere il figlio. E purtroppo i condizionamenti e le pressioni che soffocano la libertà di accogliere il figlio. Quante donne parlano di ‘costrizione’ all’aborto! E quanta libertà viene conquistata dalla donna quando lei stessa (accolta, mai giudicata, sostenuta ed accompagnata) dice ‘sì’ al suo bambino o alla sua bambina!”
In quale modo il CAV può offrire ‘libertà’ alla madre?
“Ci sono testimonianze bellissime a riguardo. Il motore di questo volontariato è questo abbraccio che viene rivolto contemporaneamente alla mamma ed al bambino che porta in grembo. Lo sguardo del cuore non è rivolto soltanto al figlio, ma anche alla madre. L’inabitazione dell’uno nell’altra determina una situazione del tutto irripetibile, per cui la vita del figlio è di fatto affidata, come mai in altri momenti, alla madre. Nessuno può difenderlo più di sua madre, ma è quasi impossibile salvarlo se la madre non vuole. La difficoltà della ‘prevenzione’ sta proprio in questo: che bisogna necessariamente passare attraverso la sua mente e il suo cuore. Nella mente e nel cuore di lei la nuova vita induce per lo più pensieri di gioia. Ma a volte essa pesa con l’ingombro insostenibile di problemi che sconvolgono programmi, ingigantiti dalla fantasia, resi angosciosi dal carattere improvviso dell’evento sopraggiunto, dalla scarsità del tempo a disposizione per riflettere, molto spesso nella solitudine.
Non esistono difficoltà materiali specie economico-sociali, che non possono essere vinte, ma la pressione dell’ambiente è talora così soverchiante che sembra impossibile per una donna già gravata da reali problemi resistervi. E’ appunto per restituire a lei la libertà insieme al coraggio dell’accoglienza che lo sguardo del cuore dei servizi alla vita deve riconoscere la donna come donna e la madre come madre penetrando così nella sua mente e nel suo cuore. Il rapporto non è di giudizio, ma di amicizia. Si tratta di salvare il figlio non contro di lei, ma con lei e per lei. La rete dei CAV protegge la vita nascente con il metodo della condivisione e del sostegno. Non ‘contro’, ma ‘per’; non in ‘antagonismo’, ma in ‘alleanza’; non accompagnamento generico, ma personalizzato.
Uno specifico stile di mitezza e discrezione, di rifiuto del giudizio sulle persone, di ottimismo, di empatia e di dialogo, di disponibilità e di fiducia, di valorizzazione di tutto ciò che è positivo anche nelle situazioni più complicate, caratterizza l’attività dei CAV. Per questo nei CAV si realizzano storie di amicizia che continuano dopo la nascita del bambino. Quello dei CAV è un volontariato culturalmente preparato, collegato ai servizi SOS Vita e Progetto Gemma, che vuole essere espressione di una intera comunità che accoglie rendendo un grande servizio alla società. Perché, infatti, non considerare questa esperienza un modello ripetibile su più larga scala come esperienza che tutta la società deve seguire”.
Suo padre fu fondatore del primo Centro Aiuto alla Vita: quanto è stato importante Carlo Casini per la trasmissione della cultura della vita?
“Direi che il suo contributo è stato senza dubbio fondamentale e lo è ancora. Anche su questo potremmo soffermarci a lungo. Il suo non è stato un impegno come un altro, un’attività tra le tante, ma una vera e propria vocazione, una missione, che si è sviluppata in più ambiti: giuridico, sociale, culturale, politico. Una vocazione profondamente animata da una forte spinta spirituale vissuta in comunione con santi come papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta. Basta conoscere la sua storia, leggere quanto lui ha scritto e le tante testimonianze che sono state scritte su di lui e che continuano ad arrivare; basta ripercorrere le tappe del suo totalizzante impegno, chiamare a raccolta le numerose iniziative che per decenni ha promosso in Italia e in Europa. Il tutto sempre con positività, propositività, fiducia e speranza.
Sono in molti a ravvisare il carattere profetico del suo pensiero e delle sue opere. In effetti è evidente l’attualità dei suoi scritti, anche di quelli più datati. Tra e tante cose che si potrebbero dire, sottolineo per esempio la sua convinzione che la questione del diritto alla vita non sia una questione periferica e di retroguardia ma centrale, fondamentale e di avanzamento per costruire un umanesimo sempre più pieno e più vero, come è spiegato molto bene nel suo libro intitolato ‘Vita nascente prima pietra del nuovo umanesimo’ (San Paolo 2016), tradotto in spagnolo lo scorso anno, che in qualche modo va a completare un altro suo basilare testo intitolato ‘Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo. Alle radici della bioetica e della biopolitica’ (Edizioni San Paolo, 2010), tradotto in inglese un paio di anni fa.
Scriveva già nel 1979: ‘Ci occupiamo specificamente dell’aborto perché è in gioco la vita dell’uomo; ce ne occupiamo specificamente non per ignorare gli altri problemi umani ma, al contrario, perché non vogliamo annacquare la gravità del problema creandoci degli alibi con più vasti impegni puramente verbali. Tutto l’uomo, in tutto l’arco del suo sviluppo, però ci interessa, ma oggi la ricostruzione di una cultura che ponga al suo centro l’uomo trova sul tema dell’aborto il banco di prova, il luogo di verifica’. ‘Uno di noi, ha scritto molti anni dopo, non deve essere soltanto il nome di eventi esauriti, ma l’affermazione costante ed inesauribile della dignità umana proiettata verso il futuro’.
Ha vissuto tutta la sua totalizzante vocazione a difendere e promuovere la vita umana, amando ogni persona che incontrava ‘non si può essere per la vita, e quindi contro l’aborto, per amore dell’uomo, se non si ama ogni uomo’, diceva. Il 23 marzo 2025 saranno trascorsi 7 anni dalla sua nascita al Cielo. In questi anni gli sono state dedicate alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, sono stati pubblicati numerosissimi interventi sparsi sui giornali e riviste e diversi libri che lo riguardano. In particolare, ricordo la newsletter di Avvenire”.
Ci indica alcuni libri per favorire la conoscenza di questo testimone di impegno a favore della vita?
“Parto da quelli pubblicati dopo la sua nascita al Cielo, ricordando che il suo ultimo libro, bellissimo, recentemente tradotto in inglese, si intitola ‘La dimensione contemplativa nella difesa della vita umana’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2019). Ecco, dunque, in ordine cronologico dal 2020 le varie pubblicazioni: il numero speciale di ‘Sì alla vita’ con moltissime testimonianze e fotografie (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Paola Binetti, Carlo Casini, amico e maestro (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Anna e Alberto Friso (a cura di), ‘Ecce homo… lo avete fatto a me’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Renzo Agasso (a cura di), ‘Sperare contro ogni speranza’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2021); Marina Casini-Domenico Mugnaini (a cura di), ‘Il pensiero e l’azione di Carlo Casini nelle pagine di Toscana Oggi dal 1979 al 2016: articoli, interviste, riflessioni’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021), Stefano Stimamiglio (a cura di), ‘Guardando con fiducia al futuro. In preghiera con Carlo Casini’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021); Carlo Casini, ‘Per ritrovare speranza. La Giornata per la vita: il concepito è uno di noi, Vol. 1 e Vol. 2’, a cura di Marina Casini, Elisabetta Pittino, Giovanna Sedda (Edizioni Movimento per la Vita 2022); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2022); Unione Giuristi Cattolici Italiani-Prato (a cura di), ‘Il pensiero giuridico di Carlo Casini. Il diritto alla vita, il diritto per la vita’ (Edizioni Toscana Oggi, 2023); Stefano Stimamiglio intervista Marina Casini, ‘Carlo Casini. Storia privata di un testimone del nostro tempo’ (Edizioni San Paolo, 2023); Francesco Ognibene (a cura di), ‘Di un Amore Infinito possiamo fidarci. Carlo Casini testimone profeta padre’ (Edizioni Cantagalli, 2023); Aldo Bova-Marina Casini, ‘Carlo Casini, testimone di misericordia’ (Organizzazione e Assistenza Editoriale Center Comunicazione e Congressi, 2023); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo, Introduzioni e meditazioni per il Rosario del 23 – marzo 2022-febbraio 2023’, (Edizioni Movimento per la Vita, 2023); ‘Carlo Casini, La cultura della vita. Quarant’anni di pensiero per il rinnovamento della società’, a cura di Marina Casini (Edizioni Ares, 2023); ‘Carlo Casini, Lettere al popolo della vita, vol. 1’, a cura di Elisabetta Pittino e Soemia Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024); Anna e Alberto Friso, ‘Percorsi in sintonia. Carlo Casini e il Movimento dei Focolari’ (Cantagalli, 2024); Carlo Casini, ‘Uno di noi. La persona al centro dell’Europa’, a cura di M. Casini, G. Grande, E. Pittino, S. Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024). Altre pubblicazioni sono in cantiere”.
Quali altre iniziative legate a Carlo Casini sono in corso?
“A parte qualche iniziativa locale o qualche convegno, sono ad oggi principalmente due le iniziative principali. Dal 2021 ogni 23 del mese un nutrito gruppo di persone si ritrova a pregare online il ‘Rosario del 23 con e per Carlo Casini’. Il coordinatore è Marco Caponi che tutti i mesi organizza e prepara con cura questo momento di preghiera. Chi desidera partecipare può inviare una mail a: rosariodel23concarlo@gmail.com. Giorgio Medici con tanta dedizione segue gli aspetti tecnici del collegamento. Nel 2023 è nata la rete ‘Amici di Carlo Casini’, coordinata da Anna e Alberto Friso, una coppia di coniugi in gamba, motivati e pieni di entusiasmo, che ha conosciuto il babbo fin dagli anni Ottanta e che fa parte del Movimento dei Focolari. La porta è aperta e chi è interessato può scrivere a: amicidicarlocasini@gmail.com.
Il card. Giovanni Battista Re, incoraggiando la Rete ad andare avanti, ha scritto: ‘Quanto egli ha fatto in questo campo è un messaggio che non può cadere nell’oblio ed è una eredità che sprona all’impegno per l’accoglienza e la cura del bambino nella fase prenatale e della sua mamma. Il coraggio e la coerenza di Carlo Casini devono restare una guida. Il patrimonio intellettuale e spirituale che egli ha lasciato è prezioso’. Il 2 marzo 2024 la ‘Rete Amici di Carlo Casini’, in collaborazione con il Movimento per la Vita Italiano ha organizzato a Firenze una bellissima giornata di spiritualità dal tema: ‘In cammino con Carlo Casini. Giornata di spiritualità alla luce della sua testimonianza’ e quest’anno la giornata di spiritualità di svolgerà il 22 marzo a Roma presso l’Università Cattolica. Per iscriversi il rinvio è alla mail amicidicarlocasini@gmail.com alla quale fa riferimento anche l’associazione ‘Amici di Carlo Casini’, costituita il 9 luglio 2024”.
(Tratto da Aci Stampa)