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Suor Botindari: a Roma la ‘Notte dei Santi’ con il beato Acutis

Oggi al Santuario del Divino Amore di Roma si svolgerà la prima edizione della ‘Notte dei Santi’, un’iniziativa serale e notturna proposta ai ragazzi e i giovani della diocesi di Roma con l’obiettivo di stare bene insieme, non solo divertendosi, ma riflettendo sulla bellezza della santità. La celebrazione eucaristica sarà presieduta dal card. Enrico Feroci, rettore del Santuario del Divino Amore, e da mons. Dario Gervasi, vescovo ausiliare del Settore Sud della diocesi di Roma.

A suor Vincenzina Botindari, francescana missionaria del Cuore Immacolato di Maria, chiediamo il motivo, per cui la Chiesa festeggia tutti i Santi: “La festa di tutti i santi viene celebrata perché i fedeli abbiano dei forti punti di riferimento per ridare senso al cammino di fede, che verte verso la vita eterna. I santi sono testimoni di un incontro fatto, vissuto e portato a compimento. Sono l’immagine di quello che Dio realizza per la sua Chiesa: l’alpha e l’omega (inizio e fine)

Loro stessi, i santi, hanno camminato come noi sulle strade di questo mondo, spesso li scopriamo uomini fragili capaci di ridere o piangere, ma sempre orientati verso l’unico bene: Dio, il paradiso e tutto ciò che richiama la vita eterna. In questo caso possiamo pensare a san Filippo Neri, che spingeva i giovani attraverso la loro innocenza verso Dio. Sicuramente in lui non c’era nulla di costruito o programmato, ma aveva una piena fiducia nella provvidenza intesa come nutrimento dell’anima e del corpo. Fra poco inizia il Giubileo; ecco i santi ci mostrano questa lampada della speranza: non abbiate paura, continuate a camminare”.

Perché il beato Carlo Acutis è al centro di questo momento di preghiera?

“L’evento della ‘notte dei santi’ che si terra al Santuario del Divino Amore, che per i romani ha un significato particolare, grazie all’invito del rettore mons. Enrico Feroci: giovedì 31 ottobre alle ore 21.00 propone un altro testimone molto più recente, che è il beato Carlo Acutis. Un testimone della fede molto più vicino ai giovani e alla loro quotidianità. Cosa testimonia oggi Carlo Acutis ai giovani? Sicuramente che Dio e in quel quotidiano semplice fatto di scuola, studio, sport o attività digitali come tanti dei nostri ragazzi. Penserai e dov’è la straordinarietà di questo ragazzo? Aver fatto spazio a Dio, si è fidato di Lui a tal punto da far diventare Gesù il suo punto fermo. La straordinarietà di Carlo la vedremo solo dopo la sua morte, e non sono i miracoli che sta concedendo a molti, ma aver riportato molti allo Straordinario”.

In quale modo è possibile raccontare la santità ai giovani?

“La Chiesa cattolica oggi ha avviato diversi processi di trasmissione della fede vogliamo parlarne di alcuni. Abbiamo già detto che i santi ci indicano da sé la via da seguire con la loro stessa vita, sono in effetti testimoni credibili, che smuovono anche le coscienze, pensiamo al beato Pino Puglisi, ma andiamo avanti.

Una delle nuove vie di comunicazione della fede è sicuramente la musica, che conserva da sempre nella storia un grande potere educativo per comunicare non solo la poesia dell’amore, ma già da qualche decennio essa è uno dei canali per veicolare la fede e il messaggio della Chiesa Cattolica”.

Perché parlare dei santi ai giovani?

“Parlare dei santi è una necessità, in quanto è un racconto della vita eterna. Parlare dei santi è un ‘servizio’, che racconta l’annuncio di una santità nel quotidiano. Avremo una ‘presenza’ del beato Carlo Acutis, perché la diocesi di Assisi ci ha concesso le reliquie del cuore del beato. Questo sarà un momento speciale, perché in un momento in cui sembra quasi che la fede abbia un momento di ‘calo’, in realtà ci sono i giovani che diventano santi. Sembra un’utopia raggiungere la santità, ma il beato Acutis lo ha fatto senza grandi manifestazioni esteriori; semplicemente ha incontrato Dio ed ha compreso che la sua quotidianità doveva essere intessuta di questa presenza”.

Come si svolge questa serata?

La notte dei santi che si svolge giovedì 31 ottobre al Divino Amore utilizzerà questi canali: la catechesi di don Fabio Rosini sulla Santità; la testimonianza portata da p. Marco Gaballo parroco del Santuario della Spoliazione in Assisi; la christian music delle band del Kantiere Kairos e di Lorenzo Belluscio/music&faith e Marco Mammoli, che per anni ci ha fatto cantare l’inno della giornata mondiale della gioventù del 2000 tenutasi a Roma; l’arte degli artisti per Dio nella persona di Erika Fossati che donerà alla notte dei santi i volti della santità. Con collaborazioniimportanti per testimoniare come comunità la fede ai nostri ragazzi: il Vicariato di Roma attraverso l’ufficio di pastorale giovanile nella persona di don Alfredo Tedesco direttore dello stesso ufficio; Centro Diocesano missionario nella persona del direttore, p. Giulio Albanese affinchè i giovani possano riconoscersi missionari in cammino verso la santità; OFS LAZIO ed infine i canti del maestro Ambrogio Sparagna. Non possiamo dimenticare la preziosa collaborazione dei Francesclaun, giullari di Dio, che animeranno la notte dei santi dei più piccoli per far conoscere e sperimentare anche a loro la gioia dei santi”.

Ed Halloween?

“Ce ne siamo completamente disinteressati, abbiamo l’urgenza di comunicare la fede ai nostri ragazzi!”

(Tratto da Aci Stampa)

Il papa ai penitenzieri: far riscoprire Gesù

Oggi nella Sala del Concistoro papa Francesco ha incontrato i componenti del Collegio dei Penitenzieri Vaticani in occasione del 250° anniversario dell’affidamento ai Frati Minori Conventuali del ministero delle Confessioni nella Basilica di San Pietro, istituito da papa Clemente XIV nel 1774, ricordandone sia la storia che la fede del luogo:

“Ogni giorno la Basilica di San Pietro è visitata da più di quarantamila persone, ogni giorno! Molte arrivano da lontano e affrontano viaggi, spese e lunghe code per potervi giungere; altri vengono per turismo, la maggioranza. Ma tra loro tantissimi vengono a pregare sulla tomba del Primo degli Apostoli, per confermare la loro fede e la loro comunione con la Chiesa e affidare al Signore intenzioni care, o per sciogliere voti che hanno fatto.

Altri, anche di fedi diverse, vi entrano ‘da turisti’, attratti dalla bellezza, dalla storia, dal fascino dell’arte. Ma in tutti c’è, consapevole o inconsapevole, un’unica grande ricerca: la ricerca di Dio, Bellezza e Bontà eterna, il cui desiderio vive e pulsa in ogni cuore d’uomo e di donna che vive in questo mondo. Il desiderio di Dio”.

Per questo è importante la presenza dei confessori: “Per i fedeli e i pellegrini, perché permette loro di incontrare il Signore della misericordia nel Sacramento della Riconciliazione. Carissimi, perdonare tutto, tutto, tutto. Fatelo sempre: perdonare tutto! Noi siamo per perdonare, qualcun altro sarà per litigare! E per tutti gli altri, perché testimonia loro che la Chiesa li accoglie prima di tutto come comunità di salvati, di perdonati, che credono, sperano e amano nella luce e con la forza della tenerezza di Dio. Fermiamoci perciò un momento a riflettere sul ministero che svolgete, sottolineandone tre aspetti particolari: l’umiltà, l’ascolto e la misericordia”.

Il primo aspetto importante è l’umiltà: “Ce la insegna l’Apostolo Pietro, discepolo perdonato, che arriva a versare il suo sangue nel martirio solo dopo aver pianto umilmente per i propri peccati. Egli ci ricorda che ogni Apostolo, ed ogni Penitenziere, porta il tesoro di grazia che dispensa in un vaso di creta, ‘affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi’. Perciò, cari fratelli, per essere buoni confessori, facciamoci ‘noi per primi penitenti in cerca di perdono’, diffondendo sotto le volte imponenti della Basilica Vaticana il profumo di una preghiera umile, che implora e impetra pietà”.

Il secondo aspetto da non trascurare è l’ascolto: “E’ la testimonianza di Pietro pastore, che cammina in mezzo al suo gregge e che cresce nell’ascolto dello Spirito attraverso la voce dei fratelli. Ascoltare non è infatti solo stare a sentire ciò che le persone dicono, ma prima di tutto accogliere le loro parole come dono di Dio per la propria conversione, docilmente, come argilla nelle mani del vasaio”.

Quindi il papa ha chiesto un ascolto per la riscoperta di un ‘contatto’ con Gesù: “Ascoltare, non tanto domandare; non fare lo psichiatra, per favore: ascoltare, ascoltare sempre, con mitezza. E quando vedi che c’è un penitente che comincia ad avere un po’ di difficoltà, perché si vergogna, dire ‘ho capito’; non ho capito nulla, ma ho capito; Dio ha capito e quello è importante. Questo me lo ha insegnato un grande Cardinale penitenziere: ‘Ho capito’, il Signore ha capito. Ma per favore non fare lo psichiatra, quanto meno parli meglio è: ascolta, consola e perdona. Tu stai lì per perdonare!”

Ed infine ha chiesto di essere pieni di misericordia, secondo l’insegnamento di san Leopoldo Mandic: “Come dispensatori del perdono di Dio, è importante essere ‘uomini di misericordia’, uomini solari, generosi, pronti a comprendere e a consolare, nelle parole e negli atteggiamenti. Anche qui Pietro ci è di esempio, con i suoi discorsi intrisi di perdono. Il confessore (vaso di argilla, come abbiamo detto) ha un’unica medicina da versare sulle piaghe dei fratelli: la misericordia di Dio. Quei tre aspetti di Dio: vicinanza, misericordia e compassione. Il confessore deve essere vicino, misericordioso e compassionevole. Quando un confessore comincia a chiedere… No, stai facendo lo psichiatra, fermati, per favore”.

(Foto: Santa Sede)

‘Raccontami di Carlo’: un libro per scoprire come Carlo Acutis interpella proprio te!

I santi non sono supereroi, sono persone che hanno bussato al cuore di Dio. E alle quali è stato aperto. A cosa serve parlare di santi o pregarli? Non ci basta Gesù? Da tempo mi occupo di raccogliere storie e testimonianze di persone che hanno seguito Cristo, le racconto nei miei libri, perché credo che faccia bene leggerle.  Una persona, una volta, mi ha detto che facendo questo potrei ‘distogliere la mia attenzione’ da Dio e condurre altri in questa ‘distrazione’.

Ho risposto che scrivo di loro non perché essi siano la destinazione, ma perché ci aiutano, come dei cartelli stradali quando cerchiamo di raggiungere un luogo. Non sono la luce, ma indicano la luce.

Scrivo di loro perché sono dei compagni in un viaggio comune. È bello pensare a un Dio che ama vederci camminare insieme. È affascinante che fa giungere la sua Provvidenza attraverso le relazioni che viviamo. Gesù stesso, nel nascere, non è venuto al mondo da solo, scendendo da una nube, ma attraverso un grembo, ovvero attraverso un’altra persona.

E se in Dio la morte non esiste più (perché l’ha vinta con la Risurrezione), come non pensare che la comunione e l’aiuto reciproco continuano anche con chi abita già in Cielo? Uno degli amici santi che merita di essere conosciuto è Carlo Acutis, giovane milanese morto nel 2006. A lui ho dedicato due romanzi, un libro per bambini, una parte in uno dei diari della felicità e, ora, è stato appena pubblicato un testo biografico con l’aggiunta di testimonianze di persone che Carlo lo hanno conosciuto, dal vivo o dopo la sua nascita in Cielo.

Il libro, edito con Punto famiglia Editrice, si intitola ‘Raccontami di Carlo’. Nel testo trovate la storia di Davide e Adriana, due genitori che hanno dovuto salutare il loro figlioletto Michele di soli sette anni e che tramite Carlo hanno ricevuto la grazia della serenità. “Andrà tutto bene”, queste le parole che Adriana aveva sentito nel suo cuore, prima ancora di sapere che il figlio fosse malato, quando aveva pregato davanti a una reliquia del giovane Acutis, che fino a quel momento non conosceva se non per sentito dire.

Da quel momento, è iniziato il doloroso iter della malattia, ma insieme a quel calvario è arrivata la grazia non solo per sopportare il peso, ma anche per diventare testimoni della resurrezione. Poi c’è la storia di Ludovica, che grazie a Carlo trova la forza di vivere gesti concreti di carità, proprio sull’esempio di questo giovane, che si è sempre spogliato dei beni e dell’egoismo, per donare agli altri.

Tra le altre storie, anche quella di  Donata, a cui Carlo è stato sempre antipatico per la ‘troppa perfezione’, finché non ha capito che quell’invidia era segno che doveva coltivare di più il suo rapporto con Gesù… Oggi con Carlo condivide l’amore autentico per l’Eucaristia.

Nel testo, oltre alle testimonianze, trovate un itinerario per approfondire la spiritualità di Carlo e conoscere il suo segreto per una vita piena. E voi conoscete la storia di questo giovane che verrà dichiarato santo nel Giubileo del 2025? Cosa dice a voi la storia di Carlo Acutis? Siete disposti a lasciarvi scomodare da questo ragazzino semplice, profondo, pieno di doni e soprattutto umile?

Siete disposti a seguire la strada che lui ha seguito? Siete disposti ad essere tutti di Gesù?

Per approfondire: RACCONTAMI DI CARLO… | Libreria Francescana

Dal Sinodo un invito a non vivere di rendita

“…siamo giunti all’ultimo tratto di strada dei lavori della nostra Assemblea sinodale, che raccoglie i frutti di un lungo cammino iniziato nell’ottobre 2021. Proprio ora il brano del Vangelo ci indica la strada per come ‘raccogliere’ e Gesù ci invita a guardarci da ogni cupidigia, e questa può riguardare non solo i beni materiali, ma il bene e la bellezza che Gesù ci sta affidando in questo Sinodo”: con queste parole introduttive dell’omelia della celebrazione eucaristica il segretario generale del Sinodo, card. Mario Gtech, ha aperto le discussioni dell’ultima settimana, che produrranno il documento finale.

Nell’omelia il card. Grech ha preso spunto dal brano evangelico per un cammino sinodale: “Gesù rifiuta di dividere, ma invita a cercare la comunione, poiché individua nella cupidigia e nella ricerca del possesso la radice della divisione. Gesù rifiuta ogni logica di parte e di divisione nella ricerca della comunione tra fratelli. Per questo racconta poi la parabola, perché ognuno possa accorgersi della ‘stoltezza’ che si nasconde dietro il desiderio di ammassare nei granai. La parabola ci indica come disporci in questi giorni a raccogliere i frutti del nostro percorso sinodale e della nostra assemblea, senza dividerci, ma cercando la comunione”.

Insomma il vangelo è un invito a fare buon uso dei beni, senza vivere di rendita: “Non pensa ad investire, ad allargare il suo sguardo, a far fruttare i suoi beni, ma semplicemente a vivere di rendita. Si compiace della sua completezza! Anche noi potremmo correre il rischio di fare come quest’uomo, di ammassare ciò che abbiamo raccolto, i doni di Dio che abbiamo scoperto, senza reinvestirli, senza viverli come doni ricevuti che dobbiamo ora ridonare alla Chiesa ed al mondo, di sentirci arrivati!”

Il Vangelo è un invito ad esplorare strade nuove: “Anche noi potremmo accontentarci, senza cercare strade nuove perché il nostro raccolto possa moltiplicarsi ulteriormente; anche noi potremmo rischiare di rimanere chiusi nei nostri confini conosciuti, senza continuare ad allargare lo spazio della nostra tenda, come ci ha invitato a fare il profeta Isaia… Anche noi possiamo correre il rischio di vivere di rendita. Ma la comprensione delle verità e le scelte pastorali vanno avanti, si consolidano con gli anni, si sviluppano col tempo, si approfondiscono con l’età”.

L’omelia del card. Grech è stato un invito ad ascoltare lo Spirito Santo: “Piano piano quello che abbiamo raccolto comincerà a sparire, senza essere sostituito dalle novità che il Signore continuerà a mandarci… Se ascolteremo la voce dello Spirito, la conclusione di questa assemblea sinodale non sarà la fine di qualcosa, ma un nuovo inizio, perché ‘la Parola di Dio si diffonda e sia glorificata’.

Cari fratelli e sorelle, con Maria, alla quale abbiamo affidato fin dall’inizio i lavori della nostra Assemblea, se sapremo ascoltare la voce dello Spirito Santo e vivere nella libertà dello Spirito, potremo cantare al Signore l’inno di lode che ci indica il profeta Isaia”.

Mentre nella meditazione il teologo domenicano Timothy Radclife ha richiamato i partecipanti a mettere in pratica la missione di ‘predicare e incarnare’ una doppia libertà, “la doppia elica del Dna cristiano: la libertà di dire ciò che crediamo e di ascoltare senza paura ciò che dicono gli altri”. Cioè ‘la libertà dei figli di Dio di parlare con coraggio, con parrésia’; ma anche la ‘libertà più profonda, la libertà interiore dei nostri cuori’ di accettare anche le decisioni che possa deludere, e che alcuni potrebbero ritenere ‘sconsiderate o addirittura sbagliate’.

Dunque, siamo abitati dalla libertà di “pensare, parlare e ascoltare senza paura. Ma non è nulla se non abbiamo anche la libertà di chi ha fiducia che Dio opera tutto per il bene di coloro che amano Dio… Se  abbiamo solo la libertà di argomentare le nostre posizioni, saremo tentati dall’arroganza e “finiremo per battere i tamburi dell’ideologia, di destra o di sinistra”.

D’altro canto, “se abbiamo solo la libertà di chi confida nella provvidenza di Dio, ma non osiamo entrare nel dibattito con le nostre convinzioni, saremo irresponsabili e non cresceremo mai… Invece la libertà di Dio lavora nel cuore della nostra libertà, sgorgando dentro di noi. Quanto più è veramente di Dio, tanto più è veramente nostra”.

Nella stessa giornata il card. Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha proposto un incontro sulla questione del diaconato permanente per le donne: “Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura ed ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità. La commissione di studio sul tema è giunta a delle conclusioni parziali che faremo pubblicare al momento giusto, ma continuerà a lavorare.

Invece il Santo Padre è molto preoccupato per il ruolo delle donne nella Chiesa e, prima ancora della richiesta del Sinodo, ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esplorare le possibilità di uno sviluppo senza concentrarci sull’ordine sacro. Noi non possiamo lavorare in una direzione diversa, ma devo dire che sono pienamente d’accordo”.

Ed ha dichiarato la disponibilità all’ascolto delle proposte: “Giovedì dunque ascolterò idee sul ruolo delle donne nella Chiesa. Per quelli che erano molto preoccupati per le procedure e i nomi, lo spiegherò giovedì e darò i nomi stessi, così da associare dei volti a questo lavoro. Nonostante quanto detto, per coloro che sono convinti che si debba approfondire la questione del diaconato femminile, il Santo Padre mi ha confermato che continuerà ad essere attiva la Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi.

I membri del Sinodo che lo vogliono (sia individualmente che come gruppi) possono inviare a quella Commissione considerazioni, proposte, articoli o preoccupazioni su questo tema. Il cardinale Petrocchi mi ha confermato che i lavori riprenderanno nei prossimi mesi e analizzeranno i materiali che sono arrivati”.

A Trieste mons. Trevisi lancia un appello: volontari ed offerte per aiutare i poveri

“La Fondazione Caritas (che è un ente operativo della Diocesi) e la Caritas Diocesana (espressione diretta della nostra Chiesa per alcuni progetti caritativi) stanno svolgendo una serie di attività e servizi nelle direzioni più disparate: si va dal Centro di ascolto (con sostegno a persone e famiglie in difficoltà varie) all’Emporio della Solidarietà; dal dormitorio per i senza fissa dimora (in convenzione con il Comune) all’accoglienza per altri soggetti fragili (famiglie e donne con bambini piccoli), dalla Mensa per i poveri (che nello scorso anno ha fatto più di 106.000 pasti), all’accoglienza dei Migranti con strutture convenzionate con la Prefettura e altre a totale carico della diocesi e di chi vuole contribuire (pensiamo al dormitorio di via S. Anastasio per i transitanti o coloro che ancora non sono stati accolti per le lungaggini burocratiche)”.

E’ l’inizio dell’appello del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, alla città, che ha elencato le attività portate avanti dalla Caritas diocesana: “Basti vedere caritastrieste.it dove si legge: 375 volontari; 124 persone operative; 13.810 persone aiutate e sostenute (di cui 861 minori); 19 progetti attualmente attivi… E poi c’è tutto il lavoro delle Caritas e delle San Vincenzo nelle parrocchie o la Mensa dei Cappuccini o di altre associazioni (pensiamo a S. Egidio…): un magma di iniziative, persone, accoglienze, ascolti, dopo-scuola, pacchi viveri, corsi di italiano”.

La situazione illustrata dal vescovo è causata anche da mancati pagamenti da parte delle Istituzioni pubbliche negli anni passati: “Da anni la Fondazione Caritas denuncia una fatica finanziaria, in parte dovuta ai ritardi dei pagamenti delle convenzioni per i migranti e in parte anche ad una fatica organizzativa che si è accumulata: prima che io arrivassi a Trieste i dipendenti accusavano notevoli ritardi nei pagamenti del loro stipendio e così pure i fornitori, nonostante gli elevati mutui e i fidi bancari. Il desiderio è che nella riorganizzazione di questi servizi i dipendenti siano maggiormente tutelati (e ora sono pagati sempre puntualmente) ma anche che possiamo raddrizzare la gestione”.

Quindi grazie all’apporto finanziario della Cei e della Caritas italiana, attraverso l’8Xmille, la diocesi triestina riesce ad aiutare i poveri: “Abbiamo ricevuto un consistente sostegno dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Caritas Italiana che attraverso i fondi dell’8Xmille ci hanno sostenuto in modo maggiore rispetto a quanto già ogni anno ci viene erogato. Anzi grazie di cuore a tutti coloro che firmano per l’8Xmille per la Chiesa cattolica. A Trieste molti sono i segni di questa carità che raggiunge migliaia di poveri.

Il desiderio è quello di continuare e anzi aumentare la nostra attenzione alle persone fragili, sia attraverso le strutture convenzionate ma anche attraverso quella gratuità che ci porta ad accollarci spese per far fronte ai bisogni di coloro che non sono tutelati dalle leggi e dai sistemi statali”.

Ed ecco l’appello in previsione della stagione invernale: “Servono volontari e servono risorse economiche per implementare questi aiuti. Presto arriverà il freddo e non possiamo restare a guardare e neppure restare a discutere e ritardare quello che la carità esige prontamente.

Da Dio saremo giudicati per come ci siamo comportati davanti ai poveri. Di fronte a problemi complessi ‘non lasciamoci ingannare da soluzioni facili’, ammoniva il papa in visita a Trieste il 7 luglio… Ci ha messo in guardia dal ‘cancro dell’indifferenza’. Per questo chiedo a tutti di lasciarsi coinvolgere e di partecipare. Abbiamo bisogno di volontari (e grazie a quelli che già si stanno spendendo in modo ammirevole) e anche di offerte”.

Per questo il Vangelo è scomodo ma bello, aveva detto nell’omelia in occasione della festa di san Francesco di Assisi: “Il Vangelo è bello: e san Francesco scrive tante pagine di vangelo bello. San Francesco lo vediamo e lo pensiamo in una comunione profonda con il Signore, conformato a Lui nel più profondo del cuore. Ma anche capace di baciare un lebbroso o di predicare alle folle o di scrivere i primi inni in italiano o ad affascinare folle e folle di giovani che si mettono al suo seguito…

San Francesco è il Vangelo bello di Cristo che torna ad essere vivo e ad attrarre tanti giovani che lasciano i desideri di successo attraverso le battaglie, che tralasciano l’esistenza frivola e godereccia che distraeva dal senso vero della vita. Ieri come oggi spesso si è ammaliati da strade che portano alla perdizione: l’onore delle armi, il successo della vittoria, il piacere e il divertimento come nuovi idoli, la ricchezza accumulata e ostentata… Idoli del tempo di Franceso e del nostro tempo! Francesco ci insegna, vivendolo, che c’è un Vangelo bello, di fraternità, di pace, di amicizia, di solidarietà, di incontro anche con il povero, con il ricco, con il musulmano, con il lebbroso di oggi… Seguire Gesù mi autorizza ad un Vangelo bello nella vita concreta”.

Il Vangelo è scomodo, perché interroga la vita di ogni persona: “Il Vangelo è scomodo, perché è vero e non una fiction: e san Francesco ha patito il rigetto di suo padre, l’incomprensione dei suoi frati, il fraintendimento nostro quando lo riduciamo ad un’icona dell’ecologia e del panteismo e di un pacifismo ingenuo.

Il Vangelo è scomodo perché è segno di contraddizione, è accettare persecuzioni e fraintendimenti anche dentro la Chiesa, anche tra i suoi fratelli. E’ anche accettare il silenzio di Dio, come Gesù sulla croce, come san Francesco con le stimmate. Il Vangelo è scomodo perché il mondo non lo riconosce e preferisce le tenebre alla luce, il peccato alla grazia, la violenza al perdono. Vivere le beatitudini, come Francesco le ha incarnate, è scomodo. E’ un modo scorretto di presentarsi al mondo, perché ci si espone o ad essere considerati ridicoli (ingenui, goffi, bizzarri) o ad essere presi come integralisti, come fanatici. Il Vangelo è scomodo perché è vivere nell’amore di Cristo, fino al dono di sé, e per chi ti offende e ti insulta e ti crocifigge”.

Il Vangelo è bello e scomodo, ma è la ‘nostra passione’, ha concluso l’omelia: “Il Vangelo è la nostra passione. Con san Francesco vogliamo che il Vangelo sia la nostra ostinata passione. Cioè come per Francesco deve diventare il desiderio estremo, che ci consuma nell’amore, nell’abbandono a Dio, come Gesù, che è abbandonato dagli uomini e si abbandona al Padre. Il Vangelo che appassiona è il bicchiere d’acqua dato ai fratelli, il restare inginocchiati davanti all’Altissimo Onnipotente buon Signore, la ricerca della pecorella smarrita e la gioia del sapersi cercati dal Signore quando ci siamo perduti, la verità che rende liberi anche di fronte ai prepotenti, il perdono che risana il cuore, la visita all’ammalato che ridà spessore alla vita, la mitezza nei confronti degli arroganti, il silenzio che ti fa sospirare la Parola di Dio e la musica con cui canti il suo amore, l’umile ricostruzione della Chiesa, la condivisione di quello che hai e che sei, l’onore dato ad ogni piccolo e ad ogni povero”.

(Foto: diocesi di Trieste)

Route Nazionale Agesci: educare alla bellezza della vita

“Siete capi! E questo termine è libero da confronti, competizioni, perché come deve essere è di solo Servizio. Senza di voi non cammina il popolo scout… per poter dare la possibilità di conoscere e seguire il miglior Maestro della Vita, quel vero pellegrino che è Gesù che ama, che insegna ad amare se stessi e ad amare il prossimo e cammina nelle nostre strade e apre quella del cielo”: con queste parole dell’omelia il presidente della Cei, card. Matteo Maria Zuppi, ha concluso a Verona la route nazionale di Arena24 per celebrare il 50^ dell’Agesci.

Il card. Zuppi ha richiamato la memoria all’assemblea di Sichem: “Viviamo a Verona quella grande assemblea di Sichem di cui abbiamo ascoltato, con motivi simili a quelli che avevano spinto Giosuè a convocare il popolo. Giosuè avvertiva il rischio che prevalessero l’identità di ogni tribù e di ogni clan familiare, di una frammentazione che enfatizzasse l’io ma relativizzasse il noi”.

Sichem è un richiamo all’esodo del popolo ebraico: “A Sichem fecero memoria di quanto avevano vissuto nei lunghi anni dell’esodo e dell’amore provvidente di Dio che li aveva accompagnati sempre, anche quando erano inconsapevoli. Il loro cuore era rivolto al futuro, al tempo e alla sfida che li attendeva”.

E’ stato un richiamo ad essere un popolo: “Non siamo turisti, ma esploratori! Ci accompagnano anche i tanti che in questi cinquanta anni hanno camminato con voi e adesso, magari, camminano con difficoltà con le gambe ma certamente lo fanno ancora di più col cuore, con la preghiera, con la solidarietà. Davvero ‘per sempre’. Siete un popolo. Solo l’io può scegliere, ma solo il noi può aiutare quell’io a camminare”.

Ed ha sottolineato il valore della parola ‘capo’: “Senza di voi il popolo scout non cammina. Siete tanti, ma quanti altri ne servirebbero per potere dare la possibilità di conoscere e seguire il miglior maestro della vita che è Gesù, che ama e insegna ad amare sé stessi e ad amare il prossimo, che cammina per strada e apre quella del cielo.

Tu hai parole di vita eterna, parole di vita e non di morte, parli di quello che non finisce e che la vita la rende piena di bellezza umana e spirituale già oggi, luce nel buio, giustizia nei disequilibri, pace nelle divisioni, mitezza in un mondo con cuori e menti armati. L’io isolato soffre, non sta bene! L’io in una vita ridotta a laboratorio diventa solo più fragile. Sappiamo quanti ragazzi e ragazze chiudono il mondo in una stanza (senza cielo però!), catturati e ingannati dallo schermo che confonde reale e virtuale e fa credere di essere quello che non si è”.

E’ stato un invito a ‘fare’ il meglio: “Fare il meglio perché abbiamo davvero capito che se non lasciamo il mondo migliore sarà peggiore, segnato da ingiustizie inaccettabili, alle quali non vogliamo abituarci. Siete diventati grandi facendo diventare grandi non perché sopra gli altri, ma insieme e nel servizio. Il più grande aiuta il più piccolo. Sempre. Quando ognuno finisce per essere regola a sé stesso si finisce per cercare una felicità individuale e non trovarla mai”.

In questo modo è possibile ‘vivere felice’, per cercare di cambiare il mondo: “Voi dimostrate che è possibile vivere una vita felice, non perché senza problemi, ma perché con un amore più forte delle avversità. Questo era il sogno di Baden-Powell (un uomo segnato dalla terribile esperienza della guerra) e questo rimane e si conferma il sogno che anche voi, qui a Verona, volete rinnovare.

Non siete per niente ‘anime belle’, ma belle e forti anime in un mondo che la trova poco! Non siete ingenui, ma (proprio perché sapete come va il mondo) lo volete cambiare! Non siete diventati cinici osservatori, turisti, ma sempre esploratori. Generate tanta felicità”.

E’ stato un invito a  vivere tenendo presente testimoni come don Peppe Diana: “Viviamo un tempo in cui nel nostro Paese è ancora forte e insidiosa la pratica dell’illegalità e delle scorciatoie compiacenti in nome della convenienza personale. In questo anno in cui celebriamo i trent’anni dell’omicidio di don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe e Assistente ecclesiastico dell’Agesci, continuate ad essere testimoni e educatori di legalità e di giustizia, senza compromessi e senza impegni a spot o per i sondaggi, come condizione essenziale per costruire il bene comune e insegnare ad amarlo e difenderlo tutti i giorni”.

E non poteva mancare un richiamo a don Giovanni Minzoni: “Viviamo in un tempo in cui si evitano le scelte perché sembra intollerabile rinunciare a qualcuna delle infinite esperienze volatili e a poco prezzo che ci vengono offerte. Seguendo la testimonianza di don Giovanni Minzoni, sappiate scegliere e educare alla vera libertà, affrontando ogni fascismo, totalitarismo e violenza come le Aquile Randagie, senza paura di rinunciare per scegliere e trovare ciò che è buono e bello, ciò che Cristo e la coscienza ci indicano come giusto”.

Insomma, è stato un invito a vivere la bellezza cristiana della vita: “Viviamo in un tempo in cui l’esperienza religiosa e la fede sono relegate al privato e sono ritenute lontane dalla vita, restrittive della coscienza personale e limitative dell’io: siate testimoni di una vita cristiana che favorisce la bellezza di ogni espressione dell’umano, che non ha paura di legarsi per amore e non per possedere, sentendosi a casa nella Chiesa e amandola non perché sia una realtà perfetta, ma perché famiglia di peccatori perdonati che seguono colui che insegna ad amare, parola di vita eterna”.

Anche papa Francesco nel messaggio ha messo in evidenza la sfida educativa dell’accompagnamento: “Le pagine del Vangelo ci permettono di vedere come Gesù sapeva rendersi presente o assente, sapeva qual era il momento di correggere o quello di elogiare, di accompagnare o l’occasione per inviare e lasciare che gli Apostoli affrontassero la sfida missionaria. E’ in mezzo a questi, che potremmo chiamare, ‘interventi formativi’ di Cristo che Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni e il resto dei chiamati, configurarono, poco a poco, la loro vita a quella del Signore”.

Ed ha sottolineato che si educa con la vita: “I formatori educano in primis con la loro vita, più che con le parole. La vita del formatore, la sua costante crescita umana e spirituale come discepolo di Cristo, sostenuto dalla grazia di Dio, è un fattore fondamentale di cui dispone per conferire efficienza al suo servizio alle giovani generazioni. Di fatto, la sua stessa vita testimonia quello che le sue parole e i suoi gesti cercano di trasmettere nel dialogo e nell’accompagnamento formativo”.

Ma come si fa ad educare alla pace in un mondo pieno di conflitti? Lo ha spiegato Shinkuba Sharizan, psicologa sociale e insegnante nella scuola ‘World House’, cuore dell’organizzazione Rondine Cittadella della Pace: ‘L’importante è seminare’, raccontando la sua esperienza di incontro con altri ragazzi di paesi in conflitto con il suo e della difficoltà di accogliere il dolore che insieme provano per trasformarlo in un frutto di pace in entrambi. Kakalashvili Tornike, giornalista e studente della stessa scuola, ha invece ricordato che i modi per arrivare alla pace sono non aver paura di fare un passo avanti, dialogare, ‘esplorare le persone’ ed ascoltarle attivamente.

Rosario Valastro, presidente di Croce Rossa Italiana, impegnata in prima linea nei paesi in conflitto, ha proseguito la riflessione sottolineando che educare alla pace significa educare al fatto che la dignità umana non sopporta eccezioni, nemmeno in tempo di guerra e che aiutare chi ha bisogno, stando dalla parte di chi soffre è un mezzo per costruire la pace.

Marialuisa De Pietro, già incaricata Nazionale – Branca E/G, ha invece raccontato la sua esperienza personale di educazione alla pace, nella vita di tutti i giorni da insegnante, parlando di alcuni bambini nelle sue classi e di come, coinvolgendo i compagni di classe, abbia visto un cambiamento in tutti, un miglioramento basato sul rispetto di chi è in difficoltà, perché diverso non è inferiore; educare alla pace significa anche capire che non è necessario essere d’accordo, ma con il rispetto, anche il conflitto può diventare qualcosa di costruttivo e nel disaccordo si può stare bene insieme.

(Foto: Agesci)

Dal Meeting di Rimini una mostra per rivitalizzare i borghi d’Italia

“Porsi questa domanda vuol dire misurarsi con la realtà così come essa si pone, in tutti i suoi aspetti, nessuno escluso. Cogliere questa sfida è quindi prima di tutto un invito a riflettere sul nostro modo di educare e di lasciarci educare. Cerchiamo veramente di scoprire il mondo nei suoi significati più profondi e più fondanti, di scoprire noi stessi e il nostro destino?”

Questa è una tra le domande fondamentali, a cui fino al 25 agosto alla fiera di Rimini sono chiamati a riflettere i partecipanti, provocati dal titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, grazie anche alla mostra ‘Borghi futuri. Volti e storie di una piccola Italia capace di reinventarsi’, a cura di Riccardo Bonacina, Lucio Brunelli, Luca Fiore, Giuseppe Frangi, promossa da Vita Non Profit:

 “Negli ultimi anni si sta manifestando una nuova attenzione all’Italia dei borghi. E’ un’Italia ‘piccola’ che prende coscienza della propria storia, bellezza e identità e investe su questa ricchezza dimostrando di essere risorsa per il Paese e non residuo di un passato da mettere in vetrina… Si raccontano dieci casi in cui il percorso di rinascita vede protagonisti gli stessi residenti dei piccoli centri. In particolare giovani che non si rassegnano all’emigrazione ma, spinti dalla passione per le proprie radici, provano a costruirsi un avvenire che valorizza la storia, i prodotti e la bellezza dei loro paesi. Borghi che valorizzando se stessi trovano anche un rilancio economico e quindi un’attrattiva per i giovani che vi nascono”.

I borghi raccontati nella mostra sono: Polizzi Generosa (Sicilia), Rocca Calascio (Abruzzo), i comuni Val di Taro e Berceto (Emilia), Ulassai (Sardegna), Roseto Capo Spulico (Calabria), Castelpoto (Campania), Cerveno (Lombardia), i comuni dell’Aniene (Lazio), Greccio (Lazio), Borgo Valsugana (Trentino).

Ad uno dei curatori della mostra, Riccardo Bonacina, fondatore della società editoriale e sito non profit ‘Vita’, a cui chiediamo di spiegarci da dove nasce la mostra: “L’ipotesi di lavoro è stata quella di verificare e raccontare, fuori da ogni romanticismo legato alla bellezza e alle storie spesso affascinanti di tanti dei contesti visitati, la capacità di resilienza e di visione di questi piccoli centri, di alcuni sindaci e gruppi di cittadini. La selezione è stata fatta cercando di coprire il territorio nazionale e andando ad intercettare situazioni marginali rispetto ai grandi flussi turistici: questo spiega l’assenza della Toscana e dell’Umbria, regioni dove i borghi sono contesi dai nuovi ceti ricchi italiani o stranieri e quindi trasformati da dinamiche di gentrificazione.

Le situazioni affrontate invece sono situazioni tutte ancora sulla frontiera: la frontiera tra declino e riscatto, tra isolamento e integrazione, tra identità tramandata e identità da reinventare. Non sono insomma belle storie, ma belle scommesse, tutte affrontate con passione e con slancio, ma ancora scommesse aperte. Non sono borghi da cartolina, dunque. Sono borghi che stanno costruendosi un futuro tra senso di appartenenza e proiezione nella modernità ma che devono fare i conti con tante criticità tipiche di tanti comuni delle aree interne (sono oltre 5.000 su 8.000 i comuni con meno di 5.000 abitanti ed in essi vivono più di 13.000.000 di italiani).

In alcuni casi di contesti più popolati la criticità è quella di garantire i servizi essenziali, a partire da quelli sanitari. In altri l’insufficienza o inefficienza di infrastrutture che rendono condizionante l’isolamento geografico. Ma in cima all’elenco delle criticità c’è il tema della connessione, che è per tutti la vera porta verso il futuro”.

In quale modo la mostra si inserisce nel tema del Meeting, dal titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo’?

“Nel manifesto di questa edizione del Meeting leggiamo: ‘In un mondo dinamico e tecnologicamente avanzato come il nostro, in cui le distrazioni pervadono le nostre vite, sentiamo forte l’urgenza di scoprire ciò che conta veramente nella vita… Cos’è essenziale per essere umani, per rimanere umani, per diventare sempre più umani di fronte alle atrocità che si presentano sulla scena globale, di fonte alle sfide del cambiamento climatico, di fronte agli sviluppi tecnologici nella scienza, nella medicina, nella vita quotidiana, di fronte ad un mondo sempre più invaso dai dati e dall’informazione e tuttavia sempre meno capace di decifrarli?’

Ecco, in un’antropologia postmoderna che orienta le comunità degli uomini a organizzarsi attorno alle esigenze di una vita liquida, fatta di relazioni umane fragili e frequentemente scomponibili, di rapporti virtuali più significativi e costanti di quelli reali e di prossimità, le piccole comunità possono essere ancora la pietra di scandalo del sistema globale e indicare strade e percorsi da percorrere o ripercorrere”.

In quale modo i borghi possono essere attrattivi?

“I borghi e i piccoli paesi che si trovano spesso a vivere senza paura una condizione di passaggio «tra il non più e il non ancora». Quan- do accade e qualche paese piccolo resiste e continua a vivere reiventandosi, è per merito di giovani istruiti e di gruppi di cittadini organizzati, di amministrazioni attive e con- sapevoli che non voltano le spalle al mondo così com’è adesso. Borghi o non borghi, i paesi possono salvarsi e tornare attrattivi. Non tutti, ma solo così. Cambiare, per restare vivi. Quello che proponiamo nella mostra sono parabole di rinascita dal basso. E’ l’incontro con un’Italia plurale, ricca di diversità, culturali, linguistiche e anche urbanistiche”.

Tra i molti borghi italiani c’è anche il modello ‘Muccia’, nel Maceratese, colpita dal sisma del 2016: in cosa consiste?

“Otto anni sono tanti per una piccola comunità. In otto anni corrono le età di tutti, dagli anziani agli adulti, ai più piccoli. Per chi è nato e cresciuto in un fazzoletto di terra il rischio di sfaldare un’identità è altissimo. Dopo la bomba del terremoto delle Marche del 2016, lo svuotamento dei borghi delle zone colpite dal sisma ha fatto il paio con le lentezze pachidermiche della ricostruzione e con le difficoltà dell’emergenza Covid. In termini concreti vuol dire il lavoro da cercare altrove e un tetto che lontano da qui è più sicuro, con la costante che il terremoto oltre che distruggere le abitazioni disgrega i legami sociali.

Muccia, borgo delle Marche (provincia di Macerata), tra i più colpiti dal sisma è un’eccezione. Ad accendere una speranza, e a farlo prima che fosse troppo tardi, è stata la nuova scuola di istruzione primaria e dell’infanzia ‘Edmondo. De Amicis’, realizzata in 150 giorni grazie ai fondi e alla supervisione di Fondazione Bocelli: 150 giorni, 5 mesi: 

‘Quando Andrea Bocelli Foundation è arrivata a Muccia la situazione del paese e della comunità post sisma era ancora molto grave, spiega Laura Biancalani, direttore generale della fondazione, gran parte della popolazione era sfollata sulla costa adriatica e l’altra parte viveva nei container’. Eppure, riconosce, ‘la comunità che abbiamo trovato era unita e resiliente ed ha accolto la proposta di Abf di rinunciare ai fondi pubblici per la ricostruzione della scuola, per avere una struttura attiva in 150 giorni, una struttura che squarcia la zona rossa tuttora attiva, che ha ripristinato il concetto di piazza con la possibilità di attività comunitarie sia negli spazi antistanti che interni alla scuola’. 

La struttura è stata consegnata al Comune nel 2019, proponendosi come un luogo integrato con la comunità, perché con essa progettata. Il lavoro partecipato sulla scuola, unitamente ad ‘una prospettiva pedagogica innovativa basata su arte, musica e digitale, hanno convinto molte persone a rimanere, sottolinea Biancalani, ed a credere nella ricostruzione in un luogo in cui ancora oggi il centro storico è zona rossa’. La scuola è diventata motore e luogo di feste, festival, summer camp, rianimando tutto il paese”.

Ma i borghi riusciranno a fare ‘rete’?  

“Nella mostra portiamo l’esempio dei comuni della Valle dell’Aniene, un’area dal grande valore naturalistico e storico su cui gravitano ben 31 comuni, che combattono una loro battaglia per trattenere i giovani dall’inevitabile attrazione della metropoli che dista appena 40 chilometri, anche se su quei pochi chilometri pesano le complicazioni di infrastrutture inadeguate e vecchie. La sfida è dunque quella di aprire nuovi percorsi e nuove opportunità. Per questo i Comuni si sono alleati: nel 2022 è stata costituito un ente denominato ‘Vamos’, acronimo che sta per Valle Aniene e Monti Simbruini, al quale hanno aderito 21 comuni e 16 imprese che si sono impegnati intorno a quattro cluster di intervento: turismo outdoor, turismo culturale ed identitario, eventi culturali ed artistici e infine salute, enogastronomia e turismo rurale”.

(Tratto da Aci Stampa)

Ravenna ha presentato il progetto ‘Giubileo for All’

A metà luglio a Ravenna sono stati presentati nella basilica paleocristiana di sant’Apollinare Nuovo i percorsi di accessibilità per l’anno santo: infatti la diocesi, che attraverso l’Opera di Religione, gestisce cinque degli otto monumenti Unesco della città, ha aderito al progetto della Cei ‘Giubileo for All’ che punta a creare in Italia itinerari accessibili per i pellegrini.

Per questo, grazie ai 15 pannelli multisensoriali e tattili i mosaici si potranno ‘toccare’, sentire i profili dei volti di Cristo e dei santi e le architetture delle basiliche, seguire i contorni delle tessere, percepire materiali e luci. Lo potranno fare tutti, a prescindere dalle capacità e abilità grazie all’apparato di mappe tattili e parlanti e alle guide audio-video accessibili in lingua dei segni italiana (Lis) e internazionale, con un semplice smartphone, a partire dal Qr code presente sul pannello.

Una commissione della Diocesi di Ravenna-Cervia ha studiato quattro percorsi tra i tesori di fede della nostra città. La novità è che saranno percorsi ‘per tutti’ grazie a una serie di pannelli tattili e multisensoriali di cui verranno dotati i monumenti diocesani Unesco.

Si tratta di quindici pannelli, installati entro il mese di ottobre nei monumenti diocesani, realizzati coinvolgendo le associazioni, gli enti e le persone con disabilità che danno accesso a video in italiano e in inglese, sottotitolati e segnati in Lingua dei Segni Italiana (LIS) e in International Sign (Segni Internazionali). Oltre a questo, tutto il personale dell’Opera di Religione già da tempo si sta formando per accogliere pellegrini con un’ottica di accessibilità sempre più ampia.

Insomma, oltre al percorso nei monumenti Unesco, ce n’è uno alla scoperta dei volti di Maria sul territorio; uno che segue le tracce di Dante Alighieri in città; infine un percorso alla ricerca delle rappresentazioni del santo patrono.

Per presentare il percorso fatto e i prototipi dei pannelli, in occasione della festa del santo patrono Apollinare, si è svolto, venerdì 19 luglio, un seminario-evento dal titolo ‘Il volto della Speranza risplende nei mosaici di Ravenna’.

 Al seminario hanno partecipato suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità, l’arcivescovo di Ravenna, mons. Lorenzo Ghizzoni, il prefetto Castrese de Rosa, il sindaco Michele de Pascale con un contributo video della ministra per le disabilità Alessandra Locatelli.

Durante l’incontro suor Donatello ha spiegato il valore dell’iniziativa: “Questa diocesi ha fatto una rivoluzione culturale che parte dal toccare, usare tutti i nostri sensi, per partecipare e vedere. Un progetto ideato per le persone disabili e soprattutto progettato con loro. Questi luoghi sono nati come annuncio del Vangelo per tutti. Ora lo sono davvero per tutti, nessuno escluso. E questo passa attraverso la bellezza”.

Inoltre il dott. Dino Angelaccio, coordinatore del progetto, ha parlato di un diritto per tutti alla bellezza: “Si tratta di una platea immensa di persone: il 15% possono pensare di visitare un luogo della cultura, solo il 5% di partecipare ad un evento. Eppure da tempo esistono linee guida per ideare, promuovere un evento che sia per tutti. Da Ravenna lanciamo questa sfida ambiziosa.

La cifra è l’accessibilità universale… Il diritto alla bellezza è un diritto universale quindi deve essere per tutti e di tutti. Questi pannelli che presentano rilievi e texture e altezze differenti permettono a tutti di vivere un’esperienza di bellezza. Al centro c’è la persona al di là delle sue caratteristiche fisiche, sensoriali, anagrafiche e linguistiche”.

Inoltre ad ottobre inizierà il primo percorso formativo pensato e finalizzato a dare la possibilità alle guide turistiche (iscritte all’albo) di essere inserite in un elenco di ‘Guide giubilari per percorsi di arte e fede a Ravenna per tutti’, promossa dall’arcidiocesi di Ravenna-Cervia e dall’Opera di Religione, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana e il Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Cei.

L’obiettivo, spiegano dall’Opera di Religione, è “creare un gruppo di guide formate per guidare gruppi di pellegrini e fedeli nella visita alla nostra città e ai monumenti diocesani di Ravenna, in modo che essi siano accessibili a tutti. Quei ‘pellegrini di speranza’ (come recita il motto del Giubileo 2025), che dovranno essere resi partecipi delle realtà monumentali e storico artistiche, testimoni del cammino di fede della Chiesa Cattolica nel corso dei secoli… 

La cosa bella è poter vivere un’esperienza di arte, di fede e spiritualità per tutti e con tutti, senza escludere nessuno. Il messaggio cristiano dei mosaici di Ravenna oggi è una Parola per noi è una Parola per la sete che l’uomo ha. A nessuno, allora, deve essere impedito o limitato di aver accesso a quel messaggio, tutti fanno esperienza di fede attraverso i mosaici di Ravenna”.

Si tratta di un percorso di circa 115 ore, da ottobre 2024 a gennaio 2025, che si svilupperà in due parti: la prima, sugli aspetti storici, artistici e religiosi del Giubileo e sulla Ravenna antica, i suoi monumenti e sugli itinerari per i pellegrini, a cura della Pontificia Università Gregoriana.

(Foto: Diocesi di Ravenna – Cervia)

Settimana della Lingua Italiana nel mondo: Biagio Maimone presenta il suo saggio a New York

Il giornalista Biagio Maimone presenterà, martedì 15 ottobre, alle ore 17.30, nella Sala Conferenze dell’Istituto Italiano di Cultura di New York, a Park Avenue, il suo saggio intitolato ‘La Comunicazione Creativa per lo sviluppo socio-umanitario’, edito dalla Casa Editrice TraccePerlaMeta.

Il libro sta riscuotendo molto interesse in quanto propone la necessità di fondare un nuovo modello comunicativo che ponga al centro la relazione umana ed, ancor più, l’emancipazione morale ed umana della società odierna. Il libro ha ottenuto il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di New York ed è stato inserito nel programma delle iniziative per l’edizione 2024 della Settimana della Lingua Italiana nel mondo il cui tema quest’anno è ‘L’italiano e il libro: il mondo fra le righe’.

La metropoli statunitense rappresenta la prima tappa internazionale del giornalista il quale intende presentare la sua opera letteraria nelle principali città europee e negli Emirati Arabi. Secondo Maimone, Il dialogo è la condizione imprescindibile per realizzare la pace ed esso vive se chi comunica utilizza la ‘parola vitale’, tale in quanto  genera la vita e non il conflitto.

La comunicazione è vitale, pertanto, quando fa sgorgare dal cuore umano l’amore per la ‘Bellezza’, che è l’espressione di un disegno di amore insito nell’interiorità di ogni persona, da proiettare nella realtà per emanciparla e renderla una dimora accogliente per tutti, nella quale non vi è posto per la violenza e la conseguente esclusione. L’Amore per la ‘Bellezza’,  da veicolare attraverso la comunicazione, la parola scritta e parlata,  inevitabilmente, conduce all’amore per i deboli, per gli ultimi, al fine di renderli forti, inclusi, risvegliando in loro la gioia di vivere.

L’amore per la ‘Bellezza’ si prefigge la diffusione di quella ‘Parola’ capace di veicolare la ‘Pedagogia della Pace’, che crea ponti di umanità e quel dialogo che fa vivere le differenze, accogliendole in un progetto di vita: “Nel mio saggio ho voluto porre in luce la necessità di creare un modello comunicativo che tenga conto dell’importanza inconfutabile dell’uso appropriato della parola, superando quelle distorsioni, ormai consuete, che la rendono veicolo di offese, di menzogne, nonché di calunnie, che ledono la dignità umana dell’interlocutore e di ascolta o legge.

Possiamo constatare come spesso i mass media, i social molto di più, veicolano messaggi i cui contenuti sono pervasi dalla violenza e dall’odio sociale, dall’intento di screditare e porre sul rogo chi ritengono essere un avversario. Ciò che emerge è il farsi strada di una subcultura della comunicazione che rischia di impoverire sempre più la relazione umana, in quanto i messaggi che essa trasmette sono diseducativi.

Nel mio testo, che intende contrastare tale impoverimento culturale e la sua nocività, si rimarca che la parola è vita  in quanto deve generare la vita nelle sue espressioni più nobili e spirituali, perchè essa penetra nelle coscienze individuali e collettive e, se è sorretta dalla violenza e dalla menzogna, crea una coscienza umana che è guidata da disvalori che impoveriscono i singoli individui e, conseguentemente, l’intera collettività ed il contesto sociale.

Umanizzare il linguaggio affinché sia veicolo della ‘Pedagogia della Vita’ definisce il significato autentico del mio impegno giornalistico, che sono certo possa essere condiviso da chi fa della comunicazione lo strumento mediante cui giungere al mondo interiore di chi ascolta, al fine di arricchirlo e non  impoverirlo attraverso un uso distorto e, pertanto, nocivo del linguaggio. L’ epoca contemporanea pone in luce un crescente smarrimento di natura spirituale e morale, che si riflette sulla relazione umana, sulle relazioni tra gli Stati e i Continenti dell’intero universo, generando conflitti, nonché povertà morale e materiale. Ne è testimonianza l’insorgere continuo di conflitti in numerosi territori del mondo.

Quel che manca è la ‘Cultura Umana’, la ‘Cultura della Fratellanza Umana’ e  la ‘Cultura’ intesa come conoscenza profonda della realtà e del significato autentico del valore dell’essere umano,  in quanto soggetto pensante, nel cui mondo interiore vivono i valori che gli  attribuiscono un valore regale rispetto a tutte le altre creature ed, ancor più, rispetto alle cose” ha dichiarato Biagio Maimone, il quale ha sottolineato inoltre:

“La cultura umana consente di cogliere la bellezza depositata nell’interiorità della persona, generata dallo splendore divino che alberga nell’animo umano. E’ compito di chi comunica porre al centro la ‘Cultura Umana’ ed, in tal modo, rimarcare il valore supremo dell’essere umano, che lo distingue dalle cose materiali. Per tale motivo intendiamo insegnare, partendo dai rudimenti della conoscenza, quell’arte che già Fromm rivendicava come valore supremo, che è l’arte di amare. Occorre insegnare, pertanto, ad amare. Occorre, pertanto, comunicare l’amore.

Ed ecco la necessità di fare in modo che la nostra pedagogia comunicativa sia tesa al recupero dei valori dell’arte e della spiritualità, entrambi appartenenti alla sfera etica e morale della vita dell’individuo, necessari per alimentare e far progredire ogni dimensione della vita umana.

Si tratta di ritrovare la bellezza morale attraverso la comunicazione, che diviene, innanzitutto, insegnamento morale, talmente incisivo da poter migliorare l’interazione umana.

Ho avuto la possibilità anche di poter scrivere relativamente alla realizzazione della Casa della Famiglia Abramitica, edificata nella città di Abu Dhabi, che è uno tra i progetti più rilevanti in quanto pone le basi del dialogo interreligioso creando uno spazio fisico, un territorio comune su cui sono stati edificati tre luoghi di culto diversi (una Chiesa, una Sinagoga e una Moschea), posti l’uno accanto all’altro, in ciascuno dei quali si praticano religioni diverse, le quali si interfacciano reciprocamente per dialogare su ogni tema della vita religiosa ed umana.

Altrettanto coinvolgente è stato per me poter scrivere relativamente ai seguenti progetti: l’Orfanotrofio ‘Oasi della Pietà’, che è stato inaugurato il 5 maggio 2024 nella città Il Cairo, i Convogli medici, l’Ospedale Pediatrico ‘Bambino Gesù del Cairo’, primo Ospedale del Papa fuori dall’Italia, la ‘Scuola della Fratellanza Umana’ per le persone portatrici  di disabilità, la ‘Catena dei Ristoranti della Fraternità Umana’, denominata ‘Fratello’, che offre pasti gratuiti alle famiglie bisognose egiziane. Poter contribuire alla loro conoscenza è stato per me motivo di grande felicità.

Dedico il mio libro, pertanto, a mons. Yoannis Lahzi Gaid per la fiducia che ha riposto in me e, nel contempo, a Sua Santità Papa Francesco, in quanto promotore della  realizzazione dei progetti, per i quali ho potuto collaborare nell’impegno di divulgazione, che ha visto l’opinione pubblica destinataria dell’informazione inerente l’impegno connesso all’affermazione del dialogo interreligioso, promosso, in via prioritaria, dalla Chiesa Cattolica e dalla religione musulmana sunnita.

Ritengo che comunicare la pedagogia dell’amore, del rispetto della dignità umana e del valore della vita spirituale sia compito primario dei mass media, degli operatori che in essi riversano le proprie energie. La dimensione socio-umanitaria della vita non può essere sottovalutata da una comunicazione priva di ‘anima’, in quanto la società rischia di regredire verso la barbarie, in cui dominerà  la violenza in tutte le sue forme. La vita non può essere un campo di battaglia, ma l’incontro amorevole e fraterno di ogni essere umano. Perché sia così è necessario diffondere  messaggi che ricreino la consapevolezza smarrita del valore sacro di ogni persona”.

Papa Francesco: annunciare la bellezza della fede

Anche se in luglio ha sospeso tutti gli incontri nella mattinata di oggi papa Francesco ha ricevuto i partecipanti ai Capitoli Generali di alcune Congregazioni Religiose: Ordine dei Minimi, Ordine dei Chierici Regolari Minori, Chierici di San Viatore, Missionarie di Sant’Antonio Maria Claret, Suore Riparatrici del Sacro Cuore, Suore Agostiniane del Divino Amore, ponendo loro alcune domande: “Io farò una domanda prima di incominciare. Quanti novizie o novizi avete voi? Quanti? … Pregate, pregate. Ma come fate? Da dove vengono?”

Dopo aver ricevuto le risposte e ricordando le origini di ogni ordine il papa ha chiesto di dare vigore alla fede, come aveva scritto san Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica ‘Vita consecrata’: “Nella vostra varietà, siete un’immagine viva del mistero della Chiesa, in cui: ‘a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito Santo per il bene comune di tutti’, affinché nel mondo risplenda in tutta la sua luce la bellezza di Cristo. Non a caso i Padri della Chiesa definivano il cammino spirituale dei consacrati e delle consacrate: ‘filocalia, ossia amore per la bellezza divina, che è irradiazione della divina bontà’. E questa strada, quanto lontana è dalle lotte interne, da interessi che non siano quelli dell’amore”.

Innanzitutto si è soffermato sulla bellezza della vita consacrata: “Davvero le vostre storie, in circostanze, tempi e luoghi diversi, sono storie di bellezza, perché in esse traspare la grazia del volto di Dio: quella che nei Vangeli vediamo in Gesù, nelle sue mani raccolte in preghiera nei momenti di intimità col Padre, nel suo cuore pieno di compassione, nei suoi occhi accesi di zelo quando denuncia ingiustizie e soprusi, nei suoi piedi callosi, segnati dalle lunghe marce con cui ha raggiunto anche le periferie più disagiate ed emarginate della sua terra”.

E’ questa la grandezza dei Padri fondatori: “Le vostre fondatrici e i vostri fondatori, sotto l’impulso dello Spirito Santo, hanno saputo cogliere i tratti di questa bellezza, e corrispondervi in modi diversi, secondo i bisogni delle loro epoche, scrivendo pagine meravigliose di carità concreta, di coraggio, di creatività e di profezia, spendendosi nella cura dei deboli, dei malati, dei vecchi e dei bambini, nella formazione dei giovani, nell’annuncio missionario e nell’impegno sociale; pagine che oggi sono affidate a voi, perché continuiate l’opera da loro iniziata”.

Questa è un’opera che deve continuare: “L’invito, allora, nei vostri lavori capitolari, è a ‘raccogliere il loro testimone’ (tocca a voi prenderlo ed andare avanti), ed a continuare come loro a ricercare e seminare la bellezza di Cristo nella concretezza delle pieghe della storia, mettendovi prima di tutto in ascolto dell’Amore che li ha animati, e lasciandovi poi interrogare dalle modalità con cui vi hanno corrisposto: da ciò che hanno scelto e da ciò a cui hanno rinunciato, magari con sofferenza, per essere per i loro contemporanei specchio terso del volto di Dio”.

Però la vita consacrata va vissuta nell’essenzialità: “Ciascuno di loro, in circostanze diverse, ha scelto l’essenziale ed ha rinunciato al superfluo, lasciandosi forgiare giorno per giorno dalla semplicità dell’amore di Dio che risplende nel Vangelo… Preparandovi ai vostri incontri, perciò, chiedete anche voi al Signore di essere semplici, personalmente e anche semplici nelle dinamiche sinodali del cammino comune, spogliandovi di tutto ciò che non serve o che può ostacolare l’ascolto e la concordia nei vostri processi di discernimento; spogliandovi di calcoli, di ambizioni, invidie (è brutta l’invidia in una vita comunitaria; l’invidia a me piace vederla come la ‘malattia gialla’, una cosa brutta), pretese, rigidità e qualsiasi altra brutta tentazione di autoreferenzialità”.

Infine ha indicato loro la strada della povertà in Cristo: “E questa è una missione grande! Ed il Padre la affida a voi, membra fragili del corpo del suo Figlio, proprio perché attraverso il vostro ‘sì’ umile appaia la potenza della sua tenerezza, che va oltre ogni possibilità, e che permea la storia di ciascuna delle vostre comunità. E non lasciare la preghiera, una preghiera dal cuore; non lasciare i momenti davanti al tabernacolo parlando con il Signore, parlando al Signore e lasciando che il Signore parli a noi. Ma la preghiera dal cuore: non quella dei pappagalli, no, no. Quella che viene dal cuore e che ci fa andare avanti nella strada del Signore”.

(Foto: Santa Sede)

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