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Diego Mecenero racconta san Francesco nella ‘Terra dei Fioretti’

‘Francesco il cantastorie’ è una narrazione con Diego Mecenero, che cura anche la regia, accompagnato dal complesso di musica medioevale ‘Verba et soni’, composto da Stefano Savi e Roberto Gatta, e dall’attrice Corinna Barboni, offrendo uno sguardo inedito sul santo assisiate, raccontato da otto brevi scene teatrali e musica dal vivo.

Si tratta di un viaggio teatrale e musicale che restituisce al pubblico il ‘san Francesco che non ti aspetti’: poetico, ironico, radicale e profondamente umano. In scena otto quadri narrativi con musiche medievali eseguite dal vivo, per raccontare con intensità e originalità episodi poco noti della vita del Santo, legati anche al territorio marchigiano, la ‘Terra dei Fioretti’.

Il testo si basa fedelmente sulle Fonti Francescane, ma riesce ad attualizzare la figura del patrono d’Italia attraverso episodi di grande portata, ma poco conosciuti, ironici, intensi e umanissimi. Il pubblico scopre così un santo che si rifiuta di scrivere una Regola, che prima di morire compie un gesto insolito, che reagisce alle maldicenze in modo spiazzante, che si innamora di Madonna Povertà e la ‘sposa’, che va in Terra Santa per un preciso motivo che pochi ancora sanno. Lo spettacolo racconta anche il volto di santa Chiara, giovane coraggiosa ed appassionata, la bellezza delle cose che rallegravano Francesco, il suo sguardo poetico sul mondo e sul dolore, il suo linguaggio rivoluzionario fatto di gesti e simboli.

Lo spettacolo ha anche un forte legame con le Marche, in quanto questa regione è la ‘Terra dei Fioretti di san Francesco’, ovvero il territorio in cui sono ambientati molti degli episodi narrati nel libro francescano più letto al mondo, scritto da un frate marchigiano, Ugolino di Montegiorgio: la pecorella di Osimo, il fraticino di Sarnano, i bagolari di Sirolo, il contadino di Camporege, la fonte miracolosa di Staffolo, i miracoli di Apiro, la porta di Forano, i muratori di Pontelatrave, il cavaliere di San Ginesio, le ciaule di Roccabruna, il re dei versi di Lisciano, il mostro di Fratte Rosa.

Al termine di una di queste rappresentazioni dello spettacolo abbiamo chiesto a Diego Mecenero di raccontarci la nascita dello spettacolo: “Lo spettacolo nasce innanzitutto dalla mia grande passione per questo santo, che lo sento molto vicino, perché ho studiato teologia con i francescani con tesi sulla simpatia che i giovani hanno per san Francesco. Inoltre, quando dal Veneto sono arrivato nelle Marche, sapevo che questi luoghi erano stati importantissimi nella vita di san Francesco, ma mi pareva che nessuno li conoscesse. Quindi questa narrazione vuole esprimere qualcosa di profondo, ma che possa anche portare a conoscenza luoghi dove il Santo assisate è passato, perché siano valorizzati come in altre zone d’Italia. Nelle Marche abbiamo la ‘Terra dei Fioretti’ e non la conosciamo”.

Forse per il motivo per cui san Francesco annunciava la povertà?

“E’ vero! Non era certo uno che annunciava se stesso con il suono delle trombe, perché era molto umile, anche se aveva a volte un certo ‘caratterino’. Però già quando era in vita il popolo lo proclamava santo; infatti in poco tempo è stato portato agli onori degli altari; infatti, vivente, molti giovani entravano nell’Ordine da tutta Italia e anche oltre, senza i mezzi di comunicazione di adesso.

Si era definito ‘disutile vermine’, ma noi che lo conosciamo abbiamo il dovere di ricordare il suo messaggio, che è estremamente attuale in un mondo in cui chi è ricco è sempre più ricco e chi è povero è sempre più povero; in un mondo in cui non si dialoga tra religioni e culture diverse. Uno che è in armonia con se stesso, con gli altri e con la natura e fa fare la pace tra i cittadini di Gubbio ed il lupo ha molto da dire a noi oggi”.

A proposito del lupo di Gubbio ha sviluppato anche un progetto?

“Sì, esiste un progetto che lega le Marche all’Umbria e si chiama ‘Lupo bullo’, con il coinvolgimento delle scuole di Gubbio e con il supporto della diocesi, del comune eugubino e delle forze dell’ordine, perché san Francesco è stato a Gubbio due volte: la prima volta ha subìto ‘bullismo’ (per così dire), in quanto è stato percosso dai briganti che l’hanno anche preso in giro e lui ha reagito in modo ‘francescano’. Quindi c’è un modo ‘francescano’ di reagire, quando sei vittima di bullismo,

E poi c’è anche un modo ‘francescano’ di risolvere il bullismo, perché quel famoso lupo è praticamente un ‘bullo’, che tiene sotto scacco la città, perché tutti ne hanno paura. Partendo da questo episodio c’è un progetto che pensa di fare di Gubbio la ‘capitale nazionale francescana del contrasto al bullismo’. Nella grande battaglia contro il bullismo vorremmo portare una voce nuova ed uno stile nuovo nel combattere il bullismo in chiave francescana, perché san Francesco ha reagito al bullismo e dinanzi al bullo in un modo tutto suo che è carico di un’inedita sapienza e pedagogia francescana”.

Come sono stati scelti questi otto episodi, narrati nello spettacolo?

“Questi episodi sono stati scelti, partendo dalla nascita fino alla morte in ordine cronologico della vita di Francesco con i momenti più importanti: la conversione, la fondazione dell’Ordine, la regola di santa Chiara /lui ha fondato anche un ordine femminile), fino alla morte. Il terzo di questi otto momenti è sempre interscambiabile e racconta la presenza francescana nel luogo in cui si allestisce lo spettacolo. Questo è lo stile dello spettacolo che narra un ‘Francesco che non ti aspetti’ ma – badate bene – non perché si scelgono episodi sconosciuti e nascosti della sua vita, ma al contrario fatti centrali della sua esperienza. Centrali, importanti, eppure non li conosciamo”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Leone XIV: stare nella quotidianità della storia

“E’ per me un piacere darvi il benvenuto in Vaticano in occasione del vostro convegno sul tema ‘Rifugiati e migranti nella nostra casa comune’. Ringrazio coloro che hanno organizzato queste giornate di discussione, riflessione e collaborazione, nonché ciascuno di voi per la vostra presenza e per il contributo che apportate a questa iniziativa”: con queste parole papa Leone XIV ha accolto i partecipanti al convegno ‘Refugees and Migrants in our Common Home’, preparazione al giubileo di domenica prossima.

Riprendendo il discorso di papa Francesco pronunciato nel 2022, papa Leone XIV ha sottolineato la validità delle risposte alla migrazione: “Il vostro tempo insieme segna l’inizio di un progetto triennale con l’obiettivo di creare ‘piani d’azione’ incentrati su quattro pilastri fondamentali: insegnamento, ricerca, servizio e advocacy. In questo modo, state rispondendo all’appello di papa Francesco affinché le comunità accademiche contribuiscano a soddisfare i bisogni dei nostri fratelli e sorelle sfollati, concentrandosi sulle aree di vostra competenza”.

Ed ha auspicato che tali incontri possano sensibilizzare la gente per la dignità delle persone: “Questi pilastri fanno parte della stessa missione: riunire voci autorevoli in diverse discipline per rispondere alle attuali urgenti sfide poste dal crescente numero di persone, stimato in oltre 100.000.000, colpite da migrazioni e sfollamenti.

Prego affinché i vostri sforzi possano portare a nuove idee e approcci in questo senso, cercando sempre di porre la dignità di ogni persona umana al centro di ogni soluzione. Mentre proseguite il vostro incontro, vorrei suggerirvi due temi che potreste considerare di integrare nei vostri piani d’azione: riconciliazione e speranza”.

Sempre riprendendo il pensiero di papa Leone XIV è importante combattere l’indifferenza: “Uno degli ostacoli che spesso si incontrano quando si affrontano difficoltà di così grande portata è un atteggiamento di indifferenza da parte sia delle istituzioni che dei singoli individui. Il mio venerato predecessore parlava di ‘globalizzazione dell’indifferenza’, per cui ci abituiamo alle sofferenze altrui e non cerchiamo più di alleviarle. Questo può portare a quella che ho precedentemente definito una ‘globalizzazione dell’impotenza’, in cui rischiamo di diventare immobili, silenziosi, forse tristi, pensando che non si possa fare nulla di fronte a sofferenze innocenti”.

Per questo ha incoraggiato ad approfondire una cultura dell’incontro: “Proprio come papa Francesco ha parlato della cultura dell’incontro come antidoto alla globalizzazione dell’indifferenza, dobbiamo impegnarci per affrontare la globalizzazione dell’impotenza promuovendo una cultura della riconciliazione… Ciò richiede pazienza, disponibilità all’ascolto, capacità di immedesimarsi nel dolore altrui e il riconoscimento di condividere gli stessi sogni e le stesse speranze”.

Con un incoraggiamento: “Vi incoraggio, pertanto, a proporre modalità concrete per promuovere gesti e politiche di riconciliazione, in particolare in terre dove sono presenti ferite profonde dovute a conflitti di lunga data. Non è un compito facile, ma affinché gli sforzi per operare un cambiamento duraturo abbiano successo, devono includere modalità che tocchino i cuori e le menti”.

Riprendendo il messaggio per l’imminente giornata mondiale del rifugiato e del migrante papa Leone XIV ha ricordato che i migranti sono portatori di speranza: “Spesso mantengono la loro forza mentre cercano un futuro migliore, nonostante gli ostacoli che incontrano. Mentre ci prepariamo a celebrare i Giubilei dei Migranti e delle Missioni in questo santo anno giubilare, vi incoraggio a suscitare tali esempi di speranza nelle comunità di coloro che servite. In questo modo, possono essere di ispirazione per gli altri e aiutare a sviluppare modi per affrontare le sfide che hanno incontrato nella loro vita”.

Ugualmente ai membri della Confederazione Medica Latino-Iberoamericana e dei Caraibi (CONFEMEL), ha sottolineato che dialogo e presenza fisica sono fondamentali per la cura nel giorno della festa degli Angeli Custodi: “Questa memoria può aiutarci a riflettere sulla relazione medico-paziente, che si basa sul contatto personale e sulla cura della salute, si potrebbe dire, proprio come gli angeli che vegliano e ci proteggono nel cammino della vita. Questo tema mi ricorda anche alcune parole di sant’Agostino, in cui si riferiva a Cristo come a un medico e a una medicina. E’ medico perché è parola, e medicina perché è parola fatta carne”.

Nel ricordo del beato José Gregorio Hernández il papa ha sottolineato l’importanza del rapporto tra medico e paziente: “Alla luce di queste riflessioni, vi invito a continuare ad approfondire l’importanza della relazione medico-paziente. Una relazione tra due persone, con il loro corpo e la loro interiorità, con la loro storia. Questa convinzione ci aiuta anche a far luce sul posto dell’intelligenza artificiale in medicina: essa può e deve essere di grande aiuto per migliorare l’assistenza clinica, ma non potrà mai sostituirsi al medico, perché voi ‘siete, come ha detto papa Benedetto XVI, serbatoi di amore, che portano serenità e speranza a quanti soffrono’. Un algoritmo non potrà mai sostituire un gesto di vicinanza o una parola di conforto”.

Ad inizio giornata alle suore Figlie di San Paolo che hanno celebrato il loro Capitolo Generale e che hanno appena eletto la nuova Madre Generale, suor Mari Lucia Kim: il papa ha sottolineato la necessità di guardare ‘in alto’: “Guardare in alto, perché possiate essere spinte dallo Spirito Santo. La vostra vocazione e la vostra missione vengono dal Signore, non dimentichiamolo. Perciò, l’impegno personale, i carismi che mettiamo in circolo, lo zelo dell’apostolato e gli strumenti che utilizziamo non devono mai farci cadere nell’illusione e nella presunzione dell’autosufficienza”.

Da qui l’invito a stare nelle situazioni della vita quotidiana: “Il secondo atteggiamento che vi raccomando è quello di immergervi dentro, dentro le situazioni, perché lo sguardo rivolto verso l’alto non è una fuga ma, al contrario, ci deve aiutare ad avere la stessa condiscendenza di Cristo, che si è spogliato per noi, è disceso nella nostra carne, si è abbassato per entrare negli abissi dell’umanità ferita e portarvi l’amore del Padre”.

Essere nella vita significa ‘abitare la cultura’: “Così, spinte dallo Spirito, siete chiamate anche voi a immergervi nella storia, proprio in ascolto dell’umanità di oggi; si tratta di abitare la cultura attuale e incarnarvi nella vita reale delle persone che incontrate. La vostra presenza, l’annuncio della Parola, i mezzi che utilizzate (in particolare ricordare l’editoria che curate con tanta dedizione), tutto ciò deve essere un grembo ospitale per le sofferenze e le speranze delle donne e degli uomini a cui siete inviate”.

L’importante è non scoraggiarsi: “Ma non ci lasciamo scoraggiare! Perciò vi invito a riflettere su come mantenere vivo il carisma, anche se ciò dovesse richiedere scelte coraggiose e impegnative. C’è bisogno infatti di un attento discernimento sulle opere legate all’apostolato, su come vengono portate avanti e sulla necessità di rinnovarle con una visione equilibrata, che sappia tenere insieme la ricchezza della storia passata con le risorse e i doni attuali di ciascuna di voi, in una feconda alleanza tra le diverse generazioni”.

(Foto: Santa Sede)

Comunicazione e Linguaggio nuova materia scolastica, la proposta al Governo

Constatato l’avvento della nuova tecnologia, dei nuovi media, dei social, dell’intelligenza artificiale si rende necessario predisporre regole che ne disciplinino l’uso e, nel contempo, assegnare alla scuola il compito di insegnare le regole deontologiche che sorreggono la comunicazione perché essa possa veicolare messaggi che non violino le leggi morali, fornendo agli studenti, a partire dalle scuole elementari, gli strumenti conoscitivi perché sappiano affrontare i nuovi linguaggi tecnologici con l’adeguata formazione per saper contrastare il cyberbullismo e l’incitazione all’odio.

E’ in fase di formulazione, infatti, la proposta che il giornalista Biagio Maimone, Direttore della Comunicazione dell’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’, il cui Presidente è mons. Yoannis Lazhi Gaid, già Segretario personale di Sua Santità Papa Francesco e Coordinatore per l’Italia della Rete Mondiale del Turismo Religioso, ha deciso di sottoporre al Governo italiano che riguarda l’introduzione di una nuova materia d’insegnamento, a partire dalle scuole elementari, la cui la finalità è quella di educare gli studenti a riconoscere l’importanza che riveste la comunicazione sul piano delle relazioni umane, di come le influenzi e ne determini la natura.

Biagio Maimone chiederà al Governo Italiano di inserire tra le materie scolastiche l’insegnamento della  Comunicazione, convinto che l’epoca attuale veda l’affermarsi di una subcultura della comunicazione che rischia di impoverire sempre più la relazione umana, in quanto i messaggi che essa veicola spesso sono diseducativi.

Egli afferma che alcuni media, i social ancor di più, veicolino messaggi i cui contenuti sono pervasi dalla violenza e dall’odio sociale, nonché dall’intento di screditare e porre sul rogo chi ritengono essere un avversario.

Egli ritiene che la parola fondi i significati vitali dell’esistenza umana, che abbia il compito primario di interpretare la vita nelle sue infinite manifestazioni, di sorreggere ed incentivare i processi vitali della società umana e che, per tale motivo,  debba essere umanizzante, dialogante e non conflittuale.

Sulla scorta della constatazione che il significato profondo del linguaggio venga eluso e sostituito da un  distorta concezione di esso come arma di offesa, come strumento di diffusione di fake news, di menzogne e distorsioni del concetto di conoscenza, ritiene non più rimandabile un intervento educativo relativamente al valore del linguaggio e della comunicazione nelle sue svariate declinazioni.

Egli sottolinea vigorosamente che, con l’avvento dei social siamo tutti posti di fronte ad una serie infinita di notizie, molte delle quali diseducative, si renda necessario un intervento finalizzato non solo a disciplinare l’uso distorto dei social e della tecnologia nel suo complesso, ma anche e soprattutto si renda necessario un mirato intervento educativo, sin dalla più tenera infanzia, che consenta ai bambini e, conseguentemente, agli adulti di discernere i contenuti la cui finalità è diretta a diffondere “il male” per l’individuo e la società , da quelli la cui finalità è diretta a diffondere “il bene” per l’individuo e la società.

Tale opera educativa non solo è necessaria, ma è anche inevitabile affinché non si generi un’involuzione morale della società, a cui sono proposti contenuti nocivi e dissacratori della verità e della morale.

Egli afferma: “Siamo di fronte ad una svolta epocale che vedrà anche l’avvento di nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale, che devono  essere governate attraverso una  sapiente opera educativa della collettività, a partire dall’infanzia, per evitare danni irreparabili che possano scaturire da uno sviluppo selvaggio ed incontrollato di tali tecnologie.

Ed ecco, pertanto, la necessità, di dar corso ad un processo pedagogico, che prenda le mosse dalle scuole elementari, che educhi i bambini a discernere i valori dai disvalori che una comunicazione selvaggia può generare, affidata all’arbitrio di chi  trae vantaggio dall’inganno e dal proliferare del pensiero superficiale, che genera odio sociale, il bullismo, il cyberbullismo”.

Il giornalista Biagio Maimone, autore del libro “La Comunicazione Creativa per lo sviluppo socio-umanitario” , per  i motivi suesposti, proporrà un progetto, in fase di stesura, al Governo al fine di veder inserita tra le materie di studio, la materia “Comunicazione e Linguaggio”.

Il giornalista consulterà l’Ordine del Giornalisti per formalizzare il progetto in modo dettagliato e precipuo. Insegnare il valore che riveste la parola per creare la relazione umana deve essere un compito della scuola e delle Istituzioni secondo Biagio Maimone affinché si sviluppi e si affermi una filosofia della vita che ponga al centro l’amore, il dialogo, la gentilezza, le belle maniere, il gesto fraterno, che sono i pilastri su cui poggia il progresso umano .

“Affidiamo il destino dell’umanità  all’opera educativa che pone al centro l’educazione delle coscienze attraverso l’insegnamento dell’arte comunicativa, del linguaggio creativo per eccellenza, che apre le porte alla conoscenza profonda ed autentica della vita interiore ed esteriore dell’essere  umano” ha auspicato Biagio Maimone.

Da Roma una Chiesa che parla al popolo del web

“E’ la missione che la Chiesa oggi affida anche a voi; che siete qui a Roma per il vostro Giubileo; venuti a rinnovare l’impegno a nutrire di speranza cristiana le reti sociali e gli ambienti digitali. La pace ha bisogno di essere cercata, annunciata, condivisa in ogni luogo; sia nei drammatici luoghi di guerra, sia nei cuori svuotati di chi ha perso il senso dell’esistenza e il gusto dell’interiorità, il gusto della vita spirituale.

Ed oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di discepoli missionari che portino nel mondo il dono del Risorto; che diano voce alla speranza che ci dà Gesù Vivo, fino agli estremi confini della terra; che arrivino dovunque ci sia un cuore che aspetta, un cuore che cerca, un cuore che ha bisogno. Sì, fino ai confini della terra, ai confini esistenziali dove non c’è speranza”: con queste parole papa Leone XIV ha salutato i missionari digitali e gli influencer al primo giubileo svoltosi a Roma dal 28 al 29 luglio, che ha visto la partecipazione di quasi 1800 persone provenienti  da 75 nazioni.

L’evento è stato aperto dal segretario di Stato, card. Pietro Parolin, con una lettura teologica e pastorale: “Cari giovani, cari comunicatori, mi pare un’esperienza molto arricchente e bella vedere voi che solitamente vi incontrate nelle reti sociali venire qui, insieme, per celebrare il Giubileo della speranza. Ciò che caratterizza l’umano è la capacità di farsi delle domande, la domanda di oggi è: come il mondo digitale, che sta trasformando rapidamente le dinamiche sociali, può comunicare la fede?”.

Lo stile cristiano della missione digitale deve partire dalla sapienza della Chiesa che “ci propone alcune strade: essere nel mondo ma non del mondo, essere nel tempo ma non essere del tempo… Più che di strategie dobbiamo parlare di una presenza intrisa di umanità, una testimonianza di vita evangelica e una disponibilità all’ascolto”.

Infine ha richiamato l’urgenza di uno sguardo personale e sacro sull’altro con una missione da compiere: “Ogni persona è un volto, non un profilo e la sua storia è sacra, non un insieme di dati… La missione digitale presuppone uno stile cristiano. Fare nuovo l’ambiente digitale è la sfida che attende tutti voi, sentitela come la vostra missione, consapevoli che ciò che viviamo non è solo un’evoluzione tecnica ma un cambiamento d’epoca, che influisce anche sulla percezione del tempo, delle relazioni”.

Mentre mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, aveva evidenziato il legame profondo tra questo Giubileo e quello dei giovani: “Non è un caso che abbiamo scelto l’inizio del Giubileo dei giovani per dare vita al primo Giubileo degli influencer: a voi la grande responsabilità di raccontare ciò che in questi giorni avviene. Questo incontro vuole essere un impegno a coniugare i contenuti con le persone, non si può fare evangelizzazione senza gli evangelizzatori, né gli evangelizzatori possono essere tali se non sentono l’urgenza di evangelizzare e di essere evangelizzati a loro volta”.

Salutando i presenti mons. Lucio Ruiz, segretario del Dicastero della comunicazione ha offerto le giornate a Dio: “Bisogna essere coscienti che chi ci ha chiamato alla missione digitale è il Signore, fonte di tutti i doni che abbiamo…. La missione digitale è importante per la Chiesa e il fondamento della missione anche sui mezzi digitali è la testimonianza della nostra vita”.

A dare profondità spirituale alle giornate è stato il gesuita p. David McCallum, direttore esecutivo del Discerning Leadership Program, con l’intervento, dal titolo ‘Connessi alla Parola’, ha proposto una lettura spirituale della connessione digitale, riportando il focus sull’unica vera connessione che dà senso a tutte le altre: quella con il Signore.

P. Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ha rotto ogni ansia da fenomeni del web: “Non sei un algoritmo. Sei un’anima. L’algoritmo sa tutto di te. Sa dove clicchi, quanto resti su un video, cosa ti attrae, cosa ti ferma. Ma l’algoritmo non sa chi sei, chi tu sei veramente. Non conosce la tua verità. Non sa cosa ti muove, cosa ti ferisce, cosa ti salva. Solo tu lo sai. Solo Dio lo sa. Nel back-end di ogni piattaforma ci sono dati, metriche, analytics. Ogni click è tracciabile, ogni interazione misurabile. Il sistema digitale ci vuole sempre più prevedibili, analizzabili, misurabili. Ma l’anima non si misura. L’amore non si misura. La grazia non si può calcolare…

Essere influencer oggi significa resistere alla tentazione di diventare una macchina che produce contenuti. Voi non siete una macchina. Siete vite. Siete persone. Siete presenze. Ogni volta che create, pubblicate, rispondete, non dimenticatevi che siete molto di più di quello che il feed racconta. Il vostro valore non è nel numero di like, ma nella verità che riuscite a portare”.

Durante le giornate ci sono stati vari interventi, tra cui quello di Father Sandesh Manuel, che ha cantato la sua canzone ‘Carlo Acutis pray for us’ creando un’atmosfera di festa unica; è toccato poi a Jonathan Roumie, il protagonista della serie ‘The Chosen’ ed il sacerdote influencer statunitense don Michael Schmitz, seguiti dalle testimonianze di chi ha raccontato i beati ‘influencer’: Piergiorgio Frassati, Carlo Acutis e Chiara Luce Badano.

Nel saluto di benvenuto Rosy Russo, coordinatrice del Gruppo italiano di ‘La Chiesa ti ascolta’, ha sottolineato il valore della ‘rete’: “Noi missionari digitali siamo quindi una rete nella Rete. La Rete, da luogo potenzialmente fertile di dialogo, si è spesso trasformata in un’arena dove le parole feriscono, escludono, gridano. Per questo servono persone che abitino i social con uno spirito diverso. Sono, siamo, donne e uomini, laici e suore, preti, frati, che ogni giorno scelgono di stare online con lo stile evangelico dell’ascolto, del rispetto, della cura delle parole, per costruire una esperienza concreta di comunicazione attenta, responsabile, vera. Senza urlare, senza dividere, scegliendo il silenzio prima di rispondere con rabbia, cercando le parole giuste prima di postare. Vuol dire guardare anche nel commento più aggressivo una domanda inascoltata”.

A conclusione di queste giornate abbiamo chiesto a mons. Lucio Ruiz di tracciare un resoconto: “Innanzitutto una grandissima gioia di vedere nei partecipanti un amore per Gesù e per la Chiesa pazzesco con un’interiorità molto profonda. Abbiamo dedicato tempo alla preghiera ed alla riflessione: è stato molto importante: questo mi ha colpito moltissimo. I  momenti di silenzio e di confronto sono stati molto importanti: questo indica quale è la missione degli influencer ‘cattolici’, che non è semplicemente postare in internet, ma trasmettere la fede vissuta oggi”.

‘Reti dove si possa ricucire ciò che si è spezzato, dove si possa guarire dalla solitudine, non contando il numero dei follower, ma sperimentando in ogni incontro la grandezza infinita dell’Amore… Reti che liberano, reti che salvano. Reti che ci fanno riscoprire la bellezza di guardarci negli occhi. Reti di verità’. Papa Leone XIV ha chiesto di abitare la rete: in quale modo?

“Siete voi che ci avete insegnato in quale modo si abita la rete attraverso la presenza e la testimonianza cristiana, aiutando a chi è nel bisogno. Avete uno stile importante e questo non è banale. Dobbiamo certamente imparare ad usare meglio la rete attraverso una migliore formazione; però non è un cammino che non inizia certamente da zero”.

‘La fede, in quanto relazione viva, non si lascia ridurre a un sistema di indicatori di performance. Il contenuto realmente evangelico non nasce da un calendario editoriale, ma da un’esperienza di senso che brucia dentro e non può essere taciuta. E’ il fuoco, non la visibilità, il vero criterio. Un post, un video, un gesto comunicativo diventano significativi non perché virali, ma perché abitati da una verità che interroga”. Con queste parole p. Antonio Spadaro ha fornito alcune tracce direzionali: quale cammino si prospetta?

“P. Spadaro è stato brillante con una conferenza magistrale interessante. C’è molto materiale per studiare come proseguire questo cammino da un punto di partenza diverso per ciascuno, ma che conduce sempre verso Gesù”.

Inoltre abbiamo raccolto la testimonianza di don Alberto Ravagnani, founder di ‘Fraternità’ e di ‘Laboratorium’ che ci ha spiegato quanto sono influencer i cattolici: “Sono influencer nel momento in cui riescono ad ‘influenzare’ la vita delle persone accanto a loro. Quindi essere un influencer cattolico non vuol dire essere famoso, ma essere capaci di ‘influenzare’ gli altri’ con il Vangelo. In ogni modo tutti possono essere ‘influenti’, come ha detto il card. Tagle nella celebrazione eucaristica, se lasciano un seme nel mondo”.

Il papa ha ribadito la necessità di essere rete: è possibile?

“Come Chiesa siamo chiamati ad essere una ‘rete’ di reti. La Chiesa è una comunione di molteplici individualità e può vivere nel mondo come un ‘intreccio’ di relazioni: la Chiesa è relazione. Quindi nella misura in cui le nostre relazioni riescono ad  accogliere ed a coinvolgere altre persone la rete si amplia e la Chiesa compie la Parola di Dio: essere pescatori di uomini, come Gesù ha detto a Pietro. Essere rete tra persone di tutti i tempi in ogni luogo”.

Molti giovani di tutti i continenti: la Chiesa come risponde alle esigenze dei giovani?

“Oggi il mondo giovanile va ascoltato, perché i ragazzi e le ragazze sono diversi rispetto agli adulti. Hanno cervello diverso da quello degli adulti per porre domande; quindi se non c’è un ascolto profondo ed una considerazione reale di quello che vivono è difficile dare loro ciò che hanno bisogno per crescere bene e per approfondire la fede. Questo raduno di giovani a Roma non debba essere la possibilità per la Chiesa di parlare a tanti, ma soprattutto la possibilità di ascoltare fino in fondo le loro esigenze. Questa è la conversione a cui siamo chiamati: passare da una Chiesa che parla ai giovani, ad una Chiesa che li lascia parlare ”.

In conclusione la testimonianza di Nicola Camporiondo, 160.000 persone che lo seguono, giovane studente in teologia, fornisce la qualità dei partecipanti: “Parlare di fede sui social è abbastanza impegnativo. Nella rete c’è molta curiosità, perché un conto è sentire parlare di fede un sacerdote, altro conto un giovane laico. I ragazzi percepiscono la Chiesa come un linguaggio non loro. Quindi come Gesù che parlava un linguaggio accessibile a tutti, così per parlare ai giovani oggi sono necessari ‘piccoli’ linguaggi capaci di far capire l’universalità e l’importanza del messaggio evangelico”.

Quindi in quale modo parlare di fede ai giovani?

“E’ bene calare il Vangelo nella quotidianità giornaliera, che per un ragazzo non è per niente scontato. Tanti ragazzi, che mi seguono nella rete, mi ringraziano in quanto si sentono meno soli. Questo avrei voluto provare anche io, quando anni fa nella mia parrocchia ero solo in mezzo a persone di età ‘elevata’. Quindi se riesco regolarmente a far sentire meno solo un ragazzo od una ragazza che vive nella sua parrocchia è un obiettivo raggiunto”.

Maimone, Coordinatore Italia RMTR: Mi ispiro alla Chiesa del dialogo di Papa Francesco e alla Chiesa missionaria di Papa Leone XIV

La Rete Mondiale del Turismo Religioso – World Religious Tourism Network www.tourismandsocietytt.com/red-mundial-turismo-religioso (RMTR) ha nominato il giornalista e comunicatore Biagio Maimone, Coordinatore Nazionale per l’Italia della Rete. Maimone è Direttore dell’Ufficio stampa dell’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’, il cui presidente è mons. Yoannis Lahzi Gaid, già Segretario personale di Sua Santità Papa Francesco. Attraverso le iniziative dell’Associazione Maimone ha richiamato, mediante il giornalismo, alla necessità di far vivere il dialogo interreligioso e il dialogo interculturale, la pace e la solidarietà.

La sua attività a favore dell’Associazione si qualifica nei termini di attività di comunicazione a favore dei bambini poveri ed ammalati dell’Egitto. L’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’ è stata fondata in seguito alla sottoscrizione del Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’ da parte di Sua Santità Papa Francesco e da parte del Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, in data 4 febbraio 2019.

Il suddetto Documento ha dato vita a numerosi frutti, tra i quali la  realizzazione della Casa della Famiglia Abramitica, edificata nella città di Abu Dhabi, che è uno tra i progetti più rilevanti in quanto pone le basi del dialogo interreligioso creando uno spazio fisico, un territorio comune su cui sono stati edificati tre luoghi di culto diversi (una Chiesa, una Sinagoga e una Moschea), posti l’uno accanto all’altro, in ciascuno dei quali si praticano religioni diverse, le quali si interfacciano reciprocamente per dialogare su ogni tema della vita religiosa ed umana.

Biagio Maimone ha frequentato il corso triennale di spiritualità francescana nel Convento Sant’Angelo di Milano ed è soprannominato ‘il giornalista dei poveri’ per aver offerto, nel corso degli anni, servizi di comunicazione a persone che vivevano in situazioni di disagio economico, segnalandole all’opinione pubblica.

“Per la Rete Mondiale del Turismo Religioso la nomina di Biagio Maimone costituisce un passo decisivo finalizzato al rafforzamento della propria presenza istituzionale e operativa in Europa. La nomina segna una pietra miliare significativa per la crescita dell’organizzazione” hanno dichiarato all’unisono la General Manager Pilar Valdés Arroyo e la Direttrice territoriale per Europa Edit Székely della Rete Mondiale del Turismo Religioso, che è presente in 18 Paesi ed è nata con lo scopo di promuovere il turismo e la cultura religiosa in diverse Regioni e Paesi  come mezzo di dialogo interreligioso e interculturale, sviluppo territoriale e rafforzamento del patrimonio spirituale.

La missione della Rete è, inoltre, promuovere il rispetto delle diversità religiose e contribuire allo sviluppo sostenibile di luoghi in cui si svolgono  esperienze spirituali e religiose. Il turismo religioso e spirituale è un ponte che favorisce il dialogo tra culture e credenze diverse al fine di promuovere l’unità tra le persone e la valorizzazione delle differenze. La Rete si impegna per diffondere i principi della sostenibilità, dell’etica e  del rispetto, affermandosi come strumento essenziale per un turismo più inclusivo, arricchente e responsabile.

“Biagio Maimone, il quale ha una vasta esperienza nell’ambito della  comunicazione, della cultura e dell’impegno sociale, è ampiamente riconosciuto per il suo lavoro nei media, per i suoi progetti umanitari e per i suoi eventi di ispirazione religiosa e sociale. La sua nomina reca con sé non solo una conoscenza del settore, ma anche una sensibilità profondamente allineata ai valori della Rete Mondiale del Turismo Religioso.

Biagio Maimone ha ricoperto incarichi in diverse organizzazioni che promuovono la solidarietà, la cultura e la spiritualità” ha asserito, inoltre, Edit Székely. Nei prossimi mesi Biagio Maimone darà vita all’Associazione ‘Progetto di Vita e Umanità’, che pone la comunicazione al servizio degli ultimi e degli indifesi. Ha scritto il testo “La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario”, con cui ha posto in luce l’importanza vitale della parola, capace di creare relazioni vitali, se usata facendo appello alle corde del cuore umano, e di sanare quelle  lacerazioni che arrestano lo sviluppo umano.

Egli esorta, pertanto, a prediligere e a trasmettere la parola amabile, creativa di quel dialogo che fa vivere le differenze in uno spazio senza confini in cui domina la bellezza spirituale, che a tutti riconosce lo splendore della propria dignità umana.

La Rete Mondiale del Turismo Religioso ha particolarmente apprezzato il suo impegno volto a diffondere il messaggio spirituale, nonché la sua capacità di tradurlo in proposte concrete che abbiano un  impatto sulla realtà.

La sua visione del turismo religioso come strumento di dialogo interculturale è pienamente in linea con gli obiettivi della Rete, che tendono a rivitalizzare le mete del  pellegrinaggio e a promuovere un turismo consapevole, sostenibile e profondamente spirituale.

 Biagio Maimone  ha affermato : “Accetto questa nuova sfida con onore, con il profondo desiderio di contribuire a creare una Rete che guardi all’anima dei popoli, alle loro radici spirituali e alla possibilità di costruire ponti di fratellanza. Solidarietà, Sostenibilità e Spiritualità: è questa la trilogia del futuro dell’umanità.

L’Italia è una nazione che pone in evidenza la sua religiosità mediante  innumerevoli chiese, monumenti, cattedrali, percorsi spirituali, processioni e ricorrenze, presenti in ogni regione e in ogni paese, anche di piccole dimensioni. L’Italia è una nazione che richiama milioni di turisti per le sue bellezze,  per la sua storia, per la sua religiosità espressa ovunque. Le nostre Chiese, gli affreschi, le sculture ed ogni altra opera, a cui i nostri artisti hanno dato vita, da sempre, sono espressione di un vigoroso sentimento di fede diffuso nella popolazione.

Anche le opere letterarie di eminenti  scrittori, come Manzoni, sono testimonianza di profonda fede cristiana. Le nostre città irradiano una cultura religiosa forte e vigorosa e, per tale motivazione, l’Italia costituisce un baluardo prezioso per la diffusione del turismo religioso che può accedere ai preziosi tesori che la fede cristiana ha disseminato nei suoi territori. Possiamo definire il turismo religioso con il termine ‘Turismo dell’Anima’, in quanto veicola la cultura della bellezza, dello spirito e dei valori profondamente morali ed estetici nel contempo.

Pertanto l’Italia è il Paese che più di tutti gli altri può sviluppare il turismo religioso per essere espressione della cultura della bellezza artistica che esprime i valori depositati nell’animo umano, che si collegano ai valori espressamente spirituali della fede cristiana. Favorire questa forma di turismo significa avvicinarsi alla bellezza che Dio ci ha regalato, che manifesta la sua presenza e la sua impronta sulla terra, in quanto essa consente l’incontro con la spiritualità di coloro che a tale forma di turismo partecipano”.

Comunicazione e linguaggio divengano una nuova materia scolastica: una proposta di Biagio Maimone

Con l’avvento della nuova tecnologia, dei nuovi media, dei social, dell’intelligenza artificiale si rende necessario predisporre regole che ne disciplinino l’uso e, nel contempo, assegnare alla scuola il compito di insegnare le regole deontologiche che sorreggono la comunicazione perché essa possa veicolare messaggi che non violino le leggi morali, fornendo agli studenti, a partire dalle scuole elementari, gli strumenti conoscitivi perché sappiano affrontare i nuovi linguaggi tecnologici con l’adeguata formazione per saper contrastare il cyberbullismo e l’incitamento all’odio.

La proposta che il giornalista Biagio Maimone, Direttore della Comunicazione dell’associazione “Bambino Gesù del Cairo”, ha deciso di portare avanti riguarda l’introduzione di una nuova materia d’insegnamento, a partire dalle scuole elementari, la cui la finalità è quella di educare gli studenti a riconoscere l’importanza che riveste la comunicazione sul piano delle relazioni umane, di come le influenzi e ne determini la natura.

Biagio Maimone chiederà al Governo Italiano di inserire tra le materie scolastiche l’insegnamento della Comunicazione, convinto che l’epoca attuale veda l’affermarsi di una subcultura della comunicazione che rischia di impoverire sempre più la relazione umana, in quanto i messaggi che essa veicola spesso sono diseducativi.

Maimone afferma che alcuni media, i social ancor di più, veicolino messaggi i cui contenuti sono pervasi dalla violenza e dall’odio sociale, nonché dall’intento di screditare e porre sul rogo chi ritengono essere un avversario.

Egli ritiene che la parola fondi i significati vitali dell’esistenza umana, che abbia il compito primario di interpretare la vita nelle sue infinite manifestazioni, di sorreggere ed incentivare i processi vitali della società umana e che, per tale motivo, debba essere umanizzante, dialogante e non conflittuale.

Sulla scorta della constatazione che il significato profondo del linguaggio venga eluso e sostituito da un distorta concezione di esso come arma di offesa, come strumento di diffusione di fake news, di menzogne e distorsioni del concetto di conoscenza, ritiene non più rimandabile un intervento educativo relativamente al valore del linguaggio e della comunicazione nelle sue svariate declinazioni.

Maimone sottolinea vigorosamente che, con l’avvento dei social siamo tutti posti di fronte ad una serie infinita di notizie, molte delle quali diseducative, si renda necessario un intervento finalizzato non solo a disciplinare l’uso distorto dei social e della tecnologia nel suo complesso, ma anche e soprattutto si renda necessario un mirato intervento educativo, sin dalla più tenera infanzia, che consenta ai bambini e, conseguentemente, agli adulti di discernere i contenuti la cui finalità è diretta a diffondere “il male” per l’individuo e la società , da quelli la cui finalità è diretta a diffondere “il bene” per l’individuo e la società.

Tale opera educativa non solo è necessaria, ma è anche inevitabile affinché non si generi un’involuzione morale della società, a cui sono proposti contenuti nocivi e dissacratori della verità e della morale.
Egli afferma: “Siamo di fronte ad una svolta epocale che vedrà anche l’avvento di nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale, che devono essere governate attraverso una sapiente opera educativa della collettività, a partire dall’infanzia, per evitare danni irreparabili che possano scaturire da uno sviluppo selvaggio ed incontrollato di tali tecnologie.

Ed ecco, pertanto, la necessità, di dar corso ad un processo pedagogico, che prenda le mosse dalle scuole elementari, che educhi i bambini a discernere i valori dai disvalori che una comunicazione selvaggia può generare, affidata all’arbitrio di chi trae vantaggio dall’inganno e dal proliferare del pensiero superficiale, che genera odio sociale, il bullismo, il cyberbullismo”.

Il giornalista Biagio Maimone, autore del libro “La Comunicazione Creativa per lo sviluppo socio-umanitario”, per i motivi suesposti, vorrebbe veder inserita tra le materie di studio, la materia “Comunicazione e Linguaggio”. A tal fine intende investire l’Ordine del Giornalisti per formalizzare il progetto in modo dettagliato e precipuo.

Insegnare il valore che riveste la parola per creare la relazione umana deve essere un compito della scuola e delle Istituzioni secondo Biagio Maimone affinché si sviluppi e si affermi una filosofia della vita che ponga al centro l’amore, il dialogo, la gentilezza, le belle maniere, il gesto fraterno, che sono i pilastri su cui poggia il progresso umano.

“Affidiamo il destino dell’umanità all’opera educativa che pone al centro l’educazione delle coscienze attraverso l’insegnamento dell’arte comunicativa, del linguaggio creativo per eccellenza, che apre le porte alla conoscenza profonda ed autentica della vita interiore ed esteriore dell’essere umano” ha auspicato Biagio Maimone.

Leadership morale e comunicazione nel nome di Joaquín Navarro-Valls

Oggi che ricorre l’ottavo anniversario della morte di Joaquín Navarro-Valls (1936-2017), lo storico portavoce di san Giovanni Paolo II e direttore della Sala stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006, vale la pena soffermarsi sulla “lezione” a noi lasciata dalla vita e dagli scritti dell’indimenticato medico e giornalista spagnolo. Lo facciamo dopo pochi giorni da cui è assegnato il terzo “Premio internazionale per la leadership e la benevolenza Joaquín Navarro-Valls” (https://www.biomedicalfoundation.org/iii-edizione-del-premio-internazionale-per-la-leadership-e-la-benevolenza-joaquin-navarro-valls/), un riconoscimento promosso dall’ente no-profit Biomedical University Foundation, che lo stesso Navarro-Valls ha contribuito a istituire nel 2015 nell’ambito dell’Università e della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.

Già lo scopo del Premio, così come descritto dagli organizzatori, ci dice molto sul lascito culturale e direi spirituale di Navarro-Valls, la cui vita personale e professionale è stata sicuramente volta a «promuovere modelli che contribuiscono al miglioramento della società attraverso la solidarietà e la benevolenza per un mondo più responsabile, sostenibile e inclusivo». Certo, in questa serie di aggettivi relativi al mondo non avrebbe sfigurato la parola “vero”, in quanto contribuire, anche attraverso l’informazione, a rendere il mondo più vero (quindi più umano) avrebbe assommato e sintetizzato tutta la vocazione temporale cristiana.

Ma come non riconoscere l’assoluto valore umano e materiale dell’iniziativa intitolata al Portavoz, ovvero la creazione di borse di studio per migliaia di ragazzi che abitano in Paesi “difficili” come ad esempio la Siria, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo, lo Yemen, la Colombia e l’India?

Ritornando ora specificamente alla persona di Navarro-Valls, spagnolo di Cartagena e membro numerario dell’Opus Dei, egli è ricordato soprattutto come “El Portavoz” per antonomasia, in quanto ha servito per tutta la vita con devozione e dedizione quel Papa del quale ha condiviso i modi ed i tempi della comunicazione istituzionale nonché l’ideale di una leadership morale unita all’umanità e alla benevolenza.

Non a caso Alessandro Gisotti, l’attuale vicedirettore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede che nel 2019 ha promosso l’intitolazione della sala riservata ai giornalisti della Sala Stampa vaticana allo stesso Navarro-Valls, ne ha sottolineato «l’importanza della cordialità con tutti i colleghi, con una distinzione di ruolo che non diventa mai distanza» (cit. in Michele Raviart, Leadership e benevolenza alla scuola di Navarro-Valls, L’Osservatore Romano, 9 luglio 2024, p. 7). Ecco, quindi, quello che definirei il suo primo lascito

Poi Navarro-Valls è stato sicuramente una figura centrale del lungo pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005). In questo senso direi che il suo servizio alla Chiesa e al mondo è stato particolarmente fecondo in quanto preparato e accompagnato, oltre che dalla preghiera e dalla formazione professionale, anche dallo studio e dalla pratica in altri settori apparentemente diversi dal giornalismo, ovvero la medicina, la psichiatria e lo studio filosofico. In questo modo si delinea quello che considererei il secondo lascito del grande giornalista e medico spagnolo, ovvero la verità e la fecondità (anche nel mondo della comunicazione) dell’unità del sapere e del lavoro interdisciplinare, criterio enunciato da ultimo da Papa Francesco al n. 4 del Proemio della costituzione apostolica Veritatis gaudium (2018) circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche.

Alla cordialità e poliedricità nel modo di affrontare soggetti, sfide e contenuti della comunicazione, aggiungerei come terzo lascito quello della discrezione. Ogni volta che ha potuto Navarro-Valls è sempre rimato un passo indietro, perché l’ascolto e la comprensione siano sempre riservate alla parola, alla figura e all’esempio del Papa. Questo stile costantemente osservato come direttore della Sala stampa della Santa Sede è emerso dal libro di memorie personali I miei anni con Giovanni Paolo II. Note personali, pubblicato per volere dell’autore stesso dopo la sua scomparsa avvenuta il 5 luglio 2017. Uno dei curatori del volume, Diego Contreras, ha rivelato a questo proposito che Navarro-Valls rifiutò alla fine della sua vita un contratto da un milione di dollari per pubblicare lui vivente le sue memorie, in quanto credeva che la pubblicazione postuma avrebbe focalizzato l’attenzione sulla storia del Papa e non su sé stesso.

Ecco perché per capire davvero uomini come Papa Wojtyła e suoi stretti collaboratori come il ‘suo’ direttore della Sala stampa bisogna partire dall’esperienza di fede e dalla conseguente pratica delle virtù personali, cominciando appunto dall’umiltà. Mentre alcuni collaboratori della comunicazione della Santa Sede, anche involontariamente e come accade del resto nella maggior parte degli studi mediatici non-ecclesiastici, improntano il loro lavoro ponendo sé stessi al centro dell’attenzione, uomini come Navarro-Valls hanno perseguito l’obiettivo opposto, cioè quello di cercare di stare il più possibile ‘dietro le quinte’ per far sì che solo il messaggio del Papa e della Chiesa fossero al centro dell’attenzione.

Ecco, da giornalisti e fedeli vorremmo che questo ‘modello’ comunicativo, sempre valido nonostante l’evoluzione delle tecnologie e dei linguaggi, ritornasse al centro della comunicazione vaticana. Prendendo esempio dalla vita e dagli scritti di un grande comunicatore del nostro tempo.

Per fare solo alcuni esempi, già negli scorsi decenni, Navarro-Valls si lamentava della crescente burocratizzazione nella Santa Sede che non consentiva a giornalisti ed operatori di informare come si vorrebbe e dovrebbe. Oppure l’eccesso di informazione e la proposta di informazione ‘non giornalistica’ (quindi focalizzata troppo su aspetti personali o sentimentalistici della figura del Papa) che non aiutano certo i fruitori distratti della comunicazione a cogliere il cuore del messaggio della Fede. E qui ritorna il discorso della benevolenza che, ripeteva il giornalista e medico spagnolo, «fa allontanare l’essere umano dall’autoreferenzialità dei propri istinti».

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