Dal Memoriale della Shoah un monito per ricordare

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‘Il Memoriale della Shoah’; ‘Il Giardino dei Giusti’; ‘Il Seme’, comunità per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati, sono le tre sedi dell’iniziativa ‘L’arcivescovo ti invita’, con la quale l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha proposto agli adolescenti tre occasioni per ‘uscire’ dall’ambito parrocchiale e visitare, in sua compagnia, luoghi emblematici del capoluogo lombardo.

E proprio dal ‘Memoriale della Shoah’ l’arcivescovo ambrosiano ha dialogato con il rabbino capo di Milano, rav. Alfonso Arbib, in vista del Giorno della Memoria, ribadendo la necessità di mettersi davanti a Dio per pregare la pace e combattere l’indifferenza: “Dobbiamo fermarci, metterci di fronte a Dio e lasciare che la coscienza impari ancora a distinguere tra il bene e il male. Occorre invocare, nella preghiera, lo spazio per la pace che ora non si vede”.

Indifferenza che uccide, come testimonia il Memoriale, che sorge presso ‘Binario 21’ della Stazione Centrale da cui vennero deportati la grande maggioranza di ebrei milanesi con i convogli del 6 dicembre 1943 e del 30 gennaio 1944 e alcuni prigionieri politici: dei 774 ebrei partiti, destinazione Auschwitz, tornarono in 27, di cui rimane ‘memoria viva’ solo la senatrice a vita Liliana Segre.

L’incontro, moderato dalla prof.ssa Milena Santerini, già Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo e vicepresidente del Memoriale, si è sviluppato intorno alla figura di Giacobbe che, per il grande rabbino Jonathan Sacks, è il patriarca per eccellenza, proprio perché, nel brano della Genesi, sta fuggendo, ma nella sua situazione terribile riesce a vedere gli angeli su una scala piantata per terra che arriva fino al cielo e comprende che la scala è il modo per arrivare a Dio.

Giacobbe, ha spiegato il rabbino Arbib, presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana, “è l’emblema del popolo ebraico che, in condizione di buio, di incertezza, di espulsioni continue, senza sapere quanto sarebbe potuto rimanere in un luogo, proprio lì ha costruito una vita ebraica, con scuole e sinagoghe, con la grande capacità di trovare sempre una luce. E così è accaduto dal medioevo fin dopo la shoah, anche con la fondazione dello Stato di Israele”.

Ed ha espresso preoccupazione per un ritorno dell’antisemitismo: “Stiamo vivendo un momento assolutamente difficile, abbiamo assistito a un pogrom all’interno di Israele, al più grande massacro dopo la shoah, a torture e alla gioia di procurare sofferenze e questo mi ha particolarmente sconvolto. La reazione quale è stata?  All’esterno delle comunità ebraiche assistiamo a un esplosione di antisemitismo, tanto che per il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, sono triplicati gli episodi di antisemitismo. Ma ciò che più preoccupa e colpisce è che a essere antisemiti sono soprattutto i giovani.

Un antisemitismo, talvolta, in buonafede che pensa di avere un’opinione politica, di difendere gli oppressi, il bene contro il male. Ed il male siamo noi ebrei e questo mi fa sinceramente molta paura. Mi sarei aspettato una maggior empatia: mi preoccupa che il 7 ottobre non abbia rappresentato una cesura per tutti, quando invece riguarda tutti.

Anche le persone per bene hanno reagito spesso con una certa indifferenza e su questo bisogna riflettere. Credevamo che fosse superata la contrapposizione tra il Dio ebraico della vendetta e il Dio dell’amore, ma non è così. A Gaza c’è una tragedia, ma non una vendetta, è incendiario usare la parola vendetta”.

Mentre l’arcivescovo ha invitato a vivere la notte come ‘tempo di Dio’: “La notte improbabile diventa il tempo di Dio, il luogo inospitale si rivela casa Dio. Mentre gli uomini attraversano il paese delle parole indicibili, il Signore ha qualche cosa da dire, gli angeli di Dio hanno un messaggio da portare.  Giacobbe non sa, ma proprio quella terra è Betel”.

Nella notte avvengono i sogni: “Ecco, la terra aspetta di ricevere il suo nome, il nome nuovo, il nome della sua benedizione. Perché gli uomini non sanno, abitano una terra che porta un nome sbagliato, si confondono, si sbagliano, si sentono smarriti, si ostinano a raccontare storie che invece di seminare, sradicano, invece di costruire distruggono, invece di rendere la terra una casa la rendono un deserto.

Gli uomini non sanno. Ma viene la notte improbabile in cui il sogno inatteso rivela perché sia possibile ancora vivere, sia possibile sperare, sia possibile stupire del sole che sorge, dei colori del mondo, della voglia di vivere che abita nei figli degli uomini”.

 Quindi la notte si trasforma in consolatoria, benedetta da Dio: “La notte improbabile diventa notte della consolazione non perché la pietra sia meno dura, non perché la strada sia meno aspra, ma perché là, inaspettatamente si rivela la presenza di Dio. Ecco, solo Dio può scuotere l’ottusità arrabbiata dei popoli e degli uomini, solo Dio può mostrare che la strada non porta da nessuna parte se non c’è una scala che consente agli angeli di Dio di portare parole di Dio agli abitanti della terra e parole, lamenti, angosce di uomini al Dio altissimo”.

Perciò un luogo inospitale si trasforma nella casa di Dio: “Viviamo nel buio di una notte in cui ogni terra sembra straniera e ogni nome di paese suona come un nome sbagliato. Possiamo solo invocare che ci sia un messaggio da parte di Dio per riconoscere che proprio questo luogo è Betel casa di Dio, proprio questo tempo è il tempo per ritrovare la parola che si possa dire”.

Quindi la benedizione si trasforma in speranza di pace: “La promessa che benedice Giacobbe non è un privilegio, ma una missione. Ecco: essere benedizione per tutte le famiglie della terra. Nella notte improbabile, nel luogo inospitale l’inatteso rivelarsi di Dio confida una speranza: che gli uomini siano gli uni per gli altri una benedizione, che i popoli siano gli uni per gli altri una benedizione.

Noi forse, in un momento di smarrimento come quello che stiamo attraversano, avremo la grazia di un sogno, di una luce che indichi la vita, di un nome nuovo per chiamare la terra che abitiamo, di una parola nuova che possa essere di riconciliazione e di pace”.

(Foto: Arcidiocesi di Milano)

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