Patriarca Moraglia: è necessario educare alla libertà e responsabilità

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Nella scorsa settimana a Venezia è stata celebrata la festa del Santissimo Redentore con l’apertura del ponte votivo dedicato a questa importantissima festa per la città nel ricordo della liberazione dalla peste del 1575-77, come ha sottolineato nel discorso alla città il patriarca Francesco Moraglia:

“Venezia è la città dei ponti (436, che uniscono 121 isole) ma è anche la città ‘ponte’ che, da sempre, unisce Oriente e Occidente; è la città crocevia fra culture, religioni, popoli e uomini. Un ponte è proiezione in avanti del presente, verso un ‘oltre’, un futuro che attende e che, per quanto dipende dagli uomini, va preparato. Sì, il futuro si costruisce oggi, nel presente, già in mezzo a noi.

Noi non viviamo un tempo di cambiamenti ma un tempo di cambiamento. Lo attestano, con chiarezza, gli eventi che viviamo. I più evidenti: i molteplici e contraddittori aspetti della globalizzazione, le tecnoscienze, l’intelligenza artificiale, il mondo meta, il post-umano e il trans-umano. Eventi tutti gravidi di conseguenze impensabili fino ad un recentissimo passato”.

Il ponte è proiezione nel futuro del presente: “Il ponte ci ammonisce che il futuro, come ogni futuro, è proiezione di ciò che già è presente nell’oggi. Tale futuro, che è in grembo al nostro presente, non ci può non interessare. Noi, oggi, viviamo nel grande ‘laboratorio’ del futuro e Dio non voglia che sia un futuro di disumanità.

Ecco perché dinanzi a questo ponte, rinnovando il voto al Redentore fatto dai nostri padri quasi 450 anni fa, innalziamo una preghiera pensando al futuro affascinante, ma ricco d’incognite, che ci sta dinanzi”.

Il ponte aiuta a lanciare uno sguardo nel domani: “Ed il futuro della modernità o della post-modernità o della tarda modernità (come viene variamente chiamata) sarà un futuro a misura d’uomo e, quindi, un futuro di speranza, di sviluppo e di pace solo se sapremo porre al centro l’uomo, rispettandone l’intangibilità della vita dal concepimento al suo spegnersi naturale (l’accoglienza inizia da qui)  e solo se saremo capaci di fondarci su un’etica (privata e pubblica) in cui l’uomo non sia mai egemone arbitro di sé, dei suoi simili, dell’ambiente, delle biodiversità.

Davanti a questo ponte guardiamo con fiducia, con coraggio e con umiltà al futuro che non poco dipende dalle scelte del nostro presente”.

Mentre nell’omelia della celebrazione eucaristica il patriarca ha sottolineato che l’educazione è un fatto di libertà e di responsabilità, ricordando gli ultimi avvenimenti di cronaca: “L’educazione richiede, prima di ogni altra cosa, la presenza dell’educatore che dice amore e, insieme, che ‘ho tempo per te’.

Già nell’Antico Testamento, con la predicazione profetica, Dio è, per il suo popolo, padre e madre e mai si dimentica dei propri figli, commuovendosi per essi. Certo, il Signore è molto più di un educatore e l’immagine del pastore ne racconta l’atteggiamento. L’educazione avviene anche in un contesto sociale, ha a che fare con la società in modo concreto e reale poiché riguarda la vita delle persone, delle famiglie e della città a cui apparteniamo”.

Ma ha sottolineato che educare oggi non è semplice: “Educare non è mai stato una cosa semplice; oggi, però, al tempo dei media, della rete e delle conquiste della tecnoscienza è compito fondamentale. L’educatore deve essere persona saggia, cordiale, presente e che sempre sa proporsi e si fa percepire come educatore…

Viviamo, nel bene e nel male, la società della comunicazione resa possibile dalle tecnoscienze. Dobbiamo allora chiederci più spesso: quanto è autentica la comunicazione nella rete? O piuttosto, invece di allargare le relazioni, non finisce per dare libero spazio ad ‘io’ frustrati nella vita reale, solo alla ricerca di visibilità, per essere conosciuti, costi quel che costi e non avendo, tra l’altro, nulla da perdere?

Tutto avviene con la protezione di un semianonimato e in una relazione con ‘un’ altro che è sì ‘presente’ (on line) ma, nella realtà, è ‘assente’, sfugge e, spesso, rimane sconosciuto”.

Quindi il riferimento alla libertà come fondamento educativo è importante: “Il riferimento alla libertà e alla responsabilità è fondamentale nell’alleanza educativa che si dà nel contesto culturale della nostra società, caratterizzato da riferimenti sempre più ‘liquidi’, in cui le domande riguardano quasi esclusivamente il ‘come’ e raramente il ‘perché’ delle cose, in cui tutto è in discussione (a cominciare dal valore della persona, del bene, del vero, del bello) in cui domina il ‘politicamente corretto’, pena l’emarginazione”.

Educare significa prendersi cura: “Amare, come il prendersi cura, significa gioire dell’altro che cresce e che non è mia proprietà. Quanto è importante, oggi, saper educare un figlio o una figlia in modo che siano in grado di avere relazioni libere, rispettose, buone!

La stessa dolorosa piaga dei femminicidi nasce dal non sapere amare. Amare vuol dire, prima di tutto, rispettare; è necessario educare i figli ad una scelta affettiva matura. Amare, donare, generare, rispettare sono parole che si richiamano a vicenda, sono quasi sinonime”.

Però per educare è necessaria l’autorevolezza: “Un altro elemento irrinunciabile nell’educazione è l’autorevolezza che rende possibile e credibile l’esercizio dell’autorità.

L’autorevolezza è fatta di coerenza di vita e del coinvolgimento della persona in ciò che trasmette e insegna. Proviene da un amore autentico, vissuto, condiviso, non da una caricatura dell’amore”.

Autorevolezza che è apertura alla libertà: “Educare, infine, è sempre un fatto di libertà; si educa alla libertà e se ne accetta il rischio. L’educazione vera non consiste solo nell’appello al libero arbitrio, spesso capriccioso, ma nel rispondere a ciò che si percepisce come vero, bello e buono, accogliendo le regole della vita quotidiana che rendono possibile lo stare insieme in famiglia, a scuola, con gli amici, in città”.

In questo spazio educativo il patriarca ha sottolineato anche la necessità di educare alla preghiera: “Anche la Chiesa è all’interno di tale dinamica e mette in campo persone, risorse, luoghi e tempi che sono dedicati alla formazione.

Per l’educatore credente, ad iniziare dai genitori, è fondamentale educare alla preghiera, ossia al senso di Dio e alla sua presenza nella vita delle persone.

Tutto ciò genera la possibilità di avere un riferimento e un termine ultimo che è più grande delle nostre vicende umane, liete o tragiche che siamo: Dio è più grande del cuore dell’uomo! Educare, in fondo, è condurre l’io creaturale al noi dell’unico Dio Padre, Figlio e Spirito Santo”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)

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