Mons. Repole invita ad essere Chiesa che trasmette la bellezza della fede

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Mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, nei giorni scorsi ha presentato una Lettera indirizzata alle comunità diocesane affidate alla sua cura pastorale in cui riprende quanto proposto nelle convocazioni a Torino ed a Susa nel mese di giugno scorso, perché i sacerdoti, i diaconi, le religiose e i religiosi, le laiche e i laici possano continuare il cammino di rinnovamento prospettato, riprendendo il passo lucano sul ‘giudizio’ del tempo:

“Quanto Gesù lamenta è il fato che chi lo ascolta vede ciò che accade esteriormente, ma è incapace di leggere in profondità il tempo che sta vivendo: il tempo della vicinanza e della presenza di Dio, quello del compimento della promessa, il momento unico dato dal fato che il Figlio di Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi.

Questa parola di Gesù non è rivolta solo ai suoi contemporanei, ma è indirizzata anche a noi. Anche oggi la Chiesa è chiamata a riconoscere la presenza viva di Cristo, per lasciarsi guidare da Lui: non esiste nessun tempo, neppure il nostro, che non sia bello e fecondo in quanto Cristo è presente, ci conduce e guida l’umanità intera”.

Quindi anche oggi i cristiani hanno necessità di conoscere il proprio tempo: “E’ in quest’orizzonte che, all’inizio del mio ministero episcopale, ho scritto una breve lettera, nella quale invitavo la Chiesa torinese (che già conoscevo per esserne parte da sempre) a prendere atto della situazione del nostro essere cristiani oggi.

Un contesto nel quale non si deve porre l’accento, come verrebbe spontaneo, soltanto sulla contrazione del numero e l’invecchiamento dei preti, ma anche sul fato che i cattolici non coincidono più con la totalità della popolazione”.

Perciò è necessario ripensare alla presenza dei cattolici nella società: “Dobbiamo infatti prendere consapevolezza in modo lucido che mantenere semplicemente e stancamente il modello attuale significa condannarci a non essere più una presenza capace di trasmettere la ricchezza inesauribile e coinvolgente del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi, tanti dei quali hanno una sete immensa di vita, di senso, di amore e di relazioni calde, in una parola, di Dio”.

Per mons. Repole occorre trasmettere la bellezza del cristianesimo: “L’obiettivo è uno solo: essere una Chiesa fatta di comunità vive, nelle quali non solo si parla, ma si sperimenta davvero il Regno di Dio, di cui la Chiesa è come un germe.

E’ il Signore, vivente in mezzo a noi, che ci chiede di essere cristiani gioiosi, a motivo di quella relazione con lui e tra di noi che ci è data di vivere e, dunque, testimoni credibili del fato che vale la pena lasciare tutto e seguirlo…

Il cammino di ascolto reciproco, compiuto quest’anno, aveva lo scopo di riconoscere in noi e intorno a noi tutto quello che ci appare come promettente, un ‘germoglio’ appunto di comunità cristiane vive e impegnate nell’annunciare il Vangelo”.

Per un riconoscimento della comunità cristiana occorre l’ascolto della Parola di Dio: “ Perché ci sia una comunità cris􀆟ana è indispensabile che ci sia un ascolto costante della Parola di Dio, che non può essere ridoto a una conoscenza biblica di tipo intellettualistico, ma deve corrispondere a un ascolto di Dio che continua a parlarci in modo vivo e a chiamarci costantemente alla fede in Lui.

E ci deve essere un nutrimento costante, dal livello intellettuale a quello dell’orazione, della fede dei credenti che, specie oggi, se non viene alimentata, si perde o non è aderente alle profonde trasformazioni della nostra esistenza”.

In questo cammino la domenica è fondamentale: “Ma perché si possa parlare di comunità cristiana è anche indispensabile che ci si incontri nel giorno del Signore nella celebrazione eucaristica e che si viva la festa di questo incontro e di questo giorno. E’ infatti in forza del dono del corpo di Cristo che noi diventiamo il corpo di Cristo che è la Chiesa.

E’ cibandoci di Lui che noi diventiamo una cosa sola con Lui e tra di noi. E per rimanere quello che siamo, abbiamo bisogno ogni domenica di nutrirci della vita che ci offre Cristo, di fare l’esperienza della vita nuova che sgorga da quell’incontro, di sperimentare che, pur essendo diversi tra noi per età, cultura, censo, sensibilità, luoghi di provenienza, in Lui diventiamo una cosa sola”.

Da queste due azioni nasce l’esperienza della fraternità: “Infine, ciò che nasce dall’ascolto costante della Parola e dalla celebrazione eucaristica è una fraternità che deve essere reale, nel senso che ci fa fare l’esperienza concreta del sentirci in cammino con altri, di percepirci responsabili della loro fede e interpellati dai loro bisogni, di qualunque genere essi siano (da quello dell’amicizia e dell’ascolto a quello economico), di sentire che noi stessi siamo oggetto di cura e di attenzione reale da parte di altri e custoditi dai fratelli nella fede”.

E’ un invito a curare l’Eucarestia: “Qualcosa di analogo e di ancora più decisivo va detto in riferimento alla celebrazione eucaristica domenicale. Non possiamo più limitarci, come si è fatto spesso in passato, a garantire la possibilità della Messa domenicale più comoda, soprattutto se ciò ha come conseguenza celebrazioni poco curate (dalle letture, all’omelia e al canto), che non sono l’espressione di una comunità cristiana in tute le sue componenti (dai ragazzi agli anziani) e che non permettono di esperire la gioia di incontrarsi tra fratelli”.

In tutto questo la carità deve essere il volto della Chiesa: “Infine, si tratta di crescere nella consapevolezza che tute le nostre azioni caritative e sociali debbono essere il riverbero della carità e della fraternità che viviamo tra di noi. Se non c’è questo, non c’è vera caritas!

Il servizio caritativo nei confronti di chi è emarginato e fragile (dobbiamo ribadirlo con forza) è elemento essenziale della vita della Chiesa! Tuttavia esso è tanto più vero e autentico quanto più è espressione di cristiani che vivono tra loro come fratelli e sorelle”.

E’ la carità è il segno distintivo della comunità cristiana: “Il servizio caritativo, di cui le nostre Chiese sono così ricche, è e deve sempre più essere il riverbero della carità con cui Dio ci ama e nella quale noi cristiani ci amiamo tra noi”.

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