Internazionale

Libertà religiosa. L’Asia sempre a rischio

È l’Asia il continente in cui la libertà religiosa è a rischio: Burma (Myanmar), Cina, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Uzbekistan sono nella black list stilata dalla Commission on International ReligiousFreedom (USCIRF), organismo consultivo indipendente creato dall’International ReligiousFreedomAct (IRFA) per monitorare la libertà religiosa nel mondo. Ogni anno viene pubblicato un Rapporto che evidenzia la situazione e identifica gli stati che maggiormente violano tale diritto. Nel rapporto 2013, completano l’elenco dei paesi sotto particolare osservazione due stati africani: Eritrea e Sudan. E altri sono giunti a una soglia critica di attenzione: Egitto, Iraq, Nigeria, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan e Vietnam. La presidente dell’Uscirf, Katrina Lantos Swett, ha parlato di “forze che alimentano l’instabilità” come “l’estremismo religioso violento” a cui si aggiunge “l’azione o l’inazione dei governi” che “reprimono la libertà religiosa attraverso intricate reti di regole discriminatorie, richieste arbitrarie e editti draconiani”. Violazioni della libertà religiosa “riguardano fedeli di diverse comunità in tutto il mondo.

 

A Londra la comunità cattolica italiana celebra i suoi primi 150 anni

Londra 1863, appena due anni dopo l’unità d’Italia, in un quartiere centralissimo di Londra, a pochi passi dalla City, Don Vincenzo Pallotti fonda la Chiesa Italiana di San Pietro. E’ il Cardinal Wiseman, arcivescovo di Westminster, a celebrare la messa per l’apertura il 16 aprile di quell’ anno. 150 anni dopo, il 29 Aprile 2013 l’arcivescovo di Westminster S.E. Vincent Nichols ha presieduto la celebrazione dell’anniversario esordendo in italiano: “Buonasera a tutti. In questo giorno così splendido, siamo molto… come si dice… ‘contenti’… una parola semplice: siamo molto contenti di essere qui insieme per celebrare questo anniversario della Chiesa di San Pietro. E’ così magnifica, questa chiesa”.

Nella memoria del Genocidio Armeno

La notte del 24 aprile 1915 iniziava il sistematico sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano. L’obiettivo dei Giovani Turchi, organizzazione nazionalista nata all’inizio del XX secolo, era quello di creare uno stato nazionale turco, sul modello dei nuovi paesi europei nati nell’Ottocento. Gli armeni, cristiani ed indoeuropei, erano l’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine il sogno nazionalista di un immenso territorio che dal Mediterraneo arrivasse fino allo Xinjiang cinese. Il primo passo era la nascita di un nuovo Paese abitato soltanto da turchi. Le popolazioni cristiane, che per secoli si erano organizzate in diversi millet (le comunità religiose e nazionali) dovevano sparire dal territorio. La definizione ‘Stato nazionale’ prevedeva un paese linguisticamente e culturalmente omogeneo, con una popolazione composta in larga misura da un unico gruppo etnico e dove le altre popolazioni si limitano a piccole minoranze. L’idea dei Giovani Turchi era quella di conseguire con la forza le condizioni che la storia non aveva realizzato. A quasi un secolo di distanza, il governo turco ancora non riconosce il genocidio. Nonostante questo, turchi e armeni non rinunciano al dialogo, come testimonia l’evento svoltosi dal 21 al 24 aprile, che ha coinvolto, oltre a diversi gruppi e media turchi, anche la Hrant Dink Foundation e gli editori di Agos, la rivista fondata dal giornalista assassinato nel 2007, Hrant Dink.

 

Ricostruire i cuori in Bosnia. Una testimonianza del cardinal Puljic

“Prima di costruire una nazione, c’è bisogno di ricostruire i cuori”. Vinko Puljic parla con passione della Bosnia Erzegovina, la sua nazione. Cardinale, arcivescovo di Sarajevo, è sempre stato in prima linea durante la guerra fratricida che ha distrutto la sua nazione, e poi nei difficili anni della ricostruzione. Ora, mentre le altre nazioni balcaniche si muovono con decisione verso l’Europa, la Bosnia sembra ancora stare indietro, sembra ancora mancarle un passo per la ricostruzione. C’è il rischio di isolamento? “C’è prima bisogno di costruire una nazione egualitaria”, sottolinea il cardinale. Il quale ha fatto del dialogo con il mondo islamico uno dei capisaldi della sua opera pastorale, ma punta anche il dito con chiarezza contro “il fatto che ci sono ancora grandi problemi per i cristiani di far valere i propri diritti” e che “nemmeno a livello internazionale” c’è una risposta.

In Francia ora è matrimonio per tutti. Ma la società non ci sta

“Non molliamo”, dicono i leader della Manif pour tous e danno appuntamento per un altro corteo di protesta a Sevres, alle sette di sera. Un appuntamento che non servirà a cambiare la legge Mariage pour tous (che legalizza unioni omosessuali e permette ai gay di adottare figli), approvata in via definitiva all’Assemblea Nazionale: 331 voti a favore, 225 contro. E questo nonostante la forte opposizione della società francese, guidata da una battagliera assemblea dei vescovi che ha saputo convogliare diverse sensibilità nell’opposizione ad una legge che mette in discussione la famiglia naturale.

Pelvi, il vescovo dei militari in Kosovo dagli italiani

“La libertà religiosa è fondamento di tutte le altre libertà. Dove non c’è libertà religiosa tutte le altre libertà sono compromesse. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana, rendendo impossibile una pace duratura”. Lo ha detto questa mattina nel Villaggio Italia, a Dakovica (Kosovo), l’Arcivescovo Ordinario militare mons. Vincenzo Pelvi in Kosovo per una visita pastorale al Contingente italiano che da 15 anni è presente nel Paese “con una generosa assistenza umanitaria”.

Genocide Memorial Week: in Ruanda si è svolta una settimana di commemorazione

Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Rwanda, nella regione dei Grandi Laghi, il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati per mano degli ultrà dell’Hutu Power e dei membri dell’Akazu. Su una popolazione di 7.300.000, di cui l’84 % hutu, il 15 % tutsi e l’1 % twa, le cifre ufficiali diffuse dal governo rwandese parlano di 1.174.000 persone uccise in soli 100 giorni (10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto). Altre fonti parlano di 800.000 vittime. Tra loro il 20% circa è di etnia hutu. I sopravvissuti tutsi al genocidio sono stimati in 300.000. Migliaia le vedove, molte stuprate e oggi sieropositive. 400.000 i bambini rimasti orfani, 85.000 dei quali sono diventati capifamiglia. Autore del progetto di genocidio è l’Akazu, la ‘casetta’, il clan familiare del presidente Habyarimana, che ha mobilitato gli estremisti hutu del nord. Questi hanno affiancato all’esercito regolare dei gruppi d’attacco, gli interahamwe, ‘quelli che lavorano insieme’, reclutati tra la popolazione civile, li hanno armati ed incitati al genocidio. Tutti gli hutu sono stati chiamati al genocidio: chi non partecipava al ‘lavoro’ era considerato un nemico, e quindi andava eliminato. nascondi Questa particolarità del genocidio rwandese è visibile anche dalle cifre: 20.000 circa sono considerati i pianificatori (militari, ministri, sindaci, giornalisti, prefetti, ecc,); 250.000 i carnefici, gli autori diretti dei crimini; 250.000 le persone implicate negli atti di genocidio.

Guerra e diritti, le “cartografie sociali per i diritti” negli equilibri contemporanei

“Guerre per i diritti/Guerre ai diritti? Globalizzazione e crisi della democrazia”. E’ questo il tema della  prima conferenza internazionale di cartografie sociali dedicata organizzata dalla Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Urit – Unità di Ricerca sulle Topografie sociali e dall’associazione culturale ‘Le parole e le cose’. L’incontro si è tenuto afine marzo si è svolta a Minori (Costa d’Amalfi – Salerno) con il sostegno del Comune, che ha reso possibile l’organizzazione di un evento così imponente. Infatti dopo il crollo dell’URSS, all’antico bipolarismo si è sostituita in ambito internazionale una crescente interdipendenza dei fattori economici e politici, tendenzialmente gestiti attraverso una governance globale come strumento per correggere gli squilibri economici, reprimere i conflitti locali e proteggere i diritti umani. Le democrazie occidentali hanno combattuto nell’ultimo ventennio delle guerre in paesi storicamente periferici, trasformando gli equilibri di potere mondiale. Questi interventi armati si sono imposti all’opinione pubblica come azioni umanitarie per la salvaguardia dei diritti umani e per la promozione della democrazia e della sicurezza. Anche lo smantellamento dei sistemi di welfare state, la radicale trasformazione delle relazioni di lavoro e la gestione sicuritaria delle migrazioni hanno condotto intere popolazioni alla perdita progressiva di sicurezze e diritti sociali. Dunque, la prima conferenza internazionale delle cartografie sociali ha esplorato il rapporto tra pratiche di trasformazione democratica e diritti umani e sociali.

Il Patriarca libanese chiede aiuto al mondo per accogliere i profughi siriani

«Il Libano non può sostenere il peso dei tanti rifugiati siriani. Il nostro cuore e le nostre porte sono aperti, ma accogliere un simile numero di persone va oltre le nostre capacità sociali, economiche e politiche». In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, avuta poco prima di partire per Roma e prendere parte al conclave, il cardinale Béchara Boutros Rai esprime la sua preoccupazione per l’enorme numero di siriani che continua a cercare una via di scampo nel Paese dei Cedri. «Noi siamo appena quattro milioni di abitanti – spiega il patriarca maronita – e l’ingresso di rifugiati su così vasta scala non può che avere gravi conseguenze. Peraltro i siriani varcano il confine portando con sé il conflitto. Noi li sosteniamo al cento percento, ma dobbiamo preservare anche la nostra cultura».

La giornata dei missionari martiri nel ricordo di Luigi Padovese

Nella prolusione al XXIX corso dello Studium organizzato dalla Congregazione delle Cause dei Santi dal titolo I Santi cambiano il mondo e glorificano la Chiesa tenuta il 13 gennaio 2013 il Prefetto, cardinal Angelo Amato, affermò: «E tutti coloro che collaborano alle cause dei santi sono come degli orafi, che trattano materiali preziosi come oro, platino, diamanti, perle. Con pazienza e somma perizia questi artisti, spesso sconosciuti, li lavorano con estrema delicatezza, li ripuliscono dalle impurità e li restituiscono al loro vero splendore». Se tale lavoro significasse eliminare dalla vita di una determinata persona fatti, affermazioni, immagini e quant’altro potrebbe offuscare la presunta santità espressa mediante una vita ritenuta virtuosa, certamente sarebbe disdicevole perché sconfinerebbe nella menomazione della storia con le sue complessità e contraddizioni; certamente non è questo che afferma il cardinal Amato. Invece tale lavoro di ripulitura è far emergere la verità dei fatti spesso volutamente occultata; valga l’esempio della morte di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale di Turchia.

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