Genocide Memorial Week: in Ruanda si è svolta una settimana di commemorazione

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Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Rwanda, nella regione dei Grandi Laghi, il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati per mano degli ultrà dell’Hutu Power e dei membri dell’Akazu. Su una popolazione di 7.300.000, di cui l’84 % hutu, il 15 % tutsi e l’1 % twa, le cifre ufficiali diffuse dal governo rwandese parlano di 1.174.000 persone uccise in soli 100 giorni (10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto). Altre fonti parlano di 800.000 vittime. Tra loro il 20% circa è di etnia hutu. I sopravvissuti tutsi al genocidio sono stimati in 300.000. Migliaia le vedove, molte stuprate e oggi sieropositive. 400.000 i bambini rimasti orfani, 85.000 dei quali sono diventati capifamiglia. Autore del progetto di genocidio è l’Akazu, la ‘casetta’, il clan familiare del presidente Habyarimana, che ha mobilitato gli estremisti hutu del nord. Questi hanno affiancato all’esercito regolare dei gruppi d’attacco, gli interahamwe, ‘quelli che lavorano insieme’, reclutati tra la popolazione civile, li hanno armati ed incitati al genocidio. Tutti gli hutu sono stati chiamati al genocidio: chi non partecipava al ‘lavoro’ era considerato un nemico, e quindi andava eliminato. nascondi Questa particolarità del genocidio rwandese è visibile anche dalle cifre: 20.000 circa sono considerati i pianificatori (militari, ministri, sindaci, giornalisti, prefetti, ecc,); 250.000 i carnefici, gli autori diretti dei crimini; 250.000 le persone implicate negli atti di genocidio.

In occasione dell’anniversario della Giornata della Memoria in onore delle Vittime del Genocidio in Rwanda, il Dipartimento ONU della Pubblica Informazione ha pubblicato un documento che analizza la prevenzione dei genocidi, la protezione dalle violazioni dei diritti umani, l’uso della violenza sessuale come strumento di guerra e lo stato del processo di giustizia e riconciliazione del Rwanda. E’ interessante osservare che il documento apre e chiude con la prevenzione dei genocidi e il processo di riconciliazione, due temi centrali nel lavoro di Gariwo, che con Yolande Mukagasana, testimone e sopravvissuta del genocidio del 1994, opera proprio nella direzione del ricordo delle vittime e dell’educazione per raggiungere la riconciliazione nazionale. Ecco quanto ha scritto il Dipartimento della Pubblica Informazione: il genocidio non è qualcosa che accade da un giorno all’altro. Il genocidio richiede organizzazione e costituisce infatti una deliberata strategia che è portava avanti dai governi o dai gruppi che controllano gli apparati statali. Comprendere il modo in cui si verifica un genocidio e imparare a riconoscere i segni che potrebbero portare a un genocidio sono fattori importanti per assicurarsi che certi orrori non si verifichino più.

 

Quindi per ricordare le vittime i cittadini rwandesi si sono incontrati davanti al parlamento in occasione di ‘Walk to Remember’ ovvero una lunga marcia organizzata da Peace and Love Proclaimers (una giovane organizzazione che promosse per la prima volta la marcia 5 anni fa) e dalla National Commission for the Fight against Genocide (CNLG) durante la quale sono stati letti a lume di candela i nomi di tutti coloro che hanno perso la vita nell’arco di quei 100 giorni di violenze. Se 19 anni fa il mondo rimase a guardare le atrocità commesse in Ruanda, oggi, e da ormai molti anni, sono numerose le iniziative promosse per commemorare le vittime del genocidio. Da Bruxelles a Roma, passando per Parigi, Strasburgo e giungendo fino negli Stati Uniti, in Canada ed in Sud Africa, i ruandesi che vivono all’estero, insieme al resto della popolazione, hanno promosso dibattiti, cerimonie commemorative e silenziose marce.

Lo slogan proposto per la marcia di quest’anno a Kigali è stato ‘Ricordare, Onorare e Ricostruire’ ed il colore scelto è stato il grigio. Se ‘ricordare’ è stata una delle principali attività dei ruandesi nel corso della settimana, ‘educare’ alla non discriminazione dev’essere il tema prioritario nel corso di tutto l’anno, in particolare per tutti coloro che il genocidio non l’hanno vissuto ovvero le nuove generazioni. Secondo il Fondo per i Sopravvissuti al Genocidio (FARG), dal ’98 ad oggi, sono stati spesi più di 130 miliardi di franchi ruandesi in programmi volti a garantire il benessere complessivo dei sopravvissuti, con particolare attenzione al tema dell’educazione, per il quale è stato dedicato il 75% di tale cifra. Un articolo del quotidiano britannico The Guardian ha ricordato come sia fondamentale parlare della discriminazione etnica all’interno delle scuole e come i programmi governativi volti ad educare i giovani ruandesi alla non discriminazione assumano un valore inestimabile ancora oggi.

Jean Nepo Ndahimana, responsabile di un programma educativo per studenti delle scuole secondarie, ha invitato gli studenti a non aver timore nel parlare apertamente della propria etnia e a porre domande sulla questione. Alcuni studenti sostenuti dal Fondo per i Sopravvissuti del Genocidio hanno dichiarato di aver subito più volte atti discriminatori da parte dei loro compagni e di essere stati etichettati come ‘Interhamwe’ ovvero il nome della milizia responsabile del genocidio in Ruanda. Secondo il Dr. James Smith, amministratore delegato di Aegis Trust, “esistono risentimenti e ideologie che i bambini apprendono dai loro genitori e questi sentimenti rappresentano una minaccia per la stabilità a lungo termine e lo sviluppo economico e sociale del paese”. In conclusione, hanno riferito fonti giornalistiche del Paese, la settimana in onore delle vittime del genocidio è stata non solo un’occasione per ricordare, ma anche un’opportunità per le nuove generazioni e per le famiglie ruandesi per riflettere sull’importanza dell’educazione alla non discriminazione che, per avere un impatto significativo, deve affondare le sue radici all’interno del nucleo familiare.

Intanto un tribunale francese ha ordinato il processo ad un ex ufficiale dell’esercito ruandese per aver partecipato al genocidio del 1994: Pascal Simbikangwa un ex capitano dell’esercito ruandese dovrà affrontare l’accusa di complicità in genocidio e complicità in crimini contro l’umanità. L’ex ufficiale è accusato di essere un membro di Akazu, il gruppo estremista hutu creduto di aver pianificato e attuato il genocidio. Il Tribunale penale internazionale (ICTR) per il Rwanda, con sede ad Arusha, in Tanzania, ha avviato la procedura nel 1996 e nel 2012 ha portato a termine 35 processi e condannato 29 persone colpevoli di crimini di guerra, atti di genocidio, stupro, e la creazione di mezzi di comunicazione di odio.

 

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