Guerra e diritti, le “cartografie sociali per i diritti” negli equilibri contemporanei

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“Guerre per i diritti/Guerre ai diritti? Globalizzazione e crisi della democrazia”. E’ questo il tema della  prima conferenza internazionale di cartografie sociali dedicata organizzata dalla Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Urit – Unità di Ricerca sulle Topografie sociali e dall’associazione culturale ‘Le parole e le cose’. L’incontro si è tenuto afine marzo si è svolta a Minori (Costa d’Amalfi – Salerno) con il sostegno del Comune, che ha reso possibile l’organizzazione di un evento così imponente. Infatti dopo il crollo dell’URSS, all’antico bipolarismo si è sostituita in ambito internazionale una crescente interdipendenza dei fattori economici e politici, tendenzialmente gestiti attraverso una governance globale come strumento per correggere gli squilibri economici, reprimere i conflitti locali e proteggere i diritti umani. Le democrazie occidentali hanno combattuto nell’ultimo ventennio delle guerre in paesi storicamente periferici, trasformando gli equilibri di potere mondiale. Questi interventi armati si sono imposti all’opinione pubblica come azioni umanitarie per la salvaguardia dei diritti umani e per la promozione della democrazia e della sicurezza. Anche lo smantellamento dei sistemi di welfare state, la radicale trasformazione delle relazioni di lavoro e la gestione sicuritaria delle migrazioni hanno condotto intere popolazioni alla perdita progressiva di sicurezze e diritti sociali. Dunque, la prima conferenza internazionale delle cartografie sociali ha esplorato il rapporto tra pratiche di trasformazione democratica e diritti umani e sociali.

Al prof. Antonello Petrillo, docente di Sociologia all’Università Suor Orsola Benincasa, direttore di Urit – Unità di Ricerca sulle topografie sociali e promotore della Prima Conferenza Internazionale di Cartografie Sociali, abbiamo chiesto il significato di un seminario dedicato alle cartografie sociali: “L’idea di ‘cartografie sociali’ rinvia a una matrice di ricerca precisa, un solco euristico che corre da Foucault alla sociologia di Bourdieu, con implicazioni teoriche e metodologiche che sarebbe ovviamente impossibile richiamare qui. In estrema sintesi, si tratta di una prospettiva che ambisce ad analizzare un ordine discorsivo, in questo caso la teoria dei diritti umani, dal punto di vista delle sue pratiche, degli effetti anche apparentemente contro intenzionali che esso produce, della ridislocazione effettiva dei rapporti di forze che essa è capace di generare nella mappa sociale del mondo”.

Perchè dopo la caduta del ‘Muro di Berlino’ si è assistito ad una crisi della democrazia?

“Il crollo del muro è una ‘topica temporale’, un luogo/icona che segna nei nostri immaginari un cambio d’epoca poderoso. Ha coinciso con la fine del compromesso fra lavoro e capitale che aveva caratterizzato nel secondo dopoguerra le forme della cittadinanza all’interno delle democrazie occidentali. In esse, pur con tutti i suoi limiti, il compromesso welfariano aveva garantito coesione sociale e tenuta democratica. L’affermazione a livello globale del paradigma unico di mercato che lo ha sostituito, sembra minare profondamente le basi dell’una e dell’altra”.

La globalizzazione ha giovato alla democrazia?

“Sotto il profilo formale, le democrazie sono certo aumentate di numero ma, al di là della nuova colorazione dell’atlante politico del mondo, quali sono stati gli effetti concreti per milioni di donne e di uomini sull’intero pianeta? La guerra è riapparsa dovunque, rilegittimandosi nel discorso pubblico come ‘esportazione di democrazia e diritti’, ma le modalità concrete con le quali viene condotta moltiplicano le vittime civili, consegnandoci macabri scenari in cui morte e disperazione sono protagonisti assoluti. Di più, per milioni di irakeni, kurdi, afghani, balcanici, cosa significa concretamente vivere oggi all’interno di regimi democratici? Il livelli di partecipazione politica sono davvero cresciuti? Si può parlare di un pieno godimento dei diritti civili, economici, sociali e politici?

Non solo, lo spazio della democrazia sembra essersi drammaticamente ristretto nel cuore stesso dell’Occidente: il momento della rappresentanza appare totalmente asservito a quello della ‘decisione’, sempre più spesso autoreferenziale, se non autocratica e violenta, con il moltiplicarsi di ‘micro-eccezioni’ locali e quotidiane fuoriuscite dal sistema delle garanzie e dei diritti; d’altro canto, mentre i processi decisionali reali divengono sempre più appannaggio di attori transnazionali privi di qualsiasi legittimazione democratica, i luoghi tradizionali della rappresentanza (i singoli parlamenti nazionali per esempio) si trasformano non di rado in scenari grotteschi nei quali la ‘rappresentanza’ si degrada a pura ‘rappresentazione’, politica-spettacolo, arte barocca e televisiva della messa in scena di sé e delle proprie attitudini personali (preferenze sessuali comprese)”.

Quale è il rapporto tra democrazia e diritti umani/sociali?

Sul piano storico, la questione meriterebbe senz’altro considerazioni più ampie; per esempio in merito alla profonda influenza che una concezione individualista e poco sociale dell’uomo ha avuto nella genesi delle varie formulazioni di ’Dichiarazioni’, ‘Carte’ e ‘Convenzioni’ in materia di human rights. Limitandoci all’oggi, appare lampante il contrasto tra l’enfasi crescentemente posta nei discorsi ufficiali sulla necessità di tutela dei diritti umani (una necessità di tutela che può, appunto, spingersi sino a includere l’opzione della guerra) e il silenzio al quale i grandi poteri mondiali tentano di ridurre le grida di dolore che, pur crescentemente, si levano dal mondo. Fuori dall’Occidente (ma, ormai, sempre più, anche al suo interno, nel cuore stesso dell’Europa) indici di povertà in spaventoso aumento, sfruttamento senza precedenti di risorse e devastazioni ambientali oltre ogni limite immaginabile, milioni di persone consegnate a un destino di degradazione e schiavitù o costrette dalla speranza in un futuro migliore a migrare verso altri paesi per incontrare muri materiali e recinzioni simboliche (se non la morte in fondo al mare…), producono quotidianamente reazioni: in forma di voci, grida, lotte, resistenze. Riusciamo ancora ad ascoltarle? Nella migliore delle ipotesi, il sistema della comunicazione globale sembra trasformarle in puro ‘rumore’, inintelligibile ronzio di fondo…”.

A quali conclusioni è pervenuto il convegno?

“Se in questione è il silenzio, l’espropriazione della voce di dolore che si leva dal mondo, narrare tale sofferenza è già un poco redimerla. Le scienze sociali hanno spesso rinunciato a questa loro peculiare vocazione, disponendosi negli ultimi decenni a una postura ancillare nei confronti del potere, per giustificarne le scelte, per renderne sempre più efficienti gli strumenti di dominazione. Nelle nostre classificazioni minuziose, nelle articolate tassonomie sociali prodotte in questi anni, la povertà è tornata così a essere, come nell’Ottocento, colpa dei poveri, della loro inadeguatezza rispetto alle sfide dei mercati, il sottosviluppo frutto di arretratezza culturale, di atavismi religiosi o morali. Al convegno, un gruppo di scienziati sociali, famosi e meno famosi, giovani e meno giovani, provenienti dai quattro angoli del pianeta, dalla Francia e dal Belgio, dall’Inghilterra e dall’Olanda, dall’Ucraina e dalla Turchia, dal Canada e dal Brasile, dall’Argentina e dall’Italia, hanno semplicemente deciso di tornare a fare il proprio mestiere: ascoltare il mondo, tracciarne cartografie. Ne verranno fuori pubblicazioni e nuovi progetti di ricerca, occasioni di cooperazione e scambio scientifico: è un’internazionalizzazione al servizio del mondo, una via che il nostro ateneo, Suor Orsola Benincasa, ha scelto da tempo”.

 

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